giovedì 28 novembre 2019

conoscenza

"Chi mi conosce lo sa". L'ho appena letto in un bisticcio fra "amici" su Facebook e mi accorgo che forse questa è la frase più abusata sui social. Ma chi ti conosce a tal punto da saperti? E chi ne sa più di te, al punto da dire esattamente come andrà? Io stesso, che mi osservo da una vita, ci sono certi giorni che non mi riconosco, e certi altri che mi piaccio addirittura, oppure no.

martedì 26 novembre 2019

il dolore di creare qualcosa

Imparate a conoscere il dolore di creare qualcosa. Una volta imparato siate pronti a essere indulgenti con gli altri. In poesia, in letteratura, in tutto. 

[Yuki Suetsugu]

lunedì 25 novembre 2019

il link

Poi arriva il giorno in cui ti fanno la fatidica domanda: Ma dove le trovi quelle poesie così belle, mi dai il link? e tu pensi a tutto il sangue che hai buttato per comprarti i libri e che sei un trimone (come si dice a Bari). Bastava cercare il link.

un segnale forte

Anche quest’anno il Premio Bodini Poesia si caratterizza per la totale adesione al verso “Tu non conosci il Sud…” Infatti, ancora una volta da che è nato, a vincere il premio dedicato a quello che molti considerano il massimo poeta meridionale, certamente il più rappresentativo per quanto costantemente sottostimato, è stato un poeta bravissimo e famoso, ma che col Sud c’entra solo relativamente, contro-riprova se mai ci servisse che in poesia noi non abbiamo una storia e forse nemmeno dei poeti degni (come diceva Pasolini in Passione e ideologia). Tu ora mi dirai, caro lettore, che la poesia non ha confini e questa che tiro fuori è una mera questione “politica” e io ti rispondo che sì, lo è; proprio perché anche i premi possono essere, e anzi spesso sono dichiaratamente politici, in un Sud che è sempre più abbandonato a se stesso e demoralizzato, con un tasso di emigrazione sempre più alto, dare un premio come il Bodini – una volta tanto! – a un autore nato e vissuto qui e non al classico nome di prestigio pubblicato da una casa editrice maggiore, sarebbe stato a mio avviso un modo per lanciare un segnale, non dico di risveglio ma perlomeno di orgoglio. Che ovviamente, come qualsiasi cosa qui, non c’è stato.

a letto

Ieri sera a letto mi ero messo
dalla parte destra quella che occupa
lei quando è qui
e stamani svegliandomi mi son ritrovato
a sinistra di dove nel buio ascolto insonne talora
il battito possente del suo esserci
Cosa mi ha indotto dunque durante la notte
ad abbandonare lo spazio del suo grande
corpo assente
se non l’ansia d’essere anche io niente?

(Giorgio Bassani, Epitaffio, Mondadori, 1974)

domenica 24 novembre 2019

la più bella frase di tutta la nostra letteratura

...e non solo il dubbio giova a scoprire il vero, ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita sa, e sa il più che si possa sapere. (Giacomo Leopardi)

puzzetta

Ieri un amico, citando Giulio Milani, mi diceva una cosa molto bella: “Senza ferite non c’è storia”. Oggi mi è tornata in mente e così – io che mi definisco sensibile e ogni addio mi scatena un sentimento di perdita che devo tamponare con la scrittura – mi è venuto da pensare a tutti quei momenti in cui credevo che dopo un brutto addio mi sarebbe venuto fuori qualcosa, ma poi invece nulla, non mi è venuto fuori nulla, non dico un verso, ma nemmeno una scorreggia, come a significare che quella certa persona non mi ha lasciato di sé nulla, non dico la puzza, ma nemmeno la puzzetta. E ho realizzato che forse sono meno sensibile di quel che dico.

sabato 23 novembre 2019

barbonici e borbonici

Ecco un pezzo buono per quelli come me, che talvolta si sentono BARBONICI, nel senso che portano la barba e sono intensamente noiosi, e talaltra si sentono BORBONICI, nel senso che gli ribolle sottopelle "La luna dei Borboni", che rimane un gran bel libro di poesia nonostante l'abbia scritto un meridionale.

