lunedì 31 dicembre 2018

ultima foto del 2018 (in ricordo)

incompletezza

Kōyü, il religioso, dice: solo una persona di limitato intendimento desidera sistemare le cose in serie complete. Desiderabile è l’incompletezza. In ogni cosa l’uniformità è sconsigliabile. Un tempo era obbligatorio lasciare nei palazzi un’ala incompiuta. Senza eccezioni. 

(Kenkō, Ore d'ozio)

domenica 30 dicembre 2018

kukkétte

Kukkétte parève citta citte 
invece jère na radio. 
Mu sò sunnéte ca passève pu kéne 
a i duò de notte i me kiamève: 
“Nà! líscete kèsse, ca te pièsce. Jè sópe a vìte!” 
I jère na poesíje ca s’à purtéve mpólte da trent’ànne 
sèmpe a stèsse. Jí m’à lescève agne volte 
i può ce respunnève: “Franco, 
nna sò capíte nudde. Ma me pièsce”. 
Kukkétte redève citta citte i può 
ne sce cukàvene. 


Traduzione.

Cucchetto pareva zitto zitto
invece era una radio.
Me lo sono sognato che passava col cane
alle due di notte e mi chiamava:
“Nà! Leggiti questa che ti piace. È sulla vita!”
ed era una poesia che si portava in tasca da trent’anni
sempre la stessa. Io la leggevo ogni volta
e poi gli rispondevo: “Franco,
non ci ho capito nulla. Ma mi piace.”
Cucchetto rideva zitto zitto e poi
ci andavamo a coricare.

propositi per l'anno nuovo

così

L’anno se ne va così,
silenzioso
si allontana.

Al vecchio anno
segue il nuovo,
come bastone acuminato.

(Takahama Kyoshi)


«Cose che passano così: una barca a vela, gli anni della vita di ognuno, la primavera, l’estate, l’autunno, l’inverno».

(Sei Shōnagon)

venerdì 28 dicembre 2018

quando il re è nudo (ma nessuno glielo dice)

In genere, per “deformazione professionale”, ormai alle presentazioni sto sempre da una parte sola, quella di chi presenta o al massimo è presentato. Ieri mi è capitato di essere alla presentazione del libro di un amico, seduto nelle ultime file, e mi sono ritrovato a scoprire come si sta dall’altra parte del fosso. Così, vi dico, a destra mi sono ritrovato una signora, raffreddatissima, che continuava a soffiarsi il naso con una pezza intrisa di muco mentre faceva ricerche sul cellulare sui tumori al cervello; dall’altra parte avevo una giovane ragazza con suo figlio che continuava a ripeterle, agitandosi e scherzando: “Mamma, non è vero che ho scoreggiato”, cosa palesemente non vera, vista l’aria che tirava. In tutto questo, io che credevo di essere quello serio e compito del gruppo, mezz’ora dopo, al pub, sono stato redarguito da un altro amico di andarmene in giro con la cerniera dei pantaloni aperta. Ecco, tutto questo per dire – a parte l’ovvia lezione morale – che stamattina mi sono ritrovato a immaginare a tutte le volte che potrei aver presentato un libro con la cerniera aperta. Se così è stato e non me lo avete detto, siete delle brutte persone.

giovedì 27 dicembre 2018

sulla fiducia

Stasera, visto che siamo bravissimi a trascurare i vivi ma altrettanto bravi a riesumare i morti, stasera sognavo le cose bellissime che diranno di me quando sarò estinto, a cominciare dal fatto che sapevo inventare storie e scrivere grandi poesie, e nonostante il fatto che le poesie “si appendano un po’ ai coglioni” come mi ha detto con sincerità e affetto un mio amico, poche ore fa, comprando un mio libro sulla fiducia.

jannacci 1968!


