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venerdì 31 maggio 2024

favola

Ieri aprendo la finestra ho trovato un geco grosso come la mia mano che mi fissava aggrappato alle persiane coi suoi occhi tondi, lucidi e neri, e pieni di apprensione, che mi dice: Non buttarmi di sotto, ti prego, qui siamo al secondo piano e se cado mi farò molto male. E non darmi in pasto al gatto che come vedi mi ha già strappato la coda. Salvami, invece, e in cambio ti regalerò una pentola piena di monete d’oro che ti farà ricco e felice. – Io quindi, impietosito, senza proferire parola ho richiuso con delicatezza la finestra e l’ho lasciato andare illeso. Il geco stamattina era scomparso, ma sono passate 24 ore e della pentola d’oro non si è vista nemmeno l’ombra. Vatti a fidare dei gechi, mi lamento col gatto che da ieri fa l’offeso con me. – Sei un fesso, mi dice lui, ma sei soprattutto un ignorante. Quando mai nelle favole si è visto un geco pieno di monete d’oro? Lo hai mai visto tu? E allora non ti lamentare e studia!

sabato 7 ottobre 2023

preghiera

Un frame da C'era una volta, film del 1922 di C.T. Dreyer basato su un'antica favola danese. Il film è andato in buona parte perduto, ma ciò che ne rimane descrive un'opera di grande leggerezza con un tocco di piacevole romanticismo inusuale per Dreyer. Scoperti dal padre di lei a dormire insieme, l'orgogliosa principessa e il suo innamorato vengono esiliati nella foresta, dove vivranno in povertà. Durante la loro prima notte fuori dal castello pregano per il loro incerto futuro davanti a un mazzo di fiori raccolto nei campi. Come in ogni favola che si rispetti saranno felici.

sabato 14 maggio 2022

rose

Mia madre mi ha appena raccontato la storia di una donna che rubava fiori al cimitero e se li portava a casa per adornarla. Tutti sapevano chi era, ma visto che veniva da una famiglia povera la lasciavano stare. Un giorno aveva rubato dalla tomba della mia bisnonna delle rose d’inverno che a mia nonna erano costate lo sproposito di 42.000 lire. Mia nonna ci rimase così male che fece in modo che venisse a sapere da una vicina quanto costavano le rose, sperando che si dispiacesse per quella perdita e le riportasse indietro. Ma la donna, quando seppe, ci rimase anche lei così male di sapersi all’improvviso ricca, che invece di perdere un simile tesoro o di buttarlo via una volta seccati i fiori, se li mangiò.

venerdì 30 ottobre 2020

fola

Giuro che il 90% degli autori che mi contattano dichiarano di non aver mai pubblicato un libro a pagamento. Io li leggo e mi chiedo: ma allora di cosa si lamentano tutti. Mi pare evidente, infatti, da ciò che dicono, che gli editori a pagamento non esistono, sono una fola, una leggenda medievale proprio come il drago e l'unicorno. Tutti ne parlano, ma nessuno ne ha mai visto uno.

domenica 24 febbraio 2019

di sogni e favole

Ho appena finito il libro di Trevi, un libro talmente profondo e trasversale, “assoluto”, che, se avessi avuto lo stesso talento, profondità e pazienza, avrei voluto scriverlo io. Siccome non li ho, sono contento di averlo visto prendere forma nel lavoro di Trevi, liberandomi così di fatto dal senso di colpa di non aver saputo scrivere il libro “assoluto” che mi sognavo. Ora, se anche ne fossi capace, a che servirebbe? Lo ha già scritto lui. Meglio, quindi, dedicarsi a progetti più leggeri. Fra i tanti meriti dell’opera di Trevi, l’averci ricordato un periodo non troppo lontano in cui c’era un pubblico, non necessariamente colto, che riempiva i cinema durante le proiezioni dei film di Tarkovskij, che leggeva i libri di critica letteraria di Garboli, perché credeva che lo sforzo necessario a comprendere opere anche difficili sarebbe stato ripagato da una rivelazione, da un nuovo punto di vista e di comprensione della loro realtà. Altri tempi, ovviamente, prima di arrendersi all’idea che di sforzarsi di capire il mondo non vale la pena. A tal proposito, ancora Trevi ci ricorda – dopo Senza verso e Qualcosa di scritto – la centralità dell’esperienza poetica nel panorama culturale italiano, non tanto per la capacità della poesia di farsi leggere – ché gli unici poeti che vendono, in Italia, sono quelli di cui si parla nei libri dei romanzieri, vedi Trevi stesso, vedi Bolaño dei Detective selvaggi e Limonov di Carrère – ma come approccio necessario a una diversa percezione della realtà.

