mercoledì 28 febbraio 2024

dove vivi?

La Russia di Putin è fascista. Lo dice Oleg Orlov, due anni di carcere per averlo detto. L’Ucraina anche. Lo hanno detto Putin e anche molti italiani, così come lo dicono degli USA, dove sta per tornare presidente Trump, il quale lo dice dell’America di Biden che lo dice dell’America Trump, mostrando così che gli USA non sono un mostro solo e monolitico, ma due mostri molto fragili, e sempre più schizofrenici. Se l’America è fascista, si dice, lo è pure la Nato. Noi volenti o no siamo Nato, ma dovremmo uscirne si dice. Per andare dove? Anche tutti gli ex paesi sovietici sono un po’ fascisti, per educazione e cultura, vedi l’Ungheria che usa ancora le catene. Loro vogliono essere Nato. Ma allargando il tiro i fascisti li trovi un po’ dovunque. In Brasile, dove fanno le proteste in piazza per riavere Bolsonaro al potere, in Ecuador dove a fare la rivoluzione sono i narcotrafficanti, nell’Israele della strage a Gaza (che certi giorni mi pare sia l’unica cosa che ci passano in TV, insieme all’Ucraina, per non farci vedere tutto il resto), e i fascisti sono in Iran dove la rivoluzione è rientrata e oggi si fanno esecuzioni sommarie per strada, fino a tre impiccati al giorno, mischiando oppositori politici a comuni delinquenti, in Arabia Saudita dove invitano Renzi a parlare di Rinascimento, nella Turchia di Erdogan che mette i giornalisti in galera e poi fa da paciere per gli alleati in guerra, nell’Afghanistan dei Talebani che negano alle donne il diritto di restare umane, in Cina che mischiando comunismo e capitalismo è diventata un mostro a due teste pari agli USA ma molto molto più sano, nella Corea del Nord che pare avere un fascismo giocattolo ma pur sempre armato, e ultimi ma solo perché sono più poveri in più della metà degli stati africani, dalla Libia al Sudan, passando per il Congo che da oggi venderà gas all’Italia, a maggior vantaggio di chi? E l’Italia in tutto questo, mi chiedo, è fascista o no? C’è chi dice che il diavolo non è mai così brutto come lo si dipinge, e anche se abbiamo la Meloni al governo, i saluti fascisti ai raduni dei nostalgici, i pestaggi a morte nelle prigioni, Vannacci che rivendica un best seller, i poliziotti che caricano i ragazzini per strada, oltre a una storia che lasciando anche perdere i Novax può tornare gloriosamente indietro fino alla scuola Diaz, e prima ancora in Val di Susa dove nel silenzio generale dello Stato trattavano i comuni cittadini come terroristi, nonostante tutto questo il fascismo in Italia si dice è “sopravvalutato”, l’Italia nonostante qualche intemperanza col bastone è un paese sano. Sarà pure, io non sono Pasolini, io non so nulla, ma ti chiedo E tu, che ti dici antifascista e poi stai a questo mondo convinto che non serve guardare la trave nel tuo occhio quando puoi fissare la pagliuzza nell’occhio del tuo vicino fascista, e intanto paghi le tasse allo stato fascista in questa Europa serva e fascista, in un sistema economico fascista mentre fai la spesa nella catena sotto casa, e vai al lavoro, voti, viaggi, e se ti riesce fai dei figli, un mutuo, fai dei progetti per il futuro in questo mondo così tanto fascista da farti schifo, tu di preciso che non lo sei, non ti ci senti, non ci stai, tu per sentirti così innocente e puro, così fuori dal sistema-trappola, mi sai dire di preciso dove vivi?

piccole bugie

Certe volte mi accorgo di essere anche io affetto dalle piccole vanità comuni che mi portano a raccontare piccole bugie per tirarmela, come quando racconto che riesco persino a guadagnare qualcosa dal mio lavoro di editore, mentre in realtà non guadagno praticamente nulla. Vivo in assoluto pareggio, come un monaco zen. Dio però, quando c’è, punisce la menzogna e come al solito se la prende coi più piccoli. Oggi ad esempio, subito dopo aver detto una di queste bugie, mi sono accorto che si è rotta la caldaia, e mentre me ne accorgevo mi sono ricordato di chi sono e mi sono detto: Azzo, e adesso questa chi la paga?

martedì 27 febbraio 2024

sogno della scritta sul muro

Stanotte ho sognato che un tipo mi scriveva sul muro di casa INTELLETTUALI E LETTERATI / ANDATE A CACARE SOPRA I PRATI. La gente, passando davanti a casa mia ne era deliziata, al punto che mi sono detto perché no? Ho preso la frase e l’ho usata come titolo di un libro. Il qualche ha avuto un tale successo che è schizzato ai primi posti in classifica. La gente non si capacitava che riuscivo a dire così tanta verità intorno alle persone di cultura, un musicista addirittura ci metteva la musica e ne faceva una canzone sul cui testo percepivo i diritti. Insomma, con questa storia dei prati ero diventato ricco. Poi, come in ogni noir che si rispetti, il tipo che aveva scritto la frase ricompariva per chiedermi la sua parte. Io gli avevo rubato l’idea. A quel punto preso dal dubbio contattavo gli unici due avvocati che conosco, Giuseppe Quaranta e Fabio Macaluso. Giuseppe mi diceva con la sua voce calda “io capisco come ti senti, però eticamente, e anche artisticamente, non sarebbe giusto approfittarsi così della creazione di un altro, senza nemmeno riconoscergli qualcosa, io sarei per patteggiare una piccola percentuale in nome della verità e dell’arte”. Fabio invece in siciliano mi diceva “Antonio, quello è un cretino, qua ci penso io”. Finiva che Fabio denunciava il tipo per avermi scritto la frase sul muro, e poi facendo un giro assurdo nei suoi ragionamenti avvocatizi diceva che quel graffito era la prova che i versi li avevo scritti io mentre il tipo mi aveva copiato per diffamarmi, perché solo un cretino scrive una frase offensiva sopra il muro di casa e visto che io non ero un cretino e la frase l’avevo pensata io era ovvio che a scriverla era stato un altro che proprio perché scriveva certe frasi si rivelava molto pericoloso. E concludeva l’arringa con quest’altra rima: CONTRO IL POTERE DELLA SCRITTURA / QUI SERVE MAGGIORE CENSURA, al che tutti in tribunale si alzavano per applaudire. Finiva che il tipo che aveva inventato la frase andava in galera e io mi tenevo i soldi con qualche perplessità.

