martedì 31 dicembre 2019

successo

Per chiudere l'anno siamo andati a trovare Carlo Formigoni. Ci ha detto che di notte, al buio, lui medita soprattutto sui propri errori, e in virtù di queste considerazioni – proprio come il signor Keuner di brechtiana memoria – ci ha dato il suo consiglio: «Guardatevi soprattutto dal successo, perché il successo è infido, ci rende poco lucidi, presuntuosi, distratti, il successo porta a fare molti errori, anche verso gli altri».

solo

Le maglie grigiodoro della luna fanno
della notte un velo,
ai lampioni del lungolago assopito
si avvolgono i viticci del Laburno.

I giunchi sornioni bisbigliano alla notte
un nome – il suo nome –
E tutto il mio cuore è un diletto,
un deliquio di vergogna.

(James Joyce, Zurigo 1916)

lunedì 30 dicembre 2019

un fiore donato a mia figlia

Fragile la bianca rosa e fragili sono
le mani di lei che donò
l’anima sua appassita e pallida più
dell’onda del tempo spenta.

Rosafragile e bella – ma ancor più fragile
una selvaggia meraviglia
negli occhi tu veli gentili,
mia bluevenata bambina.

(James Joyce, Trieste 1913, trad. Ilaria Natali con io che ci ho messo le mani)

domenica 29 dicembre 2019

sui brutti libri che arrivano in lettura

Tutti questi libri sono legati da un riverbero suscitato da un corredo di parole che, in definitiva, si ripete più o meno identico: “rugiada”, “incedere”, “alfine”, “viandante”, “cristallo” (accoppiata di solito a “sogno” o “silenzio”), “arcobaleno”, “infinito”, “aquilone” e via così, secondo una norma soggetta a poche variazioni. 
Il punto è che sono parole cieche e senza carne, non gettano nessuno sguardo sulla realtà, perché da tempo ne hanno persa la presa […] Così come in Tex Willer la pioggia è sempre “battente”, il riposo “ristoratore”, la bistecca “alta tre dita” e il pasto “frugale”, in poesie come queste il respiro è “tremante”, si corre “a perdifiato”, i sogni sono “sgualciti” o “infranti” quando si piange la perdita di un amato, mentre l’amore soffia su tutte le pagine di un “alito d’infinito”. 
La differenza – sostanziale – è che dopo una cavalcata di giorni nel deserto del Nevada, sulle tracce di pericolosi banditi, dopo tutti i pasti frugali consumati alla luce fioca dei bivacchi notturni, dopo averli trovati, i banditi, affrontati e sgominati, una bistecca alta tre dita è sacrosanta. E il lettore di Tex l’aspetta quanto il ranger come il segnale liberatorio della fine della storia, coccolato da un processo di lettura seriale. Ma il concetto di luogo comune non è applicabile quando si scrivono versi: perché la poesia è il luogo dell’inatteso, del lapsus, dello sguardo che concepisce il mondo con la coda dell’occhio e crea un ordine di esperienza nel momento stesso in cui l’esperienza dà forma alla poesia. Nei testi dei dilettanti, invece, lo sguardo rovescia la poesia nel suo contrario, diventa il luogo dove tutto è già stato visto, anche ciò che è ancora da vedere. Il risultato è un’innocenza che rimane al di qua dell’innocenza. 

(Pierluigi Cappello, Questa libertà, BUR Rizzoli, 2013, pag. 67-69)

ipotesi per un amore

Maria Monti: "Diversi anni dopo sono andata a vedere un suo spettacolo. Al ristorante davanti a tutti mi chiese ad altissima voce: Ma tu perché mi hai mollato venticinque anni fa? Io avevo in mano un bicchiere di vino e gli risposi: Perché ti amavo."

lettori forti

Quelli che “come Dostoevskij nessuno mai” perché hanno letto Le notti bianche al liceo e gli è rimasto un bel ricordo.

foto con amaro al limone


proposito (per il nuovo anno)

Se, sondaggio alla mano,
dici al popolo italiano
ch’è ignorante, al massimo si offende.
Di sicuro non si pente.

sabato 28 dicembre 2019

avanguardia

Ma la gioia di mio fratello quando ha saputo che da ieri si può coltivare liberamente la marijuana in casa. Lui nemmeno se la fuma, ci si fa le tisane che (manuali erboristici alla mano) fanno un sacco bene alla salute, a partire dai problemi digestivi su su fino all'artrite. Insomma, l'avanguardia proprio.

i deserti

Sul sito dell'Archivio Antonioni c'è una pagina dedicata ai percorsi tematici del suo cinema. Tre voci in sostanza: I deserti, Monica Vitti, Lucia Bosè. Due donne bellissime e una lunga carrellata di paesaggi solitari in cui perdersi idealmente con loro. Poi dicono l'incomunicabilità di Antonioni. A me sembra il mio sogno di una vita.

venerdì 27 dicembre 2019

frollatura

Delle volte ho il fondato sospetto che voi tutti stiate aspettando che io muoia per cominciare finalmente a leggermi; anche perché, i buongustai lo sanno bene, il poeta frollato ha quel certo gusto in più.

l'anno del capricorno

L'oroscopo mi dice, per il 2020, che il Capricorno ci avrà l'anno in mano. Speriamo, che finora io del Capricorno ci ho avuto solo le corna in testa.

poesia scritta per carlo

Carlo quando scrive a/di sua moglie
si dimentica di essere poeta
e va ben oltre una poesia ben pettinata
per dire col suo cuore arcobaleno
la festa che sarà col cuore in gola.

Carlo scrive con le mani tremolanti
le lettere grandi dei bambini
un amore senzapostrofo e pure
così grande che va così lontano
che io solo a pensarlo fa paura.

Questo amore che è come un nutrimento
di uva passa e noci.
Questo amore assurdo, irrealistico e quindi
in qualche modo sublime.

martedì 24 dicembre 2019

chegapùj

Alla lettere sarebbe “caca-uccelli”. Sono le bacche rosse del biancospino selvatico di cui sono ghiottissimi gli uccelletti che le trangugiano con voracità e poi le rifanno intere. 

