domenica 30 gennaio 2022

una storia piccola piccola

C’è una vecchia amica di mia nonna che, da brava contadina, prende una pensione da fame. Per motivi di salute non può vaccinarsi, a causa dell’età non sa usare il computer, quindi è in ansia perché non sa come andare prendere la pensione che le serve per mangiare e per pagare l’affitto. Il medico di base, che l’aiuta poco e nulla, le ha detto che deve fare i tamponi che sono più affidabili ma che la donna non può permettersi. Non avendo figli si è risolta a chiedere aiuto a una ragazza senza lavoro che abita vicino a casa sua. La ragazza si terrà poi qualcosa della pensione per il “fastidio” di dover andare in posta con la delega e già che c’è le farà la spesa. Mio padre dice che se prima la vecchia, dovendo gestirsi da sola, si manteneva attiva, adesso che le danno una mano si chiuderà in casa perché non potrà più muoversi, e tempo quattro-cinque mesi rimbambirà del tutto e morirà qualche mese prima del dovuto. Perché i vecchi sono come motori accesi che girano per inerzia, una volta che li fermi si rompono.

sabato 29 gennaio 2022

monetine

Insomma qui c'è uno (Draghi) che voleva fare il presidente e non gli è stato concesso. Un altro (Mattarella) che sono mesi che dice che se ne vuole andare e non può. E tutto questo per colpa di una banda di inetti irresponsabili che non sanno più gestire le cose e non vogliono rinunciare a soldi e privilegi. Altro che a battutine sui social. Andrebbero presi a monetine in faccia come Craxi.

la paura dei classici

Pochi giorni fa Bob Dylan, dopo aver già ceduto i diritti del suo catalogo musicale (lui insieme a Springsteen, Neil Young, Paul Simon, gli eredi di Bowie) ha venduto la proprietà di tutta la sua musica registrata alla Sony, ovvero a una multinazionale. Qui c'è un articolo di Paolo Vites che ne parla, anche in termini economici. Di fatto "il mercato della nuova musica si sta effettivamente riducendo. Tutta la crescita del mercato viene da vecchie canzoni”. Significa che c'è una bolla di sapone social in cui ciascuno di noi si esprime e crede di avere un valore artistico, ma poi nella sostanza gli unici a vendere sono i classici: "non importa se hai venti milioni di visualizzazioni su YouTube o 40 milioni di ascolti su Spotify: non stai guadagnando praticamente nulla." Questo succede anche in letteratura. Puoi avere tutti i follower che vuoi, ma nella sostanza gli unici a fare vendite fisse e consistenti sono i classici e su quelli investono sostanzialmente le case editrici a scapito dei viventi. Dire, come si fa, che l'importante è permettere all'industria di fare cassa e sostentarsi purché si dia un minimo spazio ai più giovani, non risolve il problema del necessario ricambio/rinnovamento culturale e non tiene conto di un fatto: che se, per esempio, dai spazio a un giovane ogni tanto (spesso in base al suo valore promozionale più che all'effettivo talento) da affiancare a 999 classici, stai mettendo da parte altri 4, 5, 6 giovani (su mille) di talento che magari non sono belli o spigliati abbastanza da stare sui social. E in ogni caso, se il valore è solo quello social, una volta che saranno troppo vecchi o raggrinziti (come denunciava Joni Mitchell) ci sarà chi li butterà via senza rimpianti in attesa che diventino anche loro classici da recuperare al mercatino del vintage.

venerdì 28 gennaio 2022

è urgente

Uno che mi scrive Lillo rispondimi, Lillo rispondimi, Lillo rispondimi, Lillo rispondimi, è urgente. È urgente. È urgente. E va avanti così dalle 21 alle 23. Alla fine gli rispondo: Che c'è? E lui: volevo sapere se ti posso chiamare domani mattina, sul tardi. Ma cazzo, mi arrabbio, chiamami direttamente domani. E lui: Non volevo disturbare, che tu sei sempre occupato. È finita che un altro poco mi sono scusato io.