venerdì 22 novembre 2019

saper leggere

Com’è pieno il russare della gatta
dietro la finestra e come riempie
d’aria famigliare il punto cieco
della stanza. Dorme e non ha pena
del presente la mia compagna
di una vita, tutto è sonno adesso
e croccantini. Il futuro è scritto
ma lei astutamente non sa leggere.

mercoledì 20 novembre 2019

only time will tell

In pieno 1979, completamente fuori di testa (al punto da decapitare un pollo sul palco e scatenare le reazioni violente persino del proprio gruppo) John Cale infila nei suoi concerti questa canzoncina che è l'equivalente dei vecchi pezzi cantati da Maureen Tucker coi Velvet Underground, quelli col fianco scoperto. Allo stesso modo, persino in tanta violenza, Only time will tell esprime un gran bisogno di pace, il desiderio quasi nostalgico di rimettere "tutte le parole al loro posto" e chiudere i conti con quanto è rimasto in sospeso, cosa che però sarebbe successa soltanto dieci anni dopo, col progetto Songs for Drella.

martedì 19 novembre 2019

professionisti

Ho appena realizzato che i ragazzi che ti molestano ogni giorno per costringerti a passare a una nuova compagnia dopo la fine di Enel hanno preso il posto dei più datati Testimoni di Geova, che ci annunciavano la fine del mondo e ci ammonivano di pentirci SUBITO perché le conseguenze delle nostre azioni sarebbero state tremende. Stiamo sempre lì, solo che i nuovi sono dei veri professionisti e hanno tutti il tesserino.

leggere racconti senza pregiudizi

Condizioni inalienabili perché qualcuno legga senza pregiudizi il tuo libro di racconti oggi in Italia, sono: 
1) che il libro di racconti faccia finta il più fortemente possibile di essere un romanzo a puntate; 
2) che tu più che un semplice autore sia un autore-personaggio le cui vicende personali inglobano lo stesso libro nella tua leggenda metropolitana (ma questo, va detto, funziona per tutti i sottogeneri della letteratura); 
3) che tu sia morto da non meno di vent’anni.

lunedì 18 novembre 2019

inferno

Ma quelli che mi mandano il manoscritto e mi chiedono: "Ma voi pubblicate poesia?" in che girone dell'Inferno dovrebbero finire?

domenica 17 novembre 2019

di pietra in pietra

Ecco che ridendo e scherzando, oggi abbiamo fatto riunione di lavoro informale con Orazio Perillo, egregio vicepresidente e tesoriere di Pietre Vive Editore, per capire come crescere e diventare finalmente più ricchi. Fra tutti e due abbiamo realizzato che per arrivarci servono dei buoni agganci nei posti che contano. Il Perillo ha dunque suggerito di scavalcare le mezze calzette e andare direttamente al vertice, da San Pietro in persona, il quale, visto che abbiamo nomi affini, di sicuro avrà un occhio di riguardo per noi. Perfetto, ho detto io, questo mi sembra un buon suggerimento. Domani provo a chiamarlo e sentiamo che dice.

il gioco delle tre carte

Domenica mattina, ti scrive uno giovane e inesperto, a cui avevi detto che non lo pubblicavi ma lo hai fatto così bene da sembrargli una brava persona, così ti chiede un consiglio e ti manda i contratti che gli hanno proposto altre tre case editrici che nel frattempo ha contattato, per chiederti una opinione: ma secondo te quale mi conviene firmare? Tu che non sei una brava persona, ma peggio sei un cretino, perdi più di mezz'ora per leggere tre contratti da 10 pagine l'uno, per un libro che nemmeno ti è piaciuto, e in tutti ci vedi scritto con tante belle parole ma sempre nero su bianco, una cosa sola: "vogliamo i tuoi soldi, senza dare nulla in cambio". Per me non ti conviene firmare con nessuno di loro, gli rispondi, però sai che non serve perché la vanità è più forte: ti chiedono una opinione sincera, poi vanno a farsi spennare. Effetti collaterali della lettura: intanto che leggi i 'loro' ti senti in colpa perché ti viene da pensare ai tuoi di contratti editoriali che sono i contratti dei poveri persino nella lunghezza (due paginette così non buttiamo carta) e per i quali ti rimproverano i tuoi stessi autori perché non sono cavillosi abbastanza. Dall'anno prossimo ho deciso che li faccio di dieci pagine anch'io.