Uno dei dischi di Enzo Jannacci di cui più si sentiva la mancanza era il 33 giri di Vengo anch’io. No, tu no, registrato e pubblicato nel 1968 ma mai ristampato in CD. Quest’album conteneva vari pezzi importanti del suo repertorio, dalla traccia omonima a Ho visto un re (che esprimevano tutta la carica più irriverente e per certi versi “insurrezionale” di Jannacci insieme a Dario Fo), da Giovanni telegrafista a Non finirà mai, fin alla famigerata La mia moroso la va alla fonte da cui attinse De André per la sua Via del Campo. Alcuni di questi pezzi era possibile ascoltarli smembrati fra varie antologie; di altri si trovavano tracce in giro ma a una qualità audio scarsissima. Di recente, sul canale YouTube di Jannacci (QUI) è comparsa una playlist con tutte le registrazioni effettuate dal Nostro nel 1968, dunque con tutte le tracce di quel disco più alcune outtakes (in verità pezzi minori ma ugualmente divertenti, come Il terzino d’Olanda) che è possibile ascoltare a una qualità audio perlomeno decente. Per un fan è davvero tanto. Il miracolo adesso, per me, sarebbe un’operazione analoga sul periodo Durium di Gino Paoli e sui dischi dell’ultimo Sergio Endrigo.

domenica 23 dicembre 2018

tu sei mio amico?

Nei casotti vari delle ultime settimane mi sono completamente dimenticato di segnalare che sul numero di novembre della rivista online Versante ripido era uscito un mio racconto inedito (QUI) che parla di tradimento e vendetta, argomenti che ben si confanno allo spirito più cruento del Natale. Scherzi a parte mi sembrava giusto segnalarlo, almeno prima dell'uscita del numero di dicembre, ringraziando la redazione per l'ospitalità. Poi, visto che mi dicono che sono un disastro nell'autopromuovermi, ne approfitto per ricordare che di miei racconti è uscita anche questa raccolta curata da Giovanni Turi per Stilo Editrice chiamata "La nostra voce non si spezza" (QUI). Lo so che a Natale si predilogo i libri di Bruno Vespa e le ricette della ex-Clerici-ora-Isoardi, ma alcuni amici mi dicono che lo stanno usando come regalo per Natale. Pensa te!

sabato 22 dicembre 2018

la paura del colore

Mi è appena tornato in mente questo ricordo. Una volta a scuola, quando ero bambino, stavo disegnando con molto impegno ma con eccessiva paura di sbagliare. Il maestro si avvicinò e mi disse: “Non bisogna avere paura del colore.” Quella frase per me fu illuminante. Chi ha paura dei pezzi sulla scacchiera, non giocherà mai grandi partite.

venerdì 21 dicembre 2018

chiedere aiuto

Adriano Celentano: "Una volta mi sono avvicinato a Totò, mi viene ancora adesso il sangue alla testa quando ci penso, e gli ho detto: "Eccellenza, io so imitare Jerry Lewis, per favore potrebbe fare qualcosa per me?". E lui era un grosso attore, non si è fermato neanche un momento, mi ha detto solo: "Ma che vuoi", senza neanche guardarmi. Ero rosso di vergogna e gli ho detto: "Ha ragione, eccellenza, non voglio niente". Così da quel momento non ho mai più chiesto aiuto a nessuno. Ecco."

[da una intervista del 1964 con Natalia Aspesi, in: Gianfranco Manfredi, Quelli che cantano dentro nei dischi, Coniglio editore, 2004]

menomale

Oggi una ragazza mi fa: “Cazzo, se scrivi da Dio. Se soltanto fossi bello quanto la tua scrittura…”
“Chiudi gli occhi” le ho detto.
Lei ha riso. “Menomale che sei simpatico.”
Apposto.

la frase dell'anno

"Lillo, rispondi al telefono!" è al primo posto come frase dell'anno.
Al secondo posto c'è: "Scusi, lei è Vitantonio?"