 (Luigi Malerba, Le parole abbandonate, Mondadori, 2017)

una possibile soluzione

La lettura di questa recensione all’ultimo disperato libro di Jonathan Safran Foer, Possiamo salvare il mondo prima di cena. Perché il clima siamo noi, mi ha fatto pensare una cosa terribile. Visto che l’umanità, pur sapendo che c’è una catastrofe ambientale in atto non riesce a crederci realmente, perché crederci implicherebbe mettere totalmente in discussione il nostro stile di vita, imponendoci di rinunciare immediatamente (prima di cena!) a tutta una serie di cose che oggi riteniamo necessarie (mangiar carne, usare l’auto, viaggiare in aereo, fare figli), tanto che Foer, di fronte a questa immobilità etica dell’individuo, parla di suicidio collettivo e usa l’immagine di una colonia di conigli che si sterminano a vicenda in preda alla propria voracità; visto tutto questo (e io sono d’accordo con Foer), mi è venuto in mente che probabilmente, se continua così – proprio come in un romanzo di fantascienza, ad esempio Tutti a Zanzibar di John Brunner – quando si arriverà all’ultimo stadio dell’emergenza, una delle soluzioni che verrà certamente attutata sarà l’ennesimo genocidio, ma su scala globale dove, in nome della salvezza della specie umana, si sceglierà di sterminare 3 o 4 miliardi di persone (probabilmente le fasce più deboli della popolazione del pianeta) per diminuire il peso dei loro consumi.

foto di natale


lunedì 23 dicembre 2019

damnatio memoriae

Sabato ho visto la presentazione di un bel libro di Alberto Castelli, Soul to Soul (Chinaski, 2019), il cui titolo è abbastanza esplicativo. Fra gli altri Castelli dedica un capitolo al primo Michael Jackson, mostrando quanto abile, innovativo e spregiudicato sia stato il giovane nell'imporsi. Devo dire che, a riascoltarlo oggi, mi sono accorto di quanto avevo rimosso Jackson dalla mia memoria (letteralmente cancellato) a causa degli ultimi scandali e di una certa critica che, in virtù di quegli scandali, lo descriveva come una sorta di bamboccio o di marionetta senz'anima nella mani di altri, da suo padre a Berry Gordy a Quincy Jones. Una cosa per certi versi infame, non migliore del trattamento infertogli dal padre, in cui si toglie a un uomo qualsiasi dignità per annullarlo sia nel bene che nel male, fino all'estremo della Damnatio Memoriae operata oggi, contro di lui, da molte radio anglofone. Non mi è piaciuto tutto ciò che ha fatto, ma anche io ascoltando le sue canzoni mi sono chiesto: possibile che Jackson non "fosse lì" mentre cantava, che eseguisse semplicemente dei comandi, che alla fine tutto ciò che ci rimane di lui come artista fosse una finzione ben costruita a tavolino come si fa oggi con tante pop star fasulle? E Castelli alla fine del capitolo argutamente chiede: è quella la storia che vi interessa che vi racconti?


nicchia

Ogni volta che mi dicono che sono un editore di nicchia (in genere per giustificarsi di non comprare i miei libri pur trovandoli belli), mi piacerebbe chiedere la definizione esatta di "nicchia" che la gente ha in testa, per capire se ci si può spingere ancora un po' più in là nel muro, oppure siamo già finiti oltre, nel paesaggio fuori.

domenica 22 dicembre 2019

soffrire

Lettori che comprano i miei ultimi libri ma mi fanno: "Quanto ci piaceva Viva Catullo, dacci un altro Viva Catullo". E io rispondo: "Per un libro così bisogna soffrire per amore". E loro: "E tu soffri! Chi te lo impedisce?"

giovedì 19 dicembre 2019

immaturità

Continuo a pensare che c’è gente che vuole affidare il Governo a uno che è talmente immaturo da fare la guerriglia a una ragazza di 19 anni, sputtanandola sui social per una cazzata da diciannovenne. Non è nemmeno la prima volta: ricordo benissimo un video in cui la Boldrini lo rimproverava per una ripicca attuata, sempre sui social, contro altre due ragazzine che lo contestavano, e invece di dare lezioni di stile Salvini ricambiava con la stessa moneta adolescenziale. Penso però una cosa, che l’immaturità può essere propria di una persona, oppure derivata dall’ambiente in cui si vive. Anche l’uomo più vecchio se calato in un contesto giovanile assumerà comportamenti da ragazzino. Lo so perché mi è successo, non sono migliore di lui. E credo che Salvini sia immaturo perché vive in un contesto immaturo, un paese di immaturi che alimenta e lo alimenta in questa sorta di circolo vizioso dove si esalta la giovinezza a tutti i costi, un eterno edonistico presente, e manca una cultura del tempo, in vista del passato e in vista del futuro. Poi ci lamentiamo che i figli stanno scappando dall'Italia, e invece forse stanno solo scappando dai propri genitori.

mercoledì 18 dicembre 2019

il guardiano della porta

Visto che non ce la facevo proprio, ho chiesto a una persona di cui mi fido ciecamente di leggere e scremare fra le decine di manoscritti di poesia che ci arrivano. La cosa dal mio punto di vista ha il vantaggio di limitare al minimo, nel giudizio, le implicazioni emotive derivate dal fatto che alcune di queste proposte vengono da persone che conosco o di cui sono amico. Non faccio il nome della persona in questione, perché la segretezza in questo caso è importante. Dico solo che, ligio al proprio dovere, in appena due giorni ha falcidiato quasi 200 proposte, indicandomi due titoli e mezzo. Due libri buoni e uno passabile. Il punto è che – secondo il suo metro di giudizio – gli altri per quanto non scritti male, né brutti, semplicemente non hanno elementi di novità tali da evidenziarli nel mucchio. Pensandoci, mi sono sentito sollevato dal peso di tale lavoro, e insieme terrorizzato dall’idea stessa della falce. Nel senso che ho cominciato a chiedermi che succederebbe se spedissi io stesso un manoscritto, magari con un altro nome: verrei scremato anch’io dal suo giudizio? Ho qualcosa in più da dire rispetto agli altri? Oppure no, mi illudo e non ho niente di nuovo da dire, esattamente come il 99% degli autori che si sono proposti, che si propongono ogni giorno? Poi certo, io sono l’editore e sulle mie fisime prevale sempre il senso di sollievo per un lavoro ingrato che un altro ha fatto, meglio, al posto mio. Ora devo trovare soltanto il modo per dirlo agli esclusi, qualcosa del tipo: “Il guardiano della Porta ha detto che non puoi entrare”.

martedì 17 dicembre 2019

le copie omaggio

"Stai praticamente regalando 200 euro di libri a gente che non conosci e che non sai nemmeno se ti dirà grazie" il commento di mia madre sull'invio di copie omaggio (10 copie per autore + le spese di spedizione). Io le rispondo che non ha capito bene come funziona il mondo editoriale, ma sotto sotto sospetto che lei lo abbia capito molto meglio di me.

brechtiana

Perché faccio quel che faccio e
perché sono ciò che sono?

Perché sono vissuto in questo posto
dove la risposta a ogni domanda è
sempre stata: A me, che me ne fotte?

Oppure di riflesso (con tono accusativo):
A te che te ne fotte delle cose mie?

Tutto è vano e dolce ma senza soluzione
dove l’unico problema è far domande.

