domenica 31 marzo 2013

epitaffio per un piccolo uomo

Paolo Giannoccari mi diceva sempre una cosa: “Io ti rispetto perché sei comunista però con me, che sono democristiano, ci parli lo stesso”. In verità con Paolo non si riusciva tanto a parlare, faceva tutto lui. Ti vedeva arrivare da lontano sul corso, ti chiamava con foga, e tu potevi solo sederti sulla stessa panchina e aiutarlo a passare una mezzora della sua lunga giornata da pensionato. Paolo, a essere giusti, era una persona buffa, a volte stralunata, e spesso un gran rompipalle. Soffriva da anni di diversi problemi, ma anche così Paolo non si arrendeva, pieno di entusiasmo e ingenuità senza rimedi, ancora studiava, si impegnava, lui che si riteneva un illetterato, e aveva fondato un gruppo di azione locale per fare, a modo suo, politica attiva nel suo paese. A modo suo era un estremista. Credo che nessuno si scorderà mai quella volta che, lui che faceva il postino, bloccò per protesta lo sportello dell’ufficio postale, nessuno poteva più spedire lettere, pagare le bollette. Arrangiava, con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, ma sempre in maniera onesta. La verità è che Paolo Giannoccari ci credeva davvero nella politica, e a quel credo che era tutto ciò che gli restava insieme alla famiglia, aveva dedicato la parte migliore di sé.
Paolo è morto oggi, davanti a casa sua, mentre tornava dall’ennesimo ricovero ospedaliero. È morto nella piazzetta dove ha passato un po’ in disparte gli ultimi anni. Di quei pomeriggi insieme sulla panchina non mi scorderò mai le sue lunghissime, estenuanti, relazioni che preparava per ipotetici incontri da farsi con tutte le forze politiche, anche con noi “comunisti”, perché per lui, uomo solo, il dialogo, lo scambio, erano cose fondamentali. L’ultima di queste relazioni, che non ha fatto in tempo a leggere a nessuno, riguardava l’accoglienza agli immigrati, la necessità di riscoprire un vero senso di carità cristiana per queste persone arrivate qui dal mare, senza più nulla. Ripensando all’incapacità di dialogo e all’arrivismo delle forze politiche che oggi devastano l’Italia, direi che, pur arrangiando con tutti i suoi limiti, quel piccolo democristiano illetterato, per cui nessun altro scriverà un epitaffio, era molto più avanti, nel cuore, di tanti di loro.

sabato 30 marzo 2013

pasqua senza lacrime

Ieri Enzo Jannacci, oggi Franco Califano. È come se tutta la musica di questo paese lo ripudiasse, o ne venisse spurgata, tenuta a distanza. Guardo il telegiornale. Questa notte due immigrati sono morti assiderati su un gommone in mezzo al Mediterraneo, in un tentativo estremo di realizzare il loro sogno di una vita migliore, il miracolo della Pasqua per loro non si ripeterà. Oggi uno dei presidenti peggiori della nostra Storia, certamente il più debole, ha consegnato il paese ai Dieci Saggi, come so fossimo nel Signore degli Anelli o in Harry Potter: sembra un gioco di società per nerd appassionati di magia, e sarebbe quasi comico se non fosse tragico, se non fosse un così palese inciucio. Persino Marco Travaglio, a questo punto, ha pubblicamente dato degli idioti (non in questi termini ma il senso era quello) al Movimento Cinque Stelle, che fino a ieri appoggiava. Io lo do a tutti senza complimenti. In pochi lo dicono, ma Cipro, in ginocchio, è il primo indizio del disfacimento dell’Europa democratica che tutti sognavamo. Intanto il Tg4 dedica un intero servizio alle vacanze della Merkel a Capri, per ricaricare le batterie prima dell’ennesima porcata: la Merkel, ci informano dal Tg4, non rilascia interviste e non vuole essere disturbata. Intanto gli italiani non vanno più in vacanza, denuncia Federalberghi preoccupata. In molti nel prossimo anno finiranno per strada. La Cina avanza senza dirlo, ce ne accorgiamo ogni volta che un operaio perde un diritto, che andiamo a fare la spesa e poi mangiamo carne di cane contraffatta. Non c’è conforto per nessuno, non c’è più amore, neppure quello semplice di una compagna, perché siamo tutti più poveri, più arrabbiati, incattiviti e senza speranze. Una volta la musica dei cantautori aveva un potere aggregante, serviva a farci sentire più vicini, a dare forma ai nostri pensieri di popolo, al sentimento, a una speranza. Oggi cantiamo le canzoni di Jannacci o Califano chiusi in casa, per noi stessi, nostalgici o per consolarci, comunque più cinici, induriti. Abbiamo fallito su tutti i fronti, amici miei. C’è tanto dolore senza scopo, ma nemmeno più una lacrima da piangere.

