lunedì 29 aprile 2019

cittadinanza

Continuo a ripensare, con dolore, al pensionato ucciso in un paese qui vicino. A Di Maio che dice che la sicurezza dei nostri concittadini deve venire prima di tutto. E al fatto che quei ragazzini annoiati, imbecilli o delinquenti che fossero, erano nostri concittadini anche loro, e che per qualcuno è più facile puntare il dito contro il nemico quando viene dal mare rispetto a quando ce l'hai già dentro casa. Che forse quei ragazzi, adesso che nel cuore non sono più nostri concittadini, perché non li riconosciamo come tali, sono pur sempre figli di nostri concittadini, e quindi, a sentire la Meloni, per induzione, dovremmo togliere la cittadinanza anche ai genitori, così come ai loro insegnanti che li hanno educati male e tutti quelli che sapevano e tacevano come si fa da sempre in provincia in questi casi. Tutti fuori dall'Italia, insomma. E mi chiedo se quei ragazzi, prima di perdere la loro cittadinanza, erano cattivi dentro o lo sono diventati dopo. E se erano cattivi dentro, perchè li abbiamo presi a bordo invece di lasciarli affondare? E se lo sono diventati, con chi ce la prendiamo adesso che non li possiamo ributtare in acqua?

palpebre

Stamattina mi sono svegliato talmente raffreddato che da due ore sto provando a respirare con le palpebre degli occhi, come i pesci o come quelli che dicono lo fanno a yoga, pur non essendo raffreddati.

sabato 27 aprile 2019

arminio

Ogni volta che vedo quelli che comprano e leggono i libri di Franco Arminio e poi non li mettono in pratica, mi chiedo sempre cosa ci leggono dentro e cosa ci vanno cercando.

intorno al 27

Ogni anno, al ponte fra 25 aprile e 1 maggio, mi ritrovo sempre a pensare quanto sia forte e necessaria l’interdipendenza fra le due feste, e a chiedermi quanto, per uno come me, le infici nel loro significato la mancanza di libertà economica. Le vivo, ma sempre un passo indietro agli altri. Di fatto sono un liberato di serie B, o forse è colpa mia che sono poco pratico, e mi sono perso da qualche parte fra il 25 e il 1, che sono invece feste dell’azione, più o meno intorno al 27.

giovedì 25 aprile 2019

fenoglio

Ci pensavo stamattina per la prima volta, se amo questa festa del 25 aprile non è per tutto ciò che simboleggia: la libertà, la lotta, la giustizia, lo stare o no dalla parte giusta, le luci e le ombre, la retorica, i monumenti, questo e quello. Sono tutte cose giuste, eh. Ma se la amo col cuore, se provo empatia e simpatia, se mi commuovo a pensarci e ripensarci, è perché l’ho letta nei libri di Fenoglio, in quelli di Pavese, di Calvino, e l’ho vista nei film di Rossellini, di Monicelli, di Scola, in certe scene di Totò. Ogni anno mi accorgo che, nonostante le manifestazioni, le polemiche, l’accanimento terapeutico di alcuni e tutti i bellissimi discorsi infiorettati di ideali, ogni anno si perde un pezzettino di memoria, un pezzo di sincero sentimento, tutto diventa parole ma senza cuore, e questo secondo me succede perché si dicono un sacco di bellissime parole ma non si legge mai abbastanza. Perché non c’è liberazione più grande di quella che viene dai libri, e non c’è liberazione possibile se non conosci Raul, Blister, Milton, Sceriffo, che poi sono tutti quei nomi incisi nella pietra dei monumenti ma fatti di carne e di sangue, con le loro paure, la rabbia, il piscio e il vomito, gli amori da ventenni che vengono sempre a mettere sgambetto agli ideali. Ecco, nel giorno della liberazione mi piacerebbe tanto che si facessero meno bellissimi proclami su cos’è o non è la libertà e si leggessero più storie di Fenoglio.

