venerdì 30 agosto 2013

la caccia delle anguille

Ecco come comincia così finisce
in un sussulto d’acqua
uno spasimo del cuore della mazza
per me battitore libero
ma immobile slegato
legato quando serve e muto
se non nel pianto se non nelle parole.
A che serve una risposta – ti capisco –
se incrociandoci nel traffico
perdiamo l’attimo il contatto
se la vera gioia si fa incontro fugace
fuga e poi ricordo che non tace.
Andrai vivrai sarai e io sarò per me
ci sfioreremo ancora lungo i vortici
che fanno le distanze attorcigliandosi
sul cuore. Avrai gambe sottili e veloci
la distrazione solita negli occhi
sarò in salute e forte
ancora un poco triste un poco audace
e mi dirai di te di come appena poco fa
leggevi una poesia le davi ascolto
le davi spazio in corpo
a causa mia. Mi chiederai di me
e ti dirò mentendo
che la vita senza te non è cambiata
continua mollemente ma crudele
e siamo soli – tu sei sposata –
né la caccia delle anguille è mai finita
mai nemmeno cominciata
sono anni che aspetto il loro arrivo
in armi esposto al vento alle maree
che arrugginiscono le giunte
e non imparo non metto radici. Invecchio
un po’ sul mento.
E tiro colpi contro i rami di passaggio
i relitti delle navi
le carogne dei cani trascinati a largo.

martedì 27 agosto 2013

ritratto con tenda

indifferenza e solitudine

Leggo una notizia su la Repubblica riguardante il papa che chiama una ragazza argentina vittima di stupro. Più della notizia, però, mi stupiscono i commenti dei lettori, che fanno a gara a chi dice la cosa più sarcastica o cattiva possibile contro il papa e quel suo gesto. Mi irrita qualcosa di questi commenti, perché partono tutti da una premessa di fondo, in cui il papa è in malafede e non gliene frega nulla della ragazza. Il punto è che, nella loro ansia di colpire Lui, anche loro rivelano una totale indifferenza verso la ragazza. Alla fine, insomma, fra giusti e corrotti, di questa poveretta violentata da un poliziotto e che ha chiesto conforto a Francesco scrivendogli una lettera, pare non importare proprio nulla a nessuno. E questo mi infastidisce non tanto per il papa, che in buona o cattiva coscienza almeno la cornetta l'ha sollevata, mi irrita perché il nuovo pubblico della Sinistra (che poi chiede a gran voce prese di posizione forti per i gay o l'aborto, ma in nome di chi?) si rivela in tutto e per tutto quello che è: cinico, furbo e non poco stronzo verso il prossimo, il che personalmente me lo fa sentire lontano. Ho sempre pensato che l'essenza del socialismo fosse la fratellanza, l'amicizia. Invece più vado a Sinistra e più mi sento solo. C'è qualcosa che non va.

lunedì 26 agosto 2013

incomprensibile

Potessero mai tradurti in note
direi che sei di Monk al piano solo
così semplice e gentile al suono
fra le dita incomprensibile.

domenica 25 agosto 2013

per poter scrivere

Uno deve avere soldi e una sedia comoda e due buone cuffie per isolarsi dal mondo, per poter scrivere. Potendo chiedere, anche una macchinetta del caffè. Una stanza tutta per sé, oggi, è già troppo lusso.

a volte a giudicare dal numero di gomme...

A volte a giudicare dal numero di gomme
che punteggiano le piazze e i centri storici
corrodono la pietra e spesso con fastidio
appiccicandosi alle scarpe ho l’impressione
che i bimbi del sud non siano che vitelli
figli di vacche e tori da monta addestrati
alla masticazione perpetua della gomma:
abituarli così alla sensazione del lattice
fargli capire da subito che sono nati
non per gestire il mondo ma solo ad abitarlo
trascinandosi intorno come manzi masticando parole
alimentando l’impero di sale dei dentisti.