accende la magnolia notturna...

Accende la magnolia notturna
la primavera che spasima d’uscire
per un uomo dei sogni al rientro.

lettera da lontano



Lettera a chi ha vissuto tutta la vita accompagnato solo dalla sua miseria, dalla sua dignità, dalla sua morte, dalle sue emozioni
Lettera che ha visto sparire insieme al sole, alla sua malattia poco per volta tutte le sue illusioni
Lettera a chi si rifiuta di accettare comici, musicanti, poeti, medicastri e cantori di canzoni

(Enzo Jannacci)

mercoledì 27 marzo 2013

la scoperta dell'acqua calda


Non ho ben capito, ma se sono un semplice puttaniere senza essere padre, posso comunque sentirmi fiero di essere italiano? Ultimamente, per come vanno le cose, mi sembra quasi di dovermene vergognare. Il problema è che io non me ne vergogno proprio. Così come non mi vergogno di dire che non mi frega nulla di quello che ha detto Battiato, ma soprattutto perché alla fine non si è mai capito nulla di quello che diceva Battiato, e forse il messaggio subliminale di tutte le sue canzoni è sempre stato quello: Ci sono troppe TROIE in Parlamento! Sai che scoperta dico io! Qui si condanna la gente per aver scoperto l'acqua calda, questa è la verità! E io proprio non riesco a vergognarmene. Al massimo le prossime vacanze mi unisco al Centro Anziani per il solito giro turistico a Montecitorio, un toccasana per i problemi lombari e della circolazione.

martedì 26 marzo 2013

starai in un'acquamarina...

Starai in un’acquamarina
nella foto ossidata e rubata per caso
alla stanza starai con la rosa
a disagio mentre tenti una smorfia
ed eccoti dunque al sicuro
senza più nome nel volto sfocato
dal sole nel mio ricordo
che confonde ogni volta
il tuo odore di fresco bucato
e del mare in un’acquamarina
che corrode e conserva le risa
sul fondo con la scarpa perduta
lanciata per scherzo quell’anno
e finita ben oltre il balcone.

lunedì 25 marzo 2013

una cassa di te



Poco prima che il nostro amore finisse, mi hai detto
“Sono costante quanto la stella polare”
e io ho risposto “Costantemente nell’oscurità
dove si va?
Se mi vuoi, io sono al bar”
Sul retro di un sottobicchiere di cartone
nella luce azzurra di uno schermo tv
ho disegnato una mappa del Canada
oh il Canada
e ho schizzato il tuo ritratto per due volte.

Sei nel mio sangue come il sacro vino
e hai un sapore così amaro eppure così dolce
potrei bere un’intera cassa di te
e continuare a reggermi sulle mie gambe.

Sono una pittrice solitaria
vivo in una scatola di colori
mi spaventa il peccato
ma sono attratta da chi non ne ha paura.
Ricordo quella volta che mi hai detto
“Amare è toccarsi l’anima”
tu di sicuro hai toccato la mia
se parte di te sgorga fuori da me
in questi versi, talvolta.

Sei nel mio sangue come il sacro vino
e hai un sapore così amaro eppure così dolce
potrei bere un’intera cassa di te
e continuare a reggermi sulle mie gambe.

Ho incontrato una donna
parlava come te
conosceva la tua vita
i tuoi meriti e i tuoi peccati
e mi ha detto
“Va da lui, sta’ con lui se puoi
ma preparati a sanguinare”.

non sarà il tuo lutto a ritrovarmi...

