sabato 30 maggio 2020

quanto accade...

Quanto accade è così abituale e familiare come in primavera la rosa e nell’estate il raccolto. E, bada, di questo tipo sono il morbo, la morte, la maldicenza, l’insidia, e tutte quelle cose che portano gioia e dolore agli stolti. 

Marco Aurelio

rubarsela

"Si sono formati alla scuola del niente e saranno chiamati a fare il nulla". 
La frase di De Luca è talmente bella e universale che è peccato mortale non rubarsela.

giustizia (e san tommaso)

Pare, come si legge qui, che la telefonata fra Vendola e Archinà, che a me e non solo a me all'epoca ha spezzato il cuore, fosse un montaggio ad arte di alcuni giornali per distruggerlo politicamente. Da una parte sono contento, dall'altra come San Tommaso ascolterei volentieri i nastri originali della telefonata...

venerdì 29 maggio 2020

pubblicare con amazon o affini

Siccome mi capita spesso, lo do come consiglio generale, se c'è una cosa che non si dovrebbe fare è pubblicare il proprio libro con Amazon o affini e poi mettersi a cercare un editore per lo stesso libro. O meglio. Se fai i soldi con Amazon e ti viene a cercare Mondadori, allora sì va bene. Se come mi hanno scritto una volta: "ho pubblicato con Amazon e non è successo nulla, così ho pensato che mi serviva un editore" allora no, non va bene. Primo, perché un editore non è una ruota di scorta. E secondo, perché con Amazon così come con qualsiasi editore (piccolo o grande che sia) qualcosa succede solo se ti muovi tu per primo. E non è scienza editoriale questa, è la vita. La sola differenza, rispetto ad Amazon (e spesso al grande editore) è che col piccolo editore hai il bonus del suo numero privato e se hai bisogno di chiamare qualcuno per parlare, confidarti, sfogarti o anche riempirlo di insulti, il piccolo editore nella maggior parte dei casi ti risponde. Molti lo danno per scontato, ma quel numero non è cosa da poco.

martedì 26 maggio 2020

febbre creativa

Come volevasi dimostrare, finita la reclusione è anche finito lo sconvolgente flusso creativo per cui mi arrivavano 8-10 manoscritti al giorno, segno che tanta poesia era meramente curativa, serviva cioè a tenere insieme i nervi scossi delle persone. Che a me umanamente va anche benissimo, è uno dei motivi per cui credo che la poesia non sia solo arte per l'arte, altrimenti uno non vi si rifugerebbe nel momento del bisogno. Però spero anche che dei vari diari del COVID-19 faremo tutti a meno d'ora in poi. Poi certo, il mondo è pieno di sadomasochisti incalliti e il capolavoro è sempre nascosto dietro l'angolo. Anzi, leggevo stamattina in un post: "io chiedo all'arte non che mi faccia star bene ma che mi ferisca". E io allora auguro a tutti gli amanti dell'arte che ferisce di trovare un sacco di opere d'arte che vi prendano a calci e bastonate e vi facciano sanguinare per ore, finché non implorate pietà alla madonna incoronata di spine. Io mi tengo a un metro di distanza e vi guardo le spalle con affetto.

