venerdì 24 febbraio 2012

processo in un alimentari

Gli intellettuali hanno ammazzato Ceausescu!
mi dice la commessa rumena
mentre le chiedo del pane
e io sarei l’assassino mi pare.
Era un tiranno le dico ma lei
ma dava una scuola a mio figlio
lavoro casa una macchina
non potevi parlare né dire
vaffanculo a un politico
ma ora che troppo lo dici che cambia?
né lavoro né casa né macchina
e nemmeno la scuola è più buona
avete ucciso per niente
mi dice.
Non c’è contraddizione se pensi
a una crisi più grande
ma se ripeto la vita è dolore
mi pare un abuso e sto zitto.
È meglio che si creda sconfitta
al ceppo della Storia piegata ma intanto
spezzo il pane col morso
sotto un cielo di bianco snervante
e il sapore che sento al palato
mi appare di carne e di sangue
e la lingua è come bruciata
incapace a chiamare soccorso.

giovedì 23 febbraio 2012

la comparsa delle branchie



Ogni giorno aspetto Dio al bar per prenderci un caffè insieme. Discutiamo del tempo, dell’ultima notizia letta sui giornali, il prezzo dei pomodori sul mercato, la pop star morta di overdose, la prossima guerra del mondo. Farà ancora brutto, mi dice, forse per farmi dispetto, lui che gira i rubinetti lo sa. Appena pochi sprazzi di sole, giusto per darci respiro. Perché?, gli chiedo, qual è lo scopo? È un modo come un altro di proseguire la vostra evoluzione. Cadrà tanta acqua finché non vi spuntano le branchie! E dopo? Dopo nulla, prosciugherò tutti i mari. Dio ha uno strano senso dell’umorismo. Ancora non capisco, gli dico, a cosa serve tutto questo, qual è la sua utilità? Tu pensa alla salute e apri gli occhi, mi risponde ogni volta. Vedrai che un giorno lo capisci.


Nella foto La Sirena di Magritte. (Grazie a Cristina per il suggerimento pittorico).

giovedì 16 febbraio 2012

ultima neve sulla periferia



Per quanto ci si possa sforzare tutte le periferie del mondo sono brutte, talvolta orribili. Eppure mi affascinano sempre: è come se ci fosse in ognuna qualcosa di non detto, di non espresso appieno o di espresso male. Tutto ciò che mi interessa rappresentare.

domenica 12 febbraio 2012

alcuni aforismi di santiago lópez petit



Inquietudine vuol dire che il fuoco mi spinge verso la neve e che la neve mi spinge verso il fuoco.


Il silenzio abita il centro oscuro del rumore.


La vita è una parola. Il voler vivere un grido.


Dobbiamo intraprendere un doppio lavoro: essere ciò che non siamo per vivere quello che siamo.


Ogni alibi è l’inizio di una rinuncia.


Vivere è coniugare il verbo voler vivere.


Una vita politica deve essere una vita piena di rabbia.


Avere una vita politicizzata o non averla: questo è il problema.


Avere una vita politicizzata è, molte volte, avere una vita spezzata.


Fare della propria vita un’opera d’arte è un privilegio che l’uomo anonimo, cioè, ognuno di noi, non può permettersi.


Il sogno di “vivere tutte le vite” è la proposta commerciale che realizza questa società del consumo. Niente a che vedere con amare e pensare.


La vita si vendica con la vita di essere vissuta.


Fa male la distanza che il dolore produce.


I nostri pensieri sono mediocri per gli adattati. I nostri amori sono tristi per gli infelici.


La solitudine è una superficie senza confine.


L’amore è assoluto o non è. Per questo è disperato.


L’amore, come la notte, divora instancabilmente il suo stesso cuore.


L’amore è più forte del voler vivere. A volte, si ama contro il proprio voler vivere.


Il voler vivere, in un certo senso, schiva la finitezza. L’amore no. So che morirò perché un giorno sarò lontano da te. Si ama per conquistare un po’ di eternità.


La felicità che produce l’amore gira sempre intorno a un centro di dolore.


Si ama dalla solitudine. Si ama sempre un estraneo. Questo estraneo che è entrato nella propria vita.


Ti amo come non ho mai amato. Quante volte lo hai già detto?


Ti amo al margine delle lacrime.