l'autore e il suo doppio

Il mio amico Toni mi dice che secondo lui il mio racconto Lettera a un editor più che a un altro è stato scritto da me stesso a me stesso, perché sono un personaggio bipolare: in realtà l'autore che c'è in me vuole e cerca ripetutamente di uccidere e soverchiare l'editore, che resiste e per vendetta lo schernisce nei mille ritratti di sfigati che ronzano intorno alla casa editrice. Interessante teoria, su cui continuo a rimuginare.

giovedì 20 dicembre 2018

ciao ti dirò





la pappa del gatto

Ieri ho capito una cosa, che a volte gli autori che ti scrivono sono maleducati non perché sono nati cafoni, ma proprio perché sono stati educati male. Nel senso che sono cresciuti in un ambiente editoriale dove i libri di poesia coi piccoli editori li pubblicavi sempre a pagamento e quindi, se ti pago, pretendo. Adesso che in qualche modo sta cambiando l'ambiente editoriale e l'editoria seria, per quanto piccola, tende nella direzione etica ma per certi versi masochistica e destinata al fallimento finanziario della pubblicazione gratutita, tutti vogliono la pubblicazione gratuita ma continuano a trattare te e molti tuoi colleghi, indiscriminatamente, come editori a pagamento: cioè, io non pago, ma pretendo, perché in qualche modo mi ricordo che si fa così. Che è un po' lo stesso meccanismo che anima i miei gatti per la pappa, e guai a cambiare loro il piatto.

mercoledì 19 dicembre 2018

se sapeste

Se voi comuni stipendiati sapeste la fatica che dobbiamo fare noi scalzacani della cultura per farci pagare un lavoro, come minimo, quando ci vedete passare per strada, dovreste abbracciarci forte, possibilmente offrire un bignè.

note sul commissario magrelli

«Tranne pochi casi, tranne qualche eccezione, i gialli sono incantevoli passatempi. Basta mettersi d’accordo: per me la letteratura non serve a passare il tempo, cioè ad ‘ammazzarlo’ (tanto per restare in tema). La mia non vuole essere una visione elitaria, ma di ricerca. Pur condividendo con la narrativa d’intrattenimento il rispetto per la comunicazione con il lettore, per me letteratura significa altro.» Lo dice Valerio Magrelli in una intervista uscita oggi sul Libraio, a proposito del suo ultimo libro che però è, effettivamente, un passatempo, nulla di più e nulla di meno. Rispetto molto Magrelli e mi piace e difendo la sua continua voglia di fregarsene degli status e di sperimentare (in ogni caso lo pubblica Einaudi, quindi che problema c'è). Ciò premesso, del Commissario Magrelli, al di là del fatto che mi fa molta simpatia non si può dire altro e aggiungo, anche se immagino sia successo per motivi commerciali, che per me è stato un bene che non sia stato inserito ne Le cavie, antologia che raccoglie tutte le sue poesie. Sarebbe stato un ultimo capitolo in minore che Magrelli poeta non si merita.

martedì 18 dicembre 2018

bye bye love

Sto ascoltando Dark Horse (1974) di George Harrison, che molti critici indicano come il suo lavoro peggiore perché è “cantato male”. Eppure, se si legge la storia dell'album, si scopre che Harrison all'epoca dell'incisione era fatto di coca e alcol dalla mattina alla sera, pieno di debiti e problemi legali, reduce da uno dei peggiori tour di sempre (stroncato dalla critica per l’uso di strumentazione indiana che “annoiava” il pubblico), sua moglie Patty lo stava lasciando per il suo miglior amico Eric Clapton e in più, mentre incideva, gli era venuta una brutta laringite. Insomma un disastro al limite dell’autodistruzione, alcune canzoni infatti alludono al suicidio. Mi fa strano che negli stessi anni Neil Young realizzasse un disco altrettanto "stonato" (Tonight's the Night) che col tempo è stato rivalutato come un capolavoro maledetto del rock, mentre questo disco, altrettanto maledetto anche se meno importante, continua a venire snobbato come brutto, pur contenendo invece delle buone canzoni. Evidentemente a un ex-Beatle si poteva perdonare tutto, meno che cantare male.
Una nota in particolare merita la cover di Bye Bye Love degli Everly Brothers. Nei crediti sul disco, con un certo masochismo, accanto a Harrison sono inseriti Eric Clapton alla chitarra e Patty Boyd ai cori. La canzone in realtà fu incisa dal solo Harrison che suona tutti gli strumenti in una notte di follia a Los Angeles.

