Stanotte ho sognato di partecipare e vincere il Premio Perso, un premio dove non solo vieni aspramente rimproverato per aver partecipato, ma ti danno anche, su pergamena, delle serie motivazioni per cui non avresti dovuto pubblicare il libro. Ero molto orgoglioso perché per una volta arrivavo primo in qualcosa, poi però mi sono dovuto suicidare due volte perché non ero buono neanche in quello.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
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venerdì 9 giugno 2023
domenica 12 gennaio 2020
morte per mano dell’autore
Con Un giorno perfetto per i pescibanana J.D. Salinger crea il personaggio di Seymour Glass, uno degli eroi del ‘900 letterario ma, ancor più, un eroe in assenza, protagonista di una saga famigliare di cui è il fulcro proprio in virtù del vuoto che vi lascia, elemento perturbante, non rimosso, lutto non elaborato, ombra di volta in volta consolatoria o ingombrante proprio in virtù della sua aura superumana. Il reduce Seymour Glass che, per certi versi, è un po’ l’alter ego dello stesso Salinger, muore suicida in questo che apre i Nove racconti, sparandosi un colpo alla testa dopo aver passato una tranquilla giornata al mare. Nella storia vi sono delle allusioni, ma di fatto non vengono spiegate le vere ragioni del gesto e il boato di quello sparo viene amplificato proprio dall’apparente serenità che lo precede. Perché scrivo di questo celebre racconto che non ha affatto bisogno delle mie note? Perché Un giorno perfetto per i pescibanana viene scritto nel 1947, pubblicato nel 1948 e poi raccolto nei Nove racconti nel 1953. All’epoca Salinger è già uno scrittore di fama mondiale, pertanto del volume viene subito approntata una traduzione italiana, pubblicata da Einaudi, a cura di Carlo Fruttero. Ecco che nove anni dopo, nel 1962, esce per Vallecchi la raccolta di racconti In società, opera di uno scrittore assai meno celebre ma altrettanto talentuoso, tormentato e isolato, Tommaso Landolfi. Al suo interno vi è pubblicato un racconto di chiara matrice dostoevskijana, La mattinata dello scrittore, in cui si parla, con evidenti agganci autobiografici, delle ultime vacue ore di vita di uno scrittore di provincia, che prima si arrovella per un verso mancato, poi per una relazione mancata, ma la cui punta massima di disperazione si registra quando si accorge di non trovare più il suo pacchetto di sigarette. Alla fine però succede qualcosa che modifica il quadro. Quasi per caso, per una decisione estemporanea ma allo stesso tempo “semplice e definitiva”, lo scrittore raccoglie la pistola che tiene nel cassetto e si spara. L’atmosfera nebbiosa e vagamente annoiata è la stessa del racconto dell’americano. E anche qui, pur nell’accennarsi dei motivi, manca del tutto un movente al suicidio del proprio alter ego. Per la prima volta Landolfi affronta, dietro lo schermo narrativo, la propria “volontà di morte”, e la critica vi legge un risvolto nichilista consono allo scrittore. Eppure, mi sono sempre chiesto se a far scattare quella particolare molla in Landolfi – magari complice Calvino consulente Einaudi – fossero stati i Pescibanana di Salinger. Se Landolfi, leggendolo, vi si fosse riconosciuto, avrebbe ritrovato in quell’americano “spostato” per i disastri della guerra, l’identico vuoto di sé che anche lui si sentiva dentro, fino al punto da replicarne le pulsioni che già lo animavano, per cercare di liberarsi, almeno in letteratura, del suo male di vivere. Inscenando, quindi, il delitto perfetto: la propria morte per mano dell’autore.
lunedì 29 agosto 2016
il panettiere
Il panettiere è la terza traccia del primo lato di Secondo te... che gusto c’è?, album del 1977 che appartiene al periodo più maturo dell’artista Enzo Jannacci. Viene subito prima di Rino, lettera di un alcolizzato pronto al suicidio, e subito dopo Jannacci arrenditi, brano parlato di follia e comicità assoluti. L’album, nel suo insieme, non è allo stesso livello dei coevi Quelli che... e Fotoricordo, eppure proprio grazie a questo pezzo, ritratto del panettiere Giovanni che va al mare per annegarsi, a Rino e a La costruzione sul secondo lato, terzo pezzo a tema sulla morte (stavolta sul lavoro) in un disco di appena mezz’ora, raggiunge una sua oscura grandezza, inusuale per il panorama italiano dell’epoca persino per un cantautore, e paragonabile piuttosto a quella che negli stessi anni si può ritrovare in alcuni dischi di Tom Waits. Rappresenta, inoltre, la prima avvisaglia del dolente pessimismo che da qui in avanti caratterizzerà l’opera di Jannacci.
venerdì 25 settembre 2015
il suicidio di babbo natale
«Mi raccontava Capossela che anche suo padre, visto che non c'erano soldi per fare i regali di Natale, piuttosto che deluderlo dicendo che Babbo Natale non esisteva, una sera è uscito col fucile, ha sparato due colpi in aria, poi è tornato dentro e gli ha detto: Babbo Natale quest'anno non porta i regali perché si è suicidato.»
[Fabio Genovesi durante la presentazione di Chi manda le onde, ieri a Martina Franca, riportato a memoria]
domenica 14 ottobre 2012
non potrai dire né fermare...
a Sergio Pasquandrea
Non potrai dire né fermare
l’enorme quantità di chiasso
che si produce in una casa
se non bloccando le caviglie i polsi
alla consorte sfiancata
da stoviglie e panni i conti
per la spesa ai figli
in corsa intorno al tavolo tuo padre
che lamenta il suo dolore
l’innata fratellanza col vicino senza nome
che al piano di sopra
si trascina lentamente verso il bagno
apre il rubinetto ad annegarsi
e sai che domani
ti tocca asciugare le macchie. Tu scrivi
fra gli spazi lasciati vuoti
da gatto televisore e gastrite
fra le foglie cadute fuori sul balcone
nel pulsare che dà forza alla passione
della prossima emicrania.
Nulla torna ma sai che non c’è
non c’è che l’amore racchiuso
fra queste quattro mura che forza
per esprimersi ed esplodere
il tuo cuore diviso
da felicità e bisogno
che ti gonfia fuoriposto ventre e collo
come a un Buddha.
Non potrai dire né fermare
l’enorme quantità di chiasso
che si produce in una casa
se non bloccando le caviglie i polsi
alla consorte sfiancata
da stoviglie e panni i conti
per la spesa ai figli
in corsa intorno al tavolo tuo padre
che lamenta il suo dolore
l’innata fratellanza col vicino senza nome
che al piano di sopra
si trascina lentamente verso il bagno
apre il rubinetto ad annegarsi
e sai che domani
ti tocca asciugare le macchie. Tu scrivi
fra gli spazi lasciati vuoti
da gatto televisore e gastrite
fra le foglie cadute fuori sul balcone
nel pulsare che dà forza alla passione
della prossima emicrania.
Nulla torna ma sai che non c’è
non c’è che l’amore racchiuso
fra queste quattro mura che forza
per esprimersi ed esplodere
il tuo cuore diviso
da felicità e bisogno
che ti gonfia fuoriposto ventre e collo
come a un Buddha.
giovedì 25 febbraio 2010
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