il pensiero dominante

Leggevo stamattina che Leopardi non era gobbo perché rachitico a forza di studiare – come spesso lo immaginiamo perché così ce lo passa la tradizione – ma perché affetto dal morbo di Pott, una forma grave di tubercolosi ossea che gli ha distrutto il corpo pezzo a pezzo attraverso lunghe, atroci e umilianti sofferenze, fino a portarlo alla morte a nemmeno quarant’anni. E ho pensato al fatto che sarebbe ora di finirla con quest’immagine romantica ma svilente del secchione sfigato e incazzato con mondo perché è diventato brutto a forza di leggere libri; invece andrebbe rovesciata la prospettiva in chiave eroica per guardare una persona debole, piena di limiti perché affetta da una gravissima malattia, ma che proprio attraverso lo studio è riuscito a crearsi un sistema di pensiero indomabile, tale da superare i propri handicap per diventare già in vita una delle menti più grandi del proprio secolo.

sabato 16 novembre 2019

essere uno scrittore postumo

Ho letto l'intervista di Monica Rossi pubblicata oggi su Pangea, per altro interessante, ma mi soffermo su un punto in cui si dice: “Se ti definisci scrittore vuol dire che, in concreto, quello è il tuo lavoro. Con i proventi dei tuoi libri ci paghi l’affitto, le bollette, la spesa, la macchina, le vacanze, i vestiti, la scuola per i figli? Allora si, sei uno scrittore.” Monica Rossi, insomma, lega il ruolo ai risultati economici, gli altri possono certo sentirsi scrittori, ma senza pretendere di definirsi così, almeno finché non arriva il successo che li riscatterà. Da questo punto di vista nessun poeta italiano, a parte un paio di casi, è da considerarsi uno scrittore. Eppure, mi chiedo, se uno scrive un solo libro di grande successo commerciale e poi non ne scrive più, oppure non ne imbrocca più nessun altro con uguale successo e finisce pieno di debiti, quello è uno scrittore? Oppure, se di uno che si sente uno scrittore, che magari è morto in povertà o misconosciuto, dopo anni un editore pubblica i suoi libri e hanno successo, quello sconosciuto arrivato al successo dopo, è finalmente uno scrittore (anche se a pagare le bollette coi diritti sarà qualcun altro al posto suo)? Oppure è uno scrittore postumo, nel senso che lo scrittore è venuto dopo l’uomo, quando si è liberato del corpo? E se sì, se diventa scrittore postumo, non rientra anche quel suo essere postumo in un mito della “mentalità borghese”? Lo dico anche pensando alla linea editoriale di Pangea, che spesso fa dei gran lavori biografici per riportare l'attenzione su scrittori trascurati e spesso ingiustamente considerati minori i quali, se fosse buono quanto detto in premessa, semplicemente non andrebbero considerati scrittori, avvalorando l'oblio a cui il mercato editoriale li ha già condannati da tempo.

venerdì 15 novembre 2019

spia

Oggi, per chiamate di lavoro, ho passato cinque ore al telefono. Non avevo nemmeno finito il giro di chiamate, quando a un certo punto mi ha ceduto l'orecchio. Ha cominciato a fischiarmi come una spia accesa, e ha continuato così per un bel pezzo.