lo stronzo del martedì mattina

Quello che ti manda un manoscritto a fine ottobre, poi ti chiama nervoso perché, dopo tutto questo tempo, ancora non lo hai letto ("Pensavo che foste più seri! dovrò segnalarvi a Writer's Dream!") e ti chiede dopo, quasi concedendoti il perdono: "Va bene, lasciamo perdere, che dice, ce la facciamo ad andare in stampa per gennaio?". Quando gli dici che hai già il tuo piano editoriale pronto per l'anno prossimo e, anche a piacerti il suo libro, non si parlerebbe di pubblicare prima del 2020, si incazza sul serio, ti chiama "pezzente" e dice che ha sbagliato a fidarsi di un editore da quattro soldi. Dice che si rivolgerà a un altro e ti diffida da provare a usare il materiale che ti ha mandato, magari cambiando il nome dell'autore. Non è divertente, non lo sembra nemmeno, ed è la già la seconda chiamata di questo tenore questo mese. Ogni tanto mi chiedo chi me lo fa fare.

altro che gio evan!

Fabrizio Corona viene lasciato da Asia Argento con un messaggio in cui lei gli manda il video di una canzone (Adius) di un autore sconosciuto ai comuni mortali (Piero Ciampi) che di sicuro le avrà fatto conoscere Morgan. Ne parla con viva commozione da Giletti. Altro che Gio Evan, qui si fa sul serio! Questa è la tv-kitsch che ci piace.
A me personalmente piace come Ciampi stona con Giletti, con la tv che fa, ahivoglia a dire che è solo una canzone, non c'entra nulla col contesto, né con la faccia di Corona!

domenica 16 dicembre 2018

i miei dieci consigli di libri di poesia per il natale (poi fate come vi pare)