tre scrittori a cui ho pensato ieri

Ieri sera mi sono iscritto al canale di Rai 5 per vedere lo speciale su Malaparte tanto pubblicizzato. L’ho trovato carino anche se un po’ troppo spostato su La pelle e pochissimo invece su Viva Caporetto che è invece un libro centrale, o meglio ancora il libro centrale di Malaparte perché è quello che ci dice dove nasce non solo il suo fascismo ma anche il suo antifascismo. Perché va bene l’opportunismo – e Malaparte fu un vero opportunista – ma è anche vero che l’adesione al fascismo fu per lui, come per molti, il risultato della delusione maturata al fronte, nel primo conflitto mondiale, verso gli ambienti del potere italiani e il modo in cui sfruttavano i soldati considerati niente più che carne da macello: delusione che lo porterà prima ad aderire al fascismo, credendo potesse essere una cura per il malgoverno dei Savoia e poi ad allontanarsene quando invece di correggerlo il fascismo a quel potere aderì in pieno. In quella delusione subì anche un processo di disincanto e ammaliziamento per cui cominciò a pensare che se non puoi vincere il nemico (e lui non poteva vincere contro Mussolini) è sempre meglio sfruttare ogni situazione a proprio vantaggio ed è lì che nacque l’opportunista che sappiamo. Tutto questo passaggio è saltato ed è venuto fuori un ritratto istrionico ma senza dramma e se a uno scrittore togli il dramma allora togli l’anima. 
Sempre sullo stesso canale Rai 5 però ho scoperto un’altra puntata di quel bel programma che è L’altro ‘900 dedicata a Parise, bella perché parte dalla casa di Parise a Salgaredo, una casa che lo scrittore amò molto e in cui nacquero i suoi Sillabari, senza la quale anzi i Sillabari avrebbero un diverso sapore perché lievitati in un altro forno, secondo una intuizione assai cara a Sergio Garufi. Ieri c’è stato il “compleanno” di Carver e tutti hanno tirato fuori i suoi libri e io mi chiedo sempre come mai i racconti dell’americano Carver sì e i tanti bei racconti di tanti italiani no, come se ci fosse un rifiuto inconscio. Quindi sarebbe un esercizio carino secondo me se ogni racconto di Carver che leggi, né leggi di contro uno di Parise o di qualsiasi altro italiano che preferisci, solo per ricordarti che ci sono altri paesaggi narrativi oltre a quegli alberghi pieni di cuochi divorziati che hanno problemi con l’alcol. Altri suoni, altre emozioni. Diciamo che Carver è come una pietra scagliata in un lago, c’è il tonfo del sasso che tocca l’acqua e poi affonda, il movimento delle onde concentriche. Parise invece è come una piuma che si posa sull’acqua leggera dopo un colpo di vento. Sono due modi diversi di toccare l’acqua ma hanno entrambi a che fare col liquido. 
Ancora Parise diceva questa cosa bellissima (la riporto a memoria): «Non si può essere completamente felici per scrivere, ma nemmeno completamente infelici». Questa cosa forse fa la differenza fra la grandezza drammatica di Carver e la leggerezza di Parise. Eppure, dovendo scegliere, non mi sento di invidiare Carver rispetto a Parise. Il primo era un uomo solo e fu salvato dall’amore di sua moglie Tess. Il secondo ebbe anche lui una moglie, ma ancora di più: «Menomale che ti ho conosciuto» gli dice un vecchio Raffaele La Capria (che di Parise fu amico) alla fine del documentario. E ho pensato, guardandolo, che bella una storia che comincia con la ricerca di una casa – Parise era orfano di padre e per questo passò buona parte della propria vita alla ricerca di una casa che fosse proprio sua, Salgaredo appunto – e finisce con un amico che ti ricorda con affetto. Mi sembra una vita riuscita, non completamente felice e nemmeno completamente infelice, e in mezzo scrittura e ancora scrittura e il colore verde dell’erba.

lunedì 25 maggio 2020

l'aggettivo "togliattiano"

Oggi leggevo in un articolo di Veneziani l'aggettivo "togliattiano" e mentre lo leggevo mi è venuto da sorridere, come quando ti trovi di fronte qualcosa di vecchiotto, ammuffito, un po' grigio e un po' rigido, insomma nostalgicamente retrò, un po' com'era la morale sessuale d'inzio '900 (parlo di morale sessuale perché il pezzo di Veneziani era su Woody Allen): la verginità è sacra, si diceva, anche se poi dietro c'erano un sacco di fuitine. Da noi si diceva scendere: se n'è scennute pe cure, se n'è scesa, andata via con quello, in attesa del matrimonio riparatore. E "togliattiano" sa un po' di quella cosa lì: una certa rigidità morale in merito alla sacralità/verginità della propria politica rispetto alle altre, dove il sacro però era più decantato che reale e restava vivo soprattutto un certo bigottismo provinciale. Poi perché scrivo tutto questo e dove voglio andare a parare non lo so, sarà che me ne sto scendendo anch'io stamattina, per non lavorare. O sarà che non si studia mai a scuola e per me Togliatti resta soprattutto quello della poesia di Saba chiamata A un giovane comunista, in cui Saba lo paragana a un giallo canarino e dice di preferire il canarino, sarà questo ma per me Togliatti, a cui Guttuso ha dedicato uno dei suoi quadri più belli è pieni di giallo e di rosso, è tutto meno che il colore, però stamattina ugualmente mi ha fatto sorridere il vetusto aggettivo "togliattiano", e ho pensato che forse andrebbe un po' riverniciato, per non lasciarlo ammuffire così, in certi sorrisi che poi inacidiscono col tempo. Io ad esempio, ho appena deciso che il mio prossimo gatto lo potrei chiamare Togliatti. Il gatto Togliatti. Così lo metto vicino a Mao e faccio una foto dei due.

domenica 24 maggio 2020

tutto ciò che scrivo è perché tu mi dica bravo...

