giovedì 31 gennaio 2019

il lettore saggio

Non ho nulla contro l'acquisto compulsivo di libri cartacei (figurarsi!) però stamattina su IBS ho visto che vendono gli ebook di Gli anni al contrario di Nadia Terranova a 0,99 euro e Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi a 3,99. Quindi, ahivoglia ad annusare romanticamente l'odore della carta, ma il lettore saggio che ha in tasca venti euro, sa quando bisogna approfittare del progresso e invece di accontentarsi di comprare due libri bellissimi e basta, il lettore saggio compra due ebook bellissimi + un libro cartaceo a scelta da 13 euro, meglio se di un editore indipendente!, e con le due euro che gli restano ci va a prendere un caffè al bar con la commessa della libreria.

martedì 29 gennaio 2019

mal costume, mezzo gaudio

Un giorno diranno di me che, mentre qualcuno si dava da fare per cambiare questo Paese in meglio e salvarlo dal disastro annunciato, io me ne stavo a casa a parlar male di tutti, di quelli e degli altri, perché diffidavo di chiunque, soprattutto di me stesso, in perfetto Italian Style.

lunedì 28 gennaio 2019

la cultura del cazzo

Stavo guardando il video di Sgarbi contro la Nappi, in risposta a uno scontro che hanno avuto su Rete 4 la settimana scorsa. In quel diverbio la Nappi ci ha fatto una figura pessima e Sgarbi pure. Oggi, guardando il video di Sgarbi, ho pensato che siamo uno di quei paesi in cui l'opinione detta male (molto male) di una pornoattrice ha maggiore peso, non solo mediatico ma proprio di opinione pubblica, di quello di un uomo di cultura, un pensatore o anche di un addetto ai lavori. E che, di contro, la risposta di Sgarbi per cui una pornoattrice non dovrebbe immischiarsi in certe cose, ma fare solo quello che sa fare, cioè prendere cazzi, è scorretta sotto qualsiasi punto di vista. Perché, se la Nappi ha una sua (per quanto esile sia) opinione politica, ha il diritto in quanto cittadina votante di dirla, e se ha il potere mediatico per influenzare (anche male) chi le dà retta, ha tutto il diritto di usare quel potere che le hanno dato. C’è chi mi dirà che è sbagliato che una persona che non ha il pieno controllo del potere delle sue parole possa parlare a un pubblico così vasto e che spesso la prende sul serio (quando non è impegnato a riempirla di insulti sessisti), ma se quella cosa la Nappi la dice male o viene mal recepita (acriticamente) dal pubblico, in un sedicente Paese industrializzato, direi che la colpa non è proprio tutta della Nappi. Di chi è allora? Ecco, questo è il paese che qualcuno ha voluto per noi e ha pazientemente coltivato perché producesse questi frutti. Non dico che sia stato Sgarbi, forse ha più colpe Berlusconi in questo senso. Ma se Sgarbi, che non è un fesso e nemmeno una persona impreparata, risolve ogni diverbio come fa, dicendo: “Tu mi fai schifo! Io non ti voglio scopare!” non dà certo un grande esempio di maturità. O forse è anche lui uno dei tanti intrappolati in quella cultura del cazzo che denigra? Perché alla fine, che sia una pornoattrice o che sia un dotto opinionista a parlarne, sempre lì si ritorna. Alla cultura del cazzo. Non certo la migliore, ma di sicuro la più duratura forma di pensiero che l’Italia abbia espresso dai tempi di Boccaccio.

sabato 26 gennaio 2019

sciacallaggio


Oggi ho visto il servizio di Berlusconi a L'Aquila: non so con quale coraggio ci sia tornato dopo la sua gestione politica dell'emergenza terremoto di dieci anni fa. Eppure c'è ancora chi lo applaude. Poi dicono: prima devono venire gli italiani che hanno bisogno. Mai che si aggiunga (vedi proprio il caso de L'Aquila) come spesso il problema non sono gli stranieri che vengono a rubare risorse, ma gli italiani stessi che speculano sulle sventure dei loro connazionali, dei fratelli, come sciacalli. Non a caso una delle parole più usate intorno al disastro che colpì quella bellissima città è stata proprio "sciacallaggio", declinata in ogni suo possibile significato.  