Fin al punto che ti resta di farle a te stesso
e arrivare a odiarti presto se rispondi.

lunedì 16 dicembre 2019

motivo

Devo essere onesto. Io discuto sempre di poesia, perché è il settore che più mi interessa, ma ieri parlavo con un mio amico che è uno storico, il quale era abbastanza innervosito dal fatto di non trovare un editore interessato a un suo saggio bellissimo, ma anche lunghissimo e difficilissimo, senza che qualsiasi editore contattato, e mi faceva nomi anche grossi, gli avesse chiesto un contributo economico. Insomma, si dice la poesia, ma anche la saggistica va in quella direzione. La cosa che più mi ha colpito, però, è una frase che mi ha detto quando si è infervorato sulla scelta di mandarli tutti al diavolo. Ovvero: “Ma io ho già scritto il libro!”, nel senso di: ma io il mio lavoro l’ho già fatto. Affermazione a cui uno potrebbe facilmente rispondere: “Sì, ma chi te lo ha chiesto?”. Ma soprattutto, in una affermazione così, e che ho sentito identica da moltissimi scrittori, mi pare racchiusa l’intima presunzione dell’autore che il suo libro sia, indipendentemente dalla richiesta che se ne fa, necessario al mondo. Che poi è il motivo per cui si scrive e pubblica.

qualità

Stamattina pensavo che, in barba a tutti i proclami per cui la poesia è un genere nobile perché OLTRE il mercato, quando si parla di "mercato della poesia" l'unica proposta che viene fuori, anche dagli addetti ai lavori, è quella che si deve pubblicare di meno, perché si pubblica troppo. Quindi, invece di fare un discorso più ampio in cui si cerca di capire come allargare il pubblico dei lettori, quello sì risicatissimo, si fa un discorso all'opposto, mettendo al centro della questione non il lettore o il libro o la qualità della poesia, ma proprio il vituperato mercato. Ci si adegua a quello, insomma, spesso con modalità ferine: il mercato è stretto e quindi scalpito per farmi spazio, azzannando il mio simile. Il punto è che se si parla di qualità "assoluta" della scrittura, andrebbero pubblicati in assoluto, cioè per l'intero Paese, sì e no cinque libri all'anno: il resto è già obsoleto, già detto oppure inutile, rendendo vano non solo il mercato, ma anche tutta la filiera editoriale (dalle tipografie che stampano i libri alle decine di editori, fino alle librerie che li vendono). Si tornerebbe insomma indietro ai primi dell'800 quando, in una visione davvero aristocratica, il potere di scrivere era appannaggio di pochi. Perché la qualità assoluta si ottiene solo negando la democraticità del linguaggio. In tutto questo, è vero, spesso quelli bravi restano fuori dai giri per dar spazio (il poco concesso) a quelli meno bravi ma meglio bravi a vendersi. E infatti, quello che molti poeti dovrebbero chiedersi e non fanno è: "Ma io sono qui e pubblico perché sono bravo o perché mi sto vendendo meglio di un altro? Vendersi bene lo considero un pregio dell'arte oppure una macchia? E se si scoprisse che mi so vendere meglio di come scrivo, io lo farei un passo indietro, rinuciando per sempre al mio privilegio di pubblicare, per dar spazio a un altro, un bravissimo sconosciuto, in nome della qualità assoluta della poesia?"

domenica 15 dicembre 2019

il compagno praz

«Il popolo bue» lo chiamava
col disprezzo nella voce
colui che per il popolo lottava
ma senza dargli voce.

«Liberarlo anzi si deve il popolo
cornuto e traditore».
Ma dunque in che è diverso, il tuo
dallo sguardo del padrone?

«Cambia tutto, invece, infame!»
E si accaniva addosso
al fascista naturale
che in ciascuno sta nascosto. Anche sul mio:

«O fai pubblica ammenda per ogni tua parola
ch’io non condivido, o ti sputtano!»
E citava certamente il compagno poeta Majakovskij
contestandomi ogni pelo del naso

per dar scandalo. Ne faceva una questione
non di fede, ma venale
ché nulla gli importava dei princìpi
ma soltanto di finire sul giornale

o nei libri di storia o meglio ancora
sul Monumento ai caduti in piazza.
Persino se voleva un uomo morto
non aveva le palle di ammazzarlo.

Imbastiva un pezzo ad arte e lo postava
in rete. Calato nella parte gli scriveva:
«Caro mio, devi morire.
E bada in me non c’è violenza».

Così faceva, Praz, la Resistenza.

venerdì 13 dicembre 2019

come è successo?

Il mio Google maps timeline mi dice che quest'anno ho visitato 33 città diverse (e 117 luoghi). A me sembra di non uscire mai di casa. Non mi ricordo nulla. Come cacchio è successo? E soprattutto, chi si è fatto i viaggi al posto mio?

giovedì 12 dicembre 2019

simpatia

Una ragazza carina e intraprendente si propone come ufficio stampa. Le chiedo che tipo di libri preferisce e mi risponde: da giovane (cioè nemmeno l'anno scorso) ho divorato Harry Potter, mi piacciono i libri sui vampiri, la poesia non la capisco proprio, però sono simpatica. Lì ho capito che se c'è una cosa che salverà l'editoria dalla crisi è certamente la simpatia. Però non l'ho assunta.

mercoledì 11 dicembre 2019

il cugino povero

Conosco romanzieri, anche di fama, che un libro di poesie non sanno manco come è fatto. O se lo sanno sono rimasti fermi ai poeti maledetti, a Rilke, a Spoon River (via De André), agli Americani o ai Russi, a Montale o Ungaretti, al Pianto della scavatrice, agli haiku usa e getta, a Guccini o Dylan. Ogni volta mi chiedo cosa sono io per loro, come mi vedono, se più come un alieno o più un residuo bellico in disuso, oppure come il cugino povero che ti tocca di parlarci a Natale ma giusto perché è "uno di famiglia", ben sapendo che non si andrà mai oltre gli auguri.

il tirchio

Una che mi fa una proposta editoriale, non brutta, ma nemmeno entusiasmante. Le rispondo che non sono interessato, ma le faccio alcune osservazioni sui suoi versi che spero siano utili. Lei tutta contenta mi ringrazia per la risposta ed i consigli, poi comincia a mandarmi varie versioni delle sue poesie chiedendomi un parere sincero se è meglio questo o quel verso invece di, e come vedo la struttura dell'opera. Io le rispondo che una volta è un consiglio disinteressato, ma se devo rivederle l'intera raccolta (che comunque non pubblicherò) quello si chiama editing ed è un lavoro a parte. Mi risponde che sono sicuramente una brava persona, ma forse un po' tirchio.

lunedì 9 dicembre 2019

sedia

Appena rientrato, mia madre mi informa che la mia gatta in questi tre giorni ha rifiutato di dormire altrove che sulla mia sedia. Le piccole cose per cui vale la pena di tornare.

mercoledì 4 dicembre 2019

il punto

Il ragazzino che ti scrive in chat, su Instagram: "Ciao sono un poeta, ho 5 mila follower, mi pubblichi?" Tu però quel giorno sulla chat non ci vai, così il giorno dopo, ignorato, il giovane poeta aggiunge: "Grazie." Col punto finale che dice tutto.

martedì 3 dicembre 2019

sarde e sud

Dice che sabato pomeriggio a Brescia ci sono le Sardine. Poesia, lavoro e sarde, praticamente il Sud alle più alte latitudini. Mancavo solo io e due rape, e infatti...

lunedì 2 dicembre 2019

risveglio

Ogni risveglio mi aspetto la chiamata
che riporti il mio ideale alla natura
notificando con tono dottorale
la morte dell’amata persona.
Non cambia negli anni quell’attesa
che come d’abitudine accompagna
il mio sonno. Mi spinge in avanti dalla fine
alla fine che mi aspetto ogni giorno.

giovedì 28 novembre 2019

conoscenza

"Chi mi conosce lo sa". L'ho appena letto in un bisticcio fra "amici" su Facebook e mi accorgo che forse questa è la frase più abusata sui social. Ma chi ti conosce a tal punto da saperti? E chi ne sa più di te, al punto da dire esattamente come andrà? Io stesso, che mi osservo da una vita, ci sono certi giorni che non mi riconosco, e certi altri che mi piaccio addirittura, oppure no.

martedì 26 novembre 2019

il dolore di creare qualcosa

Imparate a conoscere il dolore di creare qualcosa. Una volta imparato siate pronti a essere indulgenti con gli altri. In poesia, in letteratura, in tutto. 