giovedì 22 agosto 2013

amorale

Oggi mi hanno raccontato una storia di giustizia fatta in casa, di quelle che normalmente non passano al tg. È successo in primavera, in un paese qui vicino. C’è una famiglia che ha un cane da guardia e lo tiene alla fame, in modo da renderlo cattivo. Una vicina, preoccupata per le condizioni del cane, li denuncia per molestie sugli animali. Così le forze dell’ordine portano via il cane. Allora la famiglia, per la legge del taglione dove se “tocchi il mio animale io tocco il tuo”, prende il gatto della vicina, gli tagliano la testa e la appendono a un albero davanti alla casa di lei. Fine.
In questa storia, come si vede, non c'è nessuna morale.

domenica 18 agosto 2013

sabato 17 agosto, muore un amico...

Sabato 17 agosto, muore un amico
e a noi non rimane che una domenica per ricordarlo
e questo sole malato che ha svuotato la piazza
lasciando tutti stremati dopo un’altra
festa inutile, senza più musica ma chiasso
coi gradini dove una volta siedevamo
macchiati per sempre di rosso. Non c’è silenzio
necessario ai ricordi per dispiegare le ali
per ripetersi ancora una volta. Sulla lingua
la tua voce quando salivamo il corso e t’informavi
di me del mio lavoro, m’informavo io della salute
e mi dicevi ogni volta “sto bene, l'abbiamo presa
in tempo” e intendevi la vita.

ritratto di federico rossignoli



Costruisso chebe torno
al to corpo col me corpo
e anca ti te fa conpagno
par veder rugnar la bestia
serar de denti svodi.
Sbrissa via da la to lingua
la favela e resta el fià
drìo del batito del cuor
chel ne par corsa de bolpe
che la ga scampado el can.

Costruisco gabbie attorno/ al tuo corpo col mio corpo/ e anche tu fai lo stesso/ per vedere ringhiare la bestia/ serrare di denti vuoti./ Scivola via dalla tua lingua/ la parola e resta il respiro/ dietro al battito del cuore/ che sembra corsa di volpe/ che ha scampato il cane.

Cò te cavi le muandine
suade, le se intorgola
a mò de corona, finché
no le toca i piè par tera,
ndo che te speto: col far
de na nina che la soga
a canpana te le lassi
in drìo, cò un saltìn.

Quando togli le mutandine/ sudate, s'attorcigliano/ a mò di corona finché/ non toccano i piedi per terra/ dove ti aspetto: col fare/ di una bimba che gioca/ a campana le lasci/ indietro, con un saltino.

(Le poesie qui riprodotte, in veneto, sono opera di Federico Rossignoli).

sabato 17 agosto 2013

pazzia

I canarini del falegname impazzirono tutti. Lui ancora si chiedeva come fosse possibile, quando gli raccontai la storia d’Orlando che, per eccesso d’amore, perse la ragione. Ne parve confortato, quasi lusingato. Impazzire per amore, ripeteva, che bello!
Da allora, ogni poche settimane, sostituisce il suo piccolo esercito canterino. È inevitabile. Non può farne a meno per dormire e li mette a cantare di notte, sconvolgendo i loro bioritmi, fino al punto di rubargli la ragione e poi la vita. Ma alle vittime del suo amore offre, invece del bidone della spazzatura, una piccola tomba scavata con lenti colpi di zappa in giardino, dietro le piante di cipolla. E nei giorni di luna, quasi per istinto, solleva il naso a cercare ippogrifi.


(Il raccontino fa riferimento a uno più vecchio, pubblicato qui).

ti dico arrivederci

nude fra le mie braccia...

Nude fra le mie braccia
la città la notte e tu
la tua luce l’odore dei capelli
riflessi sulla faccia.
Di chi è il cuore che batte
più forte delle voci e dell’angoscia?
è tuo della città o della notte
o forse è il mio che batte più veloce?
Dove finisce la notte
e comincia la città?
Dove finisce la città e cominci tu?
Dove comincio e finisco io stesso?

(Nazim Hikmet)

giovedì 15 agosto 2013

linee parallele convergenti a un infinito

Gli studi lo confermano:
la perfezione matematica del mondo
appartiene a linee parallele
convergenti a un infinito che mentisce.

