mercoledì 14 gennaio 2015

il seme della violenza

Magari semplifico troppo la questione, ma se al grido di "Je suis Charlie" difendiamo il diritto di chiunque, in uno stato pienamente laico, alla libertà di espressione, in qualsiasi forma e grado, anche se magari il messaggio è urticante o scomodo o volgare (proprio nello stile di Charlie Hebdo), allora, allo stesso grido, non dovremmo difendere anche il diritto di Dieudonné di lanciare le sue battute altrettanto provocatorie e antisemite: "Je suis Charlie Coulibaly"? O difendiamo tutti allo stesso modo, o allora qualcosa non funziona: ci sarà sempre qualcuno a possedere più libertà degli altri. A me, con le debite proporzioni, quella di Dieudonné ha ricordato tanto una dichiarazione fatta da Bob Dylan nel 1963, quando ricevette il premio di una nota fondazione americana per i Diritti Civili (gente impegnata, socialisti con le palle, mica scemotti qualsiasi), e lui sul palco, mentre ritirava il premio, dichiarò di sentire in lui molta della rabbia che probabilmente aveva provato Lee Harvey Oswald, che pochissimi mesi prima aveva sparato a Kennedy. I difensori dei Diritti Civili americani cominciarono a fischiare contro Dylan, a insultarlo, lo cacciarono via, ma era Dylan ad avere ragione. Non c'è vero cambiamento se non ammettiamo che il seme della violenza è dentro di noi prima ancora che nell'altro, un altro aspetto di quella cosa che un po' di tempo fa si chiamava pietà e che da un po' di tempo non trovo più nei discorsi di nessuno, nemmeno quando provano a mascherarla con termini un pizzico più democratici: diritti, parità, ragione ecc.

1 commento:

marian. ha detto...

e l'ancora più antico "chi è senza peccato scagli la prima pietra"?
Tutti a fare i buonisti e poi ci arrabbiamo se qualcuno non fa come diciamo noi, anzi loro.
Quel comico francese non è forse libero di esprimersi come i vignettisti o come quelli che si fanno scoppiare il corpo in nome della loro idea di dio?
La libertà non comincia forse dalla volontà di rispetto di chi è libero esattamente come noi?
Questioni grandi, probabilmente più delle nostre possibilità di comprenderle. Forse solo per questo bisognerebbe contare fino a dieci sempre prima di dire e fare qualsiasi cosa. Umanità ci vuole, quella si, ce la possiamo ancora permettere.