Tutto ciò che scrivo è perché tu mi dica bravo.
Ogni verso virgola poesia d’amore chiede qui
la tua attenzione, persino adesso che non sei
né ci sarai se non dove ti tengo stretta qui al riparo.

sabato 23 maggio 2020

la missione di un poeta


Rileggevo la poesia di Luigi Di Ruscio da un verso della quale trae spunto il titolo della nostra raccolta su poesia e lavoro La nostra classe sepolta, a cura di Valeria Raimondi (Pietre Vive, 2019). La poesia si intitola Per mia figlia ed è una bellissima lettera-poesia contenuta in Poesie scelte 1953-2010, a cura di Massimo Gezzi (Marcos y Marcos, 2019). Come tutte le poesie di Di Ruscio ha avuto una lunga gestazione e diverse e significative varianti. All’origine, nella versione contenuta in Enunciati (1993) e intitolata Per Caterina Di Ruscio scrive: «…noi che viviamo anche per rappresentare tutti quelli che sono morti/ e tutti quelli che verranno e sino a quando rimarrà la resistenza di uno solo/ la sconfitta non è ancora avvenuta/ non la rosa sepolta ma i comunisti massacrati e sepolti/ tutto deve essere ingoiato anche quello che profondamente disprezzo…». La poesia verrà poi rielaborata in chiave più spigolosa ed espressiva nel suo ultimo libro, ma aprendola nel suo significato ad un abbraccio universale: «…noi che viviamo anche per rappresentare tutti quelli che sono morti/ sino a che rimarrà uno solo la sconfitta non è ancora avvenuta/ sino a quanto rimarranno le nostre pagine/ non la rosa sepolta ma la nostra classe sepolta/ siamo nel caos prima della creazione del verbo…». Confesso che leggendo prima l’ultima versione non avevo colto subito il nesso assai evidente con Brecht, attraverso il celebre Epitaffio 1919 e più sottilmente in Epitaffio Luxemburg scritti entrambi per Rosa Luxemburg, dove Brecht nel primo dice: «Anche Rosa la rossa se n’è andata./ Ma dov’è sepolta chi lo sa./ I ricchi dal mondo l’hanno scacciata/ ché ha detto ai poveri la Verità» e nel secondo: «Qui è sepolta/ Rosa Luxemburg» intendendo proprio “qui”, fra queste righe. Da cui l’immagine della rosa sepolta: uccisa la Luxemburg il suo corpo non fu mai ritrovato e venne sostituito nella tomba con quello di un’altra donna: estrema offesa persino alla sua memoria. Nella sua poesia alla figlia, Di Ruscio accoglie in toto lo spirito e la volontà della Luxemburg: sostituendo a «comunisti» la parola «classe» sposta l’asse della lotta e della sconfitta dal partito al lavoro: quindi con un ritorno all’origine stessa del partito, alle sue ragioni, che nascono in reazione ai bisogni della classe. In questo modo, da una parte lascia in eredità alla figlia un’idea di lotta politica, che sia pura, integra, irriducibile, ma ancora praticabile e reale. Dall’altra, lì dove scrive «…sino a quando rimarranno le nostre pagine... siamo nella creazione prima del caos…». le affida una missione. In quel passaggio Di Ruscio supera Brecht e direttamente al modello del suo Epitaffio, che è la Genesi. Lì dove in Brecht Rosa Luxemburg, nel dispetto dei ricchi, viene scacciata dal mondo per aver mostrato la Verità ai poveri, cioè per essere stata per i poveri il serpente che li ha sottratti alla propria illusione di felicità, condannandoli alla propria infelicità di classe e alla lotta senza tregua, in Di Ruscio non solo Rosa ma tutti i sepolti e gli spariti della Terra troveranno rifugio, perché nelle sue pagine, nella sua scrittura, e nelle pagine e nella scrittura di «noi che rappresentiamo» tutti verranno salvati: «ebreo nella Germania nazista/ palestinese in Israele/ negro nel Sudafrica/ comunisti massacrati e sepolti». Per ognuno di loro ci sarà posto e memoria nelle nostre pagine, perché finché «ne rimarrà uno solo la sconfitta non è ancora avvenuta». E perché per loro, per tutti i sepolti della storia, solo nelle nostre pagine, nelle pagine di «noi che rappresentiamo» è data la possibilità di un nuovo inizio, di azzerare il tempo, ritornare all’attimo stesso della creazione, prima della storia, del caos, della luce da cui vennero fuori le tenebre. Alle nostre stesse ragioni. Che è, forse, la missione più alta che può darsi un poeta.

