martedì 29 ottobre 2013

lulu e la visione

Due frasi mi vengono in mente pensando a Lou Reed in queste ore. Un commento letto su un blog (non ricordo di chi) che diceva più o meno “Molti sono i chiamati, pochi gli eletti. Lou Reed era un eletto”.
E poi questa: “Non è che non voglia suonare le vostre preferite, è che ci sono così tante preferite tra cui scegliere” immortalata nel live Take No Prisoners. Era un invito ad abbandonare quel sentimento di nostalgia inutile e spesso dannoso per un artista, che spinge il pubblico a tornare sempre sui soliti tre-quattro pezzi famosi di un repertorio. Nel caso di Reed il fatto che ci fossero già allora (quando ancora la sua immagine era quella di un tossico dai gusti sessuali assai discutibili) così tanti classici da rendere difficile la scelta era solo la prova della sua grandezza come autore di canzoni.
Non si può combattere col cuore, e in queste ultime ore, saputo della sua morte, migliaia di fan o semplici affezionati in tutto il mondo sono tornati più volte sui soliti tre-quattro pezzi, Perfect Day, Wild Side, Sweet Jane ecc. Non so quanto Reed, innovatore e soprattutto rompipalle come pochi, avrebbe apprezzato la scelta, però l’affetto disinteressato di così tante persone lo avrebbe di sicuro commosso, lui che per tutta la vita aveva combattuto per ottenere un po’ di quell’affetto.
Quanto all’autore di questo blog, da sempre devoto alla sua opera, mi piace qui ricordarlo attraverso l’ultimo dei suoi lavori, il controverso Lulu, basato sull’opera teatrale del tedesco Frank Wedekind e messo in musica insieme ai Metallica. Lo faccio proprio in onore del suo gusto per la provocazione.
Quando uscì questo disco difficile, lungo, urticante, fece incazzare davvero tutti, e così trovo adesso molto ironico che l’ultima opera discografica di Lou Reed, rimanga proprio questo affondo musicale nei territori dell’heavy metal. Quando uscì, Reed disse in più di una intervista che non c’era nulla di nuovo per lui, ma duro è duro da sentire tutto (87 minuti), né c’è la minima concessione ai gusti del pubblico.
Eppure, chi già seguiva Reed sapeva che negli ultimi anni i territori musicali da lui esplorati si erano fatti sempre più complessi, andando a ritroso dall’ambient di Hudson River Wind Meditations alle rivisitazioni live di album “difficili” come Berlin e Metal Machine Music, fino al capolavoro letterario di The Raven, omaggio all’opera di Edgard Allan Poe e per certi versi gemello “buono” di Lulu.
Forse Lulu, rispetto al romanticismo letterario di The Raven aveva fatto un passo in avanti, oppure indietro, a seconda del punto di vista da cui lo si guarda. Musicalmente è meno piacevole, eppure nel suo estremismo rimane un’opera d’arte assai più coraggiosa e rivelatrice della sua visione del mondo. Lo spirito dei nostri tempi, espresso nel suo ultimo lavoro, è rabbia frustrazione e rumore, sesso senza gioia, amore senza eleganza.


Purtroppo manca quell’affetto spontaneo, contenuto nel gesto delle migliaia di persone che in questi ultimi giorni hanno fatto dondolare, ancora una volta, la testa riascoltando Sunday Morning o uno degli altri suoi classici, ma quel tipo di visione consolatoria a Lou Reed, proprio perché un eletto, era preclusa dalla nascita.

i gattini

Poco dopo la tua morte due gattini randagi, grandi poco più della mia mano, hanno scelto il nostro giardino come casa. Dormono stretti per scaldarsi e si azzuffano come matti per il cibo. Sono sempre affamati e sempre insieme, indistinguibili e necessari l’uno all’altro come due gemelli. Tutti abbiamo bisogno di una spalla, penso. La tua mi manca sempre.

domenica 27 ottobre 2013

svanire



It must be nice to disappear, to have a vanishing act
to always be looking forward and never looking back.
How nice it is to disappear, float into a mist
with a young lady on your arm, looking for a kiss.