mercoledì 24 aprile 2019

l’amore dei poeti

Stamattina una donna bellissima ed evidentemente ancora coinvolta, mi scrive: ho sognato che morivi fra le sofferenze più atroci, colpito dagli spasimi di un tremendo virus intestinale. Io ho pensato che l’amore dei poeti prende le strade più impreviste per raggiungerti, talvolta ti centra il cuore talaltra va direttamente alla pancia.

sabato 20 aprile 2019

cerino

Greta Thumberg, per metà Giovanna d'Arco e per metà Mercoledì Addams, io non la invidio per niente. Primo perché, al di là di tutte la facili battute, per reggere una simile pressione mediatica ci vogliono le spalle larghe e lei, qualsiasi cosa si pensi del fuoco che la anima, è ancora una ragazzina. Secondo perché la storia ci insegna che persone così prima o poi le bruciano vive e spesso ad accendere il cerino non sono i potenti di turno che si sospetta sempre sfruttino le situazioni a loro vantaggio, ma il popolo, la buona gente de core che prima ammazza e poi santifica.

venerdì 19 aprile 2019

senza risposta

Ieri riflettevo su due cose. Prima: Valerio Magrelli, che è uno dei Grandi, per ragioni di salute o semplicemente pratiche, ha abbandonato la carta e scrive le sue poesie ormai sul telefono oppure attraverso una apposita app che cattura la sua voce, trascrive il suo dettato; in questo si rivela modernissimo, il più moderno se si pensa che molti suoi contemporanei, e qualcuno dei miei, nemmeno sa come si accende un PC. Lui crea sul iPhone, come un ventenne di oggi. Seconda: se è vero, ed è vero, che il supporto su cui costruisci la tua opera modica il messaggio, e se è vero, e io credo sia vero (ma con riserve), che l'ultima produzione di Magrelli ha subito un progressivo indebolimento formale, mi chiedo a tempo perso (e senza risposta) se questo indebolimento può essere stato influenzato 'anche' dall'uso del iPhone e se Magrelli, in nuce, l'avesse ricercato e addirittura previsto.

giovedì 18 aprile 2019

prefiche

A un paio di giorni dall'incendio di Notre-Dame e dalle tante puttanate che ho letto in proposito in questi giorni, mi viene da dire che il nostro è uno dei pochi paesi in cui ogni volta che succede qualcosa di più o meno grave si fanno i funerali mediatici all'Arte e alla Cultura con tanto di prefiche e mistici annuncianti la fine del mondo occidentale, ma alla prova dei fatti i laureati in Beni Culturali stanno tutti per strada.

domenica 14 aprile 2019

poi morivo felice

C'è chi sogna di pubblicare con la bianca di Einaudi, c'è chi sogna di pubblicare con Lo specchio di Mondadori, io sogno di pubblicare nella Piccola Biblioteca di Adelphi. Così stanotte sognavo di fare un pacchetto delle 49 poesie più belle che ho mai scritto negli ultimi quindici anni e mandarlo ad Adelphi, la quale non solo mi rispondeva, ma (per il magico potere che hanno i sogni di avverarsi, almeno mentre dormi) mi pubblicava anche. Titolo scelto per la raccolta: ANATOMIA DI UN VIGLIACCO. Poi morivo felice.

sabato 13 aprile 2019

la casa bianca

Stamattina, con la pioggia che amplifica le emozioni, ho letto un libro delizioso e commovente, tanto che passavo di continuo dal sorriso alle lacrime. Il libro si chiama La casa bianca, di Emanuele Andrea Spano, edito da Puntoacapo Editrice. Imbattersi in un poeta di Novi Ligure che scrive un libro sul paese in cui vivi (Locorotondo) è cosa rara e strana: da qui i sorrisi, ritrovando fra le sue pagine certi angoli per te famigliari (Sant'Anna, via Sabotino...). Allo stesso tempo Emanuele parla di qualcuno (che poi si fa qualcosa, qualcosa di sé almeno, e ancora più presente in quanto assente) di perduto e questo commuove, come chiunque abbia subito una uguale perdita può sapere. Nulla di nuovo forse, eppure essenziale. Un libro preciso, raccolto (o discreto, com'è il suo autore, com'è la copertina da lui scelta), distillato verso a verso, scritto benissimo, con Luzi (il Luzi di Su fondamenti invisibili) e Sereni (il Sereni di Stella variabile) come numi tutelari, da parte di un uomo che "non ha un paese a cui tornare", come scrive Salvatore Ritrovato in prefazione, ma proprio per questo dei paesi "sa cogliere il valore esistenziale". Se non ricordo male, lo presentiamo il 24 aprile alla Libreria L'angolo retto, anche se sinceramente di un libro così, salvo le poche note qui sopra, non si sa mai bene che dire, si ha sempre paura di eccedere, di sbavare. Leggetelo.

