giovedì 30 dicembre 2021

la conta

Oggi, per una ricerca bibliografica, mi sono ritrovato a contare le volte che ritorna la parola «luce» in Guerra e Pace di Tolstoj: 133 volte in poco meno di 1500 pagine complessive! In media una volta ogni dieci pagine circa: sono tante, ma non te ne accorgi subito. L’ho trovata una bella metafora del periodo di «guerra» teso alla «pace» che stiamo vivendo. Nel senso che se non smettiamo di cercarla, persino in questa storia che sembra molto più grande di noi, la luce prima o poi ritornerà a mostrarsi.

cercare guai

Stamattina ho chiamato in tipografia e come ogni volta che mi succede mi riempio di ansia per il futuro e mi rendo conto – toccando il problema con mano – di come stia terminando un’epoca della piccola editoria. Il meccanismo era già alla frutta da tempo, ma il periodo storico sta dando il colpo di grazia. Il costo della carta, come di tutte le materie prime, è in continuo aumento. Giorno per giorno. Non solo, sta diventando difficile trovarla. A Natale abbiamo rischiato di non fare uscire un libro perché non si trovava la carta per stamparlo. Io non so che succederà in altri campi della piccola editoria – narrativa, saggistica, fumetto: quelli che contano – ma per quello di cui mi occupo io, la poesia, che come tutti sanno non ha veri margini di guadagno e si mantiene in equilibrio precario e appassionato fra perdite ed entrate, potrebbe essere la fine di quel piccolissimo fronte di editoria NO EAP (come lo chiamano) che si era creato fra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo e che già traballava prima ancora del Covid. Semplicemente, a un certo punto i costi di produzione surclasseranno i guadagni e non ce la si farà più a stare sul mercato. Si tornerà probabilmente tutti a pagare gli editori per pubblicare le proprie raccolte, o compartecipando alle spese come del resto già si fa, o si andrà avanti ad e-book oppure, come già stanno tentando alcuni editori e distributori, col print on demand: stampando i libri al risparmio (spesso su carte di cacca) su richiesta dei reali acquirenti e senza più costi di magazzino. Se ti chiedono cinque copie stamperai cinque copie. Se l’autore non ha soldi da spendere per l’editore e nessuno vuole leggere il suo libro con il print on demand non si stamperà nessuna copia. I più cocciuti andranno avanti a PDF che prenderanno il posto dei vecchi ciclostilati. Diventerà ancora più dura, per ogni autore che conti solo sul proprio talento, crearsi un percorso editoriale verso le grandi case editrici, già blindatissime. Del resto i corsi di editoria sono i primi a insegnartelo e scoraggiarti come possono: chi vuol fare l’editore si guardi bene dal pubblicare poesia! Se lo fa investa al massimo su di un titolo all’anno per assecondare il suo vizio. Con più di un titolo si metterà nei guai.

il castello

Lasciando da parte la giustezza o meno del vaccinarsi in sé, ma davvero c'è ancora chi pensa che non sia diventata assurda la gestione di questo virus? Sembra un castello kafkiano dove ad ogni porta devi esibire un nuovo lasciapassare, e ne servono infiniti, sempre nuovi e di continuo per dimostrare di essere degno di passare. E in ogni caso non ti salvi dall'incertezza del pericolo che può essere nascosto dietro ogni porta e in ogni persona che incontri. Persino dentro di te.

lunedì 27 dicembre 2021

film istruttivi

Oggi pensavo che ogni anno ci ripropongono a Natale da trent'anni i soliti film americani come Una poltrona per due o Willy Wonka ecc., film che servono a ribadirci l'eterna ottimistica lezione che per quanto in basso tu possa cadere c'è sempre una speranza di riscatto, un amico fidato che ti aiuta. E dovrebbero invece trasmettere, ogni anno, Regalo di Natale di Pupi Avati, per ricordarci l'amara verità, che ogni speranza è pur sempre un'illusione, un bluff o una scommessa, e che anche il tuo migliore amico, nel bisogno, potrebbe pugnalarti alle spalle. La speranza è una trappola, ammoniva Monicelli. Poi certo, restiamo umani. Io non so come faccia, ma ogni volta che lo vedo sul finale mi si strappa il cuore.