domenica 25 febbraio 2024

cattivo seme

Mauvaise Graine (1934) di Billy Wilder è il primo film da lui diretto, girato in Francia prima di trasferirsi negli Stati Uniti per dare avvio a una carriera di grandissimo prestigio. Il titolo italiano della pellicola, Amore che redime, non rende giustizia all'originale che sta per Cattivo seme. Senza fare troppo spoiler, l'opera è incentrata sulle avventure di un ladro d'auto ed è piena di inseguimenti su strada con la polizia. Insomma, dove finisce questo film comincia À bout de souffle di Godard che lo avrà visto e certamente amato.

le mani sporche

Di Esterno Notte (2022) di Marco Bellocchio, qualcuno ha già evidenziato il paragone messo in scena sull’ossessione per le mani di Moro e Cossiga, con la figura di Aldo Moro (Gifuni) che è ossessionata dall’igiene sua e della famiglia, e lava le mani puntigliosamente, e Francesco Cossiga (Alesi) che matura una forma di disturbo delirante per cui continua a vedersele macchiate sul dorso, anche se non c’è nulla, interpretando le macchie come segno di malattia e di prossima morte. Non è però, come qualcuno ha detto, il confronto fra una figura “ripulita” dallo sporco del potere contro una che ha le mani insanguinate, perché in entrambi i casi si può rasentare una forma di ossessione patologica. Entrambe le figure patiscono interiormente lo “sporco” senza riuscire a liberarsene. E Cossiga, psicologicamente più debole, lo interpreta come presagio di morte perché nelle ore del rapimento tende a identificarsi con Moro: lo sporco sulle mani crea una sorta di correlativo oggettivo fra i due. Nessuno invece mi pare abbia segnalato come, in un ulteriore possibile paragone, l’unica figura a sporcarsi realmente è quella di Andreotti (Contri) che alla notizia del rapimento di Moro è colto da violenta emozione, corre in bagno dove ha un attacco di vomito e si sporca i vestiti. È una scena molto forte, uno perché mette in scena un Andreotti (che generalmente è visto come un animale a sangue freddo, vedi Il divo di Sorrentino) per la prima e unica volta emotivamente scosso, e due perché lordandosi è come se assumesse su di sé, sul proprio corpo, con la sua reazione viscerale, tutto lo sporco che ne verrà sulla DC. Andreotti si lorda per tutti e ne esce, col solito aplomb, chiedendo al suo assistente di procurargli un vestito pulito. Il resto è storia. È curioso ancora constatare come una decina di anni dopo i fatti da cui è tratta l’opera, tale ossessione per le mani (per altro documentata) avrebbe trovato un riscontro, più o meno ironico, nell’operazione Mani pulite.

garboli e il potere

Nel settembre 1972 Cesare Garboli risponde a un articolo di Natalia Ginzburg sul massacro di Monaco, quando dei terroristi palestinesi durante le Olimpiadi assaltarono gli alloggi della squadra israeliana e uccisero tutti gli atleti. La Ginzburg, in quanto ebrea, è combattuta fra le due posizioni, se schierarsi con le vittime dell’attentato o con le motivazioni che hanno mosso i palestinesi, e si pone una serie di questioni – purtroppo mai risolte – su cosa avrebbe fatto lei al posto delle forze potere per trovare una soluzione al conflitto fra i due popoli, concludendo che l’unica scelta di campo che può fare, mancandole il potere di cambiare le cose, è stare dalla parte delle vittime. Garboli, prendendo spunto dalla fine del suo articolo, le risponde che le sue conclusioni sono giuste, ma per le premesse sbagliate: “oggi non si può stare dalla parte di chi fa la storia, ma solo dalla parte di chi la subisce. Un tempo, fino a ieri, si apriva alla coscienza di ciascuno uno spiraglio di speranza: la speranza di collaborare alla storia stando dalla parte giusta. In modo particolare, questa speranza ha celebrato il suo grande momento, si sa, all’indomani del crollo del fascismo, una festa sulla quale il cielo si è rapidamente richiuso. Tutte le generazioni che hanno preceduto la nostra, sia pure confusamente, hanno sempre vissuto nell’illusione, o comunque nell’idea che il mondo potesse cambiare, e che la storia dell’uomo fosse in lento, ma costante progresso. […] Se oggi abbiamo una certezza, è appunto che il mondo non cambierà mai […] che le vittime della storia non potranno mai diventare protagoniste della storia, non potranno mai conquistare e detenere il potere”. E se anche lo conquistassero non cambierebbe nulla, perché l’idea di poter gestire il potere è una semplice illusione. Perché il potere è un male, e praticarlo significa ammalarsene e praticare la volontà del male, non la propria. Essere al potere significa assecondare il potere, quindi non ha senso chiedersi cosa si farebbe avendo il potere in mano, si farebbe esattamente quello che il potere vuole. “Finché si è vittime, si è nel giusto, e si è nel giusto finché si è vittime. Tertium non datur… […] È stato Manzoni il primo, limpido assertore che agire la storia, fare la storia e non subirla, è comunque rendersi complici di un male, diventare corresponsabili di un orrore.” È una visione molto pessimistica la sua, anche influenzata dal periodo storico in cui l’ha scritta, nel pieno degli anni di piombo. E, infatti, rendendosene conto, chiude così: “Qualche volta, se si parte da certe premesse, e si arriva a certe conclusioni, bisogna avere il coraggio del proprio pessimismo fino in fondo”. Cinque anni dopo, alla notizia del rapimento Moro, Garboli d’impulso salì in auto e abbandonò definitivamente Roma, andando a rinchiudersi nella cascina di campagna della sua famiglia in Toscana, dove rimase per il resto dei suoi giorni dedicandosi esclusivamente allo studio e alla scrittura. A pensarci adesso, ricorda un po’ la scelta del poeta latino Orazio.

venerdì 23 febbraio 2024

e se pago?