L’altro giorno ho visto un post con 10 consigli di libri di poesia che è possibile regalare e regalarsi a Natale. Il gusto è gusto e leggere poesia fa sempre bene, ma alcuni titoli consigliati mi hanno fatto strano, per cui, solo per mio diletto, vi propongo i miei titoli. A Natale vincono i classici, però nemmeno voglio consigliare le ovvietà: non vi servo io per comprarvi la Anedda, Arminio, Magrelli o De Angelis; nemmeno nomino Pierluigi Cappello, ma solo perché credo abbia già scavato una sua nicchia speciale nel cuore di tutti, per cui non si può ignorarlo. Io dunque, per quel che vale, vi dico: 
1) Cosa resta di Walter Cremonte (Aguaplano, 2018); 
2) Per chi fa turni di notte di Beppe Costa (Pellicano, 2017); 
3) Non si può imporre il colore a una rosa di Francesco Tomada (Carteggi Letterari, 2016); 
4) I costruttori di vulcani di Carlo Bordini (Sossella, 2014), anche se è da poco uscito per lo stesso editore La difesa berlinese (2018) che è una raccolta di romanzi; 
5) Peace and Love di Simone Cattaneo (ll ponte del Sale, 2012); 
Sono tutti volumi a carattere antologico, non pubblicati dalle major, e rappresentano autori che vanno “in direzione ostinata e contraria”, per un debole mio verso questo tipo di avventurieri in versi, forse, ma perché in fondo piacciono a tutti. Volendo indicare almeno un paio di libri di autori che (per me) vanno scoperti o riscoperti, perché ne vale la pena, vi dico: 
6) A ogni passo del sempre (Aragno, 2013) oppure Luogo del sigillo (Fallone, 2017) di Alfonso Guida, che è probabilmente il miglior poeta della mia generazione qui a Sud (se dire a sud ha ancora valore, ma per me sì); 
7) Cossa vustu che te diga di Giacomo Sandron (Samuele, 2014); Sandron è un poeta veneto che scrive in dialetto, muovendosi nella stessa scia di altri illustri vicini come Franzin e Tomada, ma con una qualità in più che spesso manca ai friulani: è capace di autoironia spesso surreale e strabordante, e sa farti fa ridere di gusto; 
8) L’imperfezione dei cardini (Le voci della luna, 2009) di Antonio Bassano, libro primo e unico di un poeta di grandissimo talento che ha scelto il silenzio, non so se si trovi ancora in giro ma se lo trovate prendetelo, perché è sempre bello leggerlo; 
Infine, per arrivare a dieci con almeno due classici-classici, dico: 
9) La ristampa di Ritorno a Planaval di Stefano Dal Bianco (LietoColle, 2018); 
10) Shakespeare in scena tradotto da Patrizia Cavalli per Nottetempo (2016): Shakesperare è il classico dei classici, la Cavalli lo traduce con una freschezza notevole, e con grande rispetto per la parte “poetica” della faccenda; 
10-bis) Bonus, volendo esagerare: Ad nòta di Raffaello Baldini (Sugarman, 2016), che è il libro “scomparso” di Baldini, cioè l’unico suo non ripubblicato da Einaudi, ed possibile acquistare solo in formato ebook, ma costa poco (2,50 euro) ed è curato, se mai servisse come incentivo, da Paolo Nori.
PS. Mi dicono che un titolo o due della mia lista potrebbero essere difficili da trovare, così aggiungo anche: Madreterra Madreterna di Lino Angiuli (Quorum, 2018) che è appena uscito. Io non l'ho ancora visto ma Lino, in generale, è sempre una garanzia.

gli americani alle fogge di barnaba


Fra i pochi ricordi condivisi da mia nonna con noi bambini il più importante riguardava l’arrivo degli americani alle Fogge di Barnaba. Nonno era prigioniero in Albania e lei lo aspettava in quella loro casa in campagna, da cui si allontanava solo la domenica, a piedi, per raggiungere il paese per la messa. I soldati americani arrivarono in un gran polverone che toglieva il fiato e seccava la gola. Si fermarono davanti alla sua porta e in una lingua torbida, e a gesti, le chiesero dell’acqua, per poi riposare un poco sotto l’albero vicino alla pila delle bestie, prima di riprendere la marcia. Anni dopo mia nonna li ricordava ancora con gli occhi spalancati e la bocca che tremava. Era l’arrivo del futuro quello, annunciatole da quei soldati in una lingua tanto incomprensibile per lei quanto il latino della messa. In quella lingua oscura le dicevano di tenersi pronta, perché li seguiva un tempo nuovo e feroce che avrebbe divorato il suo tempo chiuso, miserabile e felice delle Fogge di Barnaba, quel tempo che presto l’avrebbe schiacciata al suolo. Mia nonna annuiva con gentilezza e un po’ di paura, ma non conosceva quella lingua, e per questo ci mise molti anni a capire le sventure che avrebbe portato.

giovedì 13 dicembre 2018

la stessa persona

Oggi pomeriggio mi chiama una giornalista Rai che si è interessata a me per il mio ultimo libro di poesie, Bestiario Fiorito, e mi ha fatto una intervista di 40 minuti per vedere se si può tirarne fuori o no un servizio per una cosa che andrà in onda l'anno prossimo. Io scherzando le ho detto: "Ma come diavolo avete fatto ad accorgervi di uno microscopico come me?" E lei: "Non credere, noi qui facciamo le nostre ricerche e siamo sempre informati su tutto e tutti!" Ho scoperto così che il Grande Fratello e la Rai sono la stessa persona.