 

domenica 26 dicembre 2021

pomeriggio a tema


Oggi mi sono preso il pomeriggio e ho visto di seguito “Jess il bandito” (1939) di Henry King, con Tyrone Power, Henry Fonda e John Carradine; “Il vendicatore di Jess il bandito” (1940) di Fritz Lang, che ne è il seguito e mantiene quasi lo stesso cast; “Ho ucciso Jess il bandito” (1949) di Samuel Fuller, con John Ireland, Barbara Britton e Preston Foster. Ogni titolo analizza il percorso di ciascuno dei tre protagonisti della stessa epopea western, dove il leggendario Jesse James, a capo di una banda di rapinatori, viene tradito da uno dei suoi complici, Robert Ford, che lo uccide sparandogli alle spalle per poi fuggire inseguito da Frank, fratello di Jesse, in cerca di vendetta. Il primo dei tre titoli, uscito nello stesso anno di “Ombre rosse” di John Ford, in patria viene considerato un classico del genere, ma è sostanzialmente un buon film di intrattenimento; il secondo, fra i minori di Lang, ha un tono ancora più scanzonato e anticipa per certi versi uno spaghetti western. In entrambi giganteggia Henry Fonda nel ruolo di Frank James, spalla di un fratello ingombrante di cui deve prendere suo malgrado il posto spinto dal proprio senso del dovere. Il terzo film, invece, è il primo diretto dal grande Samuel Fuller che trasforma la vicenda western in una tragedia greca, intinta in un bianco e nero sporco, dove non è più possibile distinguere i buoni dai cattivi, gli innocenti dai colpevoli, perché, nonostante sia Robert Ford (un John Ireland istintivo, amorale ed egoista) quello marchiato dall’infamia di traditore, a loro modo traditori lo sono tutti.

sabato 25 dicembre 2021

guardate che vi penso

Non so il vostro ma il mio Natale è cominciato benissimo, leggendo e scrivendo e passando l'aspirapolvere mentre cantavo canzoncine di Natale, che sono tre fra le attività che preferisco in assoluto. Oggi mangio un bel piatto di verza e ovviamente una fetta di panettone, che senza quello non si può dire che è festa. Purtroppo Natale non è capodanno per cui tutto questo non significa nulla come promessa per l'avvenire. Ci riproviamo fra una settimana. Faccio questo post per tutti gli amici che ogni tanto incontro per strada e mi dicono: "Guarda che ti leggo, anche se non commento mai." Ecco, guardate che vi penso, anche se non sempre lo scrivo. Vi abbraccio tutti!

mercoledì 22 dicembre 2021

punti di vista

 Ieri pomeriggio ero alla Feltrinelli a Bari con un'amica in vacanza. Eravamo davanti allo scaffale della poesia, e lei si diceva stupita di quanto fosse fornito, perché dove vive lei, a Bologna, nelle librerie di catena non c'è un settore di poesia altrettanto rifornito. Per lei era una meraviglia. In compenso io guardavo lo scaffale e mi rendevo conto che qualcosa non andava, qualche titolo buono lo avevo già (l'antologia di Bassani) ma fra gli altri, quasi tutti classici o antologie o la sempiterna Szymborska, non c'era un solo titolo ad attrarmi, non uno a stuzzicarmi il gusto, avevo un intero scaffale a disposizione e non me ne piaceva uno, era la morte della libido del mio lettore interiore. Ho rimpiano di non essere da Millelibri dove, quelle volte che passo da Bari, qualcosa di bello trovo sempre. Stamattina però ho guardato la classifica dei 10 poeti più letti di Interno Poesia, che secondo me è sempre un bel termometro del gusto perché è un blog assai visitato anche dai non addetti ai lavori, e anche se mancano ancora i primi due posti, mi sono accorto che a parte Alessandro Celani * gli altri poeti più letti dell'anno sono tutti morti da un pezzo, classici o quasi. Mi ha inquietato. L'ho visto come un parallelo di cosa oggi vuole il pubblico dalla poesia: bei versi levigati nella fine degli altri. Fine che prima arriva quanto meno li leggi, in un meccanismo perfetto (quasi cristologico) che parte dall'indifferenza, passa attraverso la solitudine, la depressione e la morte, e arriva perfettamente scarnificato alla riscoperta e ad un amore postumo e assoluto ("io sempre amato!" è la frase più gettonata di chi ama l'ormai cadavere poeta). Che fare? mi chiede l'amico poeta rassegnato. Nulla, siediti e aspetta, gli rispondo. La morte di certo, con tutti i suoi lettori allegati, arriverà anche per te.

