sabato 31 ottobre 2020

il riso

La notizia della morte di Sean Connery e la conseguente messa in onda su Raitre del Nome della rosa, mi riportano alla mente una battuta assai bella da lui pronunciata in quel film, che usai una volta per rispondere una celebre poetessa che si chiedeva un po' retoricamente (come fanno sempre i poeti, che se non si fustigano in cella non si sentono vivi) "Perché poi ridiamo?" nel senso proprio di "Che cacchio ci sarà mai da ridere di fronte alla futilità dell'esistenza?" e io le risposi come fa Guglielmo da Baskerville al cieco Jorge, che "Il riso è proprio dell'uomo, non delle scimmie". Cioè tu ridi perché la risata è già parte di te, ce l'hai scritta nel cromosoma, mica te la togli così facilmente dalla faccia. Lei, che non era né cieca né brutta, non mi rispose: Jorge, per dire, mi avrebbe ammazzato. Ancora da quel film, che è assai calzante in questi giorni, è interessante notare come a scatenare la serie di efferati delitti sia stata la morte di un disegnatore satirico, colpevole di eccessiva curiosità per la conoscenza e dunque punito perché "Il passo che separa la tensione mistica dalla violenza della follia è fin troppo breve"; ma che alla fine, di fronte alle fiamme che avvolgono la torre, Guglielmo rischierà la vita per salvare l'unica cosa che abbia realmente valore sottrarre alla distruzione, ovvero i libri (anche se nel film, proprio come nella vita, li leggono in pochi).

il nemico

Ci sono poesie che hanno bisogno di un nemico per vivere, di un antagonista contro cui scagliarsi come pietre. Alcune delle poesie più belle di Sanguineti, contenute in POSTKARTEN (1972-1977), sono così. In particolare, verso la fine, ce ne sono due, una accanto all’altra, contro Montale e Sciascia, esponenti di un’Italia vecchia da stracciare. Sanguineti che era militante integrato nel PCI voleva fortemente, sulla linea di Berlinguer e insieme ad altri come Calvino, che il partito potesse andare al Governo, muovendosi di conseguenza, persino coi compromessi, perché – diceva – solo operando dall'interno si potevano cambiare in meglio le cose. In questo modo si scontrava con un'altra ala degli intellettuali di sinistra, con Fortini e Sciascia, i quali ritenevano che l'unica maniera pulita di fare politica, in uno Stato come il nostro, fosse quella di non compromettersi in nessun modo col potere e continuare a fare opposizione dall’esterno, fare letteralmente i cani da guardia del sistema. Ne scaturì, su L’Espresso, uno scambio di opinioni educato ma non pacifico con Sciascia, in cui maturò una rottura fra i due. E Montale? Montale, inconsapevolmente, fu all’origine di quello scontro. Intervistato in merito al processo alle Brigate Rosse per cui sedici dei giurati chiamati a far parte dell’assise si dichiararono, con tanto di certificato medico, inabili all’incarico, coerentemente con la propria filosofia di vita il poeta disse che da un certo punto di vista lui capiva quelle persone perché anche lui, da cittadino, avrebbe avuto paura. Ne scaturì una querelle per cui da una parte gli integrati del PCI gli rimproveravano la vigliaccheria (avrebbe dovuto invece dire, da intellettuale e senatore, che prima di tutto veniva il dovere verso lo Stato, perché “lo Stato siamo noi”, come scrisse Cavino), e dall’altra gli eretici che difesero Montale il quale aveva espresso il timore del cittadino comune proprio di fronte ai mali di uno Stato di cui non solo non si riconosce come parte, ma che anzi ti è nemico, antagonista. Chi aveva ragione e chi torto? Entrambi e nessuno, mi pare. Perché, se è vero che Sanguineti aveva ragione nel principio – non si può fare opposizione a vita, lasciando sempre agli altri la possibilità di decidere anche per te –, è anche vero che la nostra storia ha dato ragione a Sciascia. Ma ancora, va detto che se c’è stato un intellettuale che voleva fare una rivoluzione per essere meglio integrato con gli altri fu proprio Sanguineti, il quale non riuscì mai né a fare una rivoluzione, né a integrarsi in niente e con nessuno, troppo colto per mettersi alla pari con le classi operaie per cui faceva politica, che manco capivano la sua lingua, e troppo militante per trovare una mediazione possibile con chi parlava la sua stessa lingua ma non condivideva l’uguale integralismo politico. (E infatti, non a caso, il suo antagonista per eccellenza, fu l’amato-odiato Pasolini, che gli era tanto più simile nel rigore, nella solitudine e nelle pulsioni di morte di quanto Sanguineti stesso avrebbe mai voluto/potuto ammettere).