perfezione

La mia macchina dei sogni è talmente perfetta che quando il mio corpo addormentato si rifiuta di tornare alla realtà mi fa sognare un inciampo.

venerdì 22 maggio 2020

per pietro manni

È morto oggi Pietro Manni, uno dei grandi nomi dell'editoria pugliese. Manni, come mi diceva oggi un’amica, era una brava persona, era un editore stimato, impegnato e spesso coraggioso nelle sue scelte, e con tutte le contraddizioni di chi vuol mettere insieme sogno e sostanza. Era salentino e aveva cominciato a fare l'editore nei primi anni '80, e chi non è meridionale non sa che significa, quanto può essere stata dura, però è anche rimasto tenacemente legato alla sua terra, lavorando per migliorarla; era compagno, nel senso che era proprio comunista e ci credeva, era l'editore di Lidia Menapace e di altri importanti simboli della nostra storia repubblicana; e promuoveva la poesia, tanta, con un catalogo importante e che guardava molto al Sud. Amava la poesia e non a caso il primo titolo che uscì col suo marchio, nel 1984, era un libro di poesie e si intitolava programmaticamente: Segni di poesia / Lingua di pace. Un altro suo che ho molto amato è stato Catechismo di Lino Angiuli, inno d'amore alle piante dell'orto e alle nostre campagne. Allo stesso tempo Manni chiedeva un contributo economico per pubblicare con lui. In molti non capivano questa sua contraddizione: ma come, tu sei l'editore compagno e chiedi un contributo? Per un certo periodo non l'ho capito nemmeno io. Poi ho cominciato anch’io a pubblicare poesia e allora ho capito quanto sia dura far quadrare i conti solo con l’amore, e come questo mestiere ti pone tutti i giorni di fronte a conflitti interiori anche molto violenti in cui continui a interrogarti su chi sei, su cosa vorresti essere, e su quali sono le tue forze reali per arrivarci. Bastano il coraggio e l’entusiasmo per andare avanti? E ho sempre pensato che anche lui, anzi soprattutto lui che veniva da un’altra storia e da una fede politica certa, si sia interrogato a lungo sul proprio ruolo e mi chiedo se sia arrivato a una soluzione nel suo personale conflitto di editore; e se ha trovato una risposta, che poi è la risposta che cerchiamo tutti, su quale sia il giusto equilibrio fra sogno e sostanza, l’unica cosa che permette, una volta che muori tu, che il tuo sogno vada avanti con le sue gambe, anche senza di te.

coerenza

Più o meno un anno fa ho perso l’amicizia di una persona che conoscevo da anni, né ci parliamo da allora, per la faccenda di Montanelli e della sposa bambina. Lei convinta che Montanelli fosse un porco fascista e andasse boicottato in toto, sia come uomo che come giornalista, insomma cancellato del tutto dalla storia e io che invece dicevo: no, l’uomo e lo scrittore sono cose diverse e una cosa va preclusa dall’altra, altrimenti rischiamo di perdere tantissimo se applichiamo il principio a tanti altri artisti dalle biografie poco etiche. Lei non era la sola a pensarla così, e da parte mia un articolo simile a quello che pensavo lo ha scritto anche Nicola Lagioia che sta un po’ più in alto di me, ma tutto questo invece di sanare le cose sul piano del dialogo le ha solo inasprite e così ho perso quell’amicizia. In questi giorni vedo timidamente riaffacciarsi una serie di articoli su David Bowie (successivi alla pubblicazione della sua biografia) comparsi la prima volta nel 2017, in cui si rivela come nei primi anni ’70 il Nostro era solito organizzare delle orge a base di coca con delle minorenni, per essere più precisi si scopava delle ragazzine che andavano dai 13 ai 15 anni, alcune delle quali erano fan di cui si approfittava (in alcuni pezzi vengono definite “groupie”), altre volte pagava perché allora come oggi andare con una 13enne significa essere al limite della pedofilia. Né pare che Bowie abbia mai chiesto scusa per questi suoi gusti sessuali. Ora, io da quando li ho letti sto aspettando, né demorderò e rimarrò qui ad aspettare a lungo, finché non vedrò i secchi di vernice rosa lanciati contro il monumento di Bowie ad Aylesbury (peraltro altrettanto brutto di quello di Montanelli a Milano) e il boicottaggio assoluto di tutta la sua musica da parte del movimento #metoo e di chi ha fatto il processo a Montanelli. Io ve lo chiedo di cuore: se avete coerenza e ritenete che Montanelli avesse sbagliato e in nome di quell’errore tutta la sua vita e la sua opera vadano cancellate, allora per coerenza smettete in questo stesso momento di ascoltare Heroes, Life on Mars, Changes e tutte le altre belle canzoni che ha scritto Bowie. O altrimenti dovrò pensare che ho perso un’amicizia per niente, nessun principio e nessuna idea.