(La foto l'ho fatta io nel 2012, L'Aquila per fortuna non è morta e resiste)


preziosissimo saba

venerdì 25 gennaio 2019

nudde

“T’à specchiè l’ucchie!” m’à ditte
aqquanne m’i rrajéte pe jídde. I íj
– so fatue u sacce – m’i specchiète.

Oh! ddò nan se vète nudde. Nan se vète
cchiù nudde. Manke u fatue ca sì.


Traduzione. 

Nulla 
“Devi specchiarti l’occhio*!” mi ha detto
quando mi sono arrabbiato con lui. E io
– sono sciocco lo so – mi sono specchiato.

Oh! qui non si vede nulla. Non si vede
più nulla. Manco lo sciocco che sei.


*Devi lustrarti l’occhio fino a renderlo capace di riflettere.

mercoledì 23 gennaio 2019

pensiero stupendo

Ieri la pietra dello scandalo era Nonno Libero, oggi è Libero e basta, che lancia l’allarme: in Italia aumentano i gay, ce ne sono troppi (proprio come i neri e i terroni)! Però, in molti insistono, l’emergenza non è generale, né culturale o morale, l’emergenza è colpa di “questi”! Sì, ma “questi” chi? “Questi”, quelli al potere. Ma Libero non esprime mica le idee di quelli al potere, sta da un’altra parte. No, ma che hai capito, “questi”, i maledetti fascisti! Ma allora perché, se la colpa è tutta dei fascisti, la sinistra ha perso le elezioni? O mi vuoi forse dire che la maggioranza degli italiani è diventata all’improvviso fascista sei mesi fa e ora ci ripensa? Ma no, è che gli italiani sono come i bambini, non sanno bene ciò che vogliono e allora vanno un po’ da una parte un po’ dall’altra in base al capriccio. Forse serve uno che decida per tutti cosa vogliono? Uno che detti le regole, che metta i puntini sulle i? In tanti diranno di no, ma sotto sotto un pensiero stupendo nasce un poco strisciando…

martedì 22 gennaio 2019

limonio, secondo tempo

Volevo fare un libriccino che parlasse dei miei scazzi da editore e al contempo dei miei gatti, come una dicotomia che si incontra a un punto. Avevo il titolo: Limonio, avevo anche la copertina pronta con un bel gatto di strada in bianco e nero. Poi ne parlo con Giovanni Turi (perché gli editor sono come la droga, dopo che li hai conosciuti non puoi più farne a meno) e con Azzurra de Paola (perché le donne sono come ecc..., soprattutto quando scrivono anche loro) e mi ritrovo a rivedere tutto da capo, eliminando quasi completamente la parte felina a favore degli scazzi editoriali. Insomma, il libro adesso è più bello, ma che me ne faccio della copertina col gatto di strada? Nulla, la metto da parte e rifaccio anche quella. In effetti, non c'entra con quello che avrei dovuto fare oggi pomeriggio, ma quando una idea ti viene a cercare che fai? Le dici: "Ti richiamo domani"?

la mia pietra per banfi

Continuo a pensare che ci sia qualcosa di profondamente inadeguato e a tratti ipocrita nell’atteggiamento di tanti che denunciano la scelta di Banfi per l’Unesco, quando poi la situazione in Italia è quella che è: musei vuoti, teatri chiusi, siti archeologici che cadono a pezzi, abusi edilizi che definire sfacciati è poco, gli operatori culturali che lavorano dietro compensi vergognosi, da elemosina, e se parli di qualcosa che va appena oltre il luogo comune sputtanato dai media (l’ultima febbre per Van Gogh, ad esempio) ti rispondono quasi tutti con uno sguardo che dice “Ma che palle!”. Allora, esattamente, di che stiamo parlando? Della brutta figura che facciamo all’estero? Ma brutta figura di che? Per essere gli ignoranti che effettivamente siamo? Una volta Tonino Guerra disse gli italiani sono brave persone che non amano leggere, ma non glielo puoi dire in faccia, si offendono. Era già tutto lì. Gente per cui l’apparenza conta più dei fatti. Non mi pare sia colpa dell’attuale Governo questa, è una cosa che viene da molto prima, di cui il Governo esprime forse il lato più istrionico, il menefreghismo per quella cultura che sta un po’ più su, che è meno facile da raggiungere, quella che crea diffidenza perché genera i mostri. Ci siamo cresciuti in questo pregiudizio, io me lo ricordo ancora, lo stesso alimentato da Berlusconi, da certa DC (leggete Sciascia), da certa Sinistra inquadrata nel pensiero perbenista e univoco (leggete Pasolini), giù fino al ventennio fascista. Così mi chiedo, quand’è che tutti questi italiani hanno cominciato a capire di cinema e cultura, dopo essersene fregati per tutta la vita, al punto da permettersi di giudicare Lino Banfi? Il fatto è che Banfi lo conoscono tutti per averlo frequentato assiduamente negli anni della loro formazione sentimentale, quindi si permettono di dirne male perché sanno ciò che vale quel cinema (buono appunto per farsi le seghe e comunque meglio della saga ipocrita di Nonno Libero), ma quanti possono permettersi di dire di aver visto e conosciuto altro? Io non mi sento così pronto a giurare che siano in tanti a poter lanciare la prima pietra.