giovedì 27 gennaio 2022

rancore

La mia giornata della memoria la chiudo con l’invito a leggere una poesia di Giorgio Bassani chiamata GLI EX FASCISTONI DI FERRARA in cui, nel clima di distensione della sua città e di tutta Italia dopo la guerra, Bassani parlava con disgusto degli ex fascisti che facevano finta di non ricordare e gli gettavano le braccia al collo da buoni amici ora che era uno famoso. Del resto, in tutto il paese la scelta più o meno unanime era stata quella: chi, arrivati al bivio della Repubblica di Salò, aveva scelto Salò era da condannare come fascista, chi invece aveva rinnegato o scansato quel passaggio si era ripulito la fedina. Qualcuno, più cinico e smaliziato, gli sussurrava all’orecchio: “Ma sì Bassani, smettila con questo atteggiamento di arroganza e perdonaci una buona volta. Dopotutto è scrivendo quei tuoi libri pieni di balle su di noi che ti sei fatto ricco, dovresti quasi ringraziarci, senza di noi tu nemmeno esisteresti come scrittore”. E Bassani, con tutta la sua acredine, rispondeva: “Perdonarvi? Certo, ma soltanto dopo che saremo tutti morti.” Perché una vera giornata della memoria, non andrebbe mai scordato, non si nutre soltanto di pietà e di buoni sentimenti, ma anche di rancore cieco, sordo e irrimediabile. E in questo rancore la differenza la fa da che parte stai.


 

fastidio

Allora, che Mentana fosse di parte in questa storia si capiva. Ma c'è un punto oltre il quale un certo atteggiamento comincia a pesare. Ho appena letto un pezzo su Open in cui si allude al "pericolo ospedaliero" di donne in gravidanza non vaccinate. E siccome io so, perché ne conosco, che molte donne in gravidanza magari vorrebbero ma non si vaccinano perché sconsigliate dal loro medico in quanto la vaccinazione potrebbe danneggiare il bambino, qui dobbiamo darci un ordine di priorità e capire chi ha più ragione fra le due categorie: se i giornalisti o se i medici, o se come mi pare di capire i medici hanno ragione solo quando lo permettono i giornalisti. Non funziona così, non puoi creare questi stati d'ansia e di disinformazione che contraddice di continuo ogni cosa, persino il parere del medico curante (quando fino a ieri "ce lo dice la scienza" era un dogma), e poi dare dell'imbecille a chi non ti segue più. E no.

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mercoledì 26 gennaio 2022

scheda bianca

Ci sono giorni che uno vorrebbe fare scheda bianca di ogni cosa e invece no, anche quello è privilegio per pochi.


isbn: un chirimento

Siccome mi pare ci sia molta confusione in merito, chiarisco che l’ISBN non è un titolo di merito. Averne uno non vi rende scrittori migliori. È semplicemente un codice di natura commerciale che serve a rintracciare il libro sui database e attesta che il libro non solo esiste, ma è in vendita, è merce pronta all’uso sul tavolone del mercato. Proprio come il pesce, o le melanzane. Mettere l’ISBN su un libro fantasma – di quelli che magari esistono stampati in venti copie e non trovi sul mercato – è una mezza truffa. Chiedere di attribuirne uno al titolo di uno strafalcione improvvisato per fare punteggio ai concorsi è una truffa e il fatto che la richiesta mi arrivi spesso da gente che vorrebbe avanzare nel mondo della scuola o della ricerca – lì dove una pubblicazione fa punteggio – la dice lunga su come sta messa oggi la scuola. Ma è talmente lucroso come affare che la stessa agenzia che gestisce gli ISBN li ha messi in commercio anche per i privati. Chiunque può prenderne uno, se lo vuole. Costa circa 80 euro + iva, ma c’è lo sconto se li prendi in offerta (il famoso 3x1), insomma è alla portata di tutti. E, nessuno lo dice, produce inquinamento informatico. Io dico questo: ci sono decine di editori che lo attribuiscono e il libro che fate non per questo venderà una copia in più. Può servire, ma soltanto se il libro lo vuoi davvero vendere, come le pentole da cucina o gli aspirapolvere, se vuoi sbatterti per avere successo e farlo girare a più non posso, se hai una strategia di marketing da abbinargli, se ne fai insomma una questione commerciale anche tu, senza rompere troppo il cazzo con l’arte. Perché l’ISBN è quello, e anche se spesso gli interessi coincidono, l’arte è un’altra cosa e sta da un’altra parte.

martedì 25 gennaio 2022

sogni a puntate

Non sempre ma delle volte faccio dei sogni a puntate, di quelli che riprendono la notte dopo da dove li avevo lasciati. Riuscirà Sheng a salvare la bella sconosciuta che ha paura dell'acqua e che rischia di annegare mentre prova a montare uno scaffale da libreria nella nicchia di uno scoglio decorativo montato al centro della piscina dell'albergo di lusso dove lavora come cuoco in incognito per una setta orientale? Giuro che mi piacerebbe saperlo.

lunedì 24 gennaio 2022

altri tempi

Leggo la storia editoriale di Giorgio Bassani poeta curata da Anna Dolfi. Di Un'altra libertà, terza raccolta di Bassani, vennero stampate in prima edizione, da Mondadori, 2000 copie e ne rimasero invendute 445. Nel 1951! Bassani all'epoca aveva 35 anni e ancora non aveva pubblicato uno solo dei racconti di Ferrara che poi lo avrebbero reso famoso.