mercoledì 20 maggio 2020

petricore

Segnalo questa parola secondo me bellissima che non conoscevo, ma ho scoperto oggi sul profilo Instagram di un'amica linguista (poi dice che i social non servono), e definisce l'odore che si sprigiona dalla terra quando viene colpita dalle prime piogge dopo un periodo di secca. Ed è una parola che ha radici classiche ma nasce in inglese (petrichor), e sembra venuta fuori da un haiku. E mi piace il composto di "pietra", intesa come terra (luogo di radici e di fatica) e "icore", ovvero "essudato", che però suona tanto all'orecchio come "core". E quindi lega la parola, nell'odore, a questa pietra al cuore e al suo sudore.

domenica 17 maggio 2020

cervicale

Quei momenti che (dovrei lavorare)
ma in testa ho soltanto la cervicale.

Per la serie: domani riapre tutto ma chi se ne frega se non si aggiusta il tempo: tre giorni fa c'era vento di ottobre, ieri caldo afoso, oggi umidità e dolori. Domani, per come va il mondo, piove.

venerdì 15 maggio 2020

un vecchio fumetto disney

Un vecchio fumetto Disney
sepolto nel subconscio
dove Pippo sta sciando in montagna
e all’improvviso avverte che qualcuno
gli sta rubando le salsicce sporgenti dallo zaino
e si gira
e vede che è un orso
e per tre vignette di seguito dice:
“Un orso”
Nella prima il suo volto è quasi disinteressato
come se fosse un quesito abbastanza cool
questo distinguere fra cos’è un orso e cos’è un fringuello
Nella seconda il suo volto si fa dubbioso
come se si stesse chiedendo: “Ma che significato ha
tutto questo”
E nella terza vignetta raggiunge il terrore
e scappa e grida ferocemente aiuto

In genere io non vado mai oltre
la seconda vignetta

Ma che significato ha adesso tutto questo


(Dan Turèll, Karma Cowboy, 1974, trad. mia)

giovedì 14 maggio 2020

rampognare

Salvini o la Meloni che rampognano alla Bellanova di piangere per i migranti invece che per gli italiani, rivendicano implicitamente una politica dalla lacrima facile, o lacrima di coccodrillo, che piange piange senza fare mai, perché attinge la propria forza proprio dalla debolezza degli altri: più sei debole, più ti lamenti, più io prometto di aiutarti e mi faccio forte sulle tue aspettative; ma non mi interessa che tu stia meglio, anzi, perché se stai meglio io perdo in forza ricattatoria sulla tua vita. E non considerano, loro come molti altri compresi i Cinquestelle, che regolarizzare gli immigrati significa in primo luogo, al di là del lato umano, dare una stoccata a tanta criminalità organizzata che su loro campa e a certa cattiva pratica del lavoro che sussiste sull’uso più o meno taciuto della schiavitù, dello sfruttamento, nei campi come in fabbrica e che colpisce gli italiani stessi. O forse lo considerano e proprio per questo rampognano.

lunedì 11 maggio 2020

la crisi è finita!

