mercoledì 30 settembre 2015

il fusinato

Saba è nato a Trieste nel 1883. Il 1883 è stato – secondo il Pancrazi – un anno fausto per la letteratura italiana. Nacquero in quell’anno, oltre ad una delle opere più celebri di Gabriele D’Annunzio, Saba, Gozzano e Pinocchio. Siamo molto in dubbio che la nascita di Guido Gozzano rappresenti, per la letteratura italiana, una fortuna maggiore di quella che sia stata, al tempo delle belle cose di pessimo gusto, la nascita del Fusinato*, col quale il Gozzano ha grandi, fino ad ora insospettate, parentele; ma ringraziamo l’illustre critico per Saba ed anche per Pinocchio. 

[Umberto Saba, Storia e cronistoria del Canzoniere

*Arnaldo Fusinato, poeta risorgimentale di cui restano alla nostra memoria solamente due versi, ma lo restano in maniera indelebile. I due versi sono: «sul ponte sventola / bandiera bianca» usati da Battiato per la celebre canzone. Le vie della poesia (come quelle di Pinocchio) sono infinite.

martedì 29 settembre 2015

cosa mai potrà portarci il tempo...

Cosa mai potrà portarci il tempo
se non il rinsecchirsi delle dita ed il silenzio
più buio nel lento avanzare dell’inverno?
Non certo l’esperienza od il conforto
di un ultimo improvviso amore offerto
a un cuore più maturo. Ecco. Noi qui
si vive soli per sentirsi meno soli
di fronte alla speranza che tradisce.
Perché soltanto attraverso la poesia
ritorna tra le dita il verde che non tace.

venerdì 25 settembre 2015

il suicidio di babbo natale

«Mi raccontava Capossela che anche suo padre, visto che non c'erano soldi per fare i regali di Natale, piuttosto che deluderlo dicendo che Babbo Natale non esisteva, una sera è uscito col fucile, ha sparato due colpi in aria, poi è tornato dentro e gli ha detto: Babbo Natale quest'anno non porta i regali perché si è suicidato.» 

[Fabio Genovesi durante la presentazione di Chi manda le onde, ieri a Martina Franca, riportato a memoria]

giovedì 24 settembre 2015

una prole testarda

Talvolta
quando scrivo in curdunnese
lingua del paese in cui io sono
lingua un po’ di padre un po’ di madre
(allevati in campagna con accenti diversi
e a nozze accasati nel centro)
talvolta se scrivo mi sento un profugo in patria
che cerca d’esprimere mondi
limitato nel gergo nei modi
dalla sua povertà d’espressione
costretto da politica e scuole
all’autoepurazione dal dialetto
dalla sua storia non statale
ma orgogliosamente laterale mi costa
ogni parola
trovarla nel buio una fatica di madre
che concepisca una prole testarda
scontrosa e gracile al peso
ma tenacemente attaccata alla vita.

martedì 22 settembre 2015

trappola per topi


flauts vocis

Stamattina ripensavo al post di ieri di Saviano, sul «silenzio assordante» degli scrittori riguardo alla vicenda Erri De Luca. Io mi chiedevo però quali scrittori dovrebbero parlare. Chiunque, lo sappiamo, può dire che è tutta una porcata, ma poi chi lo ascolta? È uno scrittore che conta, che vende, o è una mezza calzetta, uno da nemmeno 1000 copie? Perché una voce nel deserto è inutile esattamente come una voce che non parla. E allora ho pensato a quale fra gli scrittori che smuovono le masse, che fanno tendenza, opinione, potesse prendere parola in difesa di De Luca o per denunciare la porcata che gli è stata fatta. Ho consultato l’elenco dei best sellers. E mi sono immaginato Fabio Volo, l'invisibile Ferrante, persino Camilleri con la sua raucedine, me li sono visti lì, al tribunale, a sobillare le folle contro l'ingiustizia subita dal collega. E mi è venuto da ridere. Mi sono tornate in mente le battaglie sui quotidiani di Pasolini, Moravia, Calvino, per fatti come i delitti del Circeo, l’avvento del capitalismo, il processo alla dirigenza della DC, quelle battaglie in cui si è formato De Luca. E ho capito che non sono gli scrittori a essere muti, ma i tempi a essere autistici. Guarda tu come stiamo messi male, ho pensato poi per stemperare, che le uniche voci che consideriamo degne di ascolto, le nostre voci civili, stanno tutte in gabbia: la gabbia dorata di Saviano, quella carceraria (presto) di De Luca, quella editoriale di Serra, che si ritaglia ogni giorno nella gabbia grafica 9x13 cm del suo giornale, proprio come fanno tutti gli altri, adattandosi al regolamento di condominio, alla castrazione delle corde vocali. Quelle sono le voci, questa la nostra miseria. E gli altri? Anche se parlano non serve, non servono loro a nulla. E non perché il silenzio è assordante, ma perché le loro voci sono troppo sottili, quasi bianche, le orecchie di chi ascolta piene di cerume.