[Yuki Suetsugu]

lunedì 25 novembre 2019

il link

Poi arriva il giorno in cui ti fanno la fatidica domanda: Ma dove le trovi quelle poesie così belle, mi dai il link? e tu pensi a tutto il sangue che hai buttato per comprarti i libri e che sei un trimone (come si dice a Bari). Bastava cercare il link.

un segnale forte

Anche quest’anno il Premio Bodini Poesia si caratterizza per la totale adesione al verso “Tu non conosci il Sud…” Infatti, ancora una volta da che è nato, a vincere il premio dedicato a quello che molti considerano il massimo poeta meridionale, certamente il più rappresentativo per quanto costantemente sottostimato, è stato un poeta bravissimo e famoso, ma che col Sud c’entra solo relativamente, contro-riprova se mai ci servisse che in poesia noi non abbiamo una storia e forse nemmeno dei poeti degni (come diceva Pasolini in Passione e ideologia). Tu ora mi dirai, caro lettore, che la poesia non ha confini e questa che tiro fuori è una mera questione “politica” e io ti rispondo che sì, lo è; proprio perché anche i premi possono essere, e anzi spesso sono dichiaratamente politici, in un Sud che è sempre più abbandonato a se stesso e demoralizzato, con un tasso di emigrazione sempre più alto, dare un premio come il Bodini – una volta tanto! – a un autore nato e vissuto qui e non al classico nome di prestigio pubblicato da una casa editrice maggiore, sarebbe stato a mio avviso un modo per lanciare un segnale, non dico di risveglio ma perlomeno di orgoglio. Che ovviamente, come qualsiasi cosa qui, non c’è stato.

a letto

Ieri sera a letto mi ero messo
dalla parte destra quella che occupa
lei quando è qui
e stamani svegliandomi mi son ritrovato
a sinistra di dove nel buio ascolto insonne talora
il battito possente del suo esserci
Cosa mi ha indotto dunque durante la notte
ad abbandonare lo spazio del suo grande
corpo assente
se non l’ansia d’essere anche io niente?

(Giorgio Bassani, Epitaffio, Mondadori, 1974)

domenica 24 novembre 2019

la più bella frase di tutta la nostra letteratura

...e non solo il dubbio giova a scoprire il vero, ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita sa, e sa il più che si possa sapere. (Giacomo Leopardi)

puzzetta

Ieri un amico, citando Giulio Milani, mi diceva una cosa molto bella: “Senza ferite non c’è storia”. Oggi mi è tornata in mente e così – io che mi definisco sensibile e ogni addio mi scatena un sentimento di perdita che devo tamponare con la scrittura – mi è venuto da pensare a tutti quei momenti in cui credevo che dopo un brutto addio mi sarebbe venuto fuori qualcosa, ma poi invece nulla, non mi è venuto fuori nulla, non dico un verso, ma nemmeno una scorreggia, come a significare che quella certa persona non mi ha lasciato di sé nulla, non dico la puzza, ma nemmeno la puzzetta. E ho realizzato che forse sono meno sensibile di quel che dico.

sabato 23 novembre 2019

barbonici e borbonici

Ecco un pezzo buono per quelli come me, che talvolta si sentono BARBONICI, nel senso che portano la barba e sono intensamente noiosi, e talaltra si sentono BORBONICI, nel senso che gli ribolle sottopelle "La luna dei Borboni", che rimane un gran bel libro di poesia nonostante l'abbia scritto un meridionale.

venerdì 22 novembre 2019

saper leggere

Com’è pieno il russare della gatta
dietro la finestra e come riempie
d’aria famigliare il punto cieco
della stanza. Dorme e non ha pena
del presente la mia compagna
di una vita, tutto è sonno adesso
e croccantini. Il futuro è scritto
ma lei astutamente non sa leggere.

mercoledì 20 novembre 2019

only time will tell

In pieno 1979, completamente fuori di testa (al punto da decapitare un pollo sul palco e scatenare le reazioni violente persino del proprio gruppo) John Cale infila nei suoi concerti questa canzoncina che è l'equivalente dei vecchi pezzi cantati da Maureen Tucker coi Velvet Underground, quelli col fianco scoperto. Allo stesso modo, persino in tanta violenza, Only time will tell esprime un gran bisogno di pace, il desiderio quasi nostalgico di rimettere "tutte le parole al loro posto" e chiudere i conti con quanto è rimasto in sospeso, cosa che però sarebbe successa soltanto dieci anni dopo, col progetto Songs for Drella.

martedì 19 novembre 2019

professionisti

Ho appena realizzato che i ragazzi che ti molestano ogni giorno per costringerti a passare a una nuova compagnia dopo la fine di Enel hanno preso il posto dei più datati Testimoni di Geova, che ci annunciavano la fine del mondo e ci ammonivano di pentirci SUBITO perché le conseguenze delle nostre azioni sarebbero state tremende. Stiamo sempre lì, solo che i nuovi sono dei veri professionisti e hanno tutti il tesserino.

leggere racconti senza pregiudizi

Condizioni inalienabili perché qualcuno legga senza pregiudizi il tuo libro di racconti oggi in Italia, sono: 
1) che il libro di racconti faccia finta il più fortemente possibile di essere un romanzo a puntate; 
2) che tu più che un semplice autore sia un autore-personaggio le cui vicende personali inglobano lo stesso libro nella tua leggenda metropolitana (ma questo, va detto, funziona per tutti i sottogeneri della letteratura); 
3) che tu sia morto da non meno di vent’anni.

lunedì 18 novembre 2019

inferno

Ma quelli che mi mandano il manoscritto e mi chiedono: "Ma voi pubblicate poesia?" in che girone dell'Inferno dovrebbero finire?

domenica 17 novembre 2019

di pietra in pietra

Ecco che ridendo e scherzando, oggi abbiamo fatto riunione di lavoro informale con Orazio Perillo, egregio vicepresidente e tesoriere di Pietre Vive Editore, per capire come crescere e diventare finalmente più ricchi. Fra tutti e due abbiamo realizzato che per arrivarci servono dei buoni agganci nei posti che contano. Il Perillo ha dunque suggerito di scavalcare le mezze calzette e andare direttamente al vertice, da San Pietro in persona, il quale, visto che abbiamo nomi affini, di sicuro avrà un occhio di riguardo per noi. Perfetto, ho detto io, questo mi sembra un buon suggerimento. Domani provo a chiamarlo e sentiamo che dice.