venerdì 30 ottobre 2020

fola

Giuro che il 90% degli autori che mi contattano dichiarano di non aver mai pubblicato un libro a pagamento. Io li leggo e mi chiedo: ma allora di cosa si lamentano tutti. Mi pare evidente, infatti, da ciò che dicono, che gli editori a pagamento non esistono, sono una fola, una leggenda medievale proprio come il drago e l'unicorno. Tutti ne parlano, ma nessuno ne ha mai visto uno.

mercoledì 28 ottobre 2020

poeta nel cuore

Stavo leggiucchiando adesso l'ultimo libro uscito a firma di Bolaño con una scelta delle sue poesie e confesso che, leggendolo, a volte penso che B. fosse così ossessionato dalla poesia perché non è mai riuscito a scriverne una come si deve. Poi certo, aveva l'attitudine del poeta, lui più di tanti altri (e come fai a entrare visceralmente nel suo lavoro se non sei anche un po' poeta?) ma dire di un romanziere che era poeta nel cuore non è un po' come ammettere che hanno ragione tutti coloro che ogni giorno ammazzano la poesia dicendo: di sicuro esiste, ma tutta la poesia di cui ho bisogno la cercherò soltanto in un romanzo?

lunedì 26 ottobre 2020

chi si ferma è perduto

Gentile editore, ho letto che non accettate più manoscritti, quindi questa email è perfettamente inutile, ma io ve la mando lo stesso.
Penso anche che non solo non darete una sola occhiata alle mie poesie, ma non leggerete nemmeno questa email, ma io ve la mando lo stesso.
Perché chi si ferma è perduto.
Gentile autore, mi sei piaciuto e quindi ti leggerò.

domenica 25 ottobre 2020

la bella copia

Stamattina leggevo alcuni commenti entusiasti ai versi di un poeta riconosciuto post mortem – “sempre amato lui!”, ma sempre quando, quando faceva la fame e non se lo cagava nessuno? – e pensavo che un poeta che non è ancora arrivato al successo non è considerato “poeta” da nessuno, nemmeno quando scrive o legge i suoi versi. E se lo dice con troppa convinzione che scrive poesie, al massimo si vedrà rispondere quel certo sorrisino di chi ti compatisce o sfotte. Però un bel giorno, se il poeta arriva al successo, generalmente post mortem, vince questo premio: gli viene tolta la pelle della sua vita precedente. Nessuno più che dica che è stato maestro o impiegato o commesso o operaio ecc. Gli viene tolto l’unto del lavoro quotidiano. La poesia, che fino al giorno prima era un lusso per i poveri, diventa l’unica occupazione di una vita. E il lavoro, a meno che tu non possa romanzarlo nella sua bio, sembra quasi sia stato un blando incidente di percorso. Magicamente, sulle pagine web o nei manuali scolastici non si capisce più di che mangiava questo poeta, cosa ha dovuto subire dai suoi capi, gli vengono tolte l’occupazione, la casa, la famiglia, i piatti preferiti, le sue insonnie. Restano soltanto gli amori, meglio se clandestini, qualche litigio letterario, e la bruciante e passione per i versi. Tutto, insomma, si riduce a ben poco, al minimo indispensabile. Così l’uomo che stava dentro il poeta muore e finisce, e il poeta che stava dentro l’uomo diventa una bella copia dell’originale, ma una copia non proprio esatta, diversa, e mai completamente intera. Pronta e lucidata per essere da “sempre amata”.