complici

Roberto R. Corsi mi faceva leggere poco fa un articolo uscito ieri su Domani in cui per sommi capi si dice quanto da molti già denunciato negli ultimi mesi. Siamo alla fine di un'epoca. Il costo della carta è aumentato e sta ancora aumentando, in alcuni casi anche del 70%. Non solo, alcune tipologie di carta stanno proprio sparendo dal mercato. E questo perché 1) la gente legge meno libri e giornali, ma soprattutto 2) la cartiere si stanno riconvertendo alla produzione di carta e cartoni da imballaggio per Amazon e altre piattaforme di vendita online che hanno preso il sopravvento con il Covid. Che significa? Che dovendo scegliere fra fare libri che si vendono sempre meno o fare imballaggi per elettrodomestici, si preferisce i secondi; e se anche per miracolo aumentassero i lettori non ci sarebbe più carta sufficiente per stampare tutti i libri che servirebbero. Si stamperà sempre meno, a prezzi più alti, e di ogni titolo si stamperanno meno copie con carta di merda. I primi a morire saranno i giornali. Poi verranno le librerie. Le piccole case editrici si convertiranno al digitale o al print on demand, presumibilmente a carico dello scrittore che vuole assolutamente il libro cartaceo che diventerà un reperto per collezionisti simile al vinile. Si stamperà presumibilmente dove costa meno, in Asia o in Africa, sfruttando come manodopera il sottoproletariato del mondo, e si venderà probabilmente dove comincia la filiera, ovvero su Amazon, di cui siamo vittime ma anche complici.

sguardo di chi ti ha fregato la sedia e non intende sloggiare

 


il genio

Quello che ti manda il suo manoscritto mettendo come destinatario un altro editore e rifilando te (e chissà quanti altri) in copia nascosta. Glielo scrivi. E quello: Az mi ha scoperto.

domenica 23 gennaio 2022

dalle parole ai fatti

A voi spetta trasformare l'Italia, diceva Mario Draghi a ottobre. Non fermatevi, non scoraggiatevi, prendete il futuro, aggiungeva Mattarella a capodanno. Poi i ragazzi vanno in piazza a manifestare per uno di loro morto durante l'alternanza scuola-lavoro, e la polizia li carica.

mercoledì 19 gennaio 2022

la domanda

È colpa dei no vax se gli ospedali stanno affondando?”. Ho visto che lo chiedevano ieri da Floris. E io ogni volta che sento questa domanda a cui si può rispondere semplicemente sì, perché è anche vero, sulla parola “affondare” ho sempre voglia di aggiungere il mio ricordo personale di quando dieci anni fa mio nonno ebbe una crisi e stava morendo e il medico ci disse che era meglio portarlo in ospedale. Erano gli anni in cui si cominciavano ad attuare i primi seri tagli alla sanità e si vedeva perché ci furono problemi con le ambulanze. Così, nel bisogno, caricammo mio nonno in auto e lì cominciò un’odissea di ore – me la ricordo ancora con ansia – in cui con mio padre e un suo amico girovagammo, con questo vecchio di 98 anni semisvenuto sul sedile, rimpallati fra tre ospedali, nessuno dei quali aveva posto per lui, stavano tutti scoppiando. In uno, me lo ricordo ancora, c’era un uomo che aveva avuto un incidente d’auto ed era parcheggiato in corridoio perché non c’erano letti liberi. Tre ospedali e nessuno aveva posto. “Ormai ha fatto il suo tempo” ci dissero in un altro, per sbarazzarsi dell’incomodo. Era il 2012, c’era Nichi Vendola alla Regione, mio nonno ci stava morendo in auto e in tre ospedali che girammo non c’era ancora un solo no vax su cui scaricare la colpa per i posti che mancavano. Quindi, quando mi chiedono: “è colpa dei no vax se gli ospedali affondano?” vorrei rispondere che se vogliano essere pratici e risolverla qui ed ora, “frisce i mange” (friggi e mangia) come si dice qui da noi, sì, è colpa loro, così una volta sgominati si tornerà tutti alla sospirata normalità. Se vogliamo pensare al fatto che già la normalità da cui veniamo era solo un’apparenza, che già prima andava male e che è i problemi che stiamo vivendo sono cominciati molto prima di oggi e non finiranno certo col ritorno a quella normalità, allora no, la colpa è di altri, di determinate scelte fatte male e rimaste impunite, basate su tagli studiati a tavolino e adottati per mere ragioni economiche, imposte colpevolmente a un paese la cui popolazione diventa di anno in anno più vecchia e indifesa.

