Un anno fa, nella notte fra 11 e 12 settembre, moriva mio padre. Io mi ricordo tutto di quella notte, ogni attimo, perché c’ero, ero lì al suo capezzale. E mi rattristo sinceramente per mio fratello che non poteva esserci e soffre di non esserci stato. Come mi diceva l’altra sera una mia amica psicoterapeuta assistere alla morte di una persona cara, per quanto sia terribile come esperienza, aiuta moltissimo nell’elaborazione del lutto, rende più naturale il distacco. Per questo, ogni volta che penso a mio padre, a me dispiace soprattutto per chi non c’era alla morte di un suo caro, per chi per un motivo o per l’altro non poteva esserci, e non sa cosa sia successo, che cosa hanno pensato o detto negli ultimi istanti, e se ti cercavano con gli occhi. Penso che questo vuoto sia terribile da portarsi dietro, ancora più che vederli morire, e anche per questo penso, o meglio ancora sento, perché è più un sentire che una ragione la mia, che se pure sia stato necessario, se pure non si poteva fare altrimenti, quello che abbiamo fatto durante la pandemia, quello strappo parossistico e disumano fra chi moriva e chi restava, i loro corpi occultati, i funerali a porte chiuse di stampo militare, è una colpa talmente pesante, qualcosa di talmente spietato che anche se veniva fatta con delle motivazioni precise non ce la dovremmo semplicemente perdonare e poi passare ad altro. Andrebbe elaborata meglio.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
mercoledì 11 settembre 2024
domenica 28 luglio 2024
padre e figlio
È da ieri che leggo dei post di genitori che, dopo l’intercettazione della chiacchierata fra Turetta e suo padre, rimproverano al padre di avere avuto un atteggiamento troppo cristiano, improntato alla parabola del figliol prodigo, e troppo poco romano, alla Muzio Scevola come diceva mio padre, chi sbaglia paga, occhio per occhio e dente per dente. Infatti, se le nostre carceri fanno schifo è anche perché sottesa vi è l’idea che chi sta in galera deve patire a più non posso per le proprie colpe. Insomma, Turetta padre, che a me sinceramente fa più pena che rabbia, non doveva fare il padre che prova a rincuorare un figlio di cui conosce la colpa e con cui dovrà fare i conti per il resto della vita nella sua scelta di non abbandonarlo, ma doveva essere il padre severo dell’Antico Testamento che va lì per ricordargli le sue colpe, maledicendolo, rinnegandolo e possibilmente passandogli la corda per impiccarsi in cella, dove probabilmente passerà il resto della sua vita. Sono due condannati, padre e figlio, a cui offriamo zero carità cristiana e massima vendetta possibile, proprio noi che parliamo così male del giustizialismo americano da cui ci diciamo estranei. “Io se avessi un figlio così mi ucciderei” commentavano alcuni, e altri “io mi chiuderei in casa per la vergogna”. Scegliendo la via più facile, quella che torna sempre a noi stessi e all’onta per la nostra immagine sociale come genitori e non guarda mai in faccia all’altro, al figlio, per quanto colpevole o riprovevole egli sia. Mi verrebbe da dire, da non genitore, che è facile fare i genitori così: scegliendo di prendere il meglio e lavandosi le mani del resto. E sotto sotto convinti che quel “se avessi…” non si possa mai concretizzare per noi, perché mostri sono sempre i figli degli altri. Ci vuole coraggio per essere un padre come quello di Turetta che invece di nascondersi in casa per la vergogna non lascia da solo il proprio figlio. Io non ce la farei, probabilmente, ma non perché sono migliore, solo perché sono più debole, al punto da non averne nemmeno voluti di figli, come scelta. Eppure, su un piano assai più basso, continuo a chiedermi perché tutti questi genitori così severi verso i loro figli non li vedi mai a scuola, anzi, se c’è da picchiare qualcuno è proprio l’insegnante che si permette di abbassare un voto.
mercoledì 24 luglio 2024
colpa loro!