lunedì 17 aprile 2017

le chien jaune

Adotto un cane. È un cane piccolo, un cagnetto, è grigio e buono e lo prendo con me per la sua apparente mitezza che riscalderà i miei giorni. Invece il cagnetto, senza un attimo di tregua, si infila in un guaio dietro l’altro e addirittura risolve un giallo riempiendomi la vita di avventure e forse troppe emozioni per me solo che lo accompagno. Lo guardo sconsolato. Ma come? Facevi una vita da nababbo, passeggiate senza meta e un piatto pronto alla mia tavola ogni giorno? Ma come hai fatto a cacciarci in questo guaio? Il cagnetto però abbaia senza vergogna, mi scodinzola ed è come se ridesse di me, delle mie ansie, forse per dire che una vita sola non ci basta a contenere la nostra gioia di vivere. Guardo il cagnetto, lo chiamo e per la gioia si fa giallo anche lui.

martedì 7 marzo 2017

il leone dalla barba bianca

Da una favola di Tonino Guerra, un cartone malinconico e pieno di echi felliniani, con illustrazioni splendide, realizzato da Sergei Barkhin e Andrei Hrzhanovsky. Mezz'ora di poesia animata. 

Лев с седой бородой - Il Leone dalla barba bianca from finomeno on Vimeo.

domenica 5 marzo 2017

una favola antica

«Beati voi, disse il prete al contadino, che mangiate fave bianche. Io sono invece condannato a un pollastro al giorno». Ce la raccontava sempre a tavola mio nonno. Poi scoppiava a ridere, complice del prete.

sabato 25 gennaio 2014

una favola sui gatti e sull'amore

Il secondo giorno di novembre, festa d’ognissanti, Giuseppe afferrò i due mici dal pelo grigio e lucido che da alcune settimane avevano scelto il suo giardino secco come casa, li infilò in un sacco e li portò via di lì, strappandoli a quel luogo.
Erano mesi che provava a cacciarli. Sono povero, diceva, sono quasi senza lavoro. Non posso mantenervi, diceva, non siete figli miei e poi mi costate troppo!
Loro lo fissavano da lontano, nascosti dietro i vasi dei gerani secchi, che come spugne di pietra fossile, bucherellati e leggeri, stavano sospesi in fondo al giardino. Rispondevano con gli occhietti insolenti: una casa non è dove ti mettono a stare, ma dove scegli di rimanere.
Lui era anche d’accordo, si impietosiva, passava loro un piattino con una parte del suo pranzo. Loro si avvicinavano circospetti e divoravano voracemente ogni cosa, perché quando si è piccoli la fame è tanta. Ma a volte il piatto era così misero che sbuffavano tutti e tre dispiaciuti.
I due mici mangiavano con gusto, e avevano gli occhi puntati dovunque, perché non si fidavano di nessuno e quando provavi ad avvicinarti sfrecciavano via dietro i vasi.
Però si stavano affezionando gli uni all’altro. I due nei loro giochi si avvicinavano sempre più alla casa, e talvolta Giuseppe se li ritrovava dietro la finestra, che lo fissavano incuriositi o allungavano una zampina in alto, lungo il vetro. Altre volte, quando lo pagavano qualcosa di più, per festeggiare comprava loro un pugno di croccantini, di cui si leccavano da terra perfino le briciole.
Poi si pentiva della spesa. Non va bene, diceva Giuseppe per convincersi, non va niente bene.
Andò avanti così fin dal primo giorno per quasi tre mesi. Fino a quando cioè – il giorno della festa dei morti – si erano lasciati accarezzare a lungo e con piacere sulla schiena, mentre leccavano il fondo del piatto. Gli avevano accordato la loro totale fiducia.
Giuseppe dormì male quella notte. I pensieri si arrovellavano dentro di lui. Già da un pezzo aveva maturato un suo piano di salvezza economica e, ora che le circostanze glielo permettevano, cominciava a mancargli la volontà, gli tremavano le gambe all’idea. Comportati da uomo! si diceva, chiuso nel suo letto, e poi si insultava a lungo per convincersi a prendere sonno.
Così il giorno dopo, due novembre festa d’ognissanti, con l’aria di chi non ha dormito affatto, Giuseppe, ormai intestarditosi nei suoi propositi, portò fuori un piatto delizioso, cucinato appositamente per loro e che lui invece non toccò, preferendo digiunare per quel giorno, che si godessero il loro ultimo pasto insieme.
Lo posò per terra e si mise alle loro spalle, approfittando della fiducia riposta in lui, per guardarli mangiare un’ultima volta e con la bocca girata in basso per la disapprovazione di sé. Poi, poco prima che finissero, si piegò su di loro e con due gesti rapidi, di cui quasi non si accorsero, li afferrò e li infilò nel grande sacco bianco e ruvido che teneva nascosto dietro la schiena, in cui si agitarono spaventati per un pezzo, ma senza quasi fiatare.
Quando furono sfiniti e il sacco si afflosciò fra le sue mani, lo infilò in auto e li portò molto lontano, che non riuscissero più a ritrovare la via di casa. Prese anche con sé, stretti in un tovagliolo di carta, dei croccantini di quelli che piacevano tanto a loro. Per tutto il tempo fece finta di non sentire il loro pianto sommesso dal cofano dell’auto, un pianto che gli straziava il cuore.
Li portò lontano, in campagna, da una sua amica che se ne stava sempre sola. Aveva una gran massa di capelli arruffati e l’aria stralunata delle streghe nei vecchi libri di favole, ma era una persona di buon cuore che amava gli animali.
Staranno bene qui, gli disse lei, c’è molto spazio per giocare, li farò mangiare tutti i giorni. Lui provò ad allungarle il fazzolettino dei biscotti, ma lei li rifiutò. Non le leggi mai le favole?, gli disse, non si danno i biscotti ai piccoli abbandonati, hanno il magico potere di riportarli a casa. Darò loro i miei biscotti invece, così si abitueranno al mio odore.
Poi Giuseppe tornò a casa da solo. E per tutto il resto del giorno li cercò dietro i vasi di gerani, e ogni volta che non ce li trovava, cercava di soffocare il rimorso che gli covava in pancia, o quella che si ostinava a chiamare fame, piluccando i loro croccantini.