Lunedì si avvia al termine con due ordini di acquisto e nove proposte di pubblicazione. Uno degli autori che si propone mi scrive (e non è nemmeno il primo): Sono contento, le librerie sono riaperte, la crisi per l'editoria è finita! Gli chiedo se è stato in libreria di recente. Mi risponde che non ci va da Natale. Sempre avanti così, penso.

il compito

La tortora che piange nel mattino
annuncia un altro giorno senza sole
quel dolore che dalla cervicale
riparte nei doveri del lavoro
nel compito che poi mi sono imposto
di esserci per gli altri da lettore.

domenica 10 maggio 2020

la testimonianza

Ieri raccogliendo i piselli che lenti gonfiavano
i baccelli sotto le foglie dell’orto nel sole nuovo
che annunciava l’arrivo del caldo buono a primavera
sentivo i cedri alle mie spalle bagnati di luce
e passeggiando accanto alle fave ero sereno
in qualche modo e persino avvertivo distante
ogni dolore. Era ovviamente una menzogna
del tempo, ché oggi è ritornato qui l’autunno.
Ma per poco che lo abbiamo visto, Rimbaud
che ha scritto dello stesso sole e della stessa
verde frasca, avrebbe passeggiando tra i filari
accanto a noi, sì capito e sì anche sorriso, ve lo giuro.

giovedì 7 maggio 2020

croce

Se ora mi piantassero un chiodo nella spalla farebbe meno male. Alla fine lo stress mi ha raggiunto e si è conficcato fra collo e scapola, lì dove si appoggia la mia croce.

divagazioni su un pezzo di paolo ferrucci

Ho letto oggi su Pangea un bel pezzo di Paolo Ferrucci in cui si fanno le pulci a Erri De Luca, uomo con le palle, discreto poeta (secondo me), ma scrittore in buona parte sopravvalutato.
Mentre lo leggevo, però, ho pensato questo: fermo restando che è giustissimo, che compito della critica è anche mettere in discussione dei modelli e Paolo lo fa molto bene, certe volte mi viene da chiedere a chi serve. Nel senso che lo spazio dedicato alla critica è quello che è, e se io lo uso per parlare bene di De Luca o per parlare male di De Luca, alla fine sempre di De Luca sto parlando, quindi ancora una volta si regala spazio a uno che non ha bisogno di pubblicità per toglierlo ad altri. E lo si fa, credo, perché è più facile leggere i libri di uno come De Luca che nel bene o nel male sono in giro, che non i libri di un autore misconosciuto, dove procurarseli, leggerli e farsene un’idea, comporta una fatica in più per un pezzo che probabilmente verrà letto da meno lettori, in quanto se recensisco Pinco Pallo a chi frega? Mentre De Luca, anche solo per dirne male, un pubblico se lo porta dietro.
Non è ovviamente un rimprovero al pezzo di Paolo, ci tengo a sottolinearlo. È solo che ultimamente mi pare che la critica “extraparlamentare” o fuori dal coro, che spesso si dice al servizio della vera letteratura, faccia per contro sempre più queste due cose: o 1) fa opposizione dura, politica o anche semplicemente stronza, contro un certo tipo di autore che o ha già potere editoriale oppure sex appeal nelle vendite, o fa il guru nazional-popolare, o mi sta sul cazzo per partito preso; o 2) mette in discussione i gusti del pubblico dicendo: voi lettori non capite un cazzo, perché invece di De Luca avreste dovuto leggere l’immenso [*nome d’autore sconosciuto ma comunque “amico mio”*] oppure [*nome d’autore di nicchia morto da almeno vent’anni*] senza quasi mai cambiare di una virgola il corso della letteratura, perché un autore di nicchia lo è spesso in quanto, pur sognando il successo, lui per primo scriveva per pochi.
Raramente si recensisce un libro solo perché è bello e ben scritto, e senza una storia o un certo autore o un ufficio stampa dietro. Forse perché per quelli che sono i gusti oggi, un libro senza un autore o una storia (una storia extra letteraria da aggiungere a quella letteraria per darle peso) non ci basta quasi più. È come se più entrassimo nel mondo digitale e meno fossimo capaci di perderci nella fantasia di un’opera: e credo dipenda dal fatto che il mondo digitale ci sta educando male, non a spaziare fra infinte possibilità ma a scegliere fra opzioni già date, non a spaziare nel testo ma a nutrirci di scandali e fake news, appena un titolo a sensazione e una foto ammiccante. Insomma, di parole se ne scrivono anche troppe, così ci serve il gossip per dargli vita. Da cui deriva a volte un punto 3), il più insidioso di tutti proprio perché scaturisce in un ambiente che si dice “puro e duro”: quando qualcuno scopre finalmente un autore piccolo ma bravo e ne sposa non i libri, ma “la causa” di affermarsi. Da allora è tutto un pullulare entusiastico, ancora una volta “politico” e spesso acritico di recensioni che presto lo porteranno nelle hit “blasonate”, lì dove ogni autore vuole stare, ma senza più riguardo né per l’opera né per la sua crescita artistica, che richiede più tempo di quello che siamo disposti a concedere al successo.
Quindi, prima sono guai se qualcuno esprime un dubbio, diventa subito il nemico numero uno dell’artista! E poi, se l’artista non sforna almeno un capolavoro all’anno da consumare diventa subito un falso mito o ricade direttamente nel punto 1. Ed ecco che senza accorgermene, sto ancora girando intorno al sistema De Luca (ma potrebbe essere anche il sistema Merini o Vivinetto o ecc.) descritto da Paolo nel suo pezzo, e forse aveva ragione lui, c’era proprio bisogno di parlarne.