Dev’essere bello scomparire, avere la capacità di svanire
andare sempre avanti e mai guardarsi indietro.
Com’è bello scomparire, fluttuare nella nebbia
con una giovane dama al tuo braccio, cercandole un bacio.

sabato 26 ottobre 2013

350 lire

Luca mi regala una vecchia copia di un classico dell’hard boiled americano, La giungla di asfalto di William Burnett, edizione Oscar Mondadori, anno 1965, prezzo di copertina 350 lire.
Leggo con commozione il risvolto di copertina: “Gli Oscar sono i libri per gli italiani che lavorano: per gli operai, per i tecnici, per gli impiegati, per i funzionari, per i dirigenti, per i professionisti, per gli studenti, per la famiglia, per tutti i membri attivi e informati della società.”
Tutti equiparati di fronte ai libri, tutti sullo stesso piano, perché tutti avevano la possibilità di acquistare i volumi: ho fatto il calcolo e 350 lire del 1965 sono circa 3,20 euro di oggi.
Continuo a leggere il risvolto: “Il prossimo volume degli Oscar: Il diavolo al Pontelungo, di Riccardo Bacchelli.”
Sfoglio gli altri titoli della collana, non ce n’è uno solo brutto o insignificante, Hemingway, Cassola, Sartre, Buzzati, Steinbeck, Gogol, Saroyan, il meglio della letteratura internazionale a poco più di 3 euro. Proprio come succede in molti paesi dell’Europa dell’Est, dove i libri si vendono, l’Editoria non ristagna.
Ecco a cosa penso quando parlo di cultura del libro. Peraltro un discorso redditizio, visto che la Mondadori sulla collana degli Oscar ci ha costruito un impero.
I tempi sono cambiati, e in peggio. Non si legge più, si pubblicano troppe porcherie, a volte a prezzi assurdi, che hanno definitivamente allontanato le persone dalla realtà. Chi dice che i libri non abbiano alcun nesso con la vita sbaglia di grosso, mente sapendo di mentire.
Ma cos’è successo? Com’è stato possibile? Chi lo ha permesso?
Io so i nomi dei responsabili. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so, perché sono uno scrittore, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.

venerdì 25 ottobre 2013

il cantautore

Sono un uomo che non fa più miracoli
né spera che l’amore o l’amicizia
possano salvarlo dall’urgenza della fine.
Non c’è fede né futuro, i grandi
scrittori non pensano che a edificare
ponti palazzi rubare il mestiere
agli architetti ai politici. Io mi tengo
a galla con fatica o più semplicemente
mi piace definirmi un cantautore
senza chitarra né voce, ancora più stonato.

mercoledì 23 ottobre 2013

con rima semplice

Ci sono fiori che andranno a male con le piogge
altri seccheranno per il sole.
Il mio amore no, sta fermo al centro del giardino
i suoi colori fatti di sale, i petali di pane senza lievito.

martedì 22 ottobre 2013

la fine di un sogno

basta

“Non ne posso più di sentire parlare di PD, di rottamazione, di Matteo Renzi e di Pippo Civati, di giovani, di Letta e di D'Alema, di quel mafioso di Napolitano, della vera sinistra e della finta sinistra, di quelli che stanno dalla parte della gente e poi stanno solo dalla loro, non ne posso più! Abbiate pietà di me, non ne posso più! È tutto chiaro, è tutto evidente, è tutto palese! Basta, basta basta!”

[cit. tipo con barba che scrive cose inutili e se la tira un sacco]

domenica 20 ottobre 2013

us and them


Ascolto le dichiarazioni di Alfano in tv (sugli scontri di piazza durante le manifestazioni di protesta a Roma), e mi rendo conto di come ormai si sia passato il segno. Ormai, se ci fate attenzione la formula ricorrente nelle dichiarazioni ufficiali è: “Stato contro chi non rispetta le sue regole”, come per rimarcare un confine netto, definitivo. Non più popolo, né Italia, ma Stato: impersonale e blindato.
Prima, per un breve attimo, siamo stati noi ad additarli sdegnati e definirli Casta. Ma loro sono stati più furbi, più bravi, più duri, hanno rivoltato la frittata e ora è lo Stato che non ammette più noi, intendendo per “noi” qualsiasi voce contro. Noi e loro, noi contro lo Stato.

venerdì 18 ottobre 2013

una giornata

perduta nell'attesa di qualcosa ancora una.
Niente capita per caso
ma non essendoci più il caso a governare
– per mia scelta – la mia vita squilibrata
niente capita più e basta.