Signora mi chiama per annunciarmi che vuole pubblicare un libro di poesie. Mi dice che ci ha scelto dopo una lunga selezione, ma il suo precedente editore le ha spillato un mucchio di soldi per cui ha deciso che da adesso in poi non vuole più dare contributi, spera che questo non sia un problema. – Signora, per me non c’è problema, solo tenga conto noi non pubblichiamo tutto ciò che ci arriva, ma solo ciò che ci piace dopo attenta selezione. Quindi lei ci ha scelto e io la ringrazio, ma non è detto che il suo libro ci interessi e che vogliamo pubblicarlo. Prima dobbiamo leggerlo e poi le facciamo sapere. – Nel senso che prima vi devo mandare le poesie? – Sì. – E che se non vi interessa non lo pubblicate? – No. – Ah… E se vi pago?

le presentazioni

Parlo della mia esperienza che quindi è molto relativa. Partecipo a sempre meno presentazioni di libri ma quelle che vedo nella maggior parte dei casi sono frequentate da persone più anziane di me. I giovani mancano. Quelle poche volte che ho visto presentazioni con persone più giovani di me, in maggioranza era quasi sempre nell'ambito della poesia e quasi sempre in ambiti circoscritti alla cerchia che aveva organizzato l'evento, come se facessero gruppo a sé rispetto agli altri. Ogni volta che ci penso mi vengono in mente i laboratori che si fanno a scuola dove quando liberi gli alunni dalla costrizione dei banchi i bambini vanno da una parte della stanza e le bambine dall'altra, coi bambini che in genere fanno più chiasso ma hanno anche più timore di interagire con le bambine.

giovedì 22 febbraio 2024

dalla voce

Giovane autrice con cui avevo parlato l'altro giorno al telefono perché voleva informazioni sulla casa editrice, oggi mi manda la sua proposta editoriale e mi scrive: "...dalla voce al telefono mi sembravi molto giovane, poi ho cercato la tua foto e confesso che sono rimasta un po' delusa, si vede che sei grande!" (Io mi sono immaginato quanto tempo avrà perso per cercare di dirmi che le sembro vecchio senza usare quella parola lì).

mercoledì 21 febbraio 2024

merdacce

Poco fa sono usciti i finalisti di un premio di poesia. Come quasi ogni anno da più o meno dieci anni che esiste quel premio ho partecipato con alcuni titoli della casa editrice e come ogni anno nessuno ha passato la prima selezione. Mi pare ovvio che se per dieci anni nemmeno uno dei vari titoli proposti da vari autori passa le finali non è colpa degli autori ma mia, come editore, perché quella che non piace è evidentemente la mia linea editoriale. Fosse solo questo andrebbe anche bene, magari devo solo ripensare qualcosa, ma se cominci a sommare tutti i premi dove non passi, i giornali o le rassegne che non ti cacano nemmeno di striscio, la gente che non ti paga, tutto ciò che non riesci a dare o perché non ci arrivi col fisico o perché non ce la fai con lo spirito, oltre al fatto che stando dall’altra parte della barricata ciò che altri immaginano soltanto del maleodorante mondo della letteratura io lo vedo coi miei occhi, tutto questo mi toglie ogni entusiasmo e ogni voglia di esserci e di fare. Certi giorni mi manca il passato, quando ero un semplice autore che non sapeva nulla di tutto questo e si faceva bastare di scrivere qualcosa di buono per essere contento di sé. Diventare editore in questo senso è stato il più grosso errore della mia vita, e non perché non mi piaccia fare libri, ma perché fare libri non basta a farmi passare il disgusto per tutto il resto che c'è dietro, tutti che si smerdano addosso e intanto spingono per entrare. Io li osservo e mi chiedo come fanno a non sentirsi stanchi. Prima ho mandato un messaggio ai miei autori per dire che col premio era andata male. Come i tre porcellini delle fiabe, mi hanno risposto uno dietro l’altro. Il primo ha detto: Mafia. Il secondo ha detto: Pace. Il terzo ha detto: Antonio mi raccomando non ti arrendere, tu sei speciale. Sarà. Ma io più che speciale mi sento uno molto normale in un mondo di merdacce.

farsi male

Negli ultimi giorni, sicuramente per farmi molto male, ho visto in loop “Il caso Moro” (Ferrara), “Interno Notte” e “Buongiorno Notte” (Bellocchio) e “Romanzo di una strage” (Giordana). Così stanotte, era quasi inevitabile, ho sognato di vivere in un paese pieno zeppo di vecchi, fra democristiani ed ex-fascisti, assetati di potere che vanno in giro a braccetto con giovani esaltati pronti a “scatenare l’inferno” perché si vedono come proiettati in un film con Russel Crowe ingrassato come si è visto a Sanremo, e che non riescono a costruire un discorso sensato perché non leggono libri ma parlano per frasi fatte e imparate a memoria e se gli rispondi male ti fanno il saluto nazista come per sfotterti e dire che quello sbagliato qui sei tu; e soprattutto con il cadavere di Aldo Moro (ma con la faccia di Gifuni) che spunta da ogni dove dando le mani a chiunque come se fosse sotto elezioni, ma poi passandole con l’amuchina, e annunciando che presto vedrete morirà di nuovo per tutti noi, per salvarci dalla nostra presunzione di crederci migliori o peggiori degli altri, e regalava a tutti la sua foto ricordo da tenere sul comodino.