sabato 24 ottobre 2020

merito

C’è crisi. Nelle ultime due settimana ben due librerie, per problemi economici, mi hanno restituito i libri che avevo dato loro in conto vendita. Da entrambe le librerie non ho mai guadagnato nulla, nel senso che non ci ho mai venduto nulla, manco un libro, non so se per demeriti miei o dei librai o dell’ambiente culturale delle città in cui erano ubicate; fatto sta che il momento storico è quello che è, negli ultimi anni ne ho viste chiudere tante di librerie e non ho mai voluto rompere le palle a nessuno. Di una delle due, però, mi sono tornati i libri e come li ho tirati fuori dall’imballo li ho messi direttamente vicino al caminetto, perché sono talmente rovinati – distrutti è la parola giusta – che non li posso più vendere manco come usato, mi vergognerei a farlo. Ora, la crisi c’è, noi ce la possiamo prendere col sistema economico, con la storia, con la scuola, coi lettori, con gli editori, ma questa cosa bisogna dirla: se un libraio non ha cura nemmeno dei libri che vende si merita di chiudere.

bombe

A Napoli parte la protesta dei commercianti contro le nuove restrizioni e come prima cosa si lanciano le bombe carta e si aggrediscono i giornalisti intervenuti. Che uno lo sente e viene da chiedergli: ma come si fabbrica una bomba carta? Mica è un'attività comune. Per attività non necessaria quello si intende? "Io tenevo un negozio di bombe carta in centro e quello stronzo di De Luca me l'ha chiuso. E mo io di tutte queste bombe carta che ci faccio?"

venerdì 23 ottobre 2020

minnie

Minnie Riperton fu una cantante americana che raggiunse una certa notorietà nei primi anni '70, attirando l'attenzione (non solo artistica) e la collaborazione di Stevie Wonder, il quale nel 1974 le produsse un disco, Perfect Angel, e un singolo di enorme successo, Lovin' you (lalalalalala). All'apice del successo, la Riperton si ammalò e morì di cancro nel 1979, a 32 anni. Questo pezzo, invece, pieno di doppi sensi cantati con voce sapientemente innocente (will you come inside me?), viene dall'album successivo, Adventures in Paradise, del 1975. Lo ha scritto con Leon Ware che di lì a poco avrebbe composto I want you per Marvin Gaye, e si sente.

 

pessimismo

Giornata di fatica sistemando la legnaia, ché l'inverno è alle porte. Mio padre, osservandomi, mi dà il suo compendio dell'umanità. Gli uomini, dice, proprio come la legna, si dividono in due categorie: quelli fatti su misura per il camino, che sono già pronti per essere bruciati, e quelli fuori misura, troppo lunghi o troppo grossi, che prima li devi spaccare con un colpo d'ascia e dopo li puoi bruciare senza problemi. Minchia, gli dico, a te Cioran ti fa un baffo. Mio padre ride, ma manco lo sa chi è Cioran. Poi mi chiedono dove ho preso il mio pessimismo. È facile, l'ho ereditato da lui prima ancora di imparare a leggere.

copertine

Ieri un ragazzo mi diceva che faccio delle copertine bellissime. Non si è mai comprato uno solo dei nostri libri, perché a lui la poesia non tanto lo prende, ma le copertine sono bellissime. Dovresti fare questo nella vita, mi dice. Cosa? Dovresti proporti per fare le copertine dei libri. Ma se non compri nemmeno i miei, gli dico. Che c'entra, io sono io, il mondo è pieno di persone tutte diverse, con gusti diversi. Sarà, a me più vado e più i lettori sembrano tutti uguali. E infatti la maggior parte degli editori di poesia non fa nemmeno la copertina. A che gli serve?

giovedì 22 ottobre 2020

la vita

Ma tu che te credi che a vita è accussì, nu passettino annanz e nu passettino arrét? La vita è cacamiento ‘e cazzo, bella mia.