il gioco delle tre carte

Domenica mattina, ti scrive uno giovane e inesperto, a cui avevi detto che non lo pubblicavi ma lo hai fatto così bene da sembrargli una brava persona, così ti chiede un consiglio e ti manda i contratti che gli hanno proposto altre tre case editrici che nel frattempo ha contattato, per chiederti una opinione: ma secondo te quale mi conviene firmare? Tu che non sei una brava persona, ma peggio sei un cretino, perdi più di mezz'ora per leggere tre contratti da 10 pagine l'uno, per un libro che nemmeno ti è piaciuto, e in tutti ci vedi scritto con tante belle parole ma sempre nero su bianco, una cosa sola: "vogliamo i tuoi soldi, senza dare nulla in cambio". Per me non ti conviene firmare con nessuno di loro, gli rispondi, però sai che non serve perché la vanità è più forte: ti chiedono una opinione sincera, poi vanno a farsi spennare. Effetti collaterali della lettura: intanto che leggi i 'loro' ti senti in colpa perché ti viene da pensare ai tuoi di contratti editoriali che sono i contratti dei poveri persino nella lunghezza (due paginette così non buttiamo carta) e per i quali ti rimproverano i tuoi stessi autori perché non sono cavillosi abbastanza. Dall'anno prossimo ho deciso che li faccio di dieci pagine anch'io.

il pensiero dominante

Leggevo stamattina che Leopardi non era gobbo perché rachitico a forza di studiare – come spesso lo immaginiamo perché così ce lo passa la tradizione – ma perché affetto dal morbo di Pott, una forma grave di tubercolosi ossea che gli ha distrutto il corpo pezzo a pezzo attraverso lunghe, atroci e umilianti sofferenze, fino a portarlo alla morte a nemmeno quarant’anni. E ho pensato al fatto che sarebbe ora di finirla con quest’immagine romantica ma svilente del secchione sfigato e incazzato con mondo perché è diventato brutto a forza di leggere libri; invece andrebbe rovesciata la prospettiva in chiave eroica per guardare una persona debole, piena di limiti perché affetta da una gravissima malattia, ma che proprio attraverso lo studio è riuscito a crearsi un sistema di pensiero indomabile, tale da superare i propri handicap per diventare già in vita una delle menti più grandi del proprio secolo.

sabato 16 novembre 2019

essere uno scrittore postumo

Ho letto l'intervista di Monica Rossi pubblicata oggi su Pangea, per altro interessante, ma mi soffermo su un punto in cui si dice: “Se ti definisci scrittore vuol dire che, in concreto, quello è il tuo lavoro. Con i proventi dei tuoi libri ci paghi l’affitto, le bollette, la spesa, la macchina, le vacanze, i vestiti, la scuola per i figli? Allora si, sei uno scrittore.” Monica Rossi, insomma, lega il ruolo ai risultati economici, gli altri possono certo sentirsi scrittori, ma senza pretendere di definirsi così, almeno finché non arriva il successo che li riscatterà. Da questo punto di vista nessun poeta italiano, a parte un paio di casi, è da considerarsi uno scrittore. Eppure, mi chiedo, se uno scrive un solo libro di grande successo commerciale e poi non ne scrive più, oppure non ne imbrocca più nessun altro con uguale successo e finisce pieno di debiti, quello è uno scrittore? Oppure, se di uno che si sente uno scrittore, che magari è morto in povertà o misconosciuto, dopo anni un editore pubblica i suoi libri e hanno successo, quello sconosciuto arrivato al successo dopo, è finalmente uno scrittore (anche se a pagare le bollette coi diritti sarà qualcun altro al posto suo)? Oppure è uno scrittore postumo, nel senso che lo scrittore è venuto dopo l’uomo, quando si è liberato del corpo? E se sì, se diventa scrittore postumo, non rientra anche quel suo essere postumo in un mito della “mentalità borghese”? Lo dico anche pensando alla linea editoriale di Pangea, che spesso fa dei gran lavori biografici per riportare l'attenzione su scrittori trascurati e spesso ingiustamente considerati minori i quali, se fosse buono quanto detto in premessa, semplicemente non andrebbero considerati scrittori, avvalorando l'oblio a cui il mercato editoriale li ha già condannati da tempo.

venerdì 15 novembre 2019

spia

Oggi, per chiamate di lavoro, ho passato cinque ore al telefono. Non avevo nemmeno finito il giro di chiamate, quando a un certo punto mi ha ceduto l'orecchio. Ha cominciato a fischiarmi come una spia accesa, e ha continuato così per un bel pezzo.

giovedì 14 novembre 2019

simone al lavoro


la pietra dello scandalo

Mi pare, ed è una cosa che sto notando con fastidio e dispiacere, che negli ultimi anni stia passando questo messaggio, specie fra gli autori più giovani: che per conquistarsi uno spazio di attenzione nell’asfissiante mondo editoriale, per attirare l’attenzione sui propri versi si debba ricorrere necessariamente a delle pose o atteggiamenti o proclami violentemente scandalistici. “L’importante è che se ne parli” non è una cosa nuova. Solo che un tempo, dopo i lo scandalo, erano soprattutto i libri a dar voce all’autore, adesso è l’autore a parlare, o meglio ancora a strepitare, solo per dire che c’è un libro, ma col rischio concreto che al libro non si arrivi mai, che l’unica cosa a rimanere alla fine sia soltanto lo scandalo, più o meno reale. Quello che forse infastidisce di più in tali polemiche create ad arte, è come spesso suonino palesemente inautentiche, frutto più della vanità personale che dell’ansia di opporsi a un’ingiustizia comune. In più, ed è la tragedia, tali polemiche sono spesso talmente povere o limitate nei contenuti da essere fortemente influenzate dal contesto di riferimento e da cosa quel contesto vuole: per cui persino l’autore “contro”, nell’espressione della propria contrarietà, si rivolgerà sempre e soltanto al pubblico compreso nel contesto che più lo avvalora (“ognuno riconosce i suoi” come citava Mazzoni) e, peggio, proprio per non venire ignorato, lo farà attraverso le modalità e i contenuti forniti dal contesto, cioè dall’alto, senza significative rotture. Insomma, tutto secondo canovacci preconfezionati in TV.

martedì 12 novembre 2019

seme

Dirò una banalità, ma mi sembra che a volte una scelta di campo sia solo una scusa per scatenare la propria aggressività contro un nemico facilmente individuabile. Ci ho pensato stamattina, quando in un bar mi sono messo a parlare con un ragazzo che stava leggendo un libro di Gandhi. Dai suoi discorsi mi sembra particolarmente schierato. Finché mi dice che per lui i fascisti andrebbero tutti impiccati a testa in giù, come i porci. Quando gli chiedo perché legge Gandhi se crede in metodi di lotta così radicali mi risponde che la non-violenza è un concetto bellissimo, ma i fascisti sono dei porci e quindi con loro non serve, con loro serve solo la violenza senza nessuna pietà, e ci mette dentro un tale fervore che mi sembra di essere già in guerra. Non mi esprimo mai sulle idee degli altri, ma provo a spiegargli che secondo me il suo discorso puzza già di fascismo. Nulla, non capisce, ripete come un mantra: i fascisti sono porci e tutti a testa in giù, i fascisti sono porci e tutti a testa in giù, come i porci. Lì ho lasciato perdere, ma confesso che per alcuni minuti mi sono sconfortato. Ieri ho visto un post in cui si dichiarava in maniera quasi banale che i libri sono importanti perché aiutano a pensare. Ma quando uno sta leggendo Gandhi, dice che lo apprezza, ma poi aggiunge che Gandhi va bene solo per gli amici perché i nemici li appenderebbe tutti a testa in giù, che diavolo ha capito di Gandhi? Cosa sta pensando? Poi mi è venuto in mente quel che mi direbbe il mio amico Pino, che è buddhista, e cioè che per oggi no, ma magari quel ragazzo sta piantando un seme per il futuro e mi sono tranquillizzato. Forse ha ragione lui.