lunedì 21 gennaio 2019

ipocrisia

A volte credo che siamo l'unico Paese la cui popolazione si dichiara apertamente ipocrita e basta così, questa presa di coscienza non determina un bel nulla. Come se la semplice ammissione (confessione) giustificasse l'esistenza del peccato, liberasse gli animi dalla colpa, disconoscesse la necessità di migliorarsi. L'ipocrisia dell'ipocrisia, insomma.

domenica 20 gennaio 2019

fame nera

Ieri notte ho visto una volpe. Una piccola volpe che si aggirava svelta dietro casa, sul limitare del paese, in cerca di cibo. Ho temuto per i miei gatti, che potesse attaccarli o ucciderli mentre, a loro volta, seguivano l’istinto della caccia e dei duelli notturni. Ma non è successo nulla. In compenso i gatti, in preda alla loro natura, hanno fatto strage di un pettirosso che da giorni scendeva a beccare semi sotto l’albero della magnolia, lasciando parte del corpicino straziato sulla porta. È la fame che regola il mondo, mi convinco stamattina, mentre guardo un video ambientalista in cui una mandria di vacche prosciugate dalle mungitrici viene trascinata sulle zampe malferme, dopo gli anni trascorsi nelle gabbie, verso il macello dall’altra parte della strada. Un viatico di fame. È fame che spinge i migranti in mare, fame quella dei pesci che consumeranno i loro corpi a piccoli morsi voraci, fame quella di chi non li vuole e difende il proprio piatto dal loro arrivo, per non spartirlo cristianamente, per non soccombere al loro appetito. Perché il Papa sbaglia, il Vangelo è falso se nega che la fame è più forte di tutto, Gesù non ha mai conosciuto la fame. Fame di chi prende e fame di chi vuole prendere ma muore prima. Non c’è altro. Vince chi ha più fame, chi ha più denti o più salute, chi sa piangere e masticare insieme. Non c’è da temere, i ristoranti sono pieni. La nostra fame è immensa.

sogno della casa

Prima mi faccio la casa nuova. Ha un prezzo concorrenziale, nel senso che è talmente basso che posso permettermela persino io. Ovviamente la casa è infestata. Lotto per metà del sogno per disinfestarla da creature orribili che si sono barricate in bagno. Una tragedia! Poi scopro che il mio postino è Fabio Pusterla. Come prima consegna mi porta un cd con una registrazione inedita di Domenico Modugno che canta Azzurro fondendola con O surdato innamorato. Bellissima! La ascolto due volte nel sogno. Poi decido di ricambiare il dono e scrivo all'indirizzo sulla busta mandando un mio libro. Mi rispondono poco dopo (via Pusterla) con questo messaggio: arriverà il giorno che voi editori darete le castagne agli scoiattoli e i diritti a chi li merita! Nemmeno fossi stato la Siae.

sabato 19 gennaio 2019

hi perv

E finalmente è arrivato anche a me (rigorosamente sulla mail editoriale, lì dove si annidano i pensieri perversi) l'avviso dell'anonimo hacker di turno che mi minaccia di condividere col mondo gli infamanti video rubati in cui mi masturbo mentre guardo film porno su Internet. Siccome so che sapete perfettamente che tutto ciò che dice è vero, non perdo tempo nemmeno a rispondergli. Se vi arriva un video da un anonimo spammer e siete così incauti da aprirlo, e parte un video di me che faccio smorfie strane verso la camera, ora sapete di che si tratta. Come diceva mio nonno: è tutta salute.