lunedì 19 febbraio 2024

vita da chi-te-lo-fa-fare

Vita da chi-te-lo-fa-fare. Oggi avrei dovuto lavorare a un libro, ma ho finito per passare il pomeriggio a insultarmi con uno che non mi vuole pagare un mazzo di fatture alto così per dei libri venduti ma mai saldati e continuava a rigirare la frittata da ogni dove, col volto gesuitico di chi sa tutto ma pur sapendo tutto non sa niente, fino al punto di insinuare che se non mi vuole pagare è colpa mia che non insisto abbastanza. – E che dovrei fare? Venire a cercarti con una pistola? Rapinarti? – Magari, mi faceva, almeno posso intascare l'assicurazione.

da zia

Giardini pubblici. Entra una ragazza assai avvenente coi jeans attillatissimi. Quando gli passa accanto, un ragazzo seduto alla panchina con una bambina vicino si piega in avanti, facendo finta di sistemare il laccio delle scarpe, per guardarle meglio il culo. La bambina allora si allunga verso di lui e gli mena uno schiaffo a dita aperte nell'occhio. Il ragazzo si tira indietro lamentandosi a voce alta e chiede che c'è. – Da zia! – risponde la bambina. Si vede che il ragazzo è recidivo.

domenica 18 febbraio 2024

gratitudine

Sono molto grato all'uomo che è in me perché stanotte mi ha fatto sognare di incontrare mio padre. Un po' meno all'editor che è in me perché mentre lo facevo continuava a correggermi i refusi.

la pungitura

Ogni tanto mi capita di sentirmi dare dell’arrogante (o dello stronzo) per i post in cui sfotto alcuni autori che si propongono. Così volevo dire che a parte il fatto che non è un genere che ho inventato io e nemmeno altri editori, anzi era già praticato prima ancora che nascesse l’editoria (se qualcuno se la ricorda, la satira 9 di Orazio è già un buon esempio); a parte il fatto che quasi mai mi permetto di giudicare o dileggiare pubblicamente il contenuto dei manoscritti proposti, proprio perché so quanto lavoro e coinvolgimento emotivo c’è dietro persino l’opera più modesta, quindi se mi esprimo è soltanto su metodi di approccio più o meno molesti o rivelatori, mai sulle opere in sé (e in questo se permettete mi sento più signore di altri che stanno sempre a cacare veleno sui testi di chi non gli piace come persona); ma delle volte ho proprio l’impressione che quelli che più si irritano per certi miei post siano coloro che nella sostanza hanno uno stile di approccio molto simile a ciò di cui scrivo, per cui magari non gli frega nulla dell’onore offeso dell’autore o autrice di turno, ma si sentono toccati in quel qualcosa che li riguarda loro malgrado. Quella che il mio amico Nannino il brasiliano chiamava “la pungitura”.

sabato 17 febbraio 2024

appunti sulla solitudine del satiro - 2

Le ultime pagine della "Solitudine del Satiro", scritte fra settembre e novembre 1972 per il Corriere della Sera, sono fra le più politiche, personali e malinconiche di Flaiano e meritano uno scritto a sé. Il primo di questi quattro articoli, 3 settembre, è anche (nella prima parte) fra i più citati dai suoi estimatori. Comincia così: “Appartengo alla minoranza silenziosa” e prosegue con la descrizione di uno stato in cui la chiarezza non esiste, la verità non esiste, “la linea più breve fra due punti è l’arabesco” e prosegue col dialogo con Maccari in cui divide l’Italia fra fascisti e antifascisti, dove per ciascuna delle due categorie la causa è soltanto una scusa per esprimere la propria intima violenza: “Ossia ognuno vuole la sua versione della libertà, che consiste nel sopprimere quella dell’altro. La libertà comunemente intesa, quella per esempio di esprimere le proprie opinioni, è una cosa da disprezzare perché bene o male l’abbiamo.” Il pezzo termina con un commento amaro a un film di Ferreri appena uscito, “La cagna”, tratto da un suo racconto, "Melampus", in cui Flaiano (che avrebbe voluto farne un film diretto da lui, senza riuscirci) diceva di non riconoscersi: “Eccomi dunque decaduto dalla mia qualità di autore”. L’articolo del 10 settembre è scritto dal festival del cinema di Venezia ed è una fantasia che parte (dice) da una lettera anonima: Chaplin, ospite del festival, viene omaggiato dai tanti registi italiani (De Sica, Antonioni, Zavattini, Fellini, Ferreri, “unico assente giustificato Visconti”) che da lui hanno attinto per il proprio cinema. In realtà non ci andò nessuno a omaggiarlo il “vecchiaccio”, ma leggendo, a parte l’ovvia espressione d’amore per uno dei padri del cinema, c’è il sospetto è che nelle sue parole Flaiano, che tanto al cinema sentiva di aver dato come sceneggiatore, si stia riferendo anche un po’ a se stesso: malato e prossimo alla morte, non si fece vedere nessuno. L’articolo del 28 ottobre comincia con un viaggio a Napoli (“Vi interessa un po’ di contrabbando?” chiede un giovanotto accostandosi alla macchina di Flaiano, a cui invece serve un’informazione stradale; “Sigarette o droga?” chiede Flaiano incuriosito, “No. Orologi svizzeri”, che costano un milione ma ci può accordare per ventimila lire) e prosegue con una presa per il culo di una famiglia di contestatori che non sa che mettersi per andare a una manifestazione per rifare la società, che è in tutto e per tutto una anticipazione di “Quando è moda è moda” di Gaber. Chiude il pezzo del 5 novembre, in cui Flaiano ricorda il suo arrivo a Roma da bambino, cinquant’anni prima, per andare in collegio. Era la Roma del 1922, la Roma della gran festa fascista dove qualcuno aveva danneggiato la statua della Giustizia, manomessa della bilancia sostituita da una spada, evidente simbolo fallico, si vendevano in farmacia i preservativi marca Fascio e Ardito, i bordelli erano all’apice della loro fortuna e anche se nelle scuole i ragazzini facevano la caricatura di Mussolini, la città conquistata era pervasa da un’euforia sessuale che metteva da parte ogni razionalità in vista della grande orgia che si annunciava. È uno scritto acuto e malinconico l’ultimo pubblicato da Flaiano, che un pochino anticipa (ma senza nessuna carica necrofila) alcuni temi del prossimo “Salò” di Pasolini nell’indicare il preciso connubio fra potere e liberazione sessuale che si fa caricatura grottesca e spesso si esprime in violenza (per tornare al dialogo con Maccari), e soprattutto sembra riflettere e agganciarsi all’ultimo film di Fellini, chiamato appunto “Roma”, un film che probabilmente Flaiano sentiva anche suo, in cui in parte si riconosceva pur non avendovi partecipato e a cui forse avrebbe voluto partecipare, ricucendo magari un’amicizia rovinata dal successo, prima dell’ultimo saluto.