venerdì 12 aprile 2013

strage

A un certo punto, non si è mai capito perché, i piccioni bianchi che Nunzio allevava per dar colore ai matrimoni, smisero di tornare a casa. Decisero di comune accordo di restare a vivere nella piccola piazza della chiesa e di nutrirsi di quanto rimaneva sul sagrato dopo ogni cerimonia. Forse, qualcuno si azzardò a dire per sfotterlo, il riso bianco dei matrimoni era migliore del mangime da quattro soldi di Nunzio, ormai disperato per la perdita.
All’inizio passeggiavano lentamente, guardandosi intorno con curiosità, coi loro pancioni candidi per la piazza, e presto, quasi fosse Venezia, divennero i soggetti preferiti dei turisti armati di fotocamera, addirittura impararono a mettersi in posa in cambio di un pezzetto di pane.
A forza di pane e di riso, ingrassarono al punto di smettere di volare e zampettavano come galline, ancora tondi e buffi, avanti e indietro per quella che ormai era diventata la loro aia, andando a rifugiarsi negli angoli per dormire, sotto i balconi, dove nidificarono al suolo.
Nacquero così nuovi uccelli che, seguendo l’esempio dei genitori, non impararono mai a volare. Erano troppi per la piazza, la quale presto venne ricoperta di escrementi, piccole macchie nere bianche o gialline che crepitavano sotto i piedi quando passavi. Persino le loro belle piume, adesso che si trascinavano al suolo, erano lorde di cacca.
L’odore era insopportabile, soprattutto d’estate. E quando, a causa della sporcizia, i matrimoni finirono, vedevi gli uccelli muoversi per la piazza come impazziti dalla fame, muovendo il collo a scatti e picchiando il becco contro il pavimento vuoto, se non di escrementi, consumandolo a forza di beccate, ma incapaci di migrare.
I loro vicini umani, ormai stanchi e al limite della sopportazione, quando capirono che né Nunzio né il parroco né quelli del Comune sapevano come risolvere il problema, decisero di fare da sé. Pagarono l’accalappiacani per radunare nella piazza, una mattina, tutti i randagi da portare al canile, e li scatenarono su di loro per farne strage.
Dopo la mattanza, quando i cani furono allontanati, ai pochi uccelli superstiti, che ancora scappavano intorno terrorizzati, senza più voce, senza più vie di fuga, le piume intrise di sangue sulle zampette tremanti e inciampavano sui cadaveri dei loro compagni mutilati dai morsi, venne spezzato il collo. Quando Nunzio, impotente, da lontano vide la scena, i suoi occhi si inumidirono, ma riuscì solo a dire: che peccato.

domenica 12 agosto 2012

linee

Vito non credeva che il rapporto con suo nonno potesse mutare a tal punto con la malattia. Prima il nonno ha cominciato a confonderlo col fratello morto in guerra e a perdersi in lunghe divagazioni crepuscolari su parenti e amici estinti, di cui continua a chiedere notizie o spiegazioni per le loro visite mancate a lui, fratello mancato a sua volta. Poi persino la linea della vita, un tempo lunghissima sulla sua mano, ha cominciato a confondersi e svanire, persa fra le pieghe della pelle e la comparsa di mille altre rughe dal significato misterioso o non ancora chiarito. Vito osserva, quando le confrontano, che da un po’ di tempo la linea sulla sua mano è lunga allo stesso modo di quella di suo nonno.