venerdì 18 gennaio 2019

il giappone in valmarecchia


Più mi addentro nei suoi scritti e più mi accorgo che c'è un grosso equivoco intorno alla figura di Tonino Guerra, che lo vede schierato per la nostra critica nel ruolo di poeta contadino, poeta naive, dialettale, un istintivo di grande estro ma di non sempre mirato controllo formale. Invece andrebbe meglio studiato, anche stilisticamente, alla luce delle sue letture, delle sue frequentazioni internazionali. Anche io, all'inizio, sono stato tratto in inganno, lo pensavo un Neorealista, poi un felliniano, e per certi versi influenzato dal suo matrimonio russo. E non mi accorgevo di come Guerra abbia sempre preferito Antonioni a Fellini, che il suo rapporto con l'Est andava, attraverso la mediazione di Pound, ben al di là della Russia di Tarkowskij, arrivava in Medioriente, in Cina, infine in Giappone, al cuore stesso della loro cultura. E non capivo come sia impensabile capire la leggerezza quasi eterea dell'ultimo Guerra, i suoi tentativi di disgregazione della forma romanzo, il suo innalzare il nudo aneddoto a narrazione pura, indipendente da sovrastrutture morali, senza tener conto dello Tsurezuregusa del monaco Kenko, delle Note del guanciale di Sei Shonagon, dei diari di viaggio di Basho, opere che non solo ha letto, ma che a tratti ricalca, lasciandoci degli indizi evidenti del suo percorso letterario trasversale. Percorso che lo ha completamente isolato, a un certo punto, relegandolo nell'alveo dello stravagante cui tutto è concesso in nome della poesia (ruolo che ha evidentemente interpretato al suo meglio). Era un percorso rigoroso, invece, ma molto distante dalla nostra cultura e per questo non sempre decifrabile, o digeribile. In tal senso Guerra è uno dei pochi nostri autori (non solo cinematografici) di respiro internazionale, capace di portare con una facilità ingannevole il Giappone in Valmarecchia e la Valmarecchia in Giappone, e mi meraviglia che ad oggi nessuno studio serio (se non per poche intense intuizioni, come quella di Calvino nelle note al Polverone) abbia mai indagato gli evidenti rapporti tematici e formali (a cominciare dai disegni) da lui intessuti, nella sua opera, con l'Oriente.

padronale

Forse la cosa più irritante che sento ripetere, da diversi esponenti delle varie forze politiche all'opposizione, sul reddito di cittadinanza è la critica che non si ferma sul merito o efficacia della manovra ma punta il dito contro le persone a cui è rivolta. Col reddito di cittadinanza, dicono, aumenteranno i furbetti, quelli che evandono le tasse col lavoro nero mentre intascano impunemente i soldi regalati loro dallo Stato! Non si prende nemmeno in considerazione l'idea che spesso questo lavoro nero è sottopagato o precario, che chi lo offre non ha i mezzi per assumere, né si prende in considerazione che ci sia gente là fuori che di quei quattro soldi ha bisogno urgentemente. Nei loro discorsi (fatti in malafede) quelli che se ne avvantaggeranno sono sempre e soltanto i furbetti, il maggior numero dei quali (sottotesto) risiede a Sud, sulla fame di tanti si omette sempre con un pudore che è fuori luogo. Poi ci si chiede come è stato possibile per queste forze politiche perdere il consenso popolare, soprattutto per quello schieramento che, almeno sulla carta, doveva difendere i diritti degli ultimi. Che partito è quello che non crede nel proprio elettorato? A me certi discorsi paiono invece, già nelle intenzioni, talmente classisti, padronali, che, quando li sento parlare, mi vien voglia di recuperare falce e martello e andarli a menare sui denti.

giovedì 17 gennaio 2019

lo stile non è acqua

Tg: Berlusconi torna in campo.
Mio padre: Ji diche statte a caste, stu mammocce fatue.

pulce d'amore

Staccò la pulce 
dall’ascella di lei 
per tenerla 

preservarla 
in una scatola di cerini 
farsi pungere il dito 

per nutrirla 
di volta in volta 
con una goccia di sangue. 