venerdì 16 febbraio 2024

appunti sulla solitudine del satiro - 1

 Per molto tempo hanno definito “La solitudine del Satiro” di Ennio Flaiano un libro inclassificabile. Lui lo costruì mettendo insieme una serie di articoli scritti per vari giornali (da Il Mondo al Corriere della Sera) con cui collaborò a uscite settimanali o bisettimanali e quasi ininterrottamente dal 1956 al 1972. Ogni articolo è costituito da una serie di frammenti di carattere personale – fra apologhi, sogni, ricordi, battute, malumori, opinioni su libri o film visti o realizzati, considerazioni sul mondo della scrittura e dell’arte, del costume, sulla società che cambia, sulla vita in genere o attraverso alcuni ritratti particolari – che formano nel loro insieme (conta più l’atmosfera generale che la singola battuta per cui Flaiano resta famoso) una sorta di immenso diario di viaggio, dove la differenza la fa il “tu” a cui vengono indirizzati. Perché i diari si scrivono quasi sempre per se stessi o per un “tu” ipotetico che sono la storia e i posteri; mentre i testi contenuti in questo libro sono stati scritti per un pubblico anche molto vasto, per un “tu” che sta dall’altra parte del giornale, da qualcuno che rimane al di qua della pagina. Un pubblico di cui non conosce il volto, le abitudini, che lo legge, ride con lui, ma non lo vede per com’è davvero, parla con lui ma senza guardarlo negli occhi, da cui “la solitudine” di chi si racconta. Alla fine viene da pensare che “La solitudine del Satiro” fosse inclassificabile soltanto perché venne pubblicato quando ancora non esistevano i social. Se faceste una raccolta di post dalla bacheca di un uomo interessante, con punte di cupezza ma pieno di humor, settimana dono settimana per circa quindici anni, post che raccontano la sua vita e i suoi pensieri sull’arte e sul mondo, credo non si avrebbe qualcosa di molto diverso da questo libro. Ed è un motivo per cui pur affrontando fatti così lontani nel tempo appare ancora oggi così moderno, così fresco e incisivo. L’altro motivo è lo stile della sua scrittura. C’è una pagina molto bella in cui Flaiano racconta della discussione con un amico che lo rimprovera di usare uno stile troppo nitido, poco avventuroso ed elaborato, poco sperimentale. Flaiano risponde che lo stile sperimentale che cerca l’amico è già nelle parlate quotidiane di ogni italiano, nelle cui bocche si rimpastano dialettismi e termini colti ripescati dalla memoria, dalla pubblicità o dalle canzoni, regionalismi, tic e gergalità varie, fino a creare una lingua unica e irripetibile per ciascuno. Tutto questo se portato sulla pagina spesso suona falso, goffo, ma è semplicemente un’imitazione, mentre la pura chiarezza del testo, che non esiste in natura, quella sì che è veramente sperimentale, perché nella sua ricercata chiarità è già astratta. Non databile. A proposito di tempo, c’è un piccolo non detto che chiude questo libro, che si muove a cadenze ben definite fino a gennaio 1972, poi c’è un vuoto di circa sette mesi, e riprende coi suoi ultimi quattro articoli fra settembre e novembre 1972, quando Flaiano già malato muore. Tutto è immaginabile di quel vuoto, eppure, dopo aver famigliarizzato con lui così a lungo, non si può fare a meno di chiederselo (ed è ancora, mi accorgo, una curiosità molto social, che rifugge il pudore, ma vive di picchi emotivi): dov’è finito, che avrà visto e pensato Flaiano in quel buco di sette mesi in cui si preparava morire? O meglio ancora, cosa avrebbe scritto Flaiano nella sua ultima estate?

giovedì 15 febbraio 2024

se il clima cambia

A metà febbraio noto che le lucertole in giardino sono già sveglie e guizzanti in anticipo di più di un mese sul loro ciclo naturale*, intanto alcune piante nell'orto si seccano perché fra troppo caldo o vengono su striminzite e bisogna annaffiarle anche quanto normalmente non servirebbe. Non piove e stamattina il sedano fiaccato crolla il capo in avanti. E io non so se questo surriscaldamento è causato da un problema umano (come pure credo) o naturale, fatto sta che queste cose le vedo, non mi servono gli scenziati o i telegiornali per capire che qualcosa sta cambiando. Uno dei punti su cui lottano gli agricoltori in protesta è che i costi di produzione aumentano e quindi per mantenere bassi i prezzi per i consumatori si importano prodotti dall'estero privi di controllo. Ma se il clima cambia fino al punto che determinate colture non avranno più un clima adeguato da noi, è giocoforza che la loro coltivazione si sposterà altrove. Così comincio a immaginare il giorno in cui dovremo comprarci le arance e i limoni importati (a che prezzo?) dal Nordeuropa o dall'Asia, e degli agrumeti del Sud resterà soltanto la leggenda conservata in qualche libro o poesia, o nelle vecchie commedie all'italiana ambientate in Sicilia. Insomma, più folklore che sapore.