respiro

bucolica

So che le recensioni sono necessarie a tutti, ma proprio per questo i critici letterari che occupano il poco spazio sui giornali esclusimante per scrivere di quanto è bello l'ultimo titolo Adelphi (prendo un editore serio a caso), mi fanno un po' l'effetto bucolico del pastorello che, trascurando il gregge, di fronte alla vastità dei cielo esclama "Che meraviglia!". Ci vuol ben poco a decantare una realtà editoriale solida e di qualità riconosciuta, la differenza la farebbe ricordarsi ogni tanto di guardare in basso.

mercoledì 12 dicembre 2018

una fede profonda nella dieta vegetariana

Racconta Kenko che viveva in Tsukushi un tale, una sorta di comandante di zona, il quale, fidando nelle virtù miracolose dei rafani bianchi, da molti anni tutte le mattine se ne mangiava due arrostiti.
Un giorno dei nemici, cogliendo il momento che il forte era incustodito, attaccarono di sorpresa, circondarono il presidio e irruppero all’assalto: ma ecco che dall’interno avanzarono due guerrieri che si batterono con sprezzo della vita fino a che gli aggressori non furono tutti ricacciati indietro.
Attonito, l’ufficiale chiese ai due: «Avete combattuto con tale valore! Chi siete voi signori, che non ho mai avuto l’onore d’incontrare in questi luoghi?» «Siamo i rafani in cui per anni hai confidato, mangiandoci ogni mattina». Detto questo, scomparvero. 
Simili miracoli capitano sicuramente a chi ha una fede profonda nella propria dieta vegetariana.

martedì 11 dicembre 2018

al ricordo di quella palpitante bellezza

In una casa fatiscente, che mai nessuno frequentava, viveva nel tedio dell’ozio una dama, che si era ritirata lì avendo buoni motivi per guardarsi dai rapporti sociali. Un certo gentiluomo pensò di farle visita e una sera che la luna si intravedeva appena, si recò a trovarla in segreto. All’allarme fragoroso di un cane si presentò una inserviente a chiedere da dove venisse: egli si fece subito annunciare ed entrò. Si respirava un senso di abbandono e si domandò com’ella facesse a vivere in quelle condizioni: davvero stringeva il cuore. Sostò un poco sulla misera veranda quando qualcuno, con voce giovane ed educata, disse: «Prego, da questa parte». Entrò per una porta che scorreva a fatica. L’interno invece, non era così desolante: sul fondo riluceva appena la luce fioca di un lume, ma in quella penombra si coglieva lo splendore degli arredi; aleggiava poi un profumo non dovuto a cure frettolose: era una dimora davvero accogliente. 
Una voce disse: «Chiudete bene il cancello, potrebbe piovere! Sistemate la carrozza sotto al portale. Il seguito del signore può fermarsi laggiù». Allora qualcuno piano piano bisbigliò: «Questa notte dormiremo sonni tranquilli»: nella piccola casa quel segreto sussurro si era, pur impercettibilmente, udito. 
Egli le raccontò ogni dettaglio di ciò che era successo in quel periodo, quando, nella notte ancora fonda, il primo gallo cantò. Appassionato, le parlò allora del passato e del futuro, ma di nuovo il gallo cantò fervoroso più e più volte. Ascoltò attento, nel dubbio che fosse già l’alba, ma quello non era un luogo da cui bisognasse allontanarsi in fretta, in piena notte. Si trattenne tranquillo ancora un poco, e quando le fessure si fecero chiare di luce, andò via, dicendole che mai l’avrebbe dimenticata. 
In quell’alba d’aprile, sulle cime degli alberi e nel giardino, ovunque rifulgeva l’incanto del verde novello: si dice che ancor oggi quel gentiluomo, se si trova a passare di lì, al ricordo di quella palpitante bellezza, accompagni con lo sguardo l’imponente siliquastro fin quando non scompare alla vista. 