Noi lo siamo stati a modo nostro
negando quella regola che vieta d’incontrarsi
se di tanto in tanto per sentirci
allungavamo la mano verso l’altro.

Ora l’infinito ci è vietato. E dove arrivano le strade
che il mondo pare distanziare?
Mi scriverai? Ricorderai che un tempo ti scrivevo?

Ma a chi importa rivedersi
se fra un anno o un secolo o dieci
più la curva delle dita non combacia?

mercoledì 14 agosto 2013

ritratto di erminio alberti



POST APOCALISSE

E ora che la polvere brezza di rovine ci passa
..........................................................................io mi chiedo
di essere più duro, farmi scoglio
e contrastare i marosi
per il mio amore di uomo
sparso in terra, arso in petto
e scritto a penna,
per i rimorsi e le ferite che mi sono ancora linfa,

.....................per poter incalzare il cappello
.....................un giorno,
.....................e girarmi e andare via
.....................da qualcosa.


(Poesia di Erminio, tratta dal suo primo libro "Malascena", 2013, Samuele Editore).

martedì 13 agosto 2013

non c'è struggimento mi accorgo...

Non c'è struggimento mi accorgo
ma solo ultimo bacio leggero
sulla tua guancia un addio
da me senza più te senza più nulla
da fare se non adesso fissare
nota leggera com’è un bacio
per dirti a bassavoce “tu mi mancherai”
cuore necessario e inadeguato.

domenica 11 agosto 2013

doppio ritratto con francesco tomada



Anonimi si nasce

I tuoi occhi hanno il colore di terra bagnata
se io fossi contadino direi buona da coltivare
ma da contadino mi sentivo solamente
quel fare grossolano e inadeguato delle mani
quando ho messo in te il mio seme
il mio gesto voleva essere di amore
ma somigliava più a un atto primitivo
un urlo lanciato con il ventre
mentre tu trasformavi in un embrione
il mio sentirmi vivo

(notturno, due note per un ritorno)

Dal ventre di mia madre mi trassero a fatica, avevo una mano sugli occhi come a coprirmi dalla luce e non passavo, non passavo. Mio zio si fermava ogni giorno davanti alla culla, poi mi guardava la testa e diceva: ”Non prenderà mai una forma normale”. Aveva ragione, ho ancora i lineamenti non regolari, ma stanotte c’è una luna comprensiva che mi segue verso casa e la sua luce lieve cambia i miei difetti in ombre.
Un capriolo è uscito dai campi, è rimasto nel fascio dei fari con le pupille brillanti come diamanti a mezz’aria. Ho frenato, mi sono fermato, dopo un secondo lunghissimo è andato via. Come le bestie abbagliate quando aspettano la morte, così io chiedo ci prenda la vita: di schianto e noi lì ad aspettarla ad occhi serrati, con quel coraggio che io non ho avuto neppure nascendo.

Impercezione

Dormi e il tuo corpo si fa sottile
come un quadrifoglio tra le pagine
e non è carta ma stoffa di lenzuola
e non è libro ma tu portaci fortuna
in questa escoriazione fino al vivo
che per paura di essere banali
solo di rado chiamiamo amore


(Nota. Francesco Tomada, grandissimo poeta friulano, è il tipo smilzo a destra nella foto. Le poesie sono, ovviamente, sue).

sabato 10 agosto 2013

tumore mio che covi

metastasi in panciera
saluta il nuovo giorno
dolore senza scampo
mio nemico-amico mio
compagno. Ti porto con me
per la vita stai certo e dopo
quando mi ammazzi
ti porto con me nella tomba
nel nostro duello alla pari
in cui tu non vinci ma bari.