*Un nostro detto popolare diceva: “A Nnunziete tutte i virme nzippene a chepe”: all’Annunciazione – cioè il 25 marzo – tutti gli insetti si risvegliano.

mercoledì 14 febbraio 2024

agendina

Una bella poesia non fa certo un poeta, però se è bella lo è indipendentemente da chi l’ha scritta. Così funziona o dovrebbe funzionare per i libri. Un bel libro non fa certo uno scrittore, ma persino nel suo essere un singolo caso, se funziona funziona. Invece mi pare che valga sempre più il discorso che le colpe dei padri debbano ricadere sui loro figli, anche alla faccia dell’onestà intellettuale. A un altro livello vale anche per me come editore, quando mi accorgo che si fa finta di non vedere un mio autore, anche se è bravo, per il semplice fatto che se l’editore è piccolo non fa blasone. Piccolo autore + piccolo editore (in questo tempo piccolo) non fa nessun clamore. E a chi importa la bellezza di un pensiero, di una immagine o di un verso, se non puoi infilarla tra i contatti utili nell’agendina di Minà?

martedì 13 febbraio 2024

cafone

Autore che mi scrive per lamentarsi che mesi fa mi aveva mandato in visione un manoscritto e non gli ho mai risposto. – Mi scusi, ma se ha letto il regolamento sul nostro sito saprà che è molto più di un anno che scoraggiamo l’invio di proposte. Non rispondiamo per mancanza di tempo. – Eh però il tempo per rispondermi ora lo ha trovato. Lei è cafone due volte! – Ineccepibile.

lunedì 12 febbraio 2024

per carlo

Prima non volevo farlo, poi ci sono andato. I sensi di colpa ci fregano sempre, mi ha detto Adriano. Nonostante la morte, l’espressione di Carlo era serena. C’era un pubblico bellissimo, tutto fatto di attori, teatranti, amici, servi di scena, il miglior pubblico per un addio a un regista. E ogni volto che vedevo mi ricordava uno spettacolo, da Cechov a Molière, dalla commedia dell’arte a Goethe a Brecht. Vita e teatro si confondevano. Nel ricordare mi sono commosso. Ho messo sul piatto della bilancia tutto ciò che Carlo mi ha lasciato, Brecht per cominciare, ma anche Heiner Müller, Schnitzler, Tommaso Urselli, e alcuni altri libri che mi passava come per caso, in maniera quasi svagata, ma studiatissima, dicendomi: Questo ti piacerà. Faceva sempre così Carlo, amava condividere tutto ciò che aveva, dal castagnaccio che preparava con le sue mani ai libri, tuoi o di altri. Perché se qualcosa gli piaceva difficilmente la teneva per sé, piuttosto la regalava. Ed era un segno di rispetto, voleva dire che quel libro non era fatto per stare chiuso in casa ad ammuffire, ma doveva girare, farsi leggere, conoscere. Insomma, era inutile fargli le dediche, non erano quelle a toccarlo. L’ultima volta che abbiamo parlato di libri mi disse che stava rileggendo I promessi sposi di Manzoni. È un libro magnifico, mi ha detto, ma io mi sono augurato che non provasse a regalarmelo. Mentre oggi sulla sua bara, tra i fiori, donatogli non so da chi, c’era un testo di Molière tradotto da Cesare Garboli. Il misantropo. Quello gliel’ho invidiato, ecco un libro perfetto da portarsi dietro nella morte. C’è un passaggio di quell’opera che dice: «Il mio corpo è il mio io, e solo io me ne voglio prender cura. / È uno “straccio”, è vero lo ammetto, ma lo straccio mi è caro». Che è tutto ciò che Carlo ha messo in pratica con un rigore e una coerenza estremi, portando nella vita il suo teatro.

sabato 10 febbraio 2024

vittimismo

Siccome sono poeta come tutti, conosco anch’io, come tutti, l’autocommiserazione, quel particolare sentimento per cui si arriva a credere, e dire apertamente, che ci escludono, che siamo incompresi e messi da parte da un sistema che non riconosce i nostri meriti. Un po’ è vero, intendiamoci, e un po’ è vittimismo, che capisco. Capisco un pochino meno un autore che sta sempre a lamentarsi di essere vittima del sistema e dei poteri occulti che ci governano, ma contro cui lotta lanciando i suoi strali da un’assai poco democratico social network dove una volta scrisse “basta, sono avvilito e me ne vado”, per quel post prese più di 2500 like e il giorno dopo era già tornato; oppure dice di essere stato fatto fuori dall’ingrato sistema editoriale, poi però lo vedi pubblicare non per qualche scalcagnato micro-editore indipendente, ma per case editrici di prestigio e di sistema come Einaudi, Il Saggiatore e Feltrinelli. Tant’è, conosco il mondo e le prendo come classiche contraddizioni di un ego artistico irrequieto e sensibile, e visto che non è uno scemo e scrive anche cose molto belle lo leggo sempre con piacere, mettendo da parte certe sue uscite che non condivido. Ciò detto, quelli che proprio non arrivo a capire sono coloro che gli vanno dietro adoranti e lo incensano e difendono come un vate, senza prendere mai un minimo di distanza critica. I suoi 2500 lettori. Ma veramente non si accorgono che il re, come ogni re che si rispetti, qualche volta è nudo e si contraddice nei suoi stessi atteggiamenti come tutti noi comuni mortali? O lo vedono e restano zitti? E se restano zitti, perché? E soprattutto, a questo punto, in quale contro-sistema vivono?

venerdì 9 febbraio 2024

coriandoli

Poco fa, mentre rientravo, ho visto un gatto randagio che ultimamente gira su via Cisternino e se ne stava accucciato su un cuscino di coriandoli ammucchiati dopo la sfilata di ieri che gli facevano un bel caldo sotto le zampine. Ho pensato che più felice di un bambino che festeggia il carnevale c'è solo un clochard che si prende gli avanzi della festa.