Non sarà il tuo lutto a ritrovarmi
complice o fuggiasco a lamentare
il cuore ormai sfasciato.
Sorriderò sorriderai senza più fiato.

venerdì 22 marzo 2013

due zingari



"Si lasciano dietro un sogno metropolitano"
(De Gregori)

mi chiedono poesie per affrontare...

I fiori muoiono quando ci rattrista perderli. (Dogen)

Mi chiedono poesie per affrontare la fine di qualcosa
ma non ci sono poesie solo esperienze
si muore si soffre si perde e ci aggrappiamo ai ricordi
a parole che riempiano l’assenza come sempre
ci ritroviamo più soli ad affrontare l’inesauribile onda.

L’inverno non diventa primavera resta tale
nel suo nome congelato.
Ci spostiamo da un ramo all’altro per il nostro sonno
fino a quando non verrà potato.

giovedì 21 marzo 2013

piove per noi divisi o clandestini...

Piove per noi divisi o clandestini
confinati in casa dalla pioggia
la mia casa e la tua casa non più unite
ma bagnate entrambe dal rimpianto.
Piove e non rimane
nemmeno più da raccontare
cambiano le foto che vediamo passare sugli schermi
un altro amore senza storia o mai esistito.
Piove a inumidir la miccia del cuore
la speranza che non era
piove e intanto scema la bufera
nel chiacchiericcio famigliare senza scampo.
È il primo giorno di primavera.

autoritratto con vetro bagnato

mercoledì 20 marzo 2013

equilibrio e splendore

Per chiudere il profluvio di post che, per festeggiare, ho caricato oggi sul blog, ho pensato che mancasse una solo una bella canzone. All’inizio mi ero indirizzato verso Songs: Ohia, gruppo americano il cui leader, Jason Molina è morto sabato scorso a 39 anni. Poi mi sono detto che preferivo qualcosa di meno funereo, e così a Molina dedicherò di sicuro un post nei prossimi giorni e invece oggi scelgo il pezzo di un altro un po’ artista.
John Martyn, di cui ho già pubblicato qualcosa in passato, appartiene a quella rara specie di artisti che attingono la propria arte direttamente dal cielo. Alla stessa specie di gente come Nick Drake, Tim Buckley o David Crosby. A differenza loro, Martyn si è sempre preso un po' meno sul serio e questo gli ha permesso nel tempo di mantenere l'equilibrio, di tenersi al di fuori di certe spinte autodistruttive che invece hanno rovinato gli altri. La qualità del suo lavoro resta comunque eccelsa. E tale miracoloso equilibrio fra scanzonata ironia e profondità del cuore ci sia sempre da esempio.

hemingway e la senilità mentale degli altri

Ci sono momenti che vorrei trovarmi a tu per tu con quelli che ai ragazzi del liceo consigliano, per appassionarli a Hemingway, di leggersi roba come Il vecchio è il Mare, notoriamente uno dei suoi testi più complessi, sotto tutti i punti di vista e soprattutto per quanto riguarda i suoi contenuti. Il vecchio e il Mare è stato l’ultimo libro pubblicato in vita dallo scrittore e, lo dice il nome stesso, parla di vecchiaia, del rapporto col proprio tempo, e col mondo intorno, poco prima che questo rapporto finisca per sempre. È di sicuro un tema importante, e scritto benissimo, ma come diavolo fa un ragazzo ad appassionarsi a roba così? 
Sarebbe come chiedergli, se invece di Hemingway si parlasse di Shakespeare, di leggersi Re Lear invece di Amleto o Romeo e Giulietta: lo può fare, ma non lo riguarda, pertiene a una sfera emozionale non sua. Che gliene può fregare a un ragazzo dei problemi di vecchio? 
In questo modo, per una visione del testo che è tutta ottocentesca, benintenzionata, borghese, tipica della nostra Scuola (che ancora impone I Promessi Sposi come lettura obbligatoria!), si cerca di uccidere quello che potrebbe diventare un grande amore. 
Hemingway amava a tal punto l’Europa che passò gran parte della sua vita fra la Francia, l’Italia e la Spagna, per certi versi era più italiano che americano, ci appartiene. Volete che i ragazzi ricambino questo amore? E allora dategli quei libri che scrisse da giovane, in Europa, quelli parlano il loro linguaggio, che li riguardano, dategli Fiesta, Addio alle Armi, i bellissimi 49 Racconti, storie dense di avventura, di azione, di una inesorabile voglia di vivere, di amare, di conquistare il mondo. La sua stessa biografia è un vero e proprio romanzo! 
Poi certo, come succede sempre, per tutti, tutto sarebbe finito con il declino fisico e mentale che lo avrebbero portato prima alla tristezza degli ultimi anni e poi al suicidio. Ma tutto questo, e il resto (lo scomodo ciarpame critico che fa “la bella scrittura”, “il buon esempio”), arriva molto tempo dopo.