giovedì 14 novembre 2019

simone al lavoro


la pietra dello scandalo

Mi pare, ed è una cosa che sto notando con fastidio e dispiacere, che negli ultimi anni stia passando questo messaggio, specie fra gli autori più giovani: che per conquistarsi uno spazio di attenzione nell’asfissiante mondo editoriale, per attirare l’attenzione sui propri versi si debba ricorrere necessariamente a delle pose o atteggiamenti o proclami violentemente scandalistici. “L’importante è che se ne parli” non è una cosa nuova. Solo che un tempo, dopo i lo scandalo, erano soprattutto i libri a dar voce all’autore, adesso è l’autore a parlare, o meglio ancora a strepitare, solo per dire che c’è un libro, ma col rischio concreto che al libro non si arrivi mai, che l’unica cosa a rimanere alla fine sia soltanto lo scandalo, più o meno reale. Quello che forse infastidisce di più in tali polemiche create ad arte, è come spesso suonino palesemente inautentiche, frutto più della vanità personale che dell’ansia di opporsi a un’ingiustizia comune. In più, ed è la tragedia, tali polemiche sono spesso talmente povere o limitate nei contenuti da essere fortemente influenzate dal contesto di riferimento e da cosa quel contesto vuole: per cui persino l’autore “contro”, nell’espressione della propria contrarietà, si rivolgerà sempre e soltanto al pubblico compreso nel contesto che più lo avvalora (“ognuno riconosce i suoi” come citava Mazzoni) e, peggio, proprio per non venire ignorato, lo farà attraverso le modalità e i contenuti forniti dal contesto, cioè dall’alto, senza significative rotture. Insomma, tutto secondo canovacci preconfezionati in TV.

martedì 12 novembre 2019

seme

Dirò una banalità, ma mi sembra che a volte una scelta di campo sia solo una scusa per scatenare la propria aggressività contro un nemico facilmente individuabile. Ci ho pensato stamattina, quando in un bar mi sono messo a parlare con un ragazzo che stava leggendo un libro di Gandhi. Dai suoi discorsi mi sembra particolarmente schierato. Finché mi dice che per lui i fascisti andrebbero tutti impiccati a testa in giù, come i porci. Quando gli chiedo perché legge Gandhi se crede in metodi di lotta così radicali mi risponde che la non-violenza è un concetto bellissimo, ma i fascisti sono dei porci e quindi con loro non serve, con loro serve solo la violenza senza nessuna pietà, e ci mette dentro un tale fervore che mi sembra di essere già in guerra. Non mi esprimo mai sulle idee degli altri, ma provo a spiegargli che secondo me il suo discorso puzza già di fascismo. Nulla, non capisce, ripete come un mantra: i fascisti sono porci e tutti a testa in giù, i fascisti sono porci e tutti a testa in giù, come i porci. Lì ho lasciato perdere, ma confesso che per alcuni minuti mi sono sconfortato. Ieri ho visto un post in cui si dichiarava in maniera quasi banale che i libri sono importanti perché aiutano a pensare. Ma quando uno sta leggendo Gandhi, dice che lo apprezza, ma poi aggiunge che Gandhi va bene solo per gli amici perché i nemici li appenderebbe tutti a testa in giù, che diavolo ha capito di Gandhi? Cosa sta pensando? Poi mi è venuto in mente quel che mi direbbe il mio amico Pino, che è buddhista, e cioè che per oggi no, ma magari quel ragazzo sta piantando un seme per il futuro e mi sono tranquillizzato. Forse ha ragione lui.

domenica 10 novembre 2019

camminare a piccoli passi

"camminare a piccoli passi, ma camminare / dire poche parole, ma dirle / perché noi crediamo nella parola". In questi giorno continuo a ripensare a Christian Tito. In rete i suoi libri cominciano a sparire, a non essere più disponibili per l'acquisto. E credo sarebbe bello non si perdesse quanto di bello ha scritto, credo sarebbe bello che un editore, magari uno serio, medio-grande, con la possibilità di una diffusione, si prendesse la briga di mettere insieme quel materiale e ripubblicarlo. Credo che sarebbe giusto che noi contribuissimo a dargli una mano, comprando in tanti quel libro, portandolo in giro con noi, perché una poesia come quella di Tito (così fraterna, così "scandalosa" nel suo abbraccio) non può stare chiusa in casa, deve camminare, stare fra le persone, parlare con loro.

cazzate

Ieri un amico mi fa: Dovresti fare come Einaudi, pubblichi un sacco di cazzate e con quelle ci copri le spese dei libri di poesia! Ma col cacchio, rispondo io, mica c’ho l’indotto di Einaudi. Se comincio a pubblicare cazzate, e le cazzate vendono, con quelle comincio a camparci io come si deve. Le poesie possono continare a stare nel trullo come hanno sempre fatto. Mi stai diventando un imprenditore adesso?, mi chiede lui. (E da ciò si capisce che il vino qualcosa aveva fatto).