giovedì 8 febbraio 2024

agricoltori

Sarò un sempliciotto, lo so, ma quando vedo in TV gli agricoltori che protestano penso che i loro problemi sono in buona parte gli stessi che vivo anch’io. Il costo della carta è triplicato, la distribuzione mangia il 60% del prezzo di copertina del libro, e i librai mi dicono che per essere concorrenziale sul mercato dovrei abbassare i prezzi perché il lettore 12 euro per un mio libro non li spende. Infatti il lettore/consumatore a parole è dalla mia parte ma nei fatti preferisce comprare i libri delle grandi case editrici perché costano “relativamente” meno e sono pubblicizzati meglio. Ogni tanto, certo, scoppia qualche scandalo su come vengono gestite le cose nelle stanze del potere editoriale, ma nella sostanza dopo l’indignazione dei primi due giorni, tutto ritorna esattamente come prima e l’unico che la prende in quel posto sono io, piccolo editore che lavora come un mulo intorno al libro e se va bene ha un ritorno del 10-15% sul prezzo di copertina, dove praticamente tutti – meno forse l’autore, che in questa storia è paragonabile alla mucca da latte o al grano concimato nei campi – campano sul libro che ha prodotto lui. In tutto questo, una soluzione proposta dall’Europa è quella di sostituire le mucche e il grano con gli insetti, che consumano poco e si lamentano meno mentre li sbricioli in farina da mangiare, oppure ne fai carta per i libri.

mercoledì 7 febbraio 2024

ultimo atto

Ieri il maestro Carlo Formigoni ha messo in scena la sua ultima grande rappresentazione. Lo ha fatto in grande pur con la povertà di mezzi che contraddistingue il suo teatro, nel pieno del clamore sanremese che così poco aveva a che fare con lui. Ieri, per tutto il pomeriggio e in serata, i suoi amici hanno continuato a chiamarsi per parlarne con la voce che tremava, le mani che tremavano, rattristati e commossi eppure, senza quasi ammetterlo per pudore, ammirati da quest’uscita di scena che a suo modo è arte. La cronaca è nota dai giornali per cui non si fa peccato a parlarne, del resto era stata accuratamente predisposta dallo stesso maestro. Ieri mattina Carlo ha chiamato un taxi, si è fatto lasciare da solo su una certa spiaggia dicendo al tassista che aspettava degli amici, ha aperto il suo seggiolino di fronte al mare, si è spogliato nudo e si è trascinato in acqua. Nel pomeriggio dei passanti hanno trovato i suoi vestiti ripiegati sul seggiolino, le scarpe ben disposte lì accanto, un libro di poesie su cui era segnato a matita il suo nome, un numero di telefono da chiamare e con un segnalibro che fermava una poesia di Mario Luzi. Le sue stampelle erano in acqua, a poca distanza dalla riva. I passanti hanno fatto il numero e allertato i suoi amici. Stamattina hanno trovato il corpo, l’ho appena sentito al Tg, col giornalista che sbagliando lo ha chiamato “Luigi Formigoni”, aggiungendo che “non era di queste parti”. Uniche due macchie su questo ultimo atto così perfetto, lirico e drammatico insieme, a metà fra il giallo metafisico e un qualche film coreano, per come profuma di Oriente, sia nella meticolosità dei gesti che preludono alla fine attraverso un atto estetico di purificazione sia nella scelta di perdersi in mare. Carlo non era nato qui, certo, ma aveva scelto di vivere e morire qui, di essere se stesso qui. C’è un documentario su Patrizia Cavalli in cui lei dice a un certo punto che le persone chiave che ti portano a vivere la tua vera vita sono pochissime, le conti sulle dita di una mano. Parlo per me e non solo per me, Carlo, con tutti i suoi pregi e difetti, è stata una di quelle persone chiave, da quel lontanissimo giorno in cui senza nemmeno conoscermi, senza sapere chi fossi o se ne fossi in grado, ma solo per aver letto un mio libro e per essersi fidato del suo istinto, mi chiamò al telefono e mi disse: “Buongiorno, sono Carlo Formigoni, vorrei che scrivessi uno spettacolo per me”. È una lezione che non mi sono più scordato.

domenica 4 febbraio 2024

ucronia sud

Nel giro di dieci minuti mi sono capitati sotto gli occhi prima un video di Vincenzo De Luca che rimprovera al Governo (col vivo tradimento di alcuni politici meridionali, Fitto in testa) l'autonomia differenziata e il fatto che afosserà definitivamente il Sud già di suo abbandonato anche dai suoi stessi cittadini, e subito dopo un articolo in cui si dice che il potenziamento digitale che in pochi anni rivoluzionerà il mondo del lavoro ha un costo in termini di pura semplice energia: ne servirà il triplo di quella che si consuma attualmente a un prezzo maggiore, perché dove c'è domanda i costi aumentano. Si pensa già a costruire nuove centrali nucleari in nome di chatGPT. E io, che sono una persona semplice senza nessuna base di economia spicciola, mi sono chiesto qui nel sud affossato come si faranno a pagare le bollette necessarie per fare la rivoluzione digitale, se ancora ci mancano le basi, i treni e le strade. Probabilmente, nel sud abbadonato, mi sono immaginato che ci costruiranno le centrali nucleari utili a tutto il Paese, e forse allora ci daranno anche le ferrovie che finora ci sono mancate. È una piccola ucronia, lo so. Mi è scattata in mente, per associazione, perché ieri sera parlavo con un mio amico che lavora all'Ilva e mi descriveva il totale abbandono, anche morale, che si respira nella struttura oramai abbandonata a se stessa nell'attesa che succeda qualcosa per intervento divino. Io spero che ne facciano qualcosa, anche solo che la chiudano, mi ha detto, perché se ti facessi vedere lo stato di manutenzione di certe aree, ti dico che basterebbe una fuga di gas per far saltare in aria tutta Taranto. Ucronia portami via.