cos'è la merda

Sempre più piccolo borghese, consumistico, fascistico, il paese, telestupefatto, ha perso ogni cognizione di cultura e di lingua. Ha perso ogni memoria di sé, della sua storia, della sua identità. L’italiano è diventato un’orrenda lingua, un balbettio invaso dai linguaggi mediatici che non esprime altro che merce e consumo. Su questo terreno trova coltura e vigore un cespuglio di scrittori furbastri, personaggi mediatici prima che scrittori, che coi loro romanzi polizieschi, comico-grotteschi, bozzettistici intrattengono e dilettano i “nuovi” lettori.

L’estratto qui sopra viene ripreso da un articolo del 2006 dello scrittore Vincenzo Consolo sulla rivista Lettera Internazionale. Lo posto a commento dell’ultimo dibattuto articolo di Marco Travaglio (qui) in cui definisce polemicamente il popolo della rete come “una merda” (a qualcuno dà anche del cerebroleso) e chiede ai proprio commentatori se rileggono mai ciò che scrivono.
Non ci vuole tanto per capire che il popolo della rete è “una merda”, a tal proposito mi piace ricordare le parole assai sensate del mio amico Gianluca: “Internet è un potentissimo mezzo per dare voce agli imbecilli”. Che poi è il vero autentico principio della democrazia, dove l’imbecille vale quanto il dritto, ha lo stesso peso (talvolta è anche un buon esercizio di modestia per il dritto).
Il problema casomai mi sembra un altro. E cioè che chi scrive non si rilegge, e questo a causa del fatto che prima dovrebbe imparare a farlo. Dico imparare per il semplice motivo che scrivere e leggere non è, come si pensa, mettere insieme meccanicamente delle lettere per formare delle parole, è qualcosa di molto più complesso, si tratta di dare forma a delle idee, e purtroppo questo non ce l’hanno mai insegnato. E la colpa è realmente, assurdamente, imperdonabilmente, tutta politica.

la valle delle chiese bianche

Erano dodici le chiese bianche che spiccavano dentro la valle. Prima si sono rotti i vetri delle finestre, poi tutte le porte si sono infradiciate e i chiodi si muovevano tra la carne marcia delle assi crocefisse che erano piene di buchi.
Si sono sfatte quell’anno che è piovuto tutta l’estate fino alla prima fiera d’ottobre. L’impalcatura dei chiodi sosteneva pezzi di legno che formavano una trasparenza di ragnatela. Un giorno di gran vento, i chiodi hanno cominciato a volare e non è restata neppure l’ombra delle porte.
Quando gli uccelli si sono messi a fare gazzarra là dentro, l’aria era piena di piume che calavano sul pavimento quasi cadessero dalle ali degli angeli in volo sul soffitto.
D’improvviso una notte, le chiese sono crollate tutte insieme.
Un montanaro che sta sotto Badia alza la mano destra col bastone e ti indica giù nella valle dei mucchi di sassi e calcinacci luccicanti come bava di lumache.

(Tonino Guerra, da Il libro delle chiese abbandonate)

natura morta con scarpa


“Come un tempo lontano” (Gino Latilla)

soddisfazione sul volto dell'autore di questo blog alla scoperta di avere appena superato le 100.000 visite

martedì 19 marzo 2013

prestami attenzione

ti schiuderò il mio mondo fatto di riguardi.