pastori sardi

Ieri ho visto Banditi a Orgosolo di Vittorio De Seta, film del 1961, stupendo per fotografia e ritmo, che ha il merito di aver reinventato e rilanciato (insieme ad "Accattone") un certo tipo di sentimento neorealista, tutto recitato com'è da pastori sardi, al punto da essere studiato e celebrato nel mondo più ancora che in patria. All'inizio guardandolo mi sono entusiasmato, poi ho pensato che in effetti mi piace vincere facile, che ci vuole poco a essere "belli" quando si è già classici per definizione, e quello di De Seta è effettivamente un classico. Dico questo perché continuo a ripensare a un'osservazione che mi ha fatto la mia amica Azzurra. Mi ha fatto notare come sia incoerente da parte mia rimproverare il pubblico di comprare e leggere solo classici della poesia a scapito degli autori viventi (necrofilia poetica la chiamo), quando io per primo snobbo le ultime produzioni cinematografiche per dedicarmi a film vecchissimi che sono alla fine il corrispettivo dei classici. Ha ragione lei e glielo riconosco. Non sono coerente, ma non so come uscirne. L'altra sera ho provato a vedere un film di cui si è parlato tanto, Malcolm e Marie di Sam Levinson, e come raramente mi capita di fare l'ho mollato a metà. Meglio, mille volte meglio i pastori sardi.

martedì 18 gennaio 2022

volgarità

Ho appena visto delle persone che condividevano delle foto di Emilio Fede ridotto non proprio bene dopo una caduta (ha 90 anni) e ridevano di lui senza pietà. È pur vero che si raccoglie cosa si semina, e la volgarità che ha seminato Fede in anni e anni di giornalismo infetto loro l'hanno assorbita diligentemente e ora gliela restituiscono. Mi hanno disgustato.

le sentenze

Incontro per strada un ex studente, ragazzo alla moda coi pantaloni attillati che gli arrivano sopra le caviglie, le scarpette bianche e nessuna traccia di calze. Non mi frega nulla della moda, semplicemente lo invidio perché io porto addosso dieci strati di roba e ho ancora freddo. Non so come faccia ma lo odio e glielo dico apertamente. Quello, unendo il danno alla beffa, mi fa: “Beh sai, l’età non aiuta…” poi mi saluta e si gira per andarsene. Ma proprio in quel momento scivola su una macchia d’acqua saponata sul marciapiede, che qualcuno ha rovesciato dopo aver lavato le scale di un palazzo, e casca di culo per terra con un tonfo. La morale di questa favola serve a ricordarci che Dio e grande e le sentenze, prima o poi, arrivano.

il successo (due tempi)

Condivido qui una fra le tante bellissime pagine di Un uomo pieno di gioia, biografia dello scrittore dimenticato Antonio Delfini a opera di Cesare Garboli, riedita da minimum fax nel 2021 con introduzione di Emanuele Trevi, a cavallo del suo successo allo Strega. Con quel premio è venuto fuori una sorta di cortocircuito in cui il riconoscimento di Trevi con Due vite, libro tutto sommato minore (almeno rispetto al precedente Sogni e favole che parlava proprio di Garboli) ha permesso la riscoperta del semidimenticato Garboli, che non solo tanta evidente influenza ha avuto su Trevi (e si vede), ma credo gli sia addirittura superiore; il quale Garboli a sua volta scrive un breve saggio su un altro dimenticato, Delfini, che in parte aveva la grave colpa di non scrivere romanzi ma frammenti e diari (alla maniera di Flaiano), in parte era un disadattato del successo, come ammette lo stesso Garboli. E io, che manco del tutto di umiltà, leggo questa pagina su Delfini e mi ci riconosco: sono io quest’Antonio qui sotto. E quindi spero che un giorno venga a salvarmi un Garboli – salvato a sua volta da un Trevi che vince uno Strega – dall’oblio a cui mi sono condannato per la mia incapacità a essere un Moravia.

