giovedì 7 gennaio 2010

una canzone da cantare sul tetto a squarciagola

Come tutti ben sanno i Beatles si sono sciolti nel dicembre del 1970, ma in effetti l’ultima loro operazione artistica è avvenuta nel gennaio del 1969, con un breve e inaspettato concerto live, organizzato un po’ alla buona sui tetti della Apple, e durato il tempo di sette pezzi, finché non è intervenuta la polizia obbligandoli a smettere, perché avevano bloccato il traffico del centro di Londra. Fu in realtà un’esibizione molto meno incasinata di quello che si può pensare, ma nella pura semplice bellezza dell’idea (ma ve lo immaginate svegliarsi la mattina e dirsi sghignazzando, magari mentre ci si rolla una canna: beh quasi quasi oggi non dico niente a nessuno e mi metto a suonare su di un palazzo in pieno centro a tutto volume, e poi lo fai davvero?); nel fatto che ancora oggi, a più di quarant’anni di distanza si respira a guardare il video il totale e scanzonato divertimento che si stava godendo il gruppo, privo di qualsiasi ambizione a dimostrare alcunché (con Lennon che si scorda le parole della sua canzone e McCartney che sculetta ballando davanti alle telecamere); e poi nel suo implicito romanticismo, con la musica che si solleva sopra il cielo bianco di Londra, resta un grande addio al proprio pubblico e un esempio insuperato per decine di gruppi che poi hanno provato a imitarli, gli U2 su tutti, ma poi finivano per fare troppo i fichi per convincere chi non fosse una ragazzina alle prese coi suoi primi turbamenti ormonali da rock star. Insomma i Beatles ci sembrano così veri e sinceri perché della serietà non sapevano proprio che farsene. Loro si divertivano e basta. E questo direi che non sempre, ma spesso è tutto quello che conta. In assoluto uno dei concerti che preferisco, non fosse altro che finisco sempre col ridere ogni volta che mi riguardo (sugli altri video che potete trovare su youtube, tipo questo) le facce attonite dei bravi inglesi per strada e poi l’uomo con la pipa che sembra uscito da un quadro di Magritte che si arrampica su una scala per godersi meglio lo spettacolo. E per la cronaca, in una mia ipotetica hit parade delle canzoni d’amore che preferisco, Don’t let me down si piazza di sicuro fra le prime cinque.

8 commenti:

SCIUSCIA ha detto...

Mi hai ricordato uno dei motivi per i quali è giusto bashare gli Uddùe. Grazie.

Sebastian ha detto...

Ciao. Son finito per caso sul tuo profilo.. bei gusti musicali! A me piace Buckley figlio, mentre a te suo padre.. ho letto il tuo post.. proprio questo.. avevo quasi "dimenticato" (beh, non ero ancora nato!) quella esibizione.. ci son canzoni dei Beatles che adoro.. non tutte.. ma non sai cosa darei per poter vedere una cosa simile! Grazie per avermi dato la possibilità di pensarci nuovamente :) ciao!

albafucens ha detto...

Sai da quando hai ripreso in mano il Blog un po' di tempo fa, dopo la piccola vacanza che avevi deciso di prenderti, trovo che abbia una marcia in più, è più positivo, grintoso..
avanti a tutta forza

sergio pasquandrea ha detto...

Concordo con la diagnosi: secondo me una delle piaghe del rock degli ultimi 20-30 anni (e non solo del rock: non parliamo del jazz, per carità cristiana) è proprio l'aver cominciato a prendersi troppo sul serio.
Un po' di sano cazzeggio non farebbe per niente male a tante cosiddette "star"...

Nannò ha detto...

cos'ha il jazz degli ultimi 20-30 ke non va?

lodolite ha detto...

grazie lillo!!!!!!!!!!!!!!!!!
mi sono commossa.............
zia simona

sergio pasquandrea ha detto...

@Nannò
Sarebbe un discorso lungo...
Diciamo che, a partire dai primi anni '80, buona parte del jazz ha cominciato a soffrire di una bizzarra forma di disturbo della vista che gli impedisce di spingere lo sguardo in avanti e lo costringe a tenerlo fisso indietro.
Sospetto che la causa sia da ricercare nelle pratiche onanistiche di certi musicisti, americani ma non solo, che continuano a farsi le seghe sui dischi (immensi) degli anni '50 e '60 e rifiutano di capire che quella, a quei tempi, era avanguardia, e che oggi non la si può semplicemente copiare, perché la si snatura nel suo senso più profondo.
Non so se mi sono spiegato (temo di no). L'avevo detto che il discorso era lungo...

P.S.: è una generalizzazione, è ovvio, ci sono grandi jazzisti anche oggi. Ma già una trentina d'anni fa, un grande profeta di nome Frank Zappa affermò che "il jazz non è morto, però manda uno strano odore"...

lillo ha detto...

sciù, grazie, e come dico sempre io: fuck u2 :)

sebastian, son belli tutti e due buckley secondo me ma il padre ha avuto più tempo e occasioni per esprimersi e sperimentare... e quanto ai beatles pure io avrei voluto esserci quel giorno...

alba, dici? si credo sia vero, cmq... in buona parte mi sono messo il cuore in pace...

sergio, in effetti credo che più che un fatto di generi sia una cosa che riguarda il nostro tempo, troppa immagine e troppa poca qualità della musica...

simona, di nulla zietta! ;P