Kenkō, Ore d'ozio, trad. Luisa Randazzo, Marsilio 2014

la poesia civile

Riporto questo pensiero di Stefano Dal Bianco che non sono sicuro di aver capito in pieno (per metà mi sembrano cose molto sensate e intelligenti e per metà stronzate), ma che mi pare c’entrare molto con alcuni discorsi che abbiamo già affrontato in merito alla poesia civile: 
«La cosiddetta poesia civile, quella più implicata con il mondo dei significati, ha poco senso perché nel migliore dei casi ci dice ciò che già sappiamo, e questo mi pare un compito ben povero per una poesia. Soltanto chi non ha niente da dire si preoccupa di quello che scriverà. La poesia vera non può che nascere da un mondo soggettivo talmente saldo nei suoi presupposti psichici che non ha bisogno di pensare o badare a se stesso, come non ha bisogno di dire “io sto qui e non li”, oppure “io penso questo e non quello”, ecc. Soltanto chi ha già tutto può permettersi il lusso (necessario) di essere generoso. I poeti assillati dal bisogno di dire qualcosa sono quelli cui manca qualcosa di fondamentale: soggetti non risolti che non sono in grado di provocare una crescita della realtà ma subiscono le proprie idiosincrasie e i propri squilibri. Questi vanno in cerca di qualcosa di troppo effimero e di troppo soggettivo per esserci utili veramente: non escono da sé stessi.» 
Su una cosa però sono molto d’accordo con Dal Bianco: che non è poesia civile quella che nasce dalla voglia di “dichiarare” dove si sta; ma è poesia civile quella che nasce da un bisogno assoluto e sempre assai personale, dall’intima necessità di denunciare una ingiustizia talmente grande che ti si aggrovigliano le viscere e ti pervade la rabbia sorda di chi e non puoi star zitto, ma allo stesso tempo questa rabbia è fredda, metodica, la incanali in versi, la esprimi in canto, fino a farla diventare, se il canto è buono, voce di tutti. Non sono chiacchiere mie, la nostra storia è piena di esempi. Ma chissà dove è finito questo tipo di rabbia nella poesia civile italiana di oggi.

domenica 9 dicembre 2018

gli oggetti indifferenti

Dopo che gli altri si sono quietati nel sonno, per passare il tempo nelle lunghe notti riordino come capita le mie cose, e mentre straccio e butto via carte che non desidero rimangano, se trovo delle prove di calligrafia o uno schizzo buttato giù per divertimento da persone che non ci sono più, con che vivezza quei giorni rivivono in me! Ma anche la lettera di una persona ancora in vita, se è passato molto tempo, mi fa pensare alle circostanze e al tempo in cui fu scritta, e mi commuovo. È davvero triste che gli oggetti personali, un tempo familiari a chi li usava, rimangano immutati nel tempo, indifferenti. 

Kenkō, Ore d'ozio, trad. Luisa Randazzo, Marsilio 2014

sabato 8 dicembre 2018

ovunque vi sono meraviglie

Si dice che i fiori d’arancio facciano ricordare il passato, ma il profumo del susino riesce a evocare ben più lontane nostalgie. C’è poi il sobrio colore delle kerrie, la morbida vaghezza del glicine: ovunque vi sono meraviglie che non lasciano indifferenti. 