*Poco dopo aver scritto questo post mi hanno informato che anche Celani è morto pochi mesi fa.

lunedì 20 dicembre 2021

carezza

Oggi pensavo a come cambiano le cose negli anni, e così come ho visto il mondo prima e dopo il pc, internet e il telefono palmare, sarò anche fra quelli che si ricorderanno com'era ricevere una carezza e non sentire come prima cosa l'odore di igienizzante.

domenica 19 dicembre 2021

un classico di w.h. auden che ci sta sempre bene

«Agli occhi degli altri uno è poeta se ha già scritto una sola buona poesia. Ai propri occhi uno è poeta soltanto mentre lavora alla sua ultima poesia. Il momento prima, è ancora un poeta potenziale; il momento dopo, è uno che ha smesso di scrivere poesie, forse per sempre». 


giovedì 16 dicembre 2021

senza natale

Non ho mai sentito così poco il Natale come quest'anno, e infatti non ho crisi malinconiche, né magoni esistenziali sul senso della vita irrealizzata, né pensieri suicidi tipici di ogni Natale che si rispetti. Quest'anno si respira un'aria fredda e pulita. Forse davvero alla fine ce ne stiamo liberando. Ed è un bene, perché senza Natale ne usciremo sicuramente migliori.

mercoledì 15 dicembre 2021

le parole non dette

Oggi parlavo con un amico molto convinto che tutto vada bene e che annientati gli ultimi dubbi dei maledetti novax ogni cosa tornerà come prima. E gli chiedevo se non avesse mai il dubbio di sbagliare. Non per complottismo o perché mi stia augurando il male per qualcuno, ma proprio perché secondo me avere dei dubbi è un esercizio di salute. Lui mi risponde: Antò, no, bisogna credere, combattere... Obbedire, gli suggerisco io. E lui: Ora non mettermi in bocca le parole che non ho detto.

domenica 12 dicembre 2021

il post delle domande irrisolte

Mi scrive dal nulla: Allora mi pubblichi? Mi coglie alla sprovvista. Perché? Hai messo il like alla mia poesia! Quale poesia? Ci siamo chiariti. Si è scoperto che avevo messo il like non alla poesia ma alla foto in costume da bagno allegata. Delusione massima. Sei come tutti gli altri, mi dice. Ma perché proprio io dovrei essere diverso?

sabato 11 dicembre 2021

x

Appena posso ne scriverò meglio. Intanto condivido questo testo, intitolato X, che è il mio preferito, insieme a una poesia lunga chiamata La pietà, dell'ultima raccolta di Bordini, Un vuoto d'aria (Mondadori) a cura di Francesca Santucci e con un bel saggio introduttivo di Guido Mazzoni. X, come nelle cacce al tesoro, indica il punto preciso dov'è sepolto lo scrigno, e anche questo testo, così spietato, mi è parso un po' il cuore di un libro che è sì un libro d'amore ma che fa anche (non può farne a meno) i conti con se stesso.