L’amore è essenzialmente ingiusto.


Artaud espresse bene questo dramma: mi metto in condizione di pensare, e non mi viene in mente nulla.


I buchi del pensiero dove vanno a finire?


Se, quando pensiamo, pensiamo tutti la stessa cosa, pensare deve essere un abbraccio.


Pensare e amare. Colpiscono colpendo. Insanguinati, si estendono per la pianura stellata. Da qualsiasi parte. In nessun luogo.


Amare vuole l’eternità. Pensare, l’istante.


L’amore ha memoria dei gesti. Il pensare, delle parole.


Amare è pensare non hanno niente a che vedere con la felicità.


Si ama perché si ama. Si pensa perché si pensa. Uno stesso sentimento accompagna l’amare e il pensare. Questo sentimento provoca in noi l’idea del vuoto.


Il pensare divora se stesso. L’amore è famelico.


La vita non ci dà l’amore e il pensare. L’amore ce li riserva. Non si passa incolumi per l’amore. Nemmeno per il pensare.


La Grecia antica inventò l’eroe. La Cina, lo stratega. L’ero è quello che ama ma non pensa. Lo stratega è quello che pensa ma non ama.


Amare e pensare: avventure senza consolazione.


La modestia è il tipo di orgoglio che conviene al pensare. All’amore conviene invece, un orgoglio senza modestia.


In tempi di tradimento amare e pensare sono splendidi…


Una stessa emozione è quella che avvicina il pensare all’amare. Questa emozione è l’inquietudine. L’inquietudine di una notte in bianco. Sperando.


L’amare e il pensare sono assoluti ma nient’affatto puri.


Una vita d’amore vincerà sempre rispetto a una vita di pensiero. “In questa vita non ho fatto che amare”. Questa frase non può dirsi nello stesso modo se sostituiamo amare con pensare.


Poche passioni. Poche idee.


Santiago López Petit è un filosofo spagnolo nato nel 1950. Insegna Storia della Filosofia presso l’Università di Barcellona. Gli aforismi sono tratti da Amare e Pensare, ed. Le Nubi.
Grazie a Linda per avermelo fatto leggere.

sabato 11 febbraio 2012

dietro

Si fissa così nella memoria
con precisione digitale l’istante
l’immagine di te che mi saluti
in uno schermo tutto fatto di colori
all’altro capo d’Europa
e senza mai sapere per quanto
né con quale dolore o solitudine
ma solo la misura che separa, la distanza
che ci priva del conforto, l’ironia
che c’è neve dietro quella finestra così
come dietro la mia.

mercoledì 8 febbraio 2012

ritratti: lisetta carmi

Lisetta Carmi ha vissuto troppe vite in una per essere sintetizzata con un solo termine. Nata donna ed ebrea, in un periodo storico che poneva le donne e gli ebrei in una posizione di inferiorità sociale, ha caratterizzato la sua intera esistenza alla ricerca di una propria inderogabile indipendenza e nella difesa delle minoranze, dei poveri. È stata pianista, poi fotografa. Ha utilizzato la fotografia come mezzo di lotta sociale e di conoscenza. Celebri molti suoi reportage, fra cui vanno assolutamente ricordati quello, assai contestato, sui transessuali di Genova e poi il ritratto di Ezra Pound. La sua continua irrequietezza l’ha portata in Israele, in America Latina, per documentare la condizione dei più deboli e poi in Asia, dov’è avvenuto il fondamentale incontro col maestro induista Babaji. Alla fine degli anni ’70 si è definitivamente trasferita a Cisternino, dove ha fondato l’ashram, il primo in Europa, che ha diretto per quasi vent’anni. Nel 2010 il regista Daniele Segre ha girato un film sulla sua vita.