martedì 5 maggio 2020

in ricordo di un galantuomo

Enzo Cervellera era un uomo timido. Molti questo non lo hanno capito. Era un uomo a suo modo ambizioso ma era anche capace di commuoversi come pochi, anche se spesso si trincerava dietro quella sua aria severa da professore. Era anche un gran rompiscatole quando voleva, ma era una persona onesta, talvolta rigido e sempre eccessivamente severo e rigido con se stesso. Negli ultimi anni di malattia aveva scoperto delle debolezze in sé che non riusciva ad accettare e per questo si era chiuso in se stesso, non usciva più di casa. Amava la scrittura, gli aneddoti, sapeva recitare Dante come pochi altri, e andava fiero dei suoi amici. Era l’ultimo rimasto del suo gruppo e questo lo faceva soffrire. Una volta parlando di loro, di Franco, Peppe e Tuccio mi disse con grande malinconia nella voce: «Sono stato un uomo fortunato, perché ho conosciuto persone di grande prestigio e intelligenza che mi hanno voluto bene, e io ne ho voluto a loro». Altre volte mi esortava a non essere pigro, a non accontentarmi, a non finire come lui per mancanza di ambizioni. Mi ricordo che il mio primo libro lo volle presentare lui e mentre ne parlava gli tremavano le mani per il nervosismo. Aveva dedicato tutta la sua vita all’insegnamento e proprio per questo aveva scommesso tutto sui giovani. Nessuno lo sa, ma quando abbiamo aperto Pietre Vive, Enzo mi ha dato una grossa mano economica ad avviare il progetto e senza chiedere nulla in cambio. Era appena uscito dal suo primo ricovero ospedaliero e mi disse che quello era il suo investimento sul futuro. In cambio leggeva in anteprima tutti i libri da noi pubblicati. Mi ha dato, credo, più di quanto ho dato io a lui, e non sarò il solo a dirlo. Proprio per questo Enzo si meritava un funerale migliore di quello a numero chiuso che gli verrà dedicato domani. Lui mi avrebbe risposto che non c’era da preoccuparsi, perché il tempo è un galantuomo e separerà il grano dalla crusca. Ma qui l’unico galantuomo era proprio lui.

effetti collaterali

Nuovi incontri in posta. Una signora vicino a me si mette a spiegare alle vecchiette in fila per la pensione gli effetti collaterali del coronavirus: se te lo pigli ti si spaccano i polmoni, diventi scemo, ti viene l'orticaria e pure i geloni ai piedi! Le signore sconvolte si fanno il segno della croce da sopra la mascherina. 
Poi la signora aggiunge sottovoce: Che io, io lo so che il Signore è grande e se lo prende quello lì (indica un uomo poco distante da noi) quello è una malerba e se lo merita! Però lo sappiamo come va il mondo e allora è capace che lui no e invece me lo prendo io il virus, che non ho mai fatto male a nessuno! Ecco, se mi viene a me la malattia, allora quando lo vedo glielo devo dire al Signore, che io ti voglio bene ma quello che mi hai fatto è peccato proprio. Le signore davanti a lei, commosse, fanno sì con la testa.

lunedì 4 maggio 2020

fase due

Dopo un mese di silenzio il distributore mi ha fatto un ordine. Mentre stampavo il DDT mi sono messo a piangere.