sabato 3 febbraio 2024

mappe poetiche

Ho appena deciso di fare anche io la mappatura poetica dei residenti in via Araldo di Crollalanza n.38 a Locorotondo (ex via della Resistenza) e ci ho messo dentro una trentina di gatti anonimi più alcuni altri fra cui vanno ricordati almeno il gatto Cesare, il gatto Matisse che prendeva sonno soltanto sulle mie gambe e il gatto Mao che una volta per punirmi di un affronto mi fece la cacca nelle scarpe, il riccetto che per alcune notti venne davanti alla porta di casa reclamando un piatto di pasta come quello nella celebre poesia di Montale, varie specie di uccelli e di fiori, dai ceci e pasta alle rose, oltre ovviamente ai tre cedri che sono qui da prima ancora che nascessi, al limone piantato da mio padre e alla magnolia davanti alla finestra che ogni volta che fiorisce mi pompa sangue in cuore e il campo che si allunga dietro casa fino alla pineta di Geppino che ora non più ma un tempo nelle sere d'estate suonava la batteria fino a tardi e ogni volta mi chiamava per chiedermi se si sentiva e mi raccontava di quella volta che Vasco gli aveva proposto di suonare con lui. Ce ne sono a milioni di creature poetiche qui e tutte vengono prima di me. Perché se è vero che i poeti sono quelli che scrivono i versi è anche vero che i versi li fanno gli elementi che ci ispirano. Il poeta è solo un mezzo, la poesia scorre attraverso di lui, come l'acqua in un tubo, e certo se il tubo è buono l'acqua scorre meglio, non fa strani rumori e quando la bevi dal rubinetto è pulita. Ma, seriamente, voi fareste mai la mappatura delle tubature di casa?

sogno del vecchio

C’è un sogno che continuo a fare in queste notti, dove cammino sul bordo di un lungo tratto di strada, non ha marciapiede, ma lo devo assolutamente percorrere per recuperare un quadro che mi hanno rubato da casa. Le auto mi sfrecciano accanto a una velocità paurosa e io vorrei sbrigarmi, mettermi al riparo, ma ho un problema alla gamba, è come intorpidita, per cui zoppico vistosamente, sono lento e impacciato. Dall’altra parte della strada mi accorgo di un vecchio che viene aggredito e derubato da alcuni bambini, urlano divertiti mentre lo strattonano per le orecchie e gli danno calci sulle costole. Lo sento urlare di dolore, vorrei aiutarlo, ma con le auto in corsa e quella mia gamba fessa non sono in grado di attraversare. Così mi rassegno e sto lì a guardarlo a lungo mentre viene picchiato con brutalità, ridicolizzato e spogliato di tutto. Li vedo anche fissarmi di rimando e ho paura per me, ma mi sento tranquillizzato dal fatto che con tutto quel traffico a separarmi da loro non verranno mai a prendermi. Così mi volto e faccio finta di non sentire le grida disperate del vecchio che piano piano si spengono mentre cerco di arrivare al quadro prima che sparisca del tutto.

venerdì 2 febbraio 2024

perché ci è andato?

Ultimamente le uniche cose decenti che mi capita di vedere (o che perlomeno mi convincono abbastanza da vederle per intero) sono i documentari. Ieri è capitato con “We Are the World: la notte che ha cambiato il pop” che è un film su come è nata la celebre canzone. Non è un capolavoro ma è molto carino, soprattutto perché restituisce un fondo di umanità a ogni protagonista di quella serata, a partire da Michael Jackson che risulta bizzarro ma anche insolitamente simpatico, fino a Cindy Lauper, matta e strepitosa, e a Sheila E che venne chiamata nella speranza di avvicinare Prince e poi quando capì di essere stata usata se ne andò con tutte le ragioni per essere delusa e arrabbiata. Bob Dylan, la cui performance costituisce effettivamente la parte più bella del film, è un caso a parte, tanto da generare negli anni il celebre meme che lo rappresenta come sfasato in mezzo agli altri, unico a non cantare nel coro. La scena in cui lo convincono a interpretare le sue strofe è bellissima. Resta però il mistero. È chiaro come il sole che non si sta divertendo, anche perché Dylan odiava quel genere di situazioni pace e amore e le evitava dai primi anni Sessanta, ma allora per quale motivo ci è andato? Come lo avranno convinto?

le chiamate

Come succede sempre in questo periodo dell’anno mi arrivano le chiamate per le supplenze del personale ATA alle cui liste sono iscritto. Quello che mi lascia perplesso ogni volta è come queste chiamate arrivino spesso il giorno stesso della supplenza. Tipo mi arriva l'email alle 7.40 e mi dicono che si è liberato un posto nella tot scuola e se sei interessato devi presentarti lì entro le 8.30. Hai insomma mezz’ora per mollare tutto e correre lì con gli altri 70-80 indicati in lista e il primo che arriva lo prendono, gli altri grazie possono tornare a casa. I più scafati mi dicono che è proforma obbligatorio e si sa già chi prenderà servizio. Mio fratello che nella scuola ci lavora mi dice che presentarsi non fa mai male. Ma mollare tutto per correre dove ti chiamano all’ultimo minuto penso possa farlo solo chi non ha alternative, chi altrimenti si sveglierebbe, senza lavoro, per andare in villa a guardare il cielo. Adesso è molto più comodo perché ti mandano l’email, ma mi ha fatto pensare che in fondo è lo stesso metodo che si usava fino al secolo scorso per i braccianti agricoli, quando ci si radunava in piazza la mattina presto e si veniva chiamati a giornata per andare nei campi. I più fortunati quel giorno mangiavano, gli altri tornavano a casa a mani vuote.

giovedì 1 febbraio 2024

manifesti

Il maestro Mansueto che mi sgama a leggere tutto concentrato i manifesti dei morti. – Rassegnati Antonio, non ci sei. Goditi il sole!