Da Un uomo pieno di gioia, pag. 57: «Non credo che «scrivere» (e quindi l’esercizio della letteratura) sia classificabile fra i desideri infantili. Ma il bisogno di farsi largo, l’affermazione di sé? Delfini amava il successo, ma lo amava puerilmente, fuori da ogni realtà, come fonte inesauribile di sogni (facendo quindi pochissimo per ottenerlo). Fra il bisogno di realizzarsi e l’attività letteraria si era creata in lui un’identità negativa: non solo il desiderio di successo, ma lo stesso rapporto con la letteratura era vissuto e praticato, come un rapporto magico. Che il successo premii delle qualità professionali, o che si possa ottenere con le proprie forze, era un pensiero da cui Delfini non fu sfiorato mai. Il successo era per Delfini un rumore, un boato confuso e lontano, l’eco di applausi che non ci spettano; e se non era questo, non era il caso d’inseguirlo. Ma quello che vale per il successo, vale anche per la letteratura. Delfini non aveva alcuna idea professionale di se stesso; solo negli ultimi anni la cercò, ma per stanchezza, per darsi un’identità. E per la verità, come «scrittore», non era una bottega che sfornasse libri o racconti; la letteratura lo visitava e lo possedeva malgré soi, come un vizio o una malattia. «Credeva ch’io fossi Moravia», mi disse un giorno per spiegarmi la fatalità, e il fallimento, dell’amore con Luisa B.; e in queste parole (dove c’era una grande tristezza) non c’era nessuna invidia per Moravia, ma appunto la sincera sorpresa che si fosse potuto creare un simile equivoco».

domenica 16 gennaio 2022

principio

Questo è il mio post del cazzo della domenica mattina – me lo dico da solo – e lo scrivo perché negli ultimi tre giorni ho sentito ben due notizie di donne incinta respinte dagli ospedali per via del tampone. Una in Cina aveva fatto il vaccino ma le era scaduto il pass da poche ore, l'altra a Sassari non era vaccinata e quindi non le è stato permesso di entrare in ospedale. Entrambe hanno perso il bambino. Non so come funzioni in Cina, ma la Medicina qui è ancora servizio pubblico. Significa che chiunque sta male – per il solo fatto che paghiamo le tasse – ha diritto a delle cure indipendentemente da razza, sesso, fede, potere economico e vivaddio anche da green pass. È il principio di Ippocrate. Se ci scordiamo questo principio possiamo tranquillamente adottare il sistema americano, che è un sistema discriminatorio fra chi ha e chi non ha. Sono per la vaccinazione obbligatoria, ma penso anche il vero problema degli ospedali non è chi non si vaccina, ma una sistema politico osceno che per anni ha imposto tagli economici per far chiudere gli ospedali, o per favorirne la privatizzazione: il futuro presidente Berlusconi fra gli altri. Perciò non ci sono abbastanza posti letto. Quello che ci servirebbe ora, più ancora dei vaccini, sono milioni di euro investiti per ripristinare un sistema ospedaliero sempre più in affanno, così come sono le scuole. Non succederà ovviamente, perché aprire gli ospedali significa assumere personale a tempo indeterminato – e non con contratti stagionali – e qui non ci sono soldi per assumere nessuno, così come non ci sono soldi per pagare le pensioni, quindi meglio arrangiare coi green pass. Del resto stiamo meglio noi che il resto del mondo, perché lamentarsi? Ma io mi chiedo che succederà quando per muoversi servirà una quarta dose, e poi una quinta, e una sesta, e questo processo – come già dicono – sarà insostenibile. Cosa faranno? Imporranno l'obbligo di green pass con vaccinazione a carico di chi lo deve fare? Ovvero: ti devi vaccinare obbligatoriamente per avere il green pass che ti serve – tipo badge – per andare a lavorare, ma il vaccino lo devi pagare tu, altrimenti sei tagliato fuori? E cosa faranno i sindacati, un nuovo sciopero generale che non serve a niente? A me pare proprio che, se non cambia qualcosa, si andrà in quella direzione lì. E in quella direzione lì, che in genere si chiama privatizzazione, chi non ha soldi muore nei parcheggi degli ospedali.

sabato 15 gennaio 2022

linea

Dove finisce il paese la linea fra verde e cemento è così netta da avere una sua cupa bellezza. 


 