domenica 10 novembre 2019

camminare a piccoli passi

"camminare a piccoli passi, ma camminare / dire poche parole, ma dirle / perché noi crediamo nella parola". In questi giorno continuo a ripensare a Christian Tito. In rete i suoi libri cominciano a sparire, a non essere più disponibili per l'acquisto. E credo sarebbe bello non si perdesse quanto di bello ha scritto, credo sarebbe bello che un editore, magari uno serio, medio-grande, con la possibilità di una diffusione, si prendesse la briga di mettere insieme quel materiale e ripubblicarlo. Credo che sarebbe giusto che noi contribuissimo a dargli una mano, comprando in tanti quel libro, portandolo in giro con noi, perché una poesia come quella di Tito (così fraterna, così "scandalosa" nel suo abbraccio) non può stare chiusa in casa, deve camminare, stare fra le persone, parlare con loro.

cazzate

Ieri un amico mi fa: Dovresti fare come Einaudi, pubblichi un sacco di cazzate e con quelle ci copri le spese dei libri di poesia! Ma col cacchio, rispondo io, mica c’ho l’indotto di Einaudi. Se comincio a pubblicare cazzate, e le cazzate vendono, con quelle comincio a camparci io come si deve. Le poesie possono continare a stare nel trullo come hanno sempre fatto. Mi stai diventando un imprenditore adesso?, mi chiede lui. (E da ciò si capisce che il vino qualcosa aveva fatto).

venerdì 8 novembre 2019

corte

Pensavo che spesso la differenza fra un autore e un editore è che l'autore immagina ma non sempre fa vera esperienza del marciume che c'è dietro i rapporti editoriali, da quelli verticali, di potere, ai più semplici scambi di favori fra pari che ovviamente forzano per escludere il dispari; mentre l'editore, per quanto piccolo sia, li sa perché ne fa esperienza concreta e frequente. Per certi versi, pensavo, sempre di visione si tratta, ma il fatto di osservarli e non solo immaginarli li abbassa di livello, li svilisce al punto che lì dove l'autore percepisce intrighi di corte (da quella del castello all'aia contadina), l'editore vede soltanto povertà morale e qualche volta, per puro spirito di sopravvivenza, vi si adatta.

congedo

Ormai essere lontani vale 
essere sconosciuti. Pare 
il tempo del nostro amore un mare 
lucido e morto. 
Nella luce la tua parte 
è finita, non ho buio nel petto 
per tenere la tua ombra. 

Un congedo di Pasolini al Friuli (l'originale è in dialetto) che sembra, tolto ogni riferimento, una poesia del male amato. In realtà di buio ce n'era ancora troppo.

giovedì 7 novembre 2019

il mancato (convegno letterario)

Non arrivano a tanto i potenti mezzi 
della poesia, mi rispondeva a mezzo tono 
una scrittrice se prendevo le distanze 
dal suo invito al prestigioso Convegno. 

Ma rimarcava la necessità di un impegno 
a esserci e costruire insieme. Voi 
fate una diretta e ci sarò, mi smarcavo io 
dal purgatorio dei poeti. 

Non arrivano a tanto i nostri poveri 
strumenti, rispondeva lei sagace. 
E voi mandate – con o senza rima – 

un’affettuosa cartolina. Costano troppo 
qui le cartoline, rispondeva. 
E con garbo aggiungeva mi dispiace.

mercoledì 6 novembre 2019

cachi

Oggi mi piangeva il cuore per un albero di cachi nella campagna di un mio amico i cui frutti marcivano per terra non raccolti. Ma perché, te li mangi tu?, mi ha detto. Io non so che farmene mi ha detto, sono troppo dolci, mi fa schifo il sapore. E mi è venuto da pensare che lui forse non lo sa, ma c'è stato molto tempo fa qualcuno della sua famiglia che quell'albero l'ha piantato lì tutto contento perché quella una volta era ricchezza, era lusso e la frutta te la venivano a rubare dagli alberi di notte per la fame. Adesso è cambiato il gusto di tutti, il dolce dei cachi fa schifo, quello della coca-cola no. Quindi pieni di buone intenzioni facciamo le campagne per la salvezza del clima, ci indigniamo per i migranti che muoiono in mare spinti dai bisogni più estremi, ma lasciamo marcire la frutta in campagna perché ci fa schifo il gusto. E lo so che è un discorso tremendamente retorico e arrogante, ma è una cosa che non so come scrivere meglio, perché mi fa girare le scatole.

tre discorsi semiseri sul lavoro intellettuale

Stamattina, con Roberto R. Corsi – che ho da poco ribattezzato Cavallo Corsi, in quanto scopro della scuola della Cavalli, ovvero dedicarsi idealmente alla flânerie per tutto il giorno e scriverne poesie a sera – si parlava di lavoro per quelli come noi, che scrivono. Lui convinto mi dice: «Io non ho mai avuto il problema che il lavoro mi piacesse a tal punto da farlo gratis, preferirò sempre una passeggiata! (sottinteso: a farmi sottopagare)». 
Rispondo tirando fuori dal cappello ragioni sociologiche legate all’ambiente in cui sono cresciuto: «Io lavoro quasi sempre gratis, mi accorgo, perché farsi pagare per un lavoro intellettuale è peccato mortale (in quanto lavoro di serie B), ma non fare nulla piuttosto che darsi da fare è peccato mortale due volte, insomma come la fai la sbagli e l’unica cosa seria era andare a fare il muratore». 
Su tutto questo mette una pietra mio fratello, che non scrive ma guadagna: «Io, se mi chiami per un lavoro, mi faccio pagare anche solo per venire a parlarti, e se non ti va bene puoi andartene a fanculo. Io non lavoro coi disperati, tu sei solo una merda!». Il sei una merda in effetti è gratuito, ma posso dire per esperienza diretta di mio fratello che funziona sempre.

martedì 5 novembre 2019

serietà

Leggevo stamattina il regolamento di una buona casa editrice che fra le istruzioni per l'invio di manoscritti dice: "Noi non siamo una casa editrice a pagamento, siamo editori seri, mica stampatori". E poi aggiunge, subito dopo: "Non accettiamo poesie, nemmeno se fossi il nuovo Mario Luzi ti pubblicheremmo". E allora ho pensato a come queste due frasi comunicano fra loro e a come, stando a questo ma anche ad altri regolamenti simili che leggo da anni, principio inalienabile per fare editoria seria, che non richiede contributi e vive sana e fiera di sé, è che non ci sia la poesia di mezzo, o che sia il più marginale possibile. Perché sotto sotto lo sai, lo sanno tutti che se pubblicassi poesia non ce la faresti a fare lo sborone così, saresti sempre in bilico, ancora più in bilico di come stai, e quindi per mantenere alto il tuo profilo editoriale è meglio barattare "l'arte e il canto" con il saldo attivo, evitarsi il problema alla radice, anche a costo di zittire magari la voce del nuovo Luzi o di un Sereni, che sono geni sì, ma vendono sempre troppo poco. Quello che gli resta ormai ai poeti seri, per gli editori seri, è lo stampatore.