M’inchino al tuo passaggio profumato
ti porgo una sedia ed un bicchiere
la toletta che specchi il tuo splendore armato
ti chiudo la portiera quando parti
verso un’altra guerra giornaliera
dimentica del mondo alle tue spalle
intenta al tuo divino ufficio
e sto lì in attesa che ritorni
in veglia ansiosa
preghiera silenziosa
tu mia Giovanna D’Arco senza gloria
ed io al tuo seguito
attendente.

lunedì 18 marzo 2013

detrattori e riformatori

Mi par di capire, da ciò che leggo in giro, che i maggiori detrattori di papa Francesco siano in fondo quelli che alla fin fine detraggono, da sempre, anche la Chiesa nel suo insieme. E cioè, credo, non è il papa in sé il problema: poteva essere questo o un altro ed era comunque sbagliato, a meno che il papa non fosse stato esattamente un riformatore alla loro maniera, cioè a immagine di chi comunque la Chiesa non la vive, né in molti casi la vivrebbe, anche se fosse diversa. Io per me non sono convinto che la Chiesa possa cambiare, non da un giorno all'altro almeno. Può migliorarsi ma non rivoltarsi come un calzino fino al punto di annullare, in un paio di giorni di conclave, duemila anni di storia e tradizioni. E quanto ai papi riformatori ho sempre creduto che Giovanni XXIII fosse l'eccezione e non la regola.

sta' maria e il silenzio...

Sta’ Maria e il silenzio
fra i rami bagnati dei mandorli
se nel cuore s’agita
quel rosa stellare di Bashō.

domenica 17 marzo 2013

mochnaczka, di jerzy harasymowicz

Arrivo 3 ottobre 1977

Il larice dorato nel buio
m’indicava la strada per giungere a Te
con la spada fiammante dell’autunno

– adesso
mi guarda soltanto
e nulla dicono le Sue maniche
corrugate dallo stupore

Non dice una parola
la Sua camicetta ricamata
col paesaggio del luogo

Con la ricamata
rosa selvatica
del cuore

È tranquilla
ed è un normale
giorno pieno di arnesi

E stiamo
faccia a faccia senza parlare
sulla stretta passerella
– del pavimento
sotto il quale fruscia

la nostra vita selvaggia

E vedo
nei suoi occhi riflesse
due chiese
colme di lacrime

E lei vede
i miei capelli
coperti di brina

Per i quali un giorno
si tolse di dosso senza parlare
il giorno dei suoi vent’anni

(Grazie a hzzk per il suggerimento. La traduzione è di Paolo Statuti)

proiezioni della domenica con morale

La domenica che vorrei – Mi alzo tardi perché sono rientrato all’alba dopo aver passato il mio sabato notte in giro per pub che normalmente non mi posso permettere. Faccio le mie tre serie complete di addominali (che piace tanto alle ragazze). Doccia e barba. Poi ascolto un live fico di Miles, perché si sa che dire che ascolti il jazz ti dà quel certo tocco di classe. Quindi, già che c’è il sole, esco per socializzare e se proprio voglio tirarmela vado al mare.
La mia domenica reale – Mi alzo all’alba perché soffro di insonnia, dopo che ho passato il sabato sera da solo a casa bevendo liquorini artigianali. Mi trascino in pigiama per la casa senza concludere nulla di importante (leggiucchio, scrivo un verso monco). Mi rado il collo, giusto per ritrovare la linea della barba sotto il mento. Ascolto un live fico di Miles, perché Miles va sempre bene per tutti, i belli e i brutti. Continuo a trascinarmi in pigiama per la casa fino all’ora di pranzo.
Morale – In fondo al cuore sono un borghese. La mia pigrizia mi salverà.

sabato 16 marzo 2013

nevica

Nevica anche qui
dove a sorpresa
s’aspetta ancora primavera
nevica per chi s’indigna
della mancanza
d’una guida degna
al governo del banano
per l’idiozia del popolo
l’ipocrisia del Vaticano
e nevica su chi
nella sua offesa militanza
sta chiuso in casa e ascolta
F. De Andrè in silenzio
perché da morto si sa
è un bravo papa
anche quello.

venerdì 15 marzo 2013

dio, mi allego al tempo...

