mercoledì 12 settembre 2018

tutta la roba che mi son scordato

Mi son scordato di quando
mi vergognavo di me
e pisciavo nel buio
nell’orinale
ed era come parlare
il dialetto
mi vergognavo
ch’era il parlare della serva
la vergogna
per quella sua faccia rozza
che non volevo vicino
nemmeno in corriera
quando s’andava al mare
con tutta la famiglia.
Mi son scordato
che ho sparato a un gatto
ch’è andato a morire in un buco
in mezzo all’orto,
che ho fatto un sorriso
ai potenti
ma a Finotti niente
nemmeno una parola
ché io non ero buono
o forse non ci ho badato.
Mi son scordato
persino dei miei nonni
che passavano la domenica da soli
seduti sulla cassapanca
nella loro casa vuota.
Mi son scordato anche del babbo
che se era un disgraziato
mi ha portato
una volta da bambino
per quattro miglia in braccio
in cerca d’una bambola.
E mi son scordato la voce
di mia mamma
che diceva
“te e la puttana che ti ha fatto”
e ora è da scemi se la cerco
nel buio delle stanze
sotto gli specchi
che fan paura la notte
e nei cassetti, fra i panni
nei suoi occhiali
senza una stanga,
nella dentiera
dove si aggrappa a un segno
simile al sangue
ch’è di plastica rosa;
un segno che mi par dire
che io le sono stato lontano
per tutta la vita.

(Nino Pedretti, Al vòusi, Einaudi, traduzione mia)

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