venerdì 12 aprile 2019

una cosa in meno da fare

Mi scrive l'hacker anonimo che dice di avere estrapolato dal mio computer dei filmetti compromettenti su di me che vado sui siti a luci rosse: "Attento! questo è l'ultimo avvertimento. O mi paghi i ventimila euro che ti chiedo oppure manderò i filmetti su di te a tutti i tuoi contatti, rovinando la tua vita sociale! Sei molto pervertito, i tuoi amici, e le donne, lo sapranno!" Oh, tiro un sospiro di sollievo, finalmente qualcuno che lo fa al posto mio! Una cosa in meno da fare oggi.

il furbetto

Stamattina, mentre guardavo il Tg, pensavo che solo in Italia si usa la parola "furbetto" per definire uno che viola le regole per proprio tornaconto, defraudando di qualcosa o danneggiando tutti gli altri. Una categoria infinita, da quello che ti frega il parcheggio all'assenteista sul lavoro, al raccomandato in ospedale fino all'evasore. Furbetto è un diminutivo buono per ogni occasione, tende a sminuire il peccato, ad assolverlo già nella lingua, prima di arrivare davanti al giudice: "sì, ha commesso un crimine, è vero, ma perché è furbetto!" nemmeno facesse parte della Banda Bassotti. In quale altro paese mi chiedo, c'è un tale grado di comprensione sociale per gli stronzi? Sarà perché in fondo ci sentiamo un po' stronzi tutti (di che reggimento siete, fratelli?), e se assolviamo il furbetto di turno ci diamo anche noi, implicitamente, la possibilità di essere furbetti un giorno, quando arriverà la nostra occasione. Del resto, se lo ha fatto lui, perché io no?

giovedì 11 aprile 2019

la semplice verità

Stamattina rileggevo la cartolina che Adrea Barbato scrisse a don China dopo il funerale di Caproni, una cerimonia andata deserta se non per i due figli, pochi amici fra letterati e vecchi alunni, il sindaco di Roma da solo, ma non il “mondo ufficiale”, nessun uomo del Potere, quel Potere che negli stessi giorni si era inginocchiato di fronte al feretro di Mariano Rumor. Barbato trovava scandalosa quell’assenza dello Stato di fronte alla Poesia, trovava scandalosa quella chiesa vuota, persino di lettori, e il fatto che la cronaca restasse “indifferente”. Eppure la storia, o meglio ancora il tempo, è una livella e non perdona. Oggi, a quasi vent’anni di distanza, Rumor, per cinque volte Presidente del Consiglio, non fa più rumore, di lui non si ricorda più nessuno, né degli uomini prostrati di fronte a quel Potere, la DC è morta, i giornalisti che non hanno scritto sono stati dimenticati. Le sole parole che rimangono sono quelle di Caproni. E, anche se sono in troppo pochi a farlo, i suoi libri si leggono ancora. Ricordatevelo, la prossima volta che mi incontrate e non mi offrite un caffè.

mercoledì 10 aprile 2019

vecchio film

Quando fai i conti con te stesso e ti accorgi che – come in una parodia di Quattro matrimoni e un funerale – tu volevi essere Hugh Grant ma invece ti è stato dato di essere Gareth, il satiro fracassone col cuore troppo debole a cui dedicano la più sublime poesia. Tu dirai che Gareth non è bello ma è comunque un tipo, uno che lascia il segno, però – proprio come nella vita – Hugh Grant, come qualsiasi altra comparsa, alla fine trova l’amore in una scena bagnata, Gareth ci lascia a metà della storia. Fra tanti matrimoni l’unico funerale è il suo.