(Charles Simic, Love Flea, in Hotel Insomnia, traduzione mia)

minimo comune denominatore

Solo nel 2018: Dolore minimo, Coppie minime, Poesie minime, Alcune ragioni minime, Minimi vitali... Lo dico con molta ironia, eh. Ma o è un segno dei tempi oppure qualcosa (per quanto minimo) ci sta sfuggendo di mano.

martedì 15 gennaio 2019

paglialunga

«Cartastraccia» mi dice Paglialunga
leggendo senz’amore i miei poeti
con la sicumera di chi fa letteratura
a vent’anni e si offende se gli dico
che è un ragazzo nulla più che un cazzo
dritto come tanti. Richiama il suo
coetaneo Codignola – cosa posso offrirti
ragazzino se non la bocca storta
a furia di sorrisi e un cuore inacidito
dal dubbio? – Nulla che ti basti o
che soddisfi il tuo bisogno di affrancarti
dal mediocre a cui ti senti condannato
dal tuo essere nato
nulla più che un cazzo come tanti
buono per la monta e poi la morte
per esprimere a forza di botte e battutine
da stronzetto il disprezzo naturale
che preme per scoppiarti nei calzoni
alla tua età frustrata
dalle parole senza sesso
degli altri. Lo guardo Paglialunga e mi rivedo
io che sono stato mio nemico
come lui lo è di se stesso. E vorrei dirgli – né mi azzardo –
che è successo anche a me
di stare dritto come un cazzo
in mezzo agli altri. E non capire
che per quanto mi gettassi nella mischia
– fiero del mio cieco pregiudizio di uno
sterminato amore per la vita –
si è comunque destinati a invecchiare
nella spietata indifferenza degli altri.
Ed è questa la condanna di chi crede
soprattutto alla parola. Che tutto
può essere espresso racchiuso
persino la parola «invecchiare».
Ma la parola da sola
non significa veramente nulla.

domenica 13 gennaio 2019

di chi è la colpa?

Ci sono due uomini al bar che commentano l’arresto di Cesare Battisti. Quando il figlio adolescente di uno dei due chiede chi è Battisti, l’uomo gli risponde: “Ma come non sai chi è Battisti? Cosa ti insegnano a scuola?”. “Perché non glielo spieghi tu?” fa l’amico al padre. “Io l’operaio all’Ilva faccio. Non sono bravo a spiegare le cose. È mia moglie che parla coi figli. Provaci tu, che sai parlare bene”. “Ma no, è una responsabilità, mica sono così informato sui fatti, e se sbaglio qualcosa? Che mi dirai dopo? Bisognerebbe studiarsi la cosa, ma chi mi paga per questo?”. “Appunto dico, sono pagati i professori, dovrebbero spiegarlo loro chi è Battisti!”. “Con quello che pagano i professori! Serve uno più in alto, almeno uno del sindacato”. “Buoni quelli a spiegare le cose! Non si capisce mai niente quando parlano!”. “E se provassimo con uno più in alto ancora?”. “Il Presidente?”. “Il Presidente no, ma almeno il Sindaco”. “Ci sono le elezioni, mica il sindaco si può sbilanciare, adesso. Ti risponderà come il ministro: la pacchia è finita! Che non significa niente, però dice tutto!”. “Ci stiamo complicando la vita! Sapere chi era Battisti ormai mi sembra un segreto di Stato!”. “E se chiedessimo al prete?”. “Che gliene frega al prete! Mica Battisti è uno della parrocchia”. “Io penso che potrebbe dire tante cose, invece”. “Sì, ma niente di preciso. Uno che non ha mai affrontato il problema, ci deve pensare bene prima di parlare. Ti risponderà che deve confrontarsi col Vescovo, col Papa!”. “Chissà cosa ne pensa il Papa? Un’idea lui ce l’avrà!”. “Bisogna vedere se è l’idea giusta, ché pure il Papa dice un sacco di castronerie”. “Chissà cosa ne pensa Dio, allora?”. “Io dico che manco lui ci sta capendo niente”. Il padre a questo punto si gira verso il ragazzo e gli fa: “Prima o poi chi è Cesare Battisti lo capirai da solo. Qui, come vedi, stiamo come stiamo, e nemmeno Dio sa più come aiutarci”.