venerdì 9 agosto 2013

la morte

La prima volta che ho capito com’è quando arriva la morte è stata con Pino. Eravamo davanti al suo negozio e gli spiegavo che, per quanto ne avessi già scritto a lungo, non riuscivo a immaginarmi cosa si potesse provare quando viene a prenderti. Lui mi guardava, prima attento poi più incredulo, anche per sfottermi: possibile che un poeta non sapesse? Fuori dal suo negozio l’estate scoppiava negli alberi pulsanti di piccoli uccelli neri, veloci come schegge, che saltavano di ramo in ramo, mentre cantavano nel fresco della prima sera. Noi stavamo seduti sul muretto, lungo i bordi della piazza, a goderci quel suono.
Pino si è alzato in piedi e mi ha detto guarda. Ha battuto le mani con uno schiocco solo, potente e secco. Gli alberi della piazza allora, tutti insieme, si sono zittiti, e l’aria si è fermata all’improvviso. Pino si è girato verso di me, sorridendo, e col suo sguardo più ammiccante mi ha detto: “Hai visto?” La morte, quando arriva, é una cosa così. Poi tutto torna come prima.

due al parco

la colazione di danilo

diario di carnia

1. PASSAGGIO A CASARSA, POI CARNIA

Vado a rimediare a un amore
a perdermi in Carnia sui monti
sembrano da lassù specchi lontani
serenamente estranei.

Ad aspettarmi un corvo nero
all’ombra di una panca in pietra
sui cui piedi scolpiti come cani
stanno due leoni.

Uno per te e uno per me Pier Paolo
per sederci insieme a ragionare
finalmente sull’amore
su quale direzione prende il cuore

se lo ignori. Ma davanti la notte non è
che un muro invalicabile
l’anello della montagna che ci divide
e ci chiude nella valle

l’enorme anello di buio in cui
cercando albergo, vagare.
La strada diritta segnata dai fari
decisa per noi da ben altri.


2. IL FIUME, LA MONTAGNA

Sono stato giù al fiume per sfidarlo
gettandomi con eroica noncuranza
fra le acque, per una bionda
in topless ma con figlio
pigliandomi invece il raffreddore.

Sono tornato al fiume per spararlo
ma purtroppo il colpo di rimbalzo
ha ammazzato per errore
un ferroviere in pensione venuto qui a far le terme.
(Il rimorso ancora mi commuove
essendo io stesso il figlio
di un ferroviere in pensione).

Ho cominciato a scappare come un topo
sperando di tornare quanto prima
nella tana. Ma lo sapevo già che dalla Carnia
non si scappa
infatti (sbagliando strada del ritorno)
ora arranco sul confine.

Di giorno mangio bacche e insetti
mi nascondo nel sottobosco fra le radici.
Di notte vengo fuori allo scoperto
rapino austriaci fra i cespugli e cerco
nuove vie d’uscita. Ma con scarso successo.

E continuo lo stesso a vagare
come chi stia puntando più in alto
ma resti sempre a metà della salita
e guardando col suo periscopio
non sa mai se la sua sia la scalata al cielo
oppure fuori dalla fossa.


3. FESTIVAL, CHE FINE HA FATTO LA POESIA ETICA?

I raduni poetici sono luoghi di alienazione fortissima in cui non sei tu, che scrivi, il diverso ma quelli che ti servono a tavola. Stiamo qui in tanti, con tempi alienanti, non facendo altro che svegliarci, mangiare, e parlare di versi, di vino, vezzeggiare il vicino, saltare il primo o prendere il dolce dopo il secondo, farsi venire le piaghe ai piedi in lunghe passeggiate per boschi, le piaghe in gola per dire la nostra, paralizzati alle corde vocali in attesa del verso perfetto, finale, o gonfi di stomaco per colpa dell’acqua minerale.
Si cammina anche molto, per fare nuovo spazio digerendo, in salita e in discesa, dal fiume al santuario passando per la pizzeria o il bar in centro, osservando tutto curiosi, leggendo i segni del tempo, specialmente i giornali di ieri, per capire dov’è mai andato il mondo nel frattempo, mentre noi ricominciamo col primo, e partecipiamo dei problemi del cuoco con la salsa, del futuro delle giovani gambe della cameriera, sorseggiando una birra o un grappino in attesa di una nuova visione, in cui più che comari ben fiere del nostro poetare, saremo in lotta e pronti a scavare nel male, come i vecchi minatori venuti qui a curare i reumatismi.