domenica 3 maggio 2020

dignità

Delle volte mi viene voglia di capire com’è che in Italia ci sono giornali o riviste o siti che si dicono compagni, o perlomeno illuminati, e dopo sette anni che pubblichiamo libri – non brutti, non inutili – ci trattano ancora da poppanti, o meglio ancora da invisibili: non un saluto, non un cenno, non uno sguardo, nemmeno distratto. “Ma dici a me?” ti rispondono se provi a contattarli. Sempre che ti rispondano. È successo persino per un libro che parla della dignità del lavoro, argomento centrale della fase 2. Il libro è uscito nel 2019, ma vale più leggere quello che ascoltare le stronzate di Renzi. 
Così, pian piano perdi le speranze, un po’ ti carichi di malumori e ti dici: Mah, forse sono io che non so promuovere i miei libri, forse è quello che pubblico che cozza col mercato, forse davvero ogni spazio è saturo e strapparlo ad altri richiede un tipo di rabbia che mi manca. Forse è un po’ tutto questo messo insieme, così ti colpevolizzi oltre misura e ti passa la voglia di essere quello che sei. Fatto sta che un bel giorno di quello stesso libro sul lavoro si parla su una rivista online in Messico, la settimana dopo te lo ritrovi recensito a Pechino, dove a nessuno davvero importa nulla di te. Molto del merito è del lavoro dell’instancabile Valeria Raimondi, curatrice del volume. Ma per quanto uno cerchi di razionalizzare le cose a un certo punto ti chiedi: ma com’è possibile, ma davvero in Cina sì e in Italia non c’è mai spazio? Eh, ma tu sei invisibile! Ma Gesù, quanti editori di poesia ci sono in Italia? Cinquanta? E c'è così poco spazio che si deve sgomitare fra cinquanta? Io ci credo davvero nella dignità del mio lavoro. Ma certi giorni mi piacerebbe sapere a che età si diventa grandi in questo Paese, quando cioè ci verrà riconosciuto uno spazio semplicemente perché quello che facciamo è fatto bene, e non perché si chiedono o si fanno favori personali. La vera dignità è quella, e io per ora l’ho sfiorata, ma sfiorarla non mi basta.

volergli bene

Stanotte ho sognato di andare a un concerto di Bruno Lauzi. Dopo il concerto io con altri ci siamo fermati a parlare con lui e in qualche modo sono riuscito a mettere in atto tutte le gaffe che potevo per far brutta figura (dallo scrivergli male il mio nome su un foglio al ricordargli che sua moglie era morta quando non era morta affatto). Andrea Gianfrate, che era con me, a un certo punto per scusarmi ha cominciato a dirgli: “Lo perdoni, è mancino”. Mi sentivo insomma come Rosso Malpelo, condannato al male dal mio DNA. Ma Lauzi, incredibilmente tranquillo, se la rideva. A un certo punto gli ho chiesto se non gli dispiacesse non essere considerato un genio come De André o Battisti. E lui mi ha risposto questa cosa molto bella: “Certo che mi dispiace, ma si dà troppa importanza a questa storia del genio. Cecco Angiolieri non era e non sarà mai Dante, ma solo lui poteva scrivere S’i fosse foco, e noi gli vogliamo bene per quello.”

venerdì 1 maggio 2020

primo maggio 2020

Non avevo mai considerato, prima di sentire le tante testimonianze di mio fratello e di molti amici insegnanti dispersi fra Piemonte, Lombardia e Veneto, l’enorme e talvolta offensiva attività di semi-strozzinaggio e affitti in nero che c’è dietro l’emigrazione degli insegnanti del Sud, che in molte zone di provincia non solo vengono trattati con atavico sospetto contadino, ma ancora più vengono guardati, più che come persone che vanno lì a guadagnarsi il pane col lavoro, come chi va ad appropriarsi delle poche risorse del territorio e perciò da spremere come limoni, perché quello che prendono rimanga lì e non vada disperso altrove; questo in cambio di case sporche e fatiscenti affittate a prezzi altissimi e mai dichiarati da gente che poi fa la morale sulla legalità e fa da zoccolo duro alla Lega. Solo una volta mio fratello, che sta in Piemonte, si è sentito rivolgere un vero sentimento fraterno da una affittacamere, la quale gli diceva che non dovevano essere più nemici loro due, perché ora c’erano da combattere gli africani e i cinesi che venivano a rubare il lavoro a tutti.