domenica 20 settembre 2015

la caccia

Il ministro dell’Ambiente, per regolamentare il flusso ormai invadente degli hipster che appestano le strade ha deciso di dare inizio, con la stagione estiva, alla caccia del coglione. La gente, e in particolare gli hipster – che poi sono quelli che maggiormente odiano se stessi – prima è accorsa entusiasta a raccattare i fucili, poi è venuto fuori che c’era una gran confusione a riguardo, mancando le specifiche intorno alla definizione di coglione. Hanno così cominciato a sparare a casaccio su tutti, gli hipster certo, ma anche quelli alla moda di qualsiasi moda, gente che vota ancora Democratico, altri che ai mondiali tifano Germania perché bisogna essere sportivi, altri ancora che provano a infilarsi dovunque e senza più dignità perché da qualche parte il posto fisso arriverà. Hanno poi abbassato il tiro e hanno cominciato a sparare a quelli che vogliono salvare il mondo con l’arte, a quelli che se ne vanno all’estero per fare i camerieri e a quelli che restano qui per fare i camerieri, ai giornalisti senza testata, agli studenti senza futuro, agli insegnanti precari che non è solo un ripiego, ai dottori avvocati e agli avvocati dottori, ai professionisti che non lavorano in nero, alle ragazzine che si fanno mettere in cinta ogni sabato sera, a quelli che ancora credono nel Popolo di qualsiasi popolo si tratti, e a quelli che credono che il vino non sia per forza rosso sangue, a quelli che bestemmiano davanti alla tv e a quelli che invece vanno ancora a pregare che qualcuno per favore, per favore ci aiuti, a quelli che non mangiano più carne e a quelli che ne mangiano troppa, poi si giustificano dicendo che ci hanno fatti carnivori per un motivo: mangiarci fra di noi come le bestie. Hanno sparato su tutti senza filtri. Si è fatta dell’erba un fascio solo perché vai a distinguere tu fra così tanti coglioni. Coglione per coglione spara a tutti, si son detti. Non è rimasto più nessuno. Una strage dei bei tempi. Gli unici a salvarsi sono stati quelli al potere (di qualunque partito, lobby, associazione, società, chiesa o banca essi siano) perché quelli al potere, si sa, non sono per nulla coglioni, sono troppo furbi per essere persino nominati.

sabato 19 settembre 2015

sangue

Mio fratello si sveglia nella stanza sul retro poco prima dell’alba e sente i rami picchiettare contro la finestra del piano di sopra. Fine estate del ’45 ed tornato a casa da una guerra. Aspetta che la luce allaghi la stanza quando si alza un grido, la mia voce in sogno. Più tardi insieme scorrazzeremo per i campi al limitare della città mentre l’erba ci fischia intorno. Non mi chiederà se fosse mio il grido che ha sentito; invece mi seguirà nelle boscaglie ombrose dove vado sera dopo sera a conversare con radici ritorte e rampicanti. Altri vengono in coppia in inverno a respirare il cielo gelato, in primavera per gli aromi della terra, ragazzi e ragazze in cerca di se stessi. Mostro a mio fratello un fitto nido di uova infrante, la tana appena scavata dal topo di campagna. L’oscurità comincia a raccogliersi tra i rami, i venti si levano fino a che i boschi piangono la fine del giorno. Ci dirigiamo verso casa parlando di progetti per l’anno a venire. È ancora estate anche se le stagioni ci soffiano intorno – pioggia e nevischio in agguato nell’aria grigia che respiriamo – il futuro che viene verso di noi nell’ombra nera dell’olmo, due fratelli – quasi un unico uomo – tenuti insieme da ciò che non possono condividere. 

