Caproni era maestro elementare. Uno che aveva fatto come tanti la guerra da soldato. Aveva come ogni giovane delle ambizioni che negli anni aveva imparato ad accantonare per il semplice bisogno di sistemarsi. Sognava di avere successo in prosa, ma per buona parte della sua vita venne considerato soltanto un poeta minore. Poi in tarda età venne fuori, proprio in versi e in maniera del tutto inaspettata, il suo stile maturo che riusciva miracolosamente a coniugare la rima dilettevole dell’opera al più disperato nichilismo europeo. Ma tutto questo genio dispiegato nel terribile silenzio della sua vecchiaia non è riuscito a salvarlo. È morto povero e solo, semidimenticato. Negli ultimi anni, ormai vecchio pensionato, andava in giro con le scarpe rattoppate, al suo funerale non c’era quasi nessuno, un pugno di amici e di poeti che potevano contarsi su una mano. Soprattutto non c’erano i lettori. Dopo la sua morte tutto questo muro è stato abbattuto dai “ti amo” che fanno piazza pulita del dolore e della solitudine di un uomo per restituirlo al pantheon dei grandi. Non a tutti tocca uguale destino. Oggi qualcun altro gode del successo che a lui non è toccato di vedere, centinaia di lettori che in vita non lo avrebbero mai letto comprano i suoi libri, citano i suoi versi. Per molti poeti è un modello inarrivabile di cui sperano di ereditare il talento, ma legato possibilmente al destino di un altro.
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