(da Io speriamo che me la cavo, di Lina Wertmüller, 1992)

ambizione

Una che mi scrive: "Tu mi sembri il tipo che sta cercando un corso di scrittura adeguato alle sue ambizioni! Solo per te la nostra speciale offerta: 10 lezioni, 300 euro tutto compreso. E ti diamo anche l'attestato di partecipazione". Ho sempre pensato di essere una persona semplice, ma se do l'idea che per soddisfare le mie ambizioni bastano 300 euro, sto veramente frecato.

mercoledì 21 ottobre 2020

metafora

Guardo la TV con mia madre. C'è una intervista a una nota dottoressa che spiega alcune cose sul COVID. Dietro di sé, sfruttando la momentanea attenzione mediatica, ha messo il suo ultimo libro in bella evidenza, così che si leggano bene il nome e il titolo sulla copertina. Mia madre guarda attentamente lo schermo, poi sbotta: Madò, hai visto che bello quel vaso?

lunedì 19 ottobre 2020

il passaparola (uno sfogo)

Io da autore, il messaggino privato in cui mi dici quanto ti è piaciuto il mio libro lo trovo intimo e bello e ti ringrazio. Ma da editore, se poi a quel messaggino non corrisponde, non dico una recensione che è un impegno, ma manco a una foto in una storia su IG (il massimo del disimpegno) in cui, senza chiedermi nulla in cambio, ma solo perché lo pensi, dici: “Questo libro m’è piaciuto,” a me pare un po’ una presa in giro. È come se da una parte, in nome dell’intimità dei rapporti, mi dici che mi vuoi bene e dall’altra ti vergogni di far sapere che mi conosci. Vogliamo giocare a fare gli amanti segreti? Comincia col toglierti le mutande quando mi vedi. Perché io l’affetto lo ricambio, ma non me lo mangio. E questo è il mio lavoro. Diciamo tutti che non c’è pubblicità migliore del passaparola. Ma se tu per primo/a non credi abbastanza in me e nel mio lavoro da dirlo a voce alta, io come amico/a che ti tengo a fare?

giudici e i giovani

Stamattina mi ha chiamato una simpatica poetessa che, fra le altre cose, leggendo come siamo subissati di proposte, mi ha raccontato un delizioso aneddoto su Giovanni Giudici di cui fu amica. Giudici, che era severissimo con gli altri così come lo era con se stesso, a chi gli proponeva manoscritti in lettura, spezzava sempre le gambe. Solo così si separa il grano dalla crusca, chi ci prova per priscio da chi, nonostante tutto, vuole scrivere e basta, rimboccarsi le maniche e lavorare ancora e ancora sui versi. "I giovani, diceva Giudici, vanno scoraggiati".

domenica 18 ottobre 2020

amori in corso


Amori in corso
, film del 1989 di Giuseppe Bertolucci che racconta l'amore delicatissimo fra due ragazze. Tre attrici in tutto, due stanze e un giardino, ogni tanto un giraffino che spuntava dall'alto. Un film lineare, di quelli girati a budget ridottissimo, eppure intimo e coinvolgente. Lo vidi la prima volta su Raitre, quando facevo l'università, e mi presi una cotta per Francesca Prandi. L'ho rivisto stasera dopo secoli e proprio come allora penso che Bernardo era più bravo, ma era Giuseppe quello a cui volevo bene.

giovedì 15 ottobre 2020

ottimismo

Ogni tanto mi prende l'ottimismo e penso che non tutto è perduto e con un po' di impegno siamo ancora in tempo per estinguerci e salvare questo pianeta.

karma

Quelli che gli scrivi per dirgli mi spiace non posso pubblicarti e ti rispondono: Scusa, ma perché mi scrivi, io ho già pubblicato con un altro! Come perché? Mi hai mandato un manoscritto a luglio. Ah scusa, è vero, ma ne mando così tanti che mi ero dimenticato di te.

mercoledì 14 ottobre 2020

lavori ingrati

Oggi ho dato il due di picche a un ragazzo che mi aveva mandato il suo manoscritto. Gli ho spiegato perché non andava bene pubblicarlo. Mi ha risposto così: "Sono sicuro che un giorno questa esperienza mi renderà più forte e mi insegnerà qualcosa, ma oggi la tua porta in faccia fa un male cane". Mi è dispiaciuto così tanto che volevo andare ad abbracciarlo. Anche per questo, penso, mi serve una segretaria, per dare il due di picche al posto mio. Se è sadica meglio, così poi non si lamenta che le faccio fare i lavori ingrati.