[Philip Levine, traduzione Giuseppe Strazzeri, Notizie del mondo, Mondadori 2015, pag. 67, 69]

venerdì 18 settembre 2015

yakov

Mio zio mi raccontava della baracca nella foresta, la sua casa per anni – trentacinque o più – ha perso il conto. Da miglia di distanza nel discendere la valle mentre la sera si raccoglieva nei rami di larice e di quercia sentiva l’odore del fumo di legna, il filo sottile che lo riportava sempre a casa. «Il silenzio, era tutto, era ogni cosa.» Persino i lupi, mi diceva, si muovevano tra gli alberi trattenendo il fiato. I merli sparivano ore prima del tramonto. La neve cadeva solo al buio così che all’alba il mondo era nuovo. Come viveva, cosa mangiava, come si vestiva, con chi parlava, cosa condivideva, non lo disse mai. Il primo fumo avvistato, il silenzio, i lupi invisibili, le loro orme stampate nella neve, le quotidiane sparizioni, il sole che sorgeva, il sole che moriva, l’assenza di un’altra voce, di una qualunque voce umana, questi i suoi compagni, la sua Siberia. La sua Detroit era ben altro: nel retro dell’Autoricambi una lampadina oscillava nuda su di lui mentre chino sul mestiere sbagliato nel posto sbagliato faceva il proprio ingresso nell’epica non scritta del tedio, una sigaretta in una mano, tre dita superstiti nell’altra. Yakov, il mio vecchio socio d’officina, un giorno appese il suo grembiale, posò guanti e polsiere, e si dileguò in fumo. Se comparisse ora alla mia porta nel suo viaggio diretto verso il nulla gli darei il bentornato con vino nero e pane nero, un bicchiere di tè, un pavimento di assi per dormire, e la speranza che il nuovo giorno gli porti la musica del silenzio. 

[Philip Levine, traduzione Giuseppe Strazzeri, Notizie del mondo, Mondadori 2015, pag. 35, 37]

due poesie di nelo risi

Due poesie in ricordo di Nelo Risi, ieri scomparso, e una delle più chiare fonti poetiche del nostro paese.

SOTTO I COLPI

C'è gente che ci passa la vita
che smania di ferire:
dov'è il tallone gridano dov'è il tallone,
quasi con metodo
sordi applicati caparbi.

Sapessero
che disarmato è il cuore
dove più la corazza è alta
tutta borchie e lastre, e come sotto
è tenero l'istrice.

[Pensieri elementari, Mondadori 1961]


MADRIGALE

Ho fatto un pieno di versi
per la traversata dei deserti
dell'amore, là dove il viaggiare
più comporta dei rischi, dove
occorre tenere gli occhi bene aperti
perchè non sempre regge il cuore

A malapena si conserva un viso
se il tempo ingoia il resto;
con un ritratto appeso non si va
molto lontano, a meno che un sorriso
una figura non venga a divorarti
con dolcezza, un modo ancora
per stare con la vita.

[Il mondo in una mano, Mondadori 1994]