 

favola

Locorotondo dal medioevo fino ai primi del '900 era un'oasi feroce di pace, di bande e di fame nera. Ne ha parlato malissimo anche Bianciardi. Poi sono arrivati i parcheggi e non si è capito più nulla.

venerdì 10 dicembre 2021

i giovini

Stupefacente come tutti sottolineino la lungimiranza di Draghi che pensa ai giovani e intanto i prof vanno in sciopero perché si investe poco e male nella Scuola (che è evidentemente incapace di affrontare la situazione storica e fa ricadere tutto il peso delle sue falle proprio sugli insegnanti) e l'età pensionabile per chi entra nel mercato del lavoro è fra le più alte d'Europa. Insomma nell'Italia di Draghi sarà impossibile diventare vecchi e chi ci proverà morirà nel tentativo, ma siccome sarà anche ignorante perlomeno morirà felice.

giovedì 9 dicembre 2021

amore

Passi la mattinata a rispondere agli autori che si propongono per dire che non accettate nuovi manoscritti in lettura. Operazione che già di per sé è un ossimoro: che rispondi a fare a uno che non vuoi pubblicare? Ma visto che nessuno legge più le istruzioni sul sito lo ripeti per cortesia, perché quando li mandavi tu i manoscritti odiavi che nessuno ti rispondesse. Al terzo che ti chiede, nonostante il tuo rifiuto, di leggere e dargli una valutazione “sincera” sui suoi scritti insinui che quella richiesta è una consulenza editoriale, richiede tempo, e concentrazione che non hai, e forse andrebbe pagata. Lui ti risponde che non puoi farlo, perché sa quanto amore ci metti, e una cosa così bella come uno scambio di vedute sulla poesia non può essere sporcata dal denaro. Insomma, da uno come te non se lo aspetta. D’accordo, gli dici, ma io come campo? Fai come me, ti risponde, cercati un lavoro.

sottigliezza

Una che mi propone una raccolta scritta durante il primo "lock-dawn". Spiacente, ma "Alba tragica" l'hanno già fatto. Mi risponde che non l'ha capita.

martedì 7 dicembre 2021

convento

La storia del tipo col braccio di silicone è talmente bella che il vero rammarico è sapere che non c'è (non pare esserci) gente abbastanza brava da trasformare quell'aneddoto in metafora, in arte. In un'altra epoca una storia così sarebbe finita in una commedia di Age & Scarpelli. Oggi al massimo può aspirare a un meme usa e getta sui social. Il mondo è sempre stato folle, ieri come oggi, siamo noi ad avere abbassato le ambizioni del nostro sguardo, anche sul prossimo, e ad accontentarci di ciò che passa il convento.

lunedì 6 dicembre 2021

nevica e ho le prove

 «Il mondo prima o poi smetterà di girare, e si fermerà in mezzo all’universo come un asino che s’impunta e non vuole più saperne di fare lo stesso giro». Ho comprato sabato mattina e letto ieri pomeriggio, in poche ore, “Nevica e ho le prove” di Franco Arminio (Laterza), che è un libro molto bello e strano, come un fuoco d’artificio che comincia con uno scoppio fortissimo dell’io e poi si frantuma e disperde in una miriade di ritratti sempre meno precisi, sempre più abbozzati, fino a perdersi nel vuoto di un parcheggio. Un libro dove in ogni pagina lo senti che non è (forse) un capolavoro, sospeso com’è fra reportage e autofiction, ma allo stesso tempo non riesci a staccartene perché è un continuo rilanciare poesia e vita, rassegnazione, entusiasmo di chi scrive per sola forza di aggrapparsi alla scrittura, soluzioni narrative avventurose e a tratti fuori dagli schemi, una scrittura con le palle, un libro che divaga senza perdersi, che si guarda senza compiacersi, che sa guardare giù verso l’abisso con l’autoironia degli indolenti, un libro che è nuovo e che allo stesso tempo ha il sapore di qualcosa di già visto, che si porta quell’odore addosso che sai essere anche il tuo, l’odore ammuffito di certo Sud, della cicuta che ti fai crescere dentro, l’odore sottile di fifa di ogni quarantenne imbrigliato in una disperazione senza uscita. Questo sapeva fare Arminio vent’anni fa, prima di perdersi nelle poesie d’amore, che a suo modo è anche un modo per uscirne, eppure quanto era più vero ed essenziale in questo libro, un libro che senti che viene dal secolo passato, non fosse altro che ogni frase – lo sai perché lo senti nello stile – è stata scritta a mano su un quaderno, fitta nella carta e nella carne, e non sopra un telefono o un pc.