venerdì 8 novembre 2019

corte

Pensavo che spesso la differenza fra un autore e un editore è che l'autore immagina ma non sempre fa vera esperienza del marciume che c'è dietro i rapporti editoriali, da quelli verticali, di potere, ai più semplici scambi di favori fra pari che ovviamente forzano per escludere il dispari; mentre l'editore, per quanto piccolo sia, li sa perché ne fa esperienza concreta e frequente. Per certi versi, pensavo, sempre di visione si tratta, ma il fatto di osservarli e non solo immaginarli li abbassa di livello, li svilisce al punto che lì dove l'autore percepisce intrighi di corte (da quella del castello all'aia contadina), l'editore vede soltanto povertà morale e qualche volta, per puro spirito di sopravvivenza, vi si adatta.

congedo

Ormai essere lontani vale 
essere sconosciuti. Pare 
il tempo del nostro amore un mare 
lucido e morto. 
Nella luce la tua parte 
è finita, non ho buio nel petto 
per tenere la tua ombra. 

Un congedo di Pasolini al Friuli (l'originale è in dialetto) che sembra, tolto ogni riferimento, una poesia del male amato. In realtà di buio ce n'era ancora troppo.

giovedì 7 novembre 2019

il mancato (convegno letterario)

Non arrivano a tanto i potenti mezzi 
della poesia, mi rispondeva a mezzo tono 
una scrittrice se prendevo le distanze 
dal suo invito al prestigioso Convegno. 

Ma rimarcava la necessità di un impegno 
a esserci e costruire insieme. Voi 
fate una diretta e ci sarò, mi smarcavo io 
dal purgatorio dei poeti. 

Non arrivano a tanto i nostri poveri 
strumenti, rispondeva lei sagace. 
E voi mandate – con o senza rima – 

un’affettuosa cartolina. Costano troppo 
qui le cartoline, rispondeva. 
E con garbo aggiungeva mi dispiace.

mercoledì 6 novembre 2019

cachi

Oggi mi piangeva il cuore per un albero di cachi nella campagna di un mio amico i cui frutti marcivano per terra non raccolti. Ma perché, te li mangi tu?, mi ha detto. Io non so che farmene mi ha detto, sono troppo dolci, mi fa schifo il sapore. E mi è venuto da pensare che lui forse non lo sa, ma c'è stato molto tempo fa qualcuno della sua famiglia che quell'albero l'ha piantato lì tutto contento perché quella una volta era ricchezza, era lusso e la frutta te la venivano a rubare dagli alberi di notte per la fame. Adesso è cambiato il gusto di tutti, il dolce dei cachi fa schifo, quello della coca-cola no. Quindi pieni di buone intenzioni facciamo le campagne per la salvezza del clima, ci indigniamo per i migranti che muoiono in mare spinti dai bisogni più estremi, ma lasciamo marcire la frutta in campagna perché ci fa schifo il gusto. E lo so che è un discorso tremendamente retorico e arrogante, ma è una cosa che non so come scrivere meglio, perché mi fa girare le scatole.

tre discorsi semiseri sul lavoro intellettuale

Stamattina, con Roberto R. Corsi – che ho da poco ribattezzato Cavallo Corsi, in quanto scopro della scuola della Cavalli, ovvero dedicarsi idealmente alla flânerie per tutto il giorno e scriverne poesie a sera – si parlava di lavoro per quelli come noi, che scrivono. Lui convinto mi dice: «Io non ho mai avuto il problema che il lavoro mi piacesse a tal punto da farlo gratis, preferirò sempre una passeggiata! (sottinteso: a farmi sottopagare)». 
Rispondo tirando fuori dal cappello ragioni sociologiche legate all’ambiente in cui sono cresciuto: «Io lavoro quasi sempre gratis, mi accorgo, perché farsi pagare per un lavoro intellettuale è peccato mortale (in quanto lavoro di serie B), ma non fare nulla piuttosto che darsi da fare è peccato mortale due volte, insomma come la fai la sbagli e l’unica cosa seria era andare a fare il muratore». 
Su tutto questo mette una pietra mio fratello, che non scrive ma guadagna: «Io, se mi chiami per un lavoro, mi faccio pagare anche solo per venire a parlarti, e se non ti va bene puoi andartene a fanculo. Io non lavoro coi disperati, tu sei solo una merda!». Il sei una merda in effetti è gratuito, ma posso dire per esperienza diretta di mio fratello che funziona sempre.