mercoledì 16 settembre 2015

stroncature

Ho appena letto una bella recensione di Ennio Abate (sull'ultimo numero della rivista Il Segnale) che distruggeva si-ste-ma-ti-ca-men-te, cioè smontandolo pezzo per pezzo ed evidenziandone i suoi punti deboli, non solo a livello formale ma anche nelle ambizioni e come specchio storico-sociale, l'ultimo libro di Aldo Nove, Addio mio Novecento. Titolo della recensione, appropriato: Nove senza Novecento. Ora, indipendentemente dal fatto che si sia d'accordo o meno col giudizio di Abate, è proprio bello vedere che si fanno ancora di queste stroncature, pacate, pensate, nette, non buone ma nemmeno feroci, che ormai mi pare tutto debba sempre essere espresso non come lotta, ma come estremismo, rabbia fine a se stessa, e che va o sempre più sul personale ("il libro è brutto perché lo scrittore è stronzo" che è già di per sé un'assurdità, visto che si sa molti grandi scrittori sono degli indiscussi pezzi di merda) oppure sul politichese ("il libro è brutto perché quello sta da un lato, oppure dall'altro, o in alto o in basso" o al contrario, molto più frequentemente, "il libro NON PUO' essere brutto perché quello sta da un lato o dall'altro o in alto o in basso" e quindi ne parlo bene anche se non mi piace, oppure tergiverso, non prendo posizione, che è un po' un'altra forma di ipocrisia intellettuale). Nulla di nuovo, intendiamoci, si è sempre fatto. Ma, per dirla in due parole: che palle!

nomi, cognomi e cani

Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra. Molti non lo sanno, ma è questo il mio nome completo. Io poi lo accorcio in Antonio Lillo per semplicità. Gli amici addirittura in Lillo e basta. Lillo, il cane saggio.

giovedì 10 settembre 2015

l'albero

Ciccio Ingrassia, che interpretava lo zio matto salito sull’albero, rimase grandemente impressionato da Fellini. «Ciiiiiiccio, scendi dall'albero!» gli diceva Franco Franchi. Ma Ciccio, dopo aver toccato tali vette, non scese più dall’albero. 

Tatti Sanguineti, parlando di Amarcord.

nostaglia canaglia (1): the x portfolio

Il cammino artistico di Robert Mapplethorpe (1946-1989) è simile, sotto il profilo tecnico, a quello di molti altri giovani artisti di talento. Comincia a fare foto in maniera “naturale”, per strada, negli angoli di casa, senza quasi preoccuparsi della tecnica, attraverso l’uso di una polaroid che lo costringe a essere di continuo dentro la scena, coinvolto nella stessa e senza troppo preoccuparsi dei limiti formali che possono presentarsi. Poi passa a un assoluto controllo registico della scena, esterno alla stessa, attraverso un uso sapiente delle luci e di fondali scuri che amplificano la nudità dei soggetti, favorendo i drammatici chiaroscuri che ormai consideriamo intrinsecamente connessi al suo linguaggio.
Questo cambiamento si registrò esattamente quarant’anni fa, nel 1975, quando lo stesso Mapplethorpe passò dalla polaroid all’uso di una Hasselblad, che permettendogli una più ampia gamma di possibilità lo incentivò a modificare il proprio stile per poi passare a una nuova definizione dei suoi soggetti. Non più l’ambiente artistico bohemien dei suoi inizi ma tanti ritratti su commissione e poi i purissimi nudi d’impronta erotica e omosessuale, sulla scorta del suo nuovo interesse per il Neoclassicismo con la sua forte commistione di sensualità ed eleganza. Robert Mapplethorpe divenne in breve uno dei maggiori fotografi di studio della sua epoca.
Fra questi due momenti si inserisce il cosiddetto Portfolio X, che come tutti i lavori di transizione mischia in maniera avvincente il desiderio di sperimentazione figurativa a soluzioni spesso trasgressive sul piano narrativo, talvolta al limite del buongusto, che ancora lo vedono dentro la scena, coinvolto dalla stessa in prima persona. Sono lavori molto spregiudicati, estremi da qualsiasi punto di vista li si giudichi, e all’insegna della più assoluta libertà di linguaggio.