reato di libertà di pensiero

L'idea di istituire il reato di negazionismo, punibile dai 5 ai 7 anni di carcere, mi pare la prova più evidente che le destre, quelle pure e dure, stanno tornando al potere, segno che i tempi cambiano, ma in peggio. È sempre così: prima fanno una battaglia all'apparenza etica, appoggiandosi a opinioni e sentimenti diffusi, di facile presa sul pubblico (vedi le botte intorno al carro funebre di Priebke, episodio tristissimo di inciviltà senza scopo), per istituire un reato che sotto sotto è contro la libertà di pensiero, poi ti diranno cosa devi pensare e se non lo pensi rientri prima ancora di accorgertene nel suddetto reato, e senza nessuna distinzione fra te, i negazionisti, gli immigrati, gli zingari, i gay ecc.
Più nazista di così quest'emendamento non potrebbe essere.

questa è una sedia


Linko QUI un articolo molto intelligente, a firma di Guido Cupani, sulla più classica delle domande: cos'è poesia (l'arte in genere) e a che serve?

martedì 15 ottobre 2013

half of what i say...

Uno degli ultimi lavori discografici di Bill Frisell, chitarrista americano fra i più grandi in circolazione, è del 2011 e riguarda una rivisitazione del songbook lennoniano. Il disco si intitola All we are saying ed è bello, secondo me, perché è uno di quegli omaggi che danno nuova linfa a un lavoro creativo ma col massimo rispetto, senza necessariamente doverlo snaturare per tirarne fuori il tuo messaggio.
Qui pubblico un live tratto dal tour di promozione di quel disco, a La Villete Jazz Festival del 2012, consigliato soprattutto a coloro che ritengono che John Lennon fosse, anche musicalmente, qualcosa di più un autore di canzoni pop. I pezzi richiedono un pizzico di concentrazione in più rispetto agli originali, ma nemmeno troppa. Dalla seconda metà del concerto poi la musica diventa superlativa, in particolar modo nella fusione magica, fluttuante di In my Life e Strawberry Fields Forever, pezzi centrali dell'opera e del cuore di Lennon, e della storia musicale del secolo passato.



List: You've Got To Hide Your Love Away; #9 Dream; Come Together; Julia; Please Please Me; In My Life; Strawberry Fields Forever; Imagine

Bill Frisell: guitar; Greg Liezs: pedal-steel guitar; Tonny Scherr: bass; Kenny Wollesen: drums

lunedì 14 ottobre 2013

nymphomaniac


Traggo la notizia dal sito oltreuomo.com. Vi si parla della prossima uscita di questo discusso film di Lars von Trier:

“Finalmente potremo andare a vedere un porno al cinema usando la stessa scusa che inventiamo quando andiamo alle mostre di Helmut Newton: sono un intellettuale.
Di Nymphomaniac usciranno due versioni, una soft e una hardcore ma se andate a vedere la prima delle due e come non leccarsi le dita dopo aver mangiato le Fonzies.”

Ecco, volevo aggiungere, lo sanno tutti che gli intellettuali sono per deformazione dei segaioli impenitenti, così, se fossi in voi, andrei a vedermi la versione hard, ma poi eviterei di leccarmi le dita.

trappola per topi

domenica 13 ottobre 2013

mediterraneo


Parlavo con una mia amica poco fa. Ha qualche anno più di me e mi raccontava della storia della sua famiglia, nonna turca, nonno sardo, incontratisi su un'isola greca durante la campagna di colonizzazione italiana della Libia, e poi trasferitisi in Puglia. Parlavo con lei e mi rendevo conto di come tutta questa paura dell'immigrazione (definita da qualcuno un reato) sia in realtà una stronzata grossa come una montagna, nata dall'egoismo e di alcuni e fomentata dall'ignoranza dei più. Gli spostamenti di gente nel Mediterraneo, i flussi di interi popoli ci sono sempre stati, molto prima dell'idea stessa di Europa, e hanno determinato i mutamenti della Storia, ciò che siamo oggi. I mutamenti comportano sempre sacrifici, ma negarsi la possibilità di cambiare, di rinnovarsi equivale ad ammette la propria volontà di escludersi dal flusso della vita e quindi di morire.