martedì 5 novembre 2019

serietà

Leggevo stamattina il regolamento di una buona casa editrice che fra le istruzioni per l'invio di manoscritti dice: "Noi non siamo una casa editrice a pagamento, siamo editori seri, mica stampatori". E poi aggiunge, subito dopo: "Non accettiamo poesie, nemmeno se fossi il nuovo Mario Luzi ti pubblicheremmo". E allora ho pensato a come queste due frasi comunicano fra loro e a come, stando a questo ma anche ad altri regolamenti simili che leggo da anni, principio inalienabile per fare editoria seria, che non richiede contributi e vive sana e fiera di sé, è che non ci sia la poesia di mezzo, o che sia il più marginale possibile. Perché sotto sotto lo sai, lo sanno tutti che se pubblicassi poesia non ce la faresti a fare lo sborone così, saresti sempre in bilico, ancora più in bilico di come stai, e quindi per mantenere alto il tuo profilo editoriale è meglio barattare "l'arte e il canto" con il saldo attivo, evitarsi il problema alla radice, anche a costo di zittire magari la voce del nuovo Luzi o di un Sereni, che sono geni sì, ma vendono sempre troppo poco. Quello che gli resta ormai ai poeti seri, per gli editori seri, è lo stampatore.

sabato 2 novembre 2019

protestose canzoni per bambini

Oggi stavo ascoltando La ballata di Sacco e Vanzetti (musiche di Morricone, parole di Joan Baez), così quasi per caso, in random, sono passato a sentire l’omonimo album di Woody Guthrie, il folksinger vagabondo padre di tutti i cantautori impegnati americani. Guthrie che teneva fortemente al suo progetto su Sacco e Vanzetti, ma era un artista assai pignolo e non amava i compromessi, non si sentì soddisfatto dalle registrazioni – che invece erano perfette! – e si rifiutò di pubblicarlo. L’album, registrato fra 1946 e 1947, venne stampato nel 1960, quando affetto dal morbo di Huntington, Guthrie era ricoverato in ospedale e prossimo alla morte. Degli altri tre album da lui realizzati in vita e ritenuti abbastanza buoni da venire pubblicati uno è il seminale Dust Bowl Ballads, del 1940 (che fece un sacco innervosire Steinbeck per un pezzo in esso contenuto, Tom Joad, che riassumeva in sei minuti il suo romanzo di quasi 500 pagine Furore); gli altri due, e questa è stata la scoperta sorprendente per me, sono Nursey Days e For Mother and Child (entrambi registrati nel 1947 ma pubblicati nei primi anni ‘50), due album di canzoni per bambini fra i 4 e i 6 anni, attraverso le quali i bambini potevano imparare l’alfabeto e a far di conto. In un periodo di fortissima depressione economica e feroci diseguaglianze sociali, usare la propria musica a favore dei più piccoli l’ho trovato un gesto di grande luminosità e bellezza, forse non più duraturo ma di sicuro più politico di tutte le “protestose” canzoni di protesta che ha scritto in vita sua quell’uomo ferreo e intransigente che era Woody Guthrie.

venerdì 1 novembre 2019

pasolino

Il mio gatto Mao bellino
l’ho chiamato Pasolino
perché torna ogni mattino
pieno zeppo di ferite
dalle sue lunghe sortite
per le notti qui in campagna.
Ci si scanna coi gattacci
con le volpi e con i cani
né mi riesce di sviarlo
dai suoi istinti di randagio.
Prego sempre che si salvi
e se torna ancora vivo
sulla porta mia di casa
tutto fiero dei suoi graffi
lui comincia a farmi fusa
col motore a pieno giro
che mi sembra un trattorino.