Kenkō, Ore d'ozio, trad. Luisa Randazzo, Marsilio 2014.

concomitanza

La cosa straordinaria di oggi, pensavo, è la concomitanza a Roma della Manifestazione della Lega e di Più Libri Più Liberi, due forme di cultura spesso in antitesi, di cui si parla sempre troppo, ma che nella sostanza sono inutili allo stesso modo per salvare questo Paese.

venerdì 7 dicembre 2018

la salvietta

Dopo una presentazione sono fermo alla fermata del bus per tornarmene casa. Mi si avvicina un vecchietto simpatico e mite che sbuffa senza pace mentre si trascina dietro due pesanti borse di tela piene di roba, e tanto per ammazzare il tempo mentre aspettiamo, attacca bottone con me e la bidella di una scuola che viene da un paese qui vicino, lamentandosi del freddo delle nostre zone e raccontandoci come nella sua città, a Bari, di oggi si mangia il baccalà con le olive, un sapore che gli manca tanto da quando sua moglie è morta e ogni viaggio verso casa è solamente un ritorno a metà. Il pullman è in ritardo. Parliamo a lungo, lui ride spesso con una particolare malinconia nello sguardo che mi attrae, deve aver sofferto tanto, poi, a un certo punto si avvicina alla fermata un ragazzetto di colore con le cuffie nelle orecchie e incappottato in un vecchio piumino rosso che risalta in maniera esagerata. Non ci conosce ma si avvicina a noi con un gran sorriso e dice “Buonasera, amico! Buonasera!” e mi dà la mano che stringo. Ci prova anche con il vecchio che però gli fissa il palmo e non ricambia, poi si va a mettere dietro di noi, contro un palo, tutto perso nella sua musica. “Tieni” mi dice il vecchietto e mi passa una salvietta umida che tira fuori da una scatola che tiene in una delle borse di tela che si porta appresso. Prendo la salvietta ma non capisco subito cosa voglia dire. Poi afferro, è per pulirmi la mano. “Questi negri ormai sono dappertutto” mi dice, fissando il ragazzetto senza paura di farsi sentire. “Salvini ha ragione!” aggiunge, alzando la voce. “Non mi piace Salvini” gli rispondo con tutta la diplomazia di cui sono capace. “Sono troppi, sono dappertutto. C’è bisogno di una regolata” dice ancora il vecchio. “Guarda quanti furti ci sono adesso in giro, non puoi distrarti che ti rubano la macchina, ti entrano in casa e sono sempre loro. Lo leggevo oggi sul Corriere. Ti entrano in casa come niente, questi negri. Le negre no, sono brave e si danno da fare, ma i loro maschi sono tutti delinquenti matricolati”. Io lo fisso imbarazzato, non riconosco più il malinconico vedovo di dieci minuti fa. Una persona così carina che usa la parola negro con una tale violenza repressa che non so descrivere. Sono educato e faccio finta di nulla, continuo a parlargli del tempo, degli orari scombinati dei pullman, si uniscono a noi anche la bidella e un altro paio di persone, ma evito di usare la salvietta. Quando arriva il pullman, il vecchio sollevato saluta quelli intorno, me compreso, con molta gentilezza, ringraziandoci tutti per la compagnia, e a tutti stringe la mano prima di raccogliere le sue borse. A tutti meno che a me. La mia mano non la tocca.

il fascino struggente delle cose

A chi invece, avido di vita, è restio a lasciare questo mondo, anche un’esistenza che durasse mille anni parrebbe il sogno di una notte. D’altronde, a che giova, in questo mondo in cui non si può vivere in eterno, arrivare ad avere il miserabile aspetto che dà la vecchiaia? Quando si vive a lungo, molte sono le offese che si debbono subire. La cosa migliore sarebbe morire al più tardi prima di aver raggiunto i quarant’anni. Superata quella soglia, viene meno il senso di vergogna per il proprio aspetto e ci si mostra in giro, desiderosi della compagnia degli altri; nel crepuscolo della vita ci si affeziona a figli e nipoti, e ci si augura di vivere sino a quando li si vedrà affermati: con lo spirito sprofondato nei desideri terreni non si è più neppure in grado di sentire il fascino struggente delle cose, e ciò è deplorevole. 

Kenko, Ore d'ozio, trad. Luisa Randazzo, Marsilio 2014