Come molti sapranno, Lisetta Carmi vive nel centro storico di Cisternino, in una casa che domina la piazzetta di sotto e per arrivare alla quale è necessario arrampicarsi per una ripida scala, attraverso un esercizio per lei quotidiano di fatica e determinazione, che porta a quello che può sembrare il rifugio di un’alta torre da cui si può osservare, staccandosene, il mondo di sotto. Eppure la Carmi, che pure apprezza il silenzio scende ancora di sotto, nel mondo, si mischia con gli altri, si dedica a loro in base alle proprie forze. È più di un mese che cerco di incontrare la Carmi per un’intervista. “Sono famosa!” ammette, con un pizzico di orgoglio quando glielo faccio notare. “Non che mi importi molto ma tutti mi cercano, tutti mi chiamano, mi vogliono. Ho lavorato molto, senza mai fermarmi. E adesso, a volte, sono stanca.” Riesco finalmente a incontrarla a casa sua, ai primi di gennaio. Mi appresto a tirar fuori il registratore e il foglio delle domande per poterla intervistare, invece la Carmi mi sorprende. Esordisce così, mentre mi fa sedere di fronte a lei:
“Ieri non sono stata bene, sono molto stanca oggi, per cui niente interviste. Ti ho fatto venire perché volevo parlare un po’ con te, conoscerti meglio. Per cui, siediti, spegni quel registratore e metti da parte la macchina fotografica. Adesso ti faccio io qualche domanda.”
Ha preso dalla scrivania un volume di foto che ho pubblicato con questa rivista un anno fa e ha cominciato, foto per foto, a farmi delle domande, sulle mie motivazioni, sul modo che ho di raccontare la vita, una storia, con il mezzo che l’ha resa tanto celebre. Quindi ha ripreso la parola, e parlandomi per circa un’ora, con chiarezza e schiettezza estreme, mi ha detto questo.



Lezione di fotografia

Antonio Lillo, se vuoi fare il fotografo, ricorda che non sono d’accordo con quello che scrivi nel tuo libro, e a cui sembri dare tanta importanza. Tu scrivi che la fotografia nasce prima di tutto nella tua testa, ma io ti dico che in tanti anni che ho fatto foto non ho mai “pensato” l’immagine. Avevo delle idee, certo! Ma io arrivavo lì, mi guardavo intorno, e fotografavo quello che c’era! Ho sempre cercato di fotografare l’anima delle persone e non solo il loro viso. Cerca sempre di fare in modo che una foto dica tutto quello che c’è da dire senza doverle per forza aggiungere altro, né titolo né didascalia. Che parli a chiunque, anche a chi non ti conosce, ma senza che il tuo sguardo sia banale. Questa foto che tu intitoli Il futuro è luminoso, perché l’hai intitolata così? C’è un vecchio coi bastoni che si trascina per strada. Io l’avrei chiamata semplicemente Vecchiaia, senza ironia. Questa coi bambini mi piace, quest’altra con questa bella ragazza pure. È anche vero che le nostre strade sono piene di vecchi… Io non ho la televisione. Così nelle belle serate mi piace scendere di sotto e sedermi sulla panchina a osservare la gente che passa. Sto lì seduta e mi immagino quante splendide foto farei, se fossi ancora fotografa, se ancora mi interessasse fotografare. Io farei delle foto alle ragazze con quelle belle scarpe colorate, coi lacci che fasciano loro le gambe, ai bambini troppo eleganti e ripuliti all’eccesso, a questi ragazzi che passano tutto il loro tempo attaccati ai telefonini e non si guardano mai in faccia, mai!


Attilio Carmi con sua figlia Lisetta
Genitori e figli

Nella mia vita ne ho fotografati a migliaia di bambini, di ragazzi, di tutte le condizioni sociali, e dovevi vedere come mi si donavano quelli più poveri, come si aprivano quando li riprendevo! I giovani di oggi invece mi irritano e allo stesso tempo mi preoccupano. Eppure io me la prendo coi loro genitori. Mio padre era severissimo con me e i miei fratelli, ma anche molto intelligente, e dava una grande importanza al lavoro. Ci diceva sempre ‘per l’istruzione e la salute tutto, tutto!, ma per il resto dovete vedervela voi!’ e ci ha insegnato che se volevamo qualcosa dovevamo conquistarcelo con le nostre forze. Perché solo così si forma il carattere. La mia prima auto me la sono comprata a 35 anni, a rate, in ventiquattro mesi. Era una 600, ma quando la guidavo mi sembrava una Ferrari, perché era una mia conquista. Quando ho visto che era così facile guidarla mi sono messa al volante e con quella macchina sono andata in Palestina, poi ho girato tutto il mondo. Oggi appena fanno diciotto anni i genitori comprano subito la macchina ai figli. Comprano loro dei bei vestiti, un sacco di roba inutile. Come possono sperare che non vengano su dei deboli, viziati. I veri colpevoli sono proprio quelli idioti dei genitori!