Ancora oggi a rivederla la serie del Portofolio X ha un effetto urticante, anche se ineccepibile sul piano tecnico. La serie è composta da fotografie sadomaso pregne di una vena dichiaratamente pornografica/esibizionistica che solo in parte viene stemperata dall’ironia del suo autore: ironia per nulla sottile ma anzi piuttosto cruda, violenta, esibita, per avere il massimo effetto sullo spettatore. Esempio massimo è l’autoritratto in cui lo stesso Mapplethorpe si infila nell’ano il manico di una frusta.
Esposta nel 1978, la serie scatena un certo disagio persino nell’ambiente artistico più liberale, non tanto per la violenza delle immagini quanto per il ricercato e compiaciuto esibizionismo. Ci si chiede: ma è arte o pornografia questa? Se non è pornografia, quale differenza passa fra le due? E se è arte, è giusto mostrarla così liberamente al pubblico? Ed è giusto sovvenzionare, attraverso fondi pubblici, operazioni artistiche o mostre di dubbio buon gusto come questa, che sembrano più un incitamento a pratiche sessuali deviate?
Il Portfolio X con la sua dichiarata ambiguità creò uno spartiacque non solo nella produzione di Mapplethorpe, che poi continuò la sua ricerca con la serie dei Nudi maschili di uomini neri, ma in tutto l’ambiente artistico con ripercussioni nella nostra percezione del sesso esibito che si spingono fino a oggi e restano, ad oggi, irrisolte.  

certezza

Un giorno lo so si parlerà della scuola poetica di Locorotondo, così come oggi si parla della scuola poetica di Santarcangelo.

lunedì 7 settembre 2015

speranze non corrisposte

Le nostre speranze raramente sono corrisposte. Snoopy scrittore viene da me sognando Mondadori, mi dice proprio: sognavo di meglio. Io sogno Salinger, la Szymborska, al massimo Guido Catalano. Tutti i giorni. Invece ho Snoopy. Nemmeno quello vero.

domenica 6 settembre 2015

aveva ragione lui / the kiss

Continuo a lavorare ai miei racconti, alle poesie, alla ricerca di un senso per tutto questo leggere e scrivere e guardare senza futuro. “Perché, mi chiede mio fratello, a che ti serve? Chi se la leggerà, alla fine, tutta quella roba?” Eppure continuo senza sosta, me ne frego, forse solo per orgoglio, perché un giorno qualcuno possa dire: caspita, aveva ragione lui. 

Parlando di gente che ha avuto ragione (dopo) Judee Sill, nata nel 1944, è stata una cantautrice americana, la prima artista messa sotto contratto da David Geffen per la Asylum Records. Ha inciso due dischi all’inizio degli anni ‘70, poi si è arresa all'insuccesso commerciale e ha smesso di fare musica. È morta nel 1979 per overdose. A partire dalla seconda metà degli anni ‘90 il suo lavoro è stato rivalutato per l’interessamento di alcuni artisti che l’hanno innalzata a figura di culto. The Kiss è l’ultimo singolo pubblicato dalla Sill prima dell’abbandono. In molti ne hanno fatto una cover, alcune bellissime, nessuna che però renda (non possono) il fascino etereo, preraffaelita, della versione originale.

sabato 5 settembre 2015

assenzialismo

Mi sono incamminato sulla strada dell’assenzialismo, che è la filosofia di Learco Pignagnoli così come la interpreta Ugo Cornia. L’assenzialismo, ha detto una volta Ugo Cornia, è un movimento che sceglie il non esserci come pratica. Ma in che senso, il non esserci? Il non esserci nel senso della pratica quotidiana di mancare a qualsiasi evento, anche eventi minimi di una mattina qualunque, nel senso di essere assenti il più possibile a se stessi, agli altri e alle cose. Se nel corso di qualsiasi evento, anche dei più banali, dice Cornia, qualcuno chiede “C’è Pignagnoli?” la risposta inevitabile è “No, Pignagnoli non c’è”, perché Pignagnoli non c’è mai. Pignagnoli è sempre assente. 

Paolo Nori 

[Si può leggere tutto l’articolo, uscito ieri su Libero, QUI]

venerdì 4 settembre 2015

una ritratto che mi ha fatto manuela mastrangelo


chi era?

Romanziere tedesco. Beveva. Ha scritto un romanzo su due anziani che vengono a sapere che il figlio è morto in guerra e allora decidono di preparare dei volantini antinazisti da distribuire ai vicini. Chi era? Ce l'ho sulla punta della lingua e non riesco a ricordarmelo. Quando ho scritto "scrittore tedesco beveva" su google è venuto fuori un elenco lungo come quello del telefono, e tanti saluti dall'inferno.