sabato 2 novembre 2019

protestose canzoni per bambini

Oggi stavo ascoltando La ballata di Sacco e Vanzetti (musiche di Morricone, parole di Joan Baez), così quasi per caso, in random, sono passato a sentire l’omonimo album di Woody Guthrie, il folksinger vagabondo padre di tutti i cantautori impegnati americani. Guthrie che teneva fortemente al suo progetto su Sacco e Vanzetti, ma era un artista assai pignolo e non amava i compromessi, non si sentì soddisfatto dalle registrazioni – che invece erano perfette! – e si rifiutò di pubblicarlo. L’album, registrato fra 1946 e 1947, venne stampato nel 1960, quando affetto dal morbo di Huntington, Guthrie era ricoverato in ospedale e prossimo alla morte. Degli altri tre album da lui realizzati in vita e ritenuti abbastanza buoni da venire pubblicati uno è il seminale Dust Bowl Ballads, del 1940 (che fece un sacco innervosire Steinbeck per un pezzo in esso contenuto, Tom Joad, che riassumeva in sei minuti il suo romanzo di quasi 500 pagine Furore); gli altri due, e questa è stata la scoperta sorprendente per me, sono Nursey Days e For Mother and Child (entrambi registrati nel 1947 ma pubblicati nei primi anni ‘50), due album di canzoni per bambini fra i 4 e i 6 anni, attraverso le quali i bambini potevano imparare l’alfabeto e a far di conto. In un periodo di fortissima depressione economica e feroci diseguaglianze sociali, usare la propria musica a favore dei più piccoli l’ho trovato un gesto di grande luminosità e bellezza, forse non più duraturo ma di sicuro più politico di tutte le “protestose” canzoni di protesta che ha scritto in vita sua quell’uomo ferreo e intransigente che era Woody Guthrie.

venerdì 1 novembre 2019

pasolino

Il mio gatto Mao bellino
l’ho chiamato Pasolino
perché torna ogni mattino
pieno zeppo di ferite
dalle sue lunghe sortite
per le notti qui in campagna.
Ci si scanna coi gattacci
con le volpi e con i cani
né mi riesce di sviarlo
dai suoi istinti di randagio.
Prego sempre che si salvi
e se torna ancora vivo
sulla porta mia di casa
tutto fiero dei suoi graffi
lui comincia a farmi fusa
col motore a pieno giro
che mi sembra un trattorino.

giovedì 31 ottobre 2019

il drago

Stamattina leggevo questa cosa, che Salvini ormai ha preso pieno controllo della destra venendo infine a patti con Berlusconi, e per associazione ho pensato alla Centuria 81 di Manganelli. Uno passa metà della sua vita nell'idea o meglio ancora nel sogno cavalleresco che a far fuori il drago sarà l'eroe venuto a far giustizia del male (eroe che non dico di sinistra solo per non passare per idealista fazioso). Poi un giorno quell'uno si accorge che l'eroe è impotente, quando non connivente del male, e il drago lo sta facendo fuori un drago ancora più grosso, stupido e cattivo. E così realizzi che in fondo aveva ragione Manganelli, il bene non esiste, esiste solo un male un po' più grande del tuo.

il vizio

Poi un bel mattino ti svegli e ti dici convinto che bisogna darsi una mossa e cominciare a scrivere in prosa perché la poesia non ti darà mai il pane, e così attacchi a scrivere senza mai andare a capo e piano piano ti accorgi che stai scrivendo sì in prosa, ma per il teatro. Il lupo perde il pelo ma non il vizio di farsi male.

domenica 27 ottobre 2019

è il cielo, al di sopra dei tetti

È il cielo, al di sopra dei tetti,
così blu, così calmo.
Un albero, al di sopra dei tetti,
culla le sue palme.

La campana, nel cielo che vediamo
rintocca dolcemente.
Un uccello, sull’albero vediamo
cantare il suo lamento.

Dio mio, Dio mio, quella è la vita
semplice e tranquilla.
Viene dalla città
questo mormorio.

– Che hai fatto
tu che piangi senza fine
di’, che hai fatto
della tua giovinezza?

(Paul Verlaine, Sagesse, 1881)

lunedì 21 ottobre 2019

lapalissiana

Ieri una donna mi fa: "Ammettilo Lillo, tu ti lamenti sempre perché, da bravo Capricorno, hai la mania del controllo". Io le rispondo: "Mi lamento perché ogni volta che mi fido mi va male qualcosa". Mi risponde: "Lo so, fidarsi è difficile. Per questo secondo me ti dovresti trovare una donna, così prende lei il controllo e non c'è più bisogno che ti fidi".

domenica 20 ottobre 2019

regina di cuori

La lista degli amanti di Joni Mitchell sconvolge non tanto per la sua quantità, ma piuttosto per la sua qualità: Leonard Cohen, David Crosby, Graham Nash, James Taylor, Jackson Browne, John Guerin, Sam Shepard, Jaco Pastorius, Don Alias e Larry Klein, tra gli altri. Molte delle sue canzoni fanno riferimento a quegli amanti – A Case of You parla di Leonard Cohen; Coyote di Sam Shepard – e raramente lo fa in modi lusinghieri. In molte delle sue interviste contenute in Reckless Daughter (biografia della Mitchell scritta da David Yaffe e pubblicata da Crichton Books nel 2017), Mitchell è volgare e vendicativa. Chiama Larry Klein, il suo secondo marito, un “nano gonfiato”. E uno dei suoi produttori è definito “piccolo viscido coglione”. […] Yaffee raramente commenta l’abrasività della Mitchell, ma è pronto a sottolineare come il sessismo dilagante nell’industria musicale potrebbe averla spinta a ciò, in special modo quando Rolling Stone l’ha soprannominata “the Queen of El Lay” (la Regina di Cuori di Los Angeles). 