giovedì 8 agosto 2013

darko

ritratto di maurizio benedetti


Maurizio Benedetti, classe 1968, l’ho conosciuto ad Arta Terme, entrambi ospiti di un festival di poesia. Magro come un chiodo ma con la paura di ingrassare, col suo gran naso e il suo sorriso aperto sotto lo sguardo divertito e malinconico insieme, sempre un pochino a disagio fra gli altri, gravato da una solitudine inguaribile, ma con tanta voglia di dire, di scherzare col suo vocione buffo, e allo stesso tempo di tenersi in disparte che hanno un po’ gli uomini di confine, è quello che si dice un buono. Le sue poesie, incredibili per potenza evocativa, se le porta sempre appresso, nascoste in un quadernetto dimesso e pieno di geroglifici e zampe di gallina, che raccontano a modo loro la vastità dei suoi spazi interiori, la sua paura di vivere e il suo entusiasmo per la vita stessa. Tiene il suo quaderno in uno zaino perennemente in spalla, con all'interno i suoi libri che regala in cambio di altra poesia. Così, quando ci siamo salutati mi ha regalato il suo libro (da cui traggo questa bellissima poesia in friulano) e mi ha scritto questa dedica che riporto qui, a testimonianza dell’eccezionalità, anche comica, del suo grande spirito: “Per Antonio Lillo con tante grazie per avermi fatto conoscere un pugliese, fino ad ora conoscevo solo Lino Banfi, e non di persona”.

El clarinet tal gjalinár

Cualchidun al sune
el clarinet tal gjalinár.

Masse grant el displasê
dai sbalios cometûts
par pensâ di podê
butâsi tal domani.

Cualchidun al sune
el clarinet tal gjalinár
e jo o sorevîf
come lis pantianis
che si mangjin fra di lôr.

Insets esagjerâts
e jentrin te me cjase,
si vessinin matetâts
che o ai simpri nascuindût
tal disordin dai siomps

e continuin a sunâ
i clarinets tal gjalinár.


Traduzione:

Il clarinetto nel pollaio

Qualcuno suona
il clarinetto nel pollaio.

Troppo grande il dispiacere
degli sbagli commessi
per pensare di potersi
buttare nel domani.

Qualcuno suona
il clarinetto nel pollaio
e io sopravvivo
come le pantegane
che si mangiano fra loro.

Insetti esagerati
entrano nella mia casa,
si avvicinano follie
che ho sempre nascosto
nel disordine dei sogni

e continuano a suonare
i clarinetti nel pollaio.

mercoledì 7 agosto 2013

dal confino

Esce quest’anno il mio terzo libro di poesie, il primo pubblicato da me stesso medesimo, cosa che mi riempie di orgoglio ed entusiasmo. 
Titolo dell’opera: DAL CONFINO. In realtà è un libro che precede i primi due, essendo composto per lo più da testi scritti intorno ai miei 30 anni, quindi quasi sei anni fa. Lo tenevo nel cassetto da un po’, incerto se tirarlo fuori oppure no, e alla fine ha vinto la certezza che ne sarebbe venuto fuori un buon libro. Sulla copertina, rigorosamente senza titolo, campeggia una bella incisione delle mani di mio nonno (e ai miei nonni il libro è dedicato). Tutte le illustrazioni del volume sono dell’artista Linda Aquaro. Di seguito le note sul retro di copertina.

“Dal confino è il diario intimo ma scanzonato di un uomo al passaggio dei trent’anni, che non ha trovato un proprio posto nel mondo né una dimensione stabile per dirsi felice, e sospetta che mai li troverà. Si pone così in una zona di autodifesa, o “di confino”, in cui si tiene alla larga da tutto, e sta lì, meravigliosamente sospeso tra cinismo e candore, prendendo nota di quanto gli succede intorno nelle sue minute storie di provincia, ma senza mai intervenire, nella speranza, in questo modo, di riuscire a sfuggire alle grinfie della Storia, alle sue trappole perverse.” 

Prezzo 10 euro.