sabato 12 gennaio 2019

sogno di carlo bordini

Carlo cammina sul ghiaccio
i muove a tentoni in un paesaggio di neve
puro come una lastra di ghiaccio
che lascia intravedere in basso
gli alberi sempreverdi appena smossi dal tempo
Carlo si muove verso gli alberi
gli alberi danno spazio al cielo
Carlo scivola perde l’equilibrio
e in quell’attimo di smarrimento
Carlo e io diventiamo una persona sola
Carlo si dà una spinta riprende la giusta inclinazione
ritorna dritto sul suo asse sui suoi passi
Carlo e io siamo due persone sole
sul ghiaccio

venerdì 11 gennaio 2019

non risponde

Iersera ho letto per caso una poesia della Anedda in cui si rivolge direttamente alla Poesia (alle parole) per fare i conti sul loro rapporto. La Anedda non è la prima a farlo e di sicuro non sarà nemmeno l’ultima, ma mi è venuto in mente che quello poetico è l’unico genere letterario – l’unico che conosca – in cui il poeta non solo dà sfacciatamente del “tu” alla Musa, ma ogni tanto si sente l’ansia o il dovere di scriverle queste sue lettere in versi, a volte accalorate, altre più lamentose, spingendosi fino all’invettiva (“puttanapoesia” la chiamava Antonio Porta), prendendosi la libertà di lavare i loro panni sporchi in pubblico e sfidarla. È una cosa straordinaria secondo me. Quanti romanzieri conosci che, con la stessa disinvoltura, attaccano un loro libro con: “Eccomi romanzo, oggi sono qui per farti il culo…”? Magari glielo fanno anche, ma per dichiararlo così apertamente (a meno di non essere Cervantes) ci vuole una certa sicurezza nei propri mezzi, oppure incoscienza creativa, perché davvero si rischia di apparire ridicoli. Eppure il poeta, la cui poesia dura meno di un lampo, se ne frega del ridicolo, e infatti alla Poesia le scrive senza troppi problemi. C’è da dire che la Poesia, di suo, non risponde mai.

giovedì 10 gennaio 2019

la ragazza nei sogni

Attraverso i miei sogni richiama
la ragazza conosciuta ora è un anno
nei miei sogni passati. È tanto
ma ancora ricordo la terrazza a piastrelle bianche
coi fiori celesti proiettata sul vuoto
e la griglia del pesce e la statua
alle cui spalle in piazza
noi due ci s’incontrava. E i ponti ombrosi d’edera
e rossi di cotto i vicoli delle nostre passeggiate.
Non ricordo il suo nome
per quanto le abbia una volta promesso
non sarebbe successo
e ora mi cerchi in lunghe interurbane
perché non ci perdiamo.
E sempre mi sfugge qualcosa
o cade sulla voce confusa la linea
interrompendola.

10/01/2009

pausa caffè

Alle 10.53 del 10 gennaio ho davanti a me 27 proposte editoriali da leggere e valutare. Mi pare assodato che in Italia ci sono più poeti che giorni dell’anno per leggerli. Pausa caffè.

mercoledì 9 gennaio 2019

breve storia triste (ma tragicamente vera)

Dovevo uscire con una ragazza. Lei mi dice di essere affascinata da quello che scrivo e dalla mia attività di editore, ma propone di andare in una serie di locali che consiglia lei, dove si possono bere delle cose buone che, sottintende, costano un po’, ma ne vale la pena. Io tentenno. “Tanto tu sei editore!” ripete ogni tanto per convicermi. (Questa non ha capito nulla, penso io). Io che ho sempre pochi soldi in tasca e soprattutto odio buttarli in alcolici, visto che dice di essere tanto sensibile alle parole, le propongo di fare una cosa alternativa: andiamo piuttosto per librerie e ci compriamo dei libri, uno dei quali ce lo regaliamo con dedica in ricordo della giornata passata insieme. Lei mi guarda e fa: “Ascoltami, sei tanto dolce, ma se continui così stasera non te la do”. Ecco, la mia storia triste finisce prima ancora di cominciare.