Ascoltando al Tg le parole di Delmastro pensavo a com'è breve il passo da "Aiutiamoli a casa loro" a "Rimandiamoli a casa loro". In ogni caso è sempre colpa loro, mai della nostra gestione vergognosa di quelle strutture. Tanto che Delmastro ha la faccia tosta di venirci a dire che se non venivano qui "loro" nelle carceri si stava proprio bene, c'era tanto spazio arieggiato e si poteva pure assumere nuovo personale. Ma che possiamo farci se ci sono "loro" che vengono qui a rubarci il lavoro, il futuro, persino in carcere? Nulla, quando se ne andranno "loro", allora tutto si aggiusterà da sé. Sarà, io di persone che sono state in carcere, ma non da oggi, da anni, ne ho conosciute un bel po', e non me ne ricordo una sola che mi abbia detto: Antò, ma come si stava bene in carcere, soprattutto d'estate era così bello che guarda, io non volevo più uscire! E penso che ci vuole talento per riuscire con una sola frase a sputare in faccia a così tante persone in difficoltà. Caro Delmastro, chapeau.
giovedì 23 novembre 2023
il potere e la colpa
Il patriarcato, il maschilismo, il machismo, e tutto quel complesso meccanismo per cui siamo cresciuti in una società dove alcuni uomini hanno più vantaggi rispetto ad alcune donne esiste eccome, coi debiti distinguo, perché ogni vantaggio è sempre mediato dalla possibilità sociale ed economica di chi lo esercita: una donna ricca ha sempre più vantaggi di un uomo povero, una donna nata a Milano ne ha più di un uomo nato in Calabria, una donna nata in una famiglia colta ha molti più vantaggi di un uomo con la terza media, una donna che lavora come manager in un’azienda ne ha di più di un uomo che lavora in fabbrica, una madre coinvolta in una separazione ha sempre qualche vantaggio in più del padre. Ma nella maggior parte dei casi quel vantaggio esiste e chi lo nega sa di sminuire la realtà. Certo la realtà sta cambiando, ai tempi dei miei nonni, visto che parlano tutti del patriarcato dei nonni, mia nonna avrebbe trovato aberrante che una donna si rivoltasse contro il “proprio” uomo. Era la sua cultura quella, una cultura profondamente rurale, contadina e cristiana, e noi ora possiamo dire che era una cultura sbagliata e che mia nonna era una vittima, o una complice, del patriarcato perché non capiva come stavano i macrosistemi sociali ed economici che muovono il mondo, ma non possiamo dire che mia nonna e la sua cultura non vadano rispettati, altrimenti facciamo come gli americani che vanno ad invadere gli altri paesi per esportare il loro modello di democrazia. Del resto, come diceva il mio amico Nannino il brasiliano, noi siamo tutti “americanizzati”, anche chi adesso odia l’America. Noi la pensiamo diversamente dai nostri nonni, in tutto, e io stesso sono pieno di colpe per come ho gestito male molte relazioni, ma è un fatto mio, relativo al mio vissuto e non certo a quello degli altri, e il primo responsabile dei miei errori sono io stesso. Ancora, dati alla mano, anche se la percezione è diversa, l’Italia è uno dei paesi con meno femminicidi nel mondo. Vai in un qualsiasi paese dell’est Europa (Lettonia in testa, dove i dati vengono quasi decuplicati), o vai in medio oriente (Afghanistan, Iran, ecc.), o in Africa (dove in alcune zone si pratica ancora l’infibulazione), fai un confronto con quei paesi e allora ti accorgi che nemmeno le donne sono tutte uguali, parlando di potere, che alcune donne per il solo fatto di essere nate in determinati paesi hanno più vantaggi di altre, e per il solo fatto di vivere qui, di sfruttare economicamente questo potere, sono, volenti o no, colpevoli verso di loro. E servirebbe una presa di coscienza globale, lì dove non riusciamo a metterci d’accordo nemmeno su problemi relativi alla sopravvivenza della specie, come i problemi ambientali, che ci sono allo stesso modo, e chi lo nega sminuisce, ancora una volta, la realtà. Una donna può anche dirmi, adesso, che faccio del benaltrismo, che non si sta parlando di cosa succede in Medioriente o al clima, che si vuole un cambiamento, o meglio ancora una presa di coscienza qui e ora, ma chiedere una presa di coscienza istantanea, un cambiamento culturale in mezza giornata è già il frutto di una visione della vita che è tutta occidentale, consumistica, dove non c’è tempo da perdere, dove basta cliccare un tasto sul telefono per ottenere ciò che vuoi in 24/48 ore da qualsiasi angolo del mondo. Altro che educazione, che invece è un processo che richiede anni! Ci neghiamo il tempo di imparare, di crescere come si deve, poi pretendiamo che tutti imparino ad ascoltare se stessi da un giorno all’altro. Come fare meditazione zen coi corsi scaricati da YouTube. Ma processi come questo, in cui un sistema sociale, culturale, viene sostituito da un altro, sono lunghi, durano decenni, secoli a volte (vedi la Chiesa che sono due secoli che sta morendo e ancora resiste), ci superano, e il fatto che siamo qui a parlarne non significa che stiamo eroicamente attivando l’inizio di un movimento nuovo, significa solo che molto tempo fa questo cambiamento ha cominciato ad attecchire grazie al lavoro di altri e adesso noi che ci siamo dentro, anche inconsapevolmente, partecipiamo al flusso del cambiamento, ne godiamo in parte i risultati, perché fossimo nati altrove ci avrebbero probabilmente messi in prigione, o impiccati in piazza. E anche per questo dobbiamo dare a tutti il tempo di arrivarci con le proprie gambe, perché se no facciamo come gli americani in Afghanistan, che quando sono andati via è stato come tornare indietro di vent’anni. Io almeno, da “americanizzato”, mi sento molto in colpa per l’Afghanistan, come se fosse anche colpa mia. Ecco, questo direbbe lo storico che c’è in me, se facessi ancora lo storico, o meglio se avessi avuto maggiori vantaggi per potermi infilare in qualche università a leccar culi dei magnifici rettori. Cosa di cui non avevo proprio voglia e non ho fatto.