domenica 5 dicembre 2021

torso

Ragazzo molto sveglio, molto bello, mi manda la sua foto a torso nudo e una scelta di dieci poesie “tanto per farti un'idea”. Mi chiede se ho posto per lui nella casa editrice. In che senso? e nel dubbio gli domando se ha capito di cosa ci occupiamo. Certo, di poesia. E la foto a torso nudo, allora? Quella serve per vendere i libri. Io alzo le mani e mi arrendo.

i segni

L’albero di noce di Sandrino aveva dato frutti neri.
Sarà il nostro destino diceva senza più ottimismo
Ora che l’inverno ci apriva le sue porte.
Stamattina gli storni lo abitano a centinaia
Sostituendosi alle noci sui rami sottili.
Pronti a fuggire al primo suono.
A portarselo con loro come ladri.

sabato 4 dicembre 2021

il turismo che vogliamo

Non è per ribadire il discorso del turismo di qualità, ma stasera ho visto per ben due volte dei turisti che si sono fermati davanti al mio studio per fotografare il logo di Pietre Vive stampato sulla porta, soffermandosi con un certo compiacimento sul pisello dell’omino danzante, che come tutti ben sanno rappresenta me. E mi chiedo se è davvero questo il turismo che vogliamo per il nostro paese, gente che magari indossa la mascherina e poi va in giro con la memoria del telefono piena di foto del mio pisello disegnato. Io dico di no, ma magari mi sbaglio.

venerdì 3 dicembre 2021

parvenza

Ho appena sentito al Tg che il rapporto CENSIS 2021 definisce fra le altre cose la nostra come una società “irrazionale” per via del fatto che il 67% degli italiani crede che il potere reale dello Stato non sia appannaggio del popolo (secondo costituzione) ma sia concentrato, in modo non pienamente democratico, nelle mani di un gruppo ristretto di potenti dietro cui ci sono delle multinazionali responsabili di molto di quello che accade oggi nel mondo e guidata da una lobby di super potenti che decide anche per noi in base al proprio tornaconto. Tutto questo il CENSIS lo attribuisce a uno stato di paranoia e complottismo esasperati. Io credo invece che sia un ultimo tentativo di “illusione”, perché se ti immagini che c’è un super potente che controlla tutto allora c’è la speranza che prima o poi tu possa rivoltarti e abbatterlo, sconfiggere il male come nelle fiabe. Razionalmente parlando, se non c’è complotto, vuol dire che siamo governati da una manica di imbecilli immaturi e corrotti, puttanieri patentati, egoisti senza un briciolo di pietà umana o legge morale a guidarli, che fanno il comodo loro fregandosene delle conseguenze, perché mandati al governo da una più ampia scelta di succubi cretini, ovvero noi che li votiamo soltanto per lamentarci di come ci fregano. Io fra le due opzioni preferirò sempre il complottismo, sarà anche “irrazionale”, ma almeno la mia parvenza di dignità viene salvata.

 

giovedì 2 dicembre 2021

riposta

Il poeta che vive in un piccolo paese
è quello che poi scrive l’epitaffio di tutti
il necrologio sul giornale del paese
per chi resta. E quando pensa al giorno in cui
morirà anche lui che ha scritto la fine degli altri
quella sola volta la pagina resterà bianca.
Riposta nel bianco la sua idea di paese.