martedì 8 gennaio 2019

giuramento

Lo giuro sulla cipolla di Acquaviva e dinanzi al percoco di Turi, figli di primo letto del creatore e, quindi, parenti stretti del mio sangue. Alcuni millenni orsono io tenevo un’anima peuceta – peuceta doc – che campava in mezzo a un campo di vocaboli seminati apposta da antenati casaruli. Un piede a bagnomaria nella salsarossa della terra e un piede a bagnomarea nel bacile mediterraneo. Le mani, fedeli a se stesse, erano libere di toccare l’orizzonte per avvicinarlo all’aldiqua, un millimetro d’azzurro al giorno, finché non riuscivano a sfrusciare con l’indice il corpo ancora bagnato dell’alba, durante una luce che mi allucertolava. 
Abitavo la provincia del basilico in calore, dentrodentro una lingua corposa e pietrosa e generosa, specialmente alla controra, quando si metteva a fare una iosa di cantilene memorie dolori. 
Al posto degli occhi due olive pasole; al posto del cuore un fringuel-lino, che girava attorno attorno all’amore per farne pazientemente un nido di suoni nostrani. 
Siccome ogni notte facevo sempre lo stesso sogno colorverde, finii per accasarmi con una bella zucchina, reginella signorina, devota alla santissima ostia del sole per le tante grazie ricevute. E così nacquero storie e storielle, geologie e geografie, poesie e paesie. 
Fui sepolto a metà strada tra una vecchia luna e un giovane maestrale di paesaggio: al mio funerale vennero formiche e cicale di ogni razza, in pace tra loro: dalle mie ceneri mischiate alla calceviva spuntò una tribù di campanili a vela. 

[Lino Angiuli, Madreterra Madreterna, Quorum 2018]

più l'editore fai

Oggi incontro un amabile signore in fila in banca, poi lo ritrovo poco dopo davanti allo studio del commercialista, poi andando in posta a spedire dei pacchi e infine al bar mentre parlo con un cliente. Alla fine, prendedosi la pizzicata, mi fa: ma insomma, si può sapere quando li leggi i libri tu, che stai sempre in giro? Appunto. Era proprio quello che pensavo anche io. Più l'editore fai e meno libri leggi.

domenica 6 gennaio 2019

sentire

Le interviste (come ne leggo tante ultimamente) in cui si chiede a un poeta anziano cosa pensa della instapoetry mi ricordano sempre un dialogo surreale fra nonno e nipote che sentii una volta in pullman, in cui il nipote chiedeva al nonno, che da ragazzo era stato un puttaniere, nel senso che frequentava case chiuse, cosa pensava del porno in rete, e il nonno si agitava: "E che è? Io la femmina la devo sentire".

poesia per vito


Ieri sera mi è successa questa cosa. Eravamo al reading di Pietre Vive Editore da Millelibri - Poesia e altri mondi, e ho incontrato un ragazzo, vent’anni, si chiama Vito, che ho scoperto aver comprato un mio libro, Bestiario Fiorito, che gli è piaciuto al punto da consigliarlo ad altri suoi amici che lo hanno preso, insomma, il classico passaparola che funziona. Ecco, a volte con questa storia che la poesia è un mondo chiuso, per esegeti, ci convinciamo che i nostri libri di poesia non finiranno mai oltre le mani di pochi appassionati, spesso gli stessi poeti che si leggono fra loro per darsi una parvenza di vita. Poi ti capita di incontrare qualcuno come Vito, che non fa parte della tua cerchia di amicizie, non è un poeta a caccia di editore, ti è lontano persino anagraficamente, insomma il classico “lettore” puro. Ti trovi questo lettore che non solo ti legge, ma viene apposta a conoscerti (con la pioggia che c'era ieri a Bari!) per farsi autografare il tuo libro e per un attimo ti senti di aver fatto una cosa bella, che respira, che va oltre il tuo spazio vitale, e torna valido il principio – mi pare lo dicesse Tiziano Scarpa l’altro giorno su Pangea – per cui pubblicare un libro resta una piccola (piccola ma valida) rivoluzione. Menomale che ci son posti belli così, ci dicevamo ieri, dove incontrarsi.

mercoledì 2 gennaio 2019

di galli da combattimento e di cani randagi

“Sono stufa di parole e di riflessioni,” disse [la donna]. La sua voce andava facendosi cupa per la collera. “Ne ho piene le scatole di rassegnazione e di dignità.” Il colonnello non mosse un muscolo. “Venti anni ad aspettare gli uccellini colorati che ti hanno promesso dopo ogni elezione e di tutto questo non ci resta che un figlio morto,” continuò la donna. “Nient’altro che un figlio morto.”