quello che ti meriti


Ieri ho visto Le soldatesse di Valerio Zurlini – autore di cui personalmente consiglio ogni cosa. Le soldatesse, da un libro di Ugo Pirro, è considerato un film minore e segna, per la critica, l’inizio di un periodo di declino del regista, anche se a guardarlo oggi non ci capisce perché. Forse per il tono, essendo un’opera meno d’autore e più vicina alla commedia all’italiana degli anni ’60. Ha il limite di perdersi un po’ nel finale (ma, cosa inaudita oggi, le ultime battute citano alcuni versi della Bufera di Montale); ma credo succeda per il fatto che in autori così d’atmosfera com’era lui il finale è sempre un po’ una forzatura, il film potrebbe andare avanti all’infinito nel suo divagare per paesaggi e piccoli abbozzi narrativi tutti affidati agli sguardi e al silenzio. Nel complesso è un bell’affresco di guerra, il primo in assoluto del nostro cinema a offrire una rappresentazione dell’occupazione italiana della Grecia durante la seconda guerra mondiale. Come dice Zurlini in una intervista noi italiani siamo stati bravissimi, dopo, a scaricare tutta la colpa su Mussolini e sui tedeschi, ma eravamo lì ed eravamo complici della devastazione e dello stupro. Il film, profondamente antifascista, parla di tre soldati italiani che hanno il compito di scortare per i vari presidi militari un gruppo di quindici ragazze greche costrette a prostituirsi per fame. È tutta lì la metafora della guerra, in quel camion pieno di ragazze che si vendono per una scatoletta di cibo ma non vogliono rinunciare ai loro sogni di ventenni. Come dice all’inizio il colonnello interpretato da Guido Alberti al riluttante Tomas Milian, tenente che non vuole questo incarico perché lo ritiene svilente: «Quando studiavo io, e tu non eri ancora nato, illustri professori ci insegnavano che questo paese era la culla della civiltà, e che saremmo stati dei barbari senza l’ideale di bellezza intuito dagli antenati di queste disgraziate. E quando questi professori, dal ‘21 al ‘24, sono stati bastonati, umiliati e cacciati in esilio, noi eravamo troppo deboli per muovere un dito, ed è proprio per questo che a voi invece hanno insegnato a spellarvi le mani quando un maestro somaro dice che vuole spezzare le reni a un popolo in ginocchio, che la dignità sta tra le chiappe delle vostre sorelle, e che con le puttane ci si va al buio, e non si scarrozzano in giro come esseri umani. – E allora? – E allora hai quello che ti meriti perché il mio è un ordine. E se vuoi, fammi rapporto».

mercoledì 12 gennaio 2022

una resa dei conti

Ha ragione il Corsi quando dice – come ha fatto poco fa con me – che la chiusura del blog di poesia della Rai ha un po’ il sapore di una resa dei conti. Resa dei conti di una cultura che dà una parte esalta retoricamente l’idea stessa di poesia come genere sommo nella terra di Dante, Petrarca e Mussolini (che “ha scritto anche poesie”), ma poi nei fatti chiude le porte in faccia senza problemi a chi la pratica e pubblica, e a dispetto delle apparenze non sono pochi. Si assiste così a questa specie di resa generale al mercato, in tutte le sue possibili declinazioni: da quella della rivista di Crocetti che si accasa con Feltrinelli realizzando un po’ il sogno di tutti i piccoli editori, che sbolognano un’indipendenza dall’industria culturale in attesa che l’industria culturale se li mangi per fare pace coi conti in rosso; a quelle di giornali e blog letterari che dedicano sempre meno spazio, sempre meno competente, sempre più annoiato alla poesia, genere che non sanno leggere né nel cuore né nella forma. Quanti sono oggi gli spazi più o meno ufficiali che dedicano uno spazio alla poesia: poco più di una decina. Il più potente, la televisione, se va bene la tratta alla stregua di un circo, se va male le sbadiglia in faccia. Quanti editori di poesia ci sono oggi in Italia? Pochissimi nella qualità e moltissimi nel numero, eppure tutti in continuo affanno. Perché (considerata la quantità assurda, nauseante, di autori che si propongono)? Perché i libri di poesia a dispetto di tutto questo circo di scrittori o sedicenti tali non si vendono, o meglio non li compra nessuno, manco per fare i regali a Natale. Prima almeno si recensivano, adesso nemmeno più quello. Del resto dove li recensisci? Su quale sito? Poi si parla di poesia come dell’ultimo spazio di libertà di chi scrive perché non è condizionato dal mercato. Ma sono chiacchiere. Se un libro non lo vendi e non lo recensisci è come se non esistesse, diventa un fallimento che pesa. E poi meno spazio non implica più libertà, indica maggiore necessità di amicizie e favori per avere quei cinque minuti di celebrità per i quali, tutti, pubblichiamo libri. Altrimenti li terremmo chiusi nel cassetto. Non c’è più uno spazio adeguato di espressione, di dialogo e confronto. E questo non è sano. Quanto senso ha, ormai, per un editore, pubblicare un autore – per quanto bravo sia – che non sa autopromuoversi, o vendersi, o mettersi in posa ammiccante, o che non ha i giusti amici nei siti giusti per dire almeno che ci siamo sui giornali, visto che manchiamo quasi del tutto sugli scaffali delle librerie? Io non lo so e me lo chiedo di continuo come editore. Come lettore nemmeno mi dovrebbe interessare, visto sono nato nella terra di Dante, Petrarca e Mussolini (che “ha scritto anche poesie”) e questo certo dovrebbe bastarmi.