incipit per un racconto che non verrà mai scritto

Non siamo noi a viaggiare ma solo i sentimenti. Stiamo fermi a guardarli andare per il mondo e ad aspettare che rientrino, e se fanno tardi poi ci preoccupiamo.

sabato 12 ottobre 2013

due pesi senza misure

12 ottobre. Muoiono 36 negri e 1 nazista, e nessuno al mondo vuole prendersi la responsabilità dei loro corpi. I morti in quanto morti sono tutti uguali, ma qualcosa nel conto dei morti non torna: la loro somma è sempre uguale a zero.

venerdì 11 ottobre 2013

passare sulla terra

Sono convinto, Lucas, che ogni essere umano è nato per scrivere un libro, per nient'altro. Un libro geniale o un libro mediocre, non importa, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza lasciare traccia.

(Agota Kristof, da Trilogia della città di K.)

monumento ai caduti

martedì 8 ottobre 2013

tenersi in luce

Mi scricchiola il corpo quasi una vecchia casa
che regge di quest’acqua il peso. A due a due
a tre a quattro vengono come sull’arca
a ripararsi gli insetti, invadono il tetto
dal giardino, intasano le porte le finestre
aperte. Spalanco le mie braccia come posso
muri per difenderli dal tempo dalla storia
che impietosa li guarda trascinarsi sul ventre
zampettare verso l’asciutto, tenersi
il più possibile in luce per non venir pestati.

domenica 6 ottobre 2013

dalle porte del sonno

L’idea per questo pezzo è nato alcune sere fa, mentre non riuscivo a dormire, come ogni tanto mi capita e, per passare il tempo, cercavo su youtube un pezzo dei Fugazi fra i miei preferiti, I’m so tired, contenuto in Instrument Soundtrack, del 1999. I Fugazi sono una band alternativa di Washington, fra le più influenti degli anni ’90, che da alcuni anni non è più in attività, e praticano un genere parecchio aggressivo, definito post-hardcore, ma I’m so tired mi piace in particolar modo proprio perché non c’entra nulla con quel sound, è una lenta ballata pianistica, cantata in solitudine da Ian MacKaye, fondatore del gruppo e suo leader insieme a Guy Picciotto, scritto in uno di quei momenti in cui l’ansia e l’insonnia prevalgono sulla notte. La sua voce arranca nel fango, alla ricerca di uno spiraglio di luce.
Di lì a un paio di anni i Fugazi avrebbe sospeso qualsiasi attività musicale, i suoi membri avrebbero intrapreso altri progetti solistici e questo pezzo così malinconico pare quasi annunciare, in privato, quella fine mai realmente annunciata.



È stato dunque così, per caso, che mentre cercavo I’m so tired dei Fugazi, ho trovato Sleep rules everything around me, dei Wugazi, che sembra quasi integrare e amplificare il discorso, spostandolo su un livello meno esistenziale e intimo ma più duro, quasi epico, spietato, fortemente calato nella realtà urbana e razzista di una metropoli, New York, vista attraverso gli occhi di un nero. Il brano apre 13 Chambers, del 2011, primo e (ad oggi) unico disco dei Wugazi, al secolo Cecil Otter e Swiss Andy, ovvero i nuovi araldi di un genere nato una decina di anni fa e definito molto simpaticamente bastard pop.
Cos’è il bastard pop, di che si tratta? È un’operazione di mashup, molto vicina a certe contaminazioni dell’hip hop ma anche agli esperimenti di musica concreta della prima metà del 1900, in cui si fondono insieme alcune parti o frammenti di due (o più) brani musicali per ottenerne un terzo. Per un certo periodo è stato un genere abbastanza diffuso, tanto da meritarsi addirittura una trasmissione su MTV. Poi è un po’ finito nell’ombra, fino alla recente uscita di 13 Chambers, dichiarato omaggio alla musica dei Fugazi e del gruppo rap Wu Tang Clan di New York, dalla fusione dei cui nomi nasce la sigla Wugazi.