Dio, mi allego al Tempo
che mi spedisca a te
con un INVIO, ad essere Salvato
o per errore – ma decisivo –
segnato come SPAM nel tuo cestino.

martedì 12 marzo 2013


Non sarà il tuo vuoto a chiudermi nel cerchio
non sarà lo spazio vuoto di un teatro
di Malevic tatuato sul tuo braccio
se
piegato il cerchio a frantumata notte
la perfetta solitudine di un angolo ha mancato
il nero pieno di bandiera aprile dunque
per rifarsi.

mieli di marzo

Linko qui, a trent'anni dalla sua scomparsa, un ricordo di Mario Mieli scritto dal suo amico Franco Buffoni, poeta. Mieli, fra i fondatori del movimento gay italiano, è stato uno dei più incredibili ed eversivi personaggi degli anni '70, quando la parola "eversione" (rivoltare, mettere sottosopra) aveva ancora un senso, una sua violenza rigenerante, quando si faceva eversione per cambiare il mondo e non semplicemente per intorbidare le acque.
Certe sue affermazioni hanno ancora oggi un carattere realmente polemico, creativo, ancora più oggi forse, con il ritorno in auge di una Chiesa e di uno Stato tutti chiusi in se stessi e contro l'accettazione di determinate identità, anche al loro interno. Qualcuna di queste affermazioni la trovate su Wikiquote, senza sforzarvi troppo, e credo valga la pena di leggerle: troverete che a volte sono eccessive, forti, indigeste, proprio com'era lui, che usava il suo stesso corpo, la sua sola presenza "disturbante" come un'arma.
In particolare, le mie preferite, sono quelle relative alla sua battaglia contro l'educastrazione, contro l'educazione uniformante e "castrante" dei bambini che vengono spinti a vivere una sessualità normativa, e a considerare squalificante qualsiasi altra pulsione ritenuta offensiva dalla Società perbenista.
In realtà, si scoprirà poi, quella battaglia nasceva da radici profonde, da contrasti interni alla sua stessa casa, dal complicato rapporto col padre. Eppure, proprio per il sentimento alla base di tale rivolta, un sentimento che ha più a che fare col cuore che con l'ideologia, ci pare che questa sua lotta non abbia perso nel tempo un solo briciolo della sua dignità. Anzi, la profonda aspirazione a vivere da persone libere in un mondo libero né fa ancora oggi, e sempre, un messaggio valido, necessario.

lunedì 11 marzo 2013

un minuto di silenzio

Negli anni 70, l'artista serba Marina Abramovic visse un'intensa storia d'amore con l'artista tedesco Ulay.
Per 5 anni vissero in un furgone realizzando opere di ogni tipo. Quando sentirono che la relazione non soddisfaceva più nessuno dei due, decisero di percorrere la Grande Muraglia cinese; uno da un lato ed uno dall'altro, cominciarono a camminare per incontrarsi, poi, nel mezzo, dove darsi un ultimo grande abraccio, per poi non vedersi mai più.
23 anni dopo, nel 2010, quando Marina era già un'artista consacrata, il MoMa di New York dedicò una retrospettiva alla sua opera. In questa retrospettiva, Marina condivideva un minuto di silenzio con ogni estraneo che si sedesse davanti a lei. Ulay arrivò senza che Marina lo sapesse e...

giovedì 7 marzo 2013

la città ha il tuo odore quando piove...

La città ha il tuo odore quando piove
puzza di pelo bagnato
di lumache pestate quando vanno
fuori in branco dai cespugli
il loro croc fa eco nella suola della scarpa.
La tua ombra corre in ogni strada
stringe al petto il corpo d’una
amicizia agonizzante cerca aiuto
invoca un medico soccorso ed ogni volta
bussa a una casa vuota
prende apposta un nuovo cul-de-sac.

ti ho lanciato una briciola di pane...