sabato 8 gennaio 2022

che cos'è la solitudine

In un bel documentario del 2012 di Adolfo Conti, Gli anni delle immagini perdute, basato sui diari di Valerio Zurlini, viene denunciato lo stato di solitudine vissuto dal regista bolognese negli ultimi sei anni di vita, abbandonato dall’industria culturale così come da molti suoi colleghi (eletta schiera) e ridotto a scrivere sceneggiature per dei film mai realizzati, su cui nessun produttore voleva investire, in cui nessun attore voleva recitare. Zurlini era un autore di riconosciuto talento (La prima notte di quiete, Il deserto dei Tartari), ma veniva considerato un uomo dal carattere assai poco accomodante. Era avvinto infatti da una malinconia incurabile, e per questo venne relegato alla censura e al silenzio. Scrive Zurlini nei suoi diari che arriva un momento nella vita di un uomo in cui quest’uomo incontra il suo cupio dissolvi. In quel caso il mondo culturale che ha intorno dovrebbe farsi carico di questo dolore, stargli accanto per affiancarlo di fronte al vuoto, offrigli un appoggio, una spalla, una mano, anche solo una parola d’affetto. Ma questo non succede quasi mai, perché stare accanto a una persona affacciata sul baratro è qualcosa che richiede molto impegno, e coraggio. Ci sarà tempo, dopo, per gli elogi, per l’affetto, per sbandierare una comprovata amicizia. Intanto che ciascuno se la sbrighi da solo coi suoi demoni. Scriveva Zurlini amareggiato: “Siamo in mano a servi di servi, a mediatori avidi di mance, a politici incanagliti e ciechi, e quanti film non si sono fatti né si fanno né si faranno perché la nostra è l’arte meno libera del mondo. Mentre arte è sinonimo di libertà, di creazione, di pietà e di gioia”. In questi giorni che si è saputo della morte di Peter Bogdanovich e ieri di Vitaliano Trevisan ho pensato a lui.

venerdì 7 gennaio 2022

per caproni

Caproni era maestro elementare. Uno che aveva fatto come tanti la guerra da soldato. Aveva come ogni giovane delle ambizioni che negli anni aveva imparato ad accantonare per il semplice bisogno di sistemarsi. Sognava di avere successo in prosa, ma per buona parte della sua vita venne considerato soltanto un poeta minore. Poi in tarda età venne fuori, proprio in versi e in maniera del tutto inaspettata, il suo stile maturo che riusciva miracolosamente a coniugare la rima dilettevole dell’opera al più disperato nichilismo europeo. Ma tutto questo genio dispiegato nel terribile silenzio della sua vecchiaia non è riuscito a salvarlo. È morto povero e solo, semidimenticato. Negli ultimi anni, ormai vecchio pensionato, andava in giro con le scarpe rattoppate, al suo funerale non c’era quasi nessuno, un pugno di amici e di poeti che potevano contarsi su una mano. Soprattutto non c’erano i lettori. Dopo la sua morte tutto questo muro è stato abbattuto dai “ti amo” che fanno piazza pulita del dolore e della solitudine di un uomo per restituirlo al pantheon dei grandi. Non a tutti tocca uguale destino. Oggi qualcun altro gode del successo che a lui non è toccato di vedere, centinaia di lettori che in vita non lo avrebbero mai letto comprano i suoi libri, citano i suoi versi. Per molti poeti è un modello inarrivabile di cui sperano di ereditare il talento, ma legato possibilmente al destino di un altro.

mercoledì 5 gennaio 2022

un passo avanti

Ieri al centro vaccinale affollato c'era gente che si scannava per passare davanti. A un certo punto, nella baraonda è scoppiata una violenta lite in cui una signora in preda al panico ha inziato a gridare a tutti di non avvicinarsi a lei perché non sapeva se fossero o meno appestati, un altro diceva a un migrante che lui non aveva diritto a vaccinarsi perché non era italiano. Ci mancava solo che si venisse alle mani. Insomma, i cosiddetti migliori Provax spesso non si vaccinavano per spirito di gruppo o di popolo o per salvare il mondo, ma soltanto per puro egoismo e per salvarsi dagli altri. Non "Ce la faremo tutti insieme" ma "Io prima di voi". Non c'è nulla di sano in questo. Poi uno può anche dire che ai fini della salute pubblica sono meglio loro che gli altri, ma io farei un passo in avanti.