elogiativo

Quando contatti una rivista per chiedere se ti fanno una recensione e la rivista ti dice va bene, ce la mandi entro tot e mi raccomando non sia eccessivamente elogiativo che sennò si vede che se l'è scritta lei.

la giusta causa

Quelle volte che mandi un tuo libro a un premio pur sapendo che perderà perché sai che il premio favorisce i nomi blasonati (quelli che fanno richiamo) e tu lo sai ma il libro glielo mandi uguale in segno di sfida, per dire che non hai paura di loro né dei soliti meccanismi, e per farti meglio capire aggiungi nella busta un biglietto che dice: "Cari miei, questo libro non prendetelo in mano, prendetelo in faccia". Così sei ancora più sicuro che perdi, ma per la giusta causa.

martedì 9 aprile 2019

bellezza in materia di commercio

La bellezza trova sempre strade impreviste per raggiungerti. Nel mare di libri ben scritti ma fondamentalmente noiosi che mi capitano di continuo sottomano, oggi mi ha offerto una pura boccata d’aria una raccolta di articoli di economia e commercio scritti nel Portogallo della fine degli anni ‘20 che, fra capitoli assai tecnici e/o datati (ad es. Capitolo III - La quotazione C.I.F. include le spese per la fattura consolare?), delizia per alcuni passaggi o note di sapore quasi zen nella parsimonia della lingua e nella chiarezza del pensiero, che distilla saggezza universale dalle buone pratiche nel commercio e viceversa. Cito a caso dal novello Kenkō: «A nessun commerciante piace avere, seppure momentaneamente, l’impressione che sia l’avvocato del corrispondente a scrivergli. La precisione commerciale deve avere sempre un tono casuale e spensierato – quello della conversazione di un uomo intelligente» o ancora: «È del peggiore gusto e del peggiore effetto che un capoufficio si scusi con “un errore di un impiegato”. Non vi sono errori di impiegati. Ogni errore di un impiegato è solo l’errore di avere impiegati che commettono errori»; «Nessuna lettere deve rimanere senza risposta per più di 5 giorni […] O la lettera non ha risposta e non si risponde; o ha risposta e si risponde d’immediato; o non può avere risposta d’immediato e allora si scrive dicendolo. Avere fama di essere rispettoso e cortese vale più di un francobollo. È una pubblicità a basso costo» e, sempre in materia di corrispondenza commerciale: «meglio la chiarezza che la brevità; meglio molti paragrafi che pochi; meglio rispondere in fretta, pur dicendo solo parte, che ritardare la risposta per dire tutto». Autore della raccolta, pubblicata in Italia da dell'Urogallo e credo ormai fuori commercio, Fernando Pessoa (nella traduzione di Brunello De Cusatis).

problema a monte

Faccio un corso online in diretta per comunicazione e media marketing. Il tipo dall’altra parte dello schermo mi chiede: chi è che si occupa della comunicazione? Rispondo: io. Mi chiede: chi è che si occupa dei contenuti e della parte grafica dei prodotti? Rispondo: io. Mi chiede: chi è che si occupa della parte amministrativa dell’azienda? Rispondo: io. Allora il tipo dall'altra parte dello schermo mi guarda corrucciando la fronte e mi fa: C'è un problema strutturale a monte, ma non so se riesco a risolverlo da qui.

giovedì 4 aprile 2019

la parola liberata

Mi accorgo, dovendo presentare un mio libro domani e poi dopodomani, di non ricordarmi più che cosa ho scritto. Sto rileggendo il libro e mi dico: ma veramente, ma per davvero le ho scritte io queste cose? Proprio vero che la parola pubblicata è parola dimenticata, o meglio ancora liberata. Nel senso che l'autore se l'è covata dentro per così tanto tempo che una volta messa nel libro se ne libera, si spera, definitivamente (altrimenti si fa ossessione). A parte queste considerazioni il libro è bello, non per nulla l'ho scritto io, l'io che fui almeno e che ora è un altro, mentre mi rileggo con curiosità.