Ti ho lanciato una briciola di pane.
A te raccoglierla, mio passero.
Tu non la guardi, contempli la neve
in cui è persa. Mi dici che ami
la luce accecante del gelo. In sé
non il dono, ma quello che tocca.

sabato 2 marzo 2013

questo non è un paese per vecchi


Blade Runner. Roy Batty e Pris, due androidi fuggiti da Marte, si sono rifugiati in casa del progettista genetico J.F. Sebastian, un innocuo venticinquenne affetto da una malattia che ne ha anticipato l’invecchiamento. Il progettista, riconoscendone la diversa natura a causa della loro bellezza e perfezione, chiede loro di mostrargli qualcosa di speciale. Pris gli risponde: “Io penso, Sebastian, pertanto sono”, rimarcando in questo modo la propria dignità di individuo.
Quello descritto da Blade Runner è un mondo affetto dalla vecchiaia e dalla malattia, corrotto e stanco, che vive in una oscurità senza uscita in cui l’uomo è destinato a dibattersi prima dell’inevitabile fine. Gli unici esseri sani, giovani e forti, sono gli androidi, asserviti o temuti come nemici da eliminare appena cominciano a dimostrare di avere sentimenti. Ma nessuno può salvarsi da tanta corruzione, e anche chi non muore è costretto alla paura, a fuggire senza pace per nascondersi. Due sono le grandi metafore evidenziate dal film. La prima, post sessantottina, è che nessuno sopporta la giovinezza se lasciata libera di essere, di agire senza censure, e la condanna. La seconda è che i ricordi, di qualsiasi natura siano, sono tutto ciò che abbiamo, cagionevoli quanto noi.
Ci ho pensato in questi giorni, dopo le dimissioni del Papa, che lascia perché si sente vecchio e troppo stanco per affrontare i problemi del mondo attuale ma anche, viene da aggiungere, la corruzione presente in Vaticano, i suoi enormi e occulti giochi di potere. E poi per il caso Pistorius, l’omicidio da parte di un uomo giovane ma “non perfetto” della donna perfetta che amava: come in Blade Runner (nomignolo di Pistorius) l’atleta decide di eliminarla, non reggendo il confronto con lei, con il suo grado perfezione e con la libertà che reclama.
Ci ho pensato durante le ultime elezioni quando, di fronte ai tanti che accordano la loro fiducia a Berlusconi, in molti hanno reclamato per la vecchiezza (e l’implicita corruzione) di un paese incapace di guardare in avanti e ancora legato ai propri insani ricordi. A conti fatti, però, il 25% degli italiani si sono astenuti dalle urne e il partito più votato è stato Cinque Stelle. Non sappiamo a questo punto se tale fiducia porterà alla soluzione dei problemi o affosserà del tutto l’Italia. Il punto è un altro.
Per troppo tempo le forze di potere hanno creduto che i propri elettori fossero degli androidi, macchine da voto con sentimenti elementari e facilmente manovrabili. Ora, molti degli androidi si sono rifiutati, in nome della propria dignità di pensanti, di fare quel qualcosa di speciale che gli veniva richiesto “per il bene del paese”, cioè votare ancora una volta i vecchi che per anni lo hanno corrotto. L’istinto vitale ha prevalso sulla paura del futuro. La rabbia sulla ragione. Lo spirito di rivolta sul calcolo delle opportunità. Tutto è incerto, ma qualunque cosa si pensi dei risultati, questo non è più un paese per vecchi.

venerdì 1 marzo 2013

il cigno

Sei tu il cigno nero che nuota
nel lago notturno e mosso
delle nostre parole – desiderio
ambizione complicità –
mai pronunciate per pudore
tenute al sicuro fra i denti.
Il tuo collo piumato e sottile
disegna una linea sull’acqua
la curva perfetta del sogno.
Se canto dalla riva ti avvicini
mi reclami senza mai accostarti
turbata dall’idea d’innamorarti
ancora di mostrarti scossa.
E il tuo silenzio fa tremare l’aria.

filo

Si può amare due persone dello stesso amore?
Desiderarsi preda dell’una e dell’altra compagna?
Sentirsi completi in quell’amore che è uno
perché nasce da un cuore solo lacerante?
Ogni perdita si fa esperienza ogni dolore
filo di una traccia. Stanchi noi tre vi stiamo appesi
ma dove porta non sappiamo né ci importa
lo seguiamo con la vista corta degli uccelli bassi.