mercoledì 1 dicembre 2021

ci vediamo sul corso, pinù

È difficile, parlando di Pinuccio Giannoccari, fare la dovuta sintesi. Ci sono troppi ricordi, troppe storie, troppi discorsi e a saltarne qualcuno ti sembra di perdere qualcosa di importante. Comincio dalla fine. L’ultima volta che l’ho incontrato, un paio di settimane fa, stava seduto sulla panchina sotto casa dei suoi, lì dove prima di lui si sedeva sempre suo fratello Paolo. Pinuccio era contento di stare lì, perché quella panchina era in una bella posizione – proprio di fronte al portone di casa e al locale dove la sua famiglia aveva avuto il negozio di alimentari in cui era cresciuto – ed anche molto contesa dai passanti, ma essendo stata la panchina di Paolo la sentiva un po’ più sua, per diritto di eredità. Pinuccio a suo modo mi ricordava molto Paolo, il secondo era più lunare nelle sue uscite, ma entrambi erano due battaglieri entusiasti, molto testardi, e con un senso molto alto di giustizia. In più gli piacevano le discussioni. Era un uomo garbato, Pinuccio, ma se ti mettevi a discutere con lui non te ne uscivi con poco, ci potevi perdere le ore per vedere chi la spuntava. Una sola volta ci ho litigato seriamente ed è durata più di due ore con noi due che un altro po’ ci sputavamo addosso per una cosa di cui alla fine non ci fregava nulla. Lui mi accusava di essere una capatosta e io gli rispondevo: “Nà, il bue che dice cornuto all’asino!”. Ma dopo due ore così, nemmeno cinque minuti e stavano già ridendo come prima. Pinuccio non era uno che portava rancore, rideva molto e di gusto, aveva la battuta facile. Questo di lui mi piaceva, anche se non gliel’ho mai detto. Il più delle volte lo incontravo per strada, o stava di posta sulla porta di casa sua, oppure lo trovavo più giù, mentre scendeva il corso per andare a trovare Gildo Lisi in banca. Io li sfottevo entrambi: “Ditelo che state progettando la prossima rapina!” ma il più delle volte si finiva a parlare, con toni molto accesi, di politica. Questa è un’altra cosa bella. Non lo ricordo mai da solo Pinuccio, era sempre con qualche amico: ora ho detto Gildo ma potrei dirne tantissimi altri, perché Pinuccio era soprattutto una persona che amava stare con gli altri e quando ti dedicava del tempo lo faceva con tutto se stesso. Se ti fermavi con lui non era mai per un semplice saluto, era per farsi una sana chiacchierata, per uno scambio di idee, per informarsi. Era anche un uomo dai mille interessi, dal calcio alla radio alla politica, fino alla birra: non per nulla molti ancora se lo ricordano come Pinù Beer, da quando aveva il pub. Quando lo aprì molti amici gli dissero che non era mestiere per lui quello, ma lui ci si incaponì ugualmente e a suo modo è stato un precursore. Il pubblico arrivava tardi, così io passavo prima per fargli compagnia e poi me ne andavo quando cominciava il casino. Quante sere che ci ho passato lì dentro con lui. Rideva spesso, è vero, ma era una persona onesta, molto seria, che credeva nel lavoro, nella dignità. Lo scrivo perché è vero, non sono frasi di circostanza. Aveva una forza d’animo rara. Mi ricordo quando mi disse che era malato, era contento perché se n’era accorto in tempo e poteva lottare. Non ha mai nascosto lo stato della sua malattia e non si è mai pianto addosso. Era un uomo orgoglioso. Una volta l’ho incontrato che camminava con fatica e mi sono offerto di dargli una mano. Con una battuta delle sue, per non offendermi, mi ha mandato garbatamente a fare in culo. Anche quando aveva dei momenti di sconforto, e li aveva come tutti, lui non si arrendeva facilmente. Gli altri potevano stare male e piangersi addosso, lui viveva la sua storia d’amore e decideva di sposarsi. È stato un bel matrimonio, ci ha ridato speranza. L’ultima volta che l’ho incontrato, due settimane fa sulla panchina di Paolo, aveva la voce affaticata ma ci siamo persi come tante altre volte in mille discorsi. E quando poi ci siamo salutati mi ha detto come faceva ogni volta, quasi una frase di rito: “Lilletto, Statte bùne-bùne”. Ci vediamo sul corso, Pinù.