il debochard

Stanotte ho sognato Carlo Formigoni che faceva un intero spettacolo sui migranti. Un po' nello stile di Ascanio Celestini, Carlo stava seduto al centro della scena spoglia e raccontava, una dietro l'altra, tutte queste storie di fuggiaschi concatenate dalla cronaca. Mentre parlava teneva in mano, come unico oggetto di scena, una barchetta di carta ricavata da un foglio di giornale. Questo perché tutte le storie raccontate erano prese da servizi giornalistici, che sono l'unico canale filtrato (raffreddato o riscaldato a piacere, in base all'audience) attraverso cui ci rapportiamo con quelle tragedie, e perché in fondo quella barchetta lì è fragile proprio come quelle su cui viaggiano i migranti. E proprio perché ricavate dai giornali nessuna storia aveva un vero finale, lasciato in sospeso, un po' come nelle Mille e una notte, lasciandoti l'ansia di sapere come sarebbe andata la vicenda di questa o quella persona rimasta in balia delle onde. Ce la farà a salvarsi? Alla fine, fra gli applausi e le lacrime, Carlo affaticato e contento diceva: "Grazie, ho soltanto cercato di dare al testo il risalto che meritava".

lunedì 3 gennaio 2022

lista

Volevo fare anche io la mia lista dei libri più belli che ho letto l’anno scorso, ma mi accorgo che non me ne ricordo uno in particolare, ho come un gran nebbione nella testa in cui tutto si assomiglia senza grandi distinzioni, anche se questo non significa che fossero libri brutti. Semplicemente, forse, cercavo altro. Il 2021 invece quel particolare sentimento in cui si mischiano piacere estetico e scoperta me lo hanno regalato alcuni registi spesso del passato remoto: Fritz Lang (tutto il ciclo del dr. Mabuse, ma anche “Una donna sulla luna” è bellissimo), Billy Wilder (“L’appartamento”), Orson Welles (“Il processo”, “Il terzo uomo”), Alfred Hitchcock (qualsiasi titolo degli anni ’50 e ‘60), Nicholas Ray (“Neve rossa”) e il povero Jean Vigo, Roman Polanski (come Hitchcock ma un poco dopo, qualsiasi titolo degli anni ’60 e ’70), Jean-Pierre Melville (“Il silenzio del mare”, “L’esercito delle ombre”), che hanno tutti la stesa caratteristica, di essere “stranieri” non solo nell’animo, ma proprio esuli o fuggiaschi, condizione che influenza tutta la loro poetica. Sono quelli di cui ho visto più o meno tutta la filmografia, a cui si aggiungono un’ottantina di titoli fra classici europei (“Vogliamo vivere!” di Lubitsch, “La grande illusione” di Renoir) e soprattutto noir americani, in particolar modo quelli dove campeggia il modello di Humphrey Bogart (“Il grande sonno”) e quelli dove questo modello viene superato (“Il lungo addio” di Altman). Sono state le uniche ore di gioia pura in un anno altrimenti di cacca.

domenica 2 gennaio 2022

pensare green salverà il mondo

C’è sempre da imparare nella vita, da studiare e da ricredersi. Così il 2022 per me comincia con Ursula von del Leyen che – in barba a tutto ciò che credevo – definisce l’energia nucleare non solo necessaria ma anche “green”, proprio come il “green” pass. Tutto è “green” ormai per chi sogna un mondo migliore. Magari ha ragione lei. Ma resta aperta la domanda: che ne faremo delle scorie nucleari? La storia ci insegna – se la storia è capace di insegnare qualcosa a qualcuno – che per quelle c’è già pronta l’Africa, la nostra fogna a cielo aperto. Vero è che negli ultimi anni l’Africa se l’è comprata la Cina. Quindi? Finiremo per pagare l’affitto ai cinesi per avvelenare gli africani? Avremo questo coraggio? O le getteremo in fondo al mare perché avvelenino i pesci, che essendo muti per natura non protesteranno troppo? O le spareremo direttamente nello spazio, come si vede in certi film di fantascienza? Nella politica internazionale se ne sono viste di più incredibili, in fondo, e di più schifose. Noi, anche col dubbio, dobbiamo continuare a credere che in qualche modo tutto si risolverà da sé, anche senza il nostro impegno diretto. Abbiamo altri problemi da risolvere adesso, come ad esempio dove mettere i figli se richiudono tutto, o anche quello di questi neri che non si capisce proprio che vengono a fare qui sulle loro barchette.

sabato 1 gennaio 2022

auguri col perdono

Auguri a tutti, come ogni anno, anche a quelli che ogni anno sparano i botti e così dimostrano di voler male agli animali. State tranquilli che gli animali sono migliori di voi e anche se non vi capiscono vi perdonano uguale. In questo modo l'anno comincia bene, ancora non avete fatto nulla di orribile (c'è tempo) e già siete stati perdonati.