martedì 13 ottobre 2020

autonomia e secessione

Sono tre giorni che è venuta fuori la notizia che in Lombardia non ci sono vaccini antiinfluenzali, situazione che rischia di tramutarsi in un nuovo disastro medico per moltissimi anziani. Da più parti si ascoltano appelli al venirsi incontro fra regioni in questo difficile momento. E senza contare i già innumerevoli problemi nel sistema scolastico. Eppure, esattamente un anno fa, 2019, pre Covid, la stessa Lombardia insieme al Veneto e all'Emilia Romagna chiesero e si mossero fortemente per ottenere l'autonomia, ovvero una secessione irreversibile dal paese (complici Lega e PD), così da non condividere le proprie risorse con le altre regioni "inefficienti" dell'Italia (definizione di Fontana). Se quel progetto insano fosse andato in porto, oggi altro che chiedere aiuti allo Stato e alle regioni per avere dei vaccini necessari, la Lombardia da sola sarebbe completamente affondata. E il bello in tutto questo è che il Veneto, che invece i vaccini ce li ha eccome, da bravo complice in quella follia, sarebbe stato fermo a guardare, a guardarli affondare tutti, proprio in nome di quell'autonomia per cui l'unica cosa che conta è il mio, o come diceva Verga, la roba.

lunedì 12 ottobre 2020

il nome

Un giorno molti mi dovranno spiegare perché si lamentano tanto che non metto il nome dell'autore in copertina e poi, loro, non lo mettono nemmeno sul manoscritto che mi inviano in lettura. Pensa che bello aprire il file e trovare 15/20 righe di ringraziamento e dediche agli amati cari o di epigrafi colte, e manco l'indicazione di chi ha scritto e perché; né, delle volte, il titolo stesso dell'opera, in puro stile Pietre Vive. (Ma il nome era già in mail, mi risponderanno i più scaltri: ma valla a ritrovare la mail, senza ricordare il tuo nome, mio caro Ouroboros).

domenica 11 ottobre 2020

una storia domenicale

Un autore mi chiamava ogni domenica per sapere se avevo letto il suo manoscritto. Io all’inizio rispondevo per gentilezza, poi ho cercato di evitarlo. L’ultima volta, esasperato dai continui tentativi, gli ho risposto in maniera scortese: «Ma perché mi chiami di domenica, non ce l’hai una vita sociale, degli amici? Non è meglio andare a farsi una passeggiata di domenica?». Lui, molto seriamente, mi ha detto: «Guarda che il resto dei giorni io lavoro, posso dedicarmi alla scrittura solo la domenica». Io: «E chiami me?». Lui: «Sto cercando un editore». Io: «Ho capito, ma nemmeno io lavoro la domenica». Lui: «Va bene, scusa se ti ho disturbato. Lo hai letto il mio manoscritto?». Io: «No». Lui: «Grazie di avermi risposto». Io: «Buona domenica anche a te».

io non ci sto

Leggevo poco fa un post abbastanza simpatico di Giulio Mozzi che spiega come, attraverso una serie di espedienti (dai corsi di scrittura ai libri a tema modaiolo), si fan soldi coi libri. "Perché, a pensarci bene, tutte queste cose possono essere fatte con onestà". La cosa più interessante di questi post, secondo me, è che è a tal punto radicata l'idea "radical chic" che a far soldi coi libri si fa peccato contro l'idea stessa di cultura come causa nobile (nel senso che prima la facevano solamente i nobili, per passare il tempo), che c'è sempre qualcuno che risponde inorridito: "Io ne prendo atto, ma me ne tiro fuori e scrivo le mie cose solo per me, nel mio cantuccio". Ecco, ogni volta che una persona lo puntualizza sotto un post, secondo me, invece di stare appunto da parte a farsi le cose sue nel proprio silenzio incontaminato e perfetto, sta facendo un atto di vanità, o di vanagloria, per ribadire che, nonostante tutto, se non partecipa al gioco è solo perché non ne accetta le regole, va in direzione ostinata e contraria; ma sottindente anche che vorrebbe comunque sapessimo che c'è, si sbraccia per questo, perché intimamente sogna il riconoscimento di esserci come tutti, ma con le regole sue. Così con un piede sta fuori (e lo dice) e con l'altro sta dentro (e lo dice anche per questo). Ma chi sta bene da solo non ha bisogno di dirlo nessuno.