giovedì 24 settembre 2020
agli occhi di quelli che verranno
ci commuoviamo nei cinema
di fronte ai film hollywoodiani
che si dolgono ogni anno per la sorte
crudele degli schiavi e il dolore
che a gennaio ci stringe nel cordoglio civile
per non dimenticare. Noi
che facciamo mai abbastanza ma indossiamo
ad ogni funerale abito bianco
e guanti immacolati, noi che discutiamo
ore e ore intorno a un niente di cifre
per non dire che son vite
che hanno un nome.
Noi, così spietati nel vaglio della storia
degli altri: noi in quest’ora nudi
agli occhi di quelli che verranno
siamo uguali, né migliori né peggiori
di chi ci ha preceduti. E siamo noi i nazisti
siamo i turchi, siamo noi i negrieri
e i Cortés imbellettati, siamo ebrei
sganciati in Palestina, siamo noi
i più bravi a dirci altrove. Non importa
se ci reputiamo innocenti o sani
se ci dichiariamo impotenti, contrari
per il solo fatto d’essere vissuti in mezzo agli altri
e non aver gridato con più forza
non siamo noi più alti di chi allora
messi al vaglio della storia
non seppero convincere i giurati.
Diremo come loro: Non sapevo, non volevo.
O negheremo che fosse tutto vero.
Io non potevo immaginare: la menzogna suprema.
Nessuno mai, di quelli
che tanto ci assomiglia nel futuro
ci crederà innocenti o degni di perdono.
Agli occhi di quelli che verranno
non saremo assolti
quando ad occhi chiusi invocheremo
la loro comprensione.
venerdì 21 giugno 2019
il processo
lunedì 29 aprile 2019
cittadinanza
sabato 25 febbraio 2017
una cosa orribile
martedì 13 dicembre 2016
porci senza ali
domenica 28 aprile 2013
il bersaglio
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La cattura di Preiti |
La situazione della famiglia del brigadiere Giuseppe Giangrande mi ha molto colpito e commosso. La figlia è una ragazza giovanissima, poco più che ventenne, che ha perso la madre due mesi fa. Oggi suo padre è stato ferito senza motivo ed è in gravissime condizioni. Per la famiglia Giangrande queste sono ore di ansia e di angoscia. Dovremmo stare loro il più vicino possibile, fargli sentire che non sono soli. Noi, come istituzione, ci siamo. Mi auguro che si possa dare un segnale forte, che quando succede qualcosa ad un servitore dello Stato, lo Stato c'è.
Prima di andare all'ospedale Umberto I, dove è stato operato il brigadiere Giangrande, sono stata all'ospedale San Giovanni, dove è ricoverato il carabiniere Francesco Negri, con il quale ho potuto parlare. Per fortuna, nel suo caso, la situazione è sotto controllo. E' un ragazzo giovane e forte, orgoglioso di fare il suo lavoro e motivato a riprendere al più presto servizio.
Contesto due cose alla Boldrini. Primo, lo Stato dovrebbe esserci SEMPRE, per qualsiasi cittadino, e non solo per chi lo serve. Sarebbe quello, davvero, il “segnale forte”, che aspettiamo da tempo.
Secondo, e lo dico con tutto il rispetto per i feriti e per il dolore delle loro famiglie, se Luigi Preiti oggi ha sparato lo ha fatto non “senza motivo”, come dice la Boldrini, lo ha fatto per un motivo e uno solo, perché lo Stato non c'è, non c'è più per lui né per tanti altri, lo Stato lo ha abbandonato. E questo genera rabbia e la rabbia cieca vendetta, la più pericolosa, la più facilmente ripetibile. Dal suo punto di vista quell'uomo ha solo sbagliato il bersaglio.