Tornando indietro, alle sue origini, il primo capolavoro assoluto del bastard pop, e quello che rimane ancora oggi il miglior esempio di quel genere è un album del 2004, il Grey Album di Danger Mouse, musicista e produttore statunitense fra i più noti, che fondeva insieme frammenti sonori e loop musicali del White Album dei Beatles con le parti vocali dell’assai più arrabbiato Black Album del rapper Jay-Z. Realizzato in clandestinità e diffuso illegalmente sul mercato, il Grey Album di Danger Mouse conquistò subito l’attenzione del pubblico, scatenando l’entusiasmo degli stessi Paul McCartney, Ringo Starr, e di Jay-Z, e al contempo le ire delle loro case discografiche, che fecero di tutto per censurarlo, senza mai riuscirci.
Da un certo punto di vista la cosa è affascinante, perché a ben vedere i Beatles, anche per merito del Grey Album, sono stati in assoluto il gruppo più saccheggiato dal genere bastard pop, e ci sono svariati dischi in cui il loro lavoro viene fuso con quello di altri gruppi, soprattutto nell’ambito del rap. A tal proposito McCartney, in una intervista del 2011, si disse “onorato” dalla cosa, rimarcando come i Beatles avessero spesso rubato alla musica nera degli anni ’60 e come vedesse in questo tipo di furto al contrario la perfetta chiusura del cerchio.



Tornando al disco dei Wugazi, io non ho nessuna prova a sostengo di questa mia affermazione, anzi, potremmo definirla la classica visione da fan, ma mi sono fatto l’idea che, in un certo senso, la loro scelta di utilizzare Sleep rules everything around me per aprire il loro disco, sia un omaggio trasversale al Grey Album, proprio attraverso il legame sotterraneo che c’è fra bastard pop, rap e Beatles. I Fugazi, come gruppo, sia per sonorità che per contenuti non hanno nulla da spartire coi Beatles, se non fosse che la lenta ballata di MacKaye, in effetti, non ha nulla a che fare coi Fugazi. È un pezzo che, oltre a discostarsi dal loro solito sound, ha per spirito e persino nel titolo un chiaro riferimento al brano omonimo dei Beatles, I’m so tired, contenuto proprio nel White Album, ed espressione di un momento molto particolare della vita di John Lennon, in ansia a tal punto da farsi venire delle crisi di insonnia: di lì a poco avrebbe annunciato al mondo la sua relazione con Yoko Ono, e poco dopo sarebbe venuta la fine della sua collaborazione coi Beatles.



Quelli di Lennon e MacKaye sono due brani molto simili nelle intenzioni come nell’atmosfera. Per riprendere la definizione usata dal critico Geen Lees per la musica di Bill Evans, possiamo definirli “lettere d’amore scritte al mondo da qualche prigione del cuore”. Magari quella di Lennon è più ironica e mossa, ma entrambe generano fantasmi. Va detto che quella sorta di viaggio in una terra indistinta fra sogno e veglia, alla ricerca del proprio io più nascosto, è in realtà uno dei motivi fondamentali della poetica di Lennon. Andando a ritroso attraverso pezzi come Strawberry Fields Forever o I’m only sleeping, si può arrivare al suo primo capolavoro autobiografico, Help!, che proprio del principio di quel viaggio parla, dalle porte appena spalancate del Sonno.
Ascoltando un demo del 1970, in cui cerca di riportare il brano al tempo originale in cui lo aveva composto (prima che esigenze commerciali lo rendessero più ammiccante, velocizzandolo) si ritrova nel suo grido scomposto, nel suo lento trascinarsi nel buio alla ricerca di una via d’uscita, la stessa ansia e paura del brano di MacKaye, nessuna differenza fra i due. Dimostrazione di come un lungo filo sottile possa stendersi, anche nella più completa diversità della voce, fra i cuori degli uomini soli.

giovedì 3 ottobre 2013

se c'è

Il segreto di questa canzone l’ha rivelato lo stesso Venditti, mi pare durante una intervista televisiva, quando disse che in origine voleva scrivere un pezzo che cantasse: “Ci vorrebbe un compagno”. Poi, però, cambiò idea, perché voleva qualcosa di meno politicizzato, di più adeguatamente intimo e personale. A me a pensarci viene da ridere, perché, come dico sempre io, nel mio dialetto non c’è nessuna differenza fra amico e compagno, sono la stessa cosa. Anzi, il compagno (u cumpagne) è un amico più forte, perché non lo è solo di partito, ma di vita e di avventure. Uno, insomma, che non ti lascia mai solo. Se c’è, lì tutto torna, pure Venditti.