giovedì 8 ottobre 2020

stella cometa

Louise Glück vince il Nobel per la Letteratura. Nessuno ci avrebbe scommesso, anche perché In Italia nessuno la conosce, visto che è poetessa ed è pubblicata da case editrice minuscole (Dante & Descartes), ma poco male, visto che è pubblicata da case editrici minuscole, non sarà disponibile nelle librerie finché qualche casa editrice più grossa non fiuterà l'affare di pubblicare in grande stile una poetessa che nessuno conosce, e ne redigerà in fretta e furia un'edizione di comodo che però, nel frattempo, vedrà sfumare il naturale battage pubblicitario derivato dal Nobel. Insomma, l'impresa non vale la spesa e proprio come una stella cometa, "la poetessa della solitudine" (come l'hanno prontamente ribattezzatta i giornali) se la fileranno solamente in tre.

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Che poi non è che se una persona scrive versi e voi non l'avete mai letta quella persona è per forza di cose una pezzente della letteratura e ce n'erano altri prima e meglio di lei, magari semplicemente siete voi che non ci siete arrivati, né lei ha fatto lo sforzo di raggiungervi. Ma perché avrebbe dovuto farlo?
Io pure conosco gente che se gli dico Pietro Gatti non sa chi è, eppure Pietro Gatti era un mostro, uno dei massimi scrittori italiani, solo che scriveva in versi nel suo povero dialetto di Ceglie Messapica e molti, a dove stava lui, fosse anche Ceglie Messapica, non ci sono mai arrivati.
 
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9 ottobre. Mi piace e un poco mi diverte la gente che fa i commenti pieni di tenerezza quando scopre che il libraio/editore che aveva pubblicato la vincitrice del Nobel per la Letteratura di quest'anno ha stampato "solo" 200 copie del suo libro. Che non è una cifra tenera, ma ragionevolissima per la traduzione italiana di un'autrice straniera che fino a ieri non conosceva quasi nessuno. Ma davvero, quante copie pensate che venda un poeta oggi in Italia? Più di 200? Quello è destino di pochissimi, gli altri stanno messi più o meno, a lettori, come nell'Italia di Leopardi. (O come saggiamente mi disse mio padre il giorno che gli comunicai che volevo pubblicare il mio primo libro, circa quindici anni fa: Vè zàppe).

martedì 6 ottobre 2020

intervista con paolo uccello

C’è una storia bellissima e celebre di Ennio Flaiano che all’inizio del 1970 viene contattato da Rizzoli per una nuova collana di monografie d’artisti prefate da scrittori. Gli viene chiesto di occuparsi della monografia di Paolo Uccello. Flaiano, ex studente di architettura, accetta subito l’incarico. Il 9 febbraio, con la scadenza del pezzo alle porte, prende il treno e va a Firenze per documentarsi e vedere dal vivo le opere dell’artista. Ma gli va male, come annota nel suo diario: «Ricerca di Paolo Uccello. Gli Uffizi chiusi, il Grotto Verde di S. Maria Novella in restauro». Si fa dunque un giro in città per respirare l’aria di Firenze «sotto un vento allegro», poi da Alinari, prima di riprendere il treno, acquista una serie di cartoline con le opere che non ha visto di Paolo Uccello. Tornato a Roma, dispone le cartoline sul suo letto e, guardando in particolare quella con l’autoritratto del pittore (conservato al Louvre), comincia a dialogare con lui; s’inventa così un’intervista impossibile che spaziando nel tempo e nei luoghi, e anticipando quella che poi sarà un’attitudine del postmoderno, innesta nelle risposte di Paolo Uccello citazioni di Mondrian, Proust, Laforgue, Picasso, Morandi, ecc., facendolo parlare come loro e loro come lui, e affrontando in tal modo alcuni temi fondamentali legati al senso ultimo dell’arte, alla visione del mondo di ogni artista riassunta nel concetto stesso di prospettiva, all’etica del lavoro artigianale, al rapporto col pubblico e alla scelta di vivere una vita che ha al suo centro l’ideale per “il minore”. «Uso, amore, arte e grazia insegnano ogni cosa» dice Paolo Uccello a Flaiano, citando a un tempo Shakespeare e Jacopone da Todi. E ancora, in chiusura, citando La Bruyère ma parlando proprio a me: «È un mestiere fare un libro, come fare una pendola».