Quando ero più piccolo Nessuno scrive al colonnello, scritto da Gabriel García Marquez nel 1957, era un romanzo molto più che perfetto, era il libro che per certi versi (rapidità, nitidezza, intensità poetica ed efficacia dei dialoghi) avrei voluto scrivere io.
Rileggendolo stasera mi è sembrato di vedere nel vecchio colonello senza pensione, in questo personaggio che non vuole arrendersi nemmeno di fronte all’evidenza, solo davanti alle istituzioni, talvolta sporcandosi le mani per bisogno, ma che attua una costante e cocciuta opposizione, mantenendo intatta una ferrea e inarrestabile determinazione persino nella tragicità e nell’inadeguatezza che a tratti si fa caricaturale, determinazione che trova una causa, la possibilità di un riscatto, nell’amore per il ricordo di un figlio ucciso, ecco, rileggendolo mi è sembrato di vedere nel vecchio colonello dei tratti in comune col Giovanni Vivaldi di Un borghese piccolo piccolo scritto da Vincenzo Cerami nel 1976 e subito dopo portato sullo schermo da Mario Monicelli con protagonista Alberto Sordi. 
La differenza fra i due personaggi, ovviamente, la fanno i vent’anni di differenza fra le loro scritture. Lì dove il riscatto del colonello (ex rivoluzionario di una rivoluzione mancata) resta ipotetico, ideale fino alla fine, e si muove ancora e sempre su un piano altissimo e simbolico: la vittoria dell’annuale duello fra i galli nell’arena dove l’anno prima ha perso la vita suo figlio (vittoria che assumerebbe una connotazione positiva per l’intera cittadinanza) per la quale sacrifica tutto, persino il suo cibo con cui nutre il proprio gallo da combattimento; quello del borghese di Cerami si intride degli umori degli anni di piombo, si corrompe e si imbruttisce fino al punto di perdere qualsiasi fiducia nelle istituzioni, trasformando la vittima in aguzzino, l’ingranaggio in cellula impazzita e pronta al rapimento e alla tortura, all’uso della violenza gratuita sull’assassino del figlio, pur di compiere la propria vendetta, che non è più riscatto ma la sua degenerazione: un giustizialismo che non guarda più agli interessi della comunità ma esclusivamente al soddisfacimento delle proprie pulsioni sanguinarie, lì dove non è più possibile distinguere un mostro dall’altro e dove – come scriveva acutamente Leonardo Sciascia –, nell’esaltazione di tali pulsioni come “male minore” e necessario al contenimento del disordine sociale, si nasconde ancora una volta il seme del fascismo. Ma qui si va già oltre il libro e il borghese di Cerami si salva di fronte al lettore perché ispira una pietà che non è più umana, la pietà dei cani randagi, a cui non resta più nulla, soltanto seppellire le ossa del male compiuto e intascare la propria pensione. 


Per questo, pur nella disperata drammaticità espressa da entrambi i libri, quello del colonello emana una luminosità, una purezza e una tensione ideale che resta insuperata e che mi pare la nostra letteratura del ‘900, assai più politicizzata in senso nero o rosso e pronta alla tragedia o al fatalismo, non è riuscita a esprimere, se non forse nel Pereira di Antonio Tabucchi, la cui vicenda è ambientata a Lisbona. Però, se ce ne sono altri a cui non ho pensato ditemi pure, che forse mi sbaglio io per ignoranza.

cose belle che non si possono più scrivere da un capodanno di 40 anni fa


letteratura e malattia

Da due giorni me ne sto chiuso in casa con la febbre. Il primo giorno, a letto, ho preso un libro a caso da quelli che ho in giro per la stanza e mi sono messo a leggere. Ho attaccato quello e sono andato avanti finché l'ho finito. Poi ne ho preso un altro e ho finito anche quello. In due giorni ho letto due libri interi e stamattina ho iniziato il terzo, uno dietro l'altro, senza fermarmi, una cosa che credo non mi succedeva più da almeno una decina d'anni. Adesso le mie letture si fanno tutte a spizzichi, poche pagine da vari testi letti in contemporanea. Tutta questa storia mi ha ricordato gli anni dell'adolescenza, quando leggere era molto più di una passione, era una fede; e mi ha portato alla considerazione che forse il binomio letteratura-malattia che taluni danno (spregiativamente) a questa passione non è del tutto sbagliato: occorre infatti il non-tempo della malattia, in tutte le sue possibili varianti, per ridare vigore al tempo assoluto della parola, altro non-tempo, e permetterle di agire sul corpo del lettore, occupandolo.