Tornate a lavorare la terra!

Tu che sei direttore di un giornale, ti chiedo: perché il tuo giornale non ha il coraggio di fare qualcosa in più? Parlate dello scempio paesaggistico che stanno facendo ai nostri paesi! Del modo in cui offendono il lavoro così intelligente di chi ha costruito queste case della fine dell’ottocento o i nostri trulli. Vendono quelle vecchie case e le ristrutturano col cemento, le distruggono senza capire. Ditelo ai ragazzi che le mani sono fatte per lavorare! Dite loro di lasciar perdere il lavoro dietro una scrivania, e di tornare a lavorare la terra, nei campi! Io con queste mani ho sempre lavorato, sempre! E a più di un contadino ho baciato le mani. Spesso il contadino si stupiva, diceva: ‘Lisetta mi ha baciato le mani!’ Ma io gli dicevo: ‘Le mani che lavorano sono benedette!’
Sono sempre stata comunista, lo sono ancora, anche se il comunismo non esiste più, e lo sono perché il mondo è ancora pieno di ingiustizie. Perché il potere economico è nelle mani del 5% dell’umanità. Il 95% che rimane non ha nulla o quasi. Ma si deve capire che se una volta il potere del denaro si reggeva sull’oro, ora è diventato un’idea astratta, il denaro è carta straccia. Arriverà il giorno che il denaro non varrà più nulla e allora l’unica soluzione sarà tornare alla terra.
Ovviamente non sono una sciocca, so che oggi non si può vivere solo coltivando il proprio orto, ma ci sono delle alternative, si possono costituire cooperative, realtà che sul rispetto della natura, sulla produzione di prodotti buoni, sani, biologici, possono permettere a un giovane di vivere degnamente. Non serve tanto per vivere. Io ho sempre vissuto con poco, ho sempre lavorato tanto. E sono contenta. Ora vivo qui, in questa bella casa, ma la mia vita è semplice, le pulizie in casa le faccio ancora io. Quando mangio lavo il mio piatto da sola. Vivo serenamente la mia quinta vita, quella che Babaji mi aveva indicato come la mia vita di totale libertà.
Le altre, lo saprai, sono state il pianoforte, la fotografia, il lavoro con Paolo Ferrari e poi l’incontro con Babaji. Lui era straordinario. Io non sono mai stata una devota nel senso classico del termine. Ma lui mi ha chiamata e io sono andata da lui perché mi aiutasse a capire, a migliorarmi. Mi ha permesso di fotografarlo in centinaia di scatti che ne rivelano la gentilezza, il modo in cui riusciva a guardarti dentro, ad aiutarti a capire delle cose di te, e di questo gli sarò sempre grata.



(Pubblicato su Largo Bellavista n°56, gennaio 2012)

martedì 7 febbraio 2012

cinefilia

Si può ben vivere al passato preferire
il sorpasso all’ultimo in uscita
una vita difficile comunque un tuffo
nell’acqua. Si può sempre scegliere
dove impigliarsi, l’uscita non è
obbligatoria né la crisi a misura
del malcontento comune. La speranza è l’ultima
a morire anche quando è già morta.

lunedì 6 febbraio 2012

l’ultima poesia della szymborska

non è quella scritta poco prima di dormire
e lasciata in un appunto senza precauzioni
fra le pagine gonfie dell’agenda
sotto la bottiglia d’acqua naturale
così da far felici in un sol colpo
i romanzieri a caccia di reliquie e i coccodrilli della sera

ma quella che mi hai letto in libreria
fra gli scaffali come mura nel deserto
e poi hai riposto alla rinfusa nella sera
del mio compleanno n°35
che dicevi ti regalerò una torta e una poesia
che diceva tutto m’importa di te anche i tuoi versi.

mercoledì 1 febbraio 2012

la poesia va contro il tempo...

La poesia va contro il tempo
e non va più di moda
ti chiede un attimo per sé
come una vecchia fidanzata e tu
non puoi più darglielo
ho altro da fare le dici
nuova carne da infettare
il futuro è in mano nostra lo vedi