(Sibbie O'Sullivan, “The Many Layers – and Lovers – of Joni Mitchell”, Washington Post, 10 ottobre 2017)

sabato 19 ottobre 2019

l'amicizia di un poeta minore



Ormai sono anni che faccio questa cosa. Dovunque mi trovo a leggere, in mezzo alle mie poesie ne metto sempre una di Pino Simone, poeta matto di Martina Franca che è stato capace, per chi ha avuto la fortuna di trovarlo, di spalancarci mondi. La storia della poesia è fatta di pochissimi grandi, a cui ci ispiriamo, delle decine di mediocri fra cui ci confondiamo e di pochi poeti minori (minori perché diversi) che spesso hanno il potere di toccarci, proprio perché con la loro carica opposta, negativa, hanno il potere di scatenare in noi un'elettrolisi, energia elettrica che si trasforma in chimica, di darci una scossa e farci vedere il mondo da un punto di vista elettrizzato e spesso elettrizzante. Con Pinuccio a me è successo questo. La mia preferita delle sue poesie è Datemi un posto, che ha dato il titolo a un libro omaggio che gli abbiamo fatto cinque anni fa con Pietre Vive Editore, col permesso e la complicità dei suoi genitori. Ora che loro non ci sono più e che abbiamo terminato tutte le copie, dubito che potremo ristampare quell'opera e sinceramente non so nemmeno se ne valga la pena. Il mondo, mi chiedo senza troppa retorica, ha davvero bisogno di uno come Pino Simone? Non lo so, ma non credo proprio. Perché i poeti minori che a dispetto delle apparenze hanno fame di essere ascoltati, di essere CAPITI, sono condannati ad avere sempre e soltanto pochi buoni amici. In quello spazio di amicizia, che è stretto e caldo, sta scritto tutto il loro destino. 

L’AMICIZIA è come il destino, 
oggi non hai nessun amico, 
domani hai dieci amici, mille amici, 
ma sono sempre pochi. 

Lo scriveva Pinuccio. Così ai poeti minori resta il rimpianto di non avere dei veri lettori, ma soltanto degli amici. A noi, che abbiamo avuto la fortuna di trovarlo, restano le sue poesie. E questo, anche se non basta (e non basta mai), a modo nostro fa la differenza. 

(Grazie a Massimo D'Arcangelo per la foto).

venerdì 11 ottobre 2019

poesie in cerca del buono

Leggevo stamattina una recensione del 2011 di Alessio Brandolini ai Costruttori di vulcani di Carlo Bordini (Sossella, 2010) e mi ha colpito in particolare un passaggio in cui Brandolini dice che la poesia di Bordini è "in cerca del buono più che del bello" delle cose. Mi ha colpito perché nel continuo dilemma keatsiano fra verità e bellezza della poesia, la ricerca del buono (che potrebbe ma non necessariamente è verità) mi era del tutto sfuggita e forse, anche per questo, le poesie che leggo di continuo mi sembrano il più delle volte tutte uguali, poesie che cercano di arrivare a un ideale, di bellezza o verità, e si scordano del buono, che è qualcosa che sta più in basso, dunque il più delle volte sono molto belle e molte vere, ma guardano il mondo dall'alto, non scendono più giù del terzo piano (perché soltanto attraverso la distanza riesci a cogliere l'intero). Mentre le poesie in cerca del buono magari non colgono l'intero, anzi, magari sono pure sbagliate, ma camminano per strada, ti prendono per mano.

giovedì 10 ottobre 2019

queste cose umane

Abbiamo diritto a un ultimo amore salvagente
che sollevi la nostra vanità di amanti e la sconvolga
in baci umidi e amplessi elementari dei corpi – mi diceva
la donna con cui mi masturbavo al telefono a 999 km
di distanza e mi chiamava dongiovanni. Non più corpo
ma voce ansimavo al telefono con forza e ansimava
lei con me nuda allo specchio e questo solo ormai
era l’amore a noi corrisposto. Non altro
mi diceva a 666 km un’altra che si odiava e
odiava gli impegni che la tengono a distanza
da queste cose umane – intuire comprendersi
chiamare anche solo per dire come stai e
non lasciarsi mai soli a parole. Vivo al km 0
del mio dolore e mi risveglia ogni mattina il mio gatto
– ho questa fortuna – che mi riporta indietro dal sonno
mordicchiandomi un dito con dispetto e a nulla valgono
i rimbrotti gli acciacchi l’accidia la malmostosa
inclinazione per l’altro che si aspetta in cambio un gesto
una ferita solo per dirsi vivo. Ma – chiede iracondo
il gatto – che ci resta senza quello? Rispondo:
Nulla. Nulla mai. Il silenzio. Il resto è quello. – E poi
si scatena la tempesta.

mercoledì 9 ottobre 2019

sulle cozze di corsi

Difficilmente mi capita oramai, con un contemporaneo, di dover tornare sul suo libro dopo averlo letto la prima volta. Mi è successo di recente con Cinquantaseicozze di Roberto R. Corsi (italic, 2015), libro che in piena linea col titolo – che a me, l’autore lo sa, non piace proprio – offre numerosissimi e gustosi spunti coi quali si è costretti necessariamente a sporcarsi le mani. La natura salace – spesso divertente e ricca di calembour, rime, battute (e battutacce) e giochi di parole: il mio preferito nella rima passeri/Casseri della pur mesta Cozza n. 32 – la rende una lettura godibile e stilisticamente assai coesa, più di quanto, a una prima lettura, la varietà dei temi trattati possa far pensare; e nell’uso sapientissimo del verso che vive di evidenti rimandi alla forma classica della Satira (nel suo continuo oscillare fra intimo e pubblico con accenti moralizzanti, ma senza troppe speranze), e nelle vivaci incursioni nel più moderno stile diaristico dei postmoderni, perlomeno nei suoi accenti più intellettualisticamente borghesi (Sanguineti, mi è parso, su tutti). Eppure, allo stesso tempo, lo sguardo basso, concreto, spesso impietoso, autoironico fino all’autodenigrazione dell’autore, lo rende un lavoro accorato e a tratti disperato. Ne emerge infatti, nascosta dietro la risata, l’insanabile solitudine di un uomo troppo umanamente partecipe per assolversi da qualsivoglia colpa; troppo intelligente per non sentirsi estraneo a qualsiasi impegno o gruppo; e allo stesso tempo troppo (poco) serio per non cogliere la vacuità di tale atteggiamento e farne, anche a proprie spese, dell’ironia.

lunedì 7 ottobre 2019

qualcuno mi ha detto...

Qualcuno mi ha detto che certo
il mondo
non cambierà se stesso per le mie poesie.

Io rispondo che certo sì
il mondo
non cambierà se stesso né le mie poesie.

domenica 6 ottobre 2019

lettera a cate per dirsi addio

Cate, ma perché «son qui con te sempre più solo»
perché la morte ci richiama giorno a giorno
con più forza e circondati dal buio dal rumore
fatichiamo a dare spazio a questa mente?

Cate, ti ricordi la canzone che in autunno ci portava
un altro giorno di luce, ancora un passo verso il niente –
quando ancora non odiavo in ogni voce ogni uomo
a me più non solidale ma ostile?

(Perché ci toglie spazio col suo pianto con le sue
lamentazioni, ché come ogni uomo è infelice
e io sto meglio nel silenzio e nel mio odio
senza scopo e senza direzione).

Cate, lo so che mi dicevi ti ricordo più duro e sagace, violento
ma il tempo mi ha morso e incarognito nella sua malattia
la ruggine non tace e ammorba tutto
consuma ogni pagina ogni disco e parla, la polvere parla.

E ti racconta di me, di come nascosta negli angoli spiava
ogni mossa del mio amore, dell’ombra accanto a me
che chiedeva in che modo faremo, come
come passeremo ancora insieme un altro inverno?

Era un fantasma anche quello
di quelli che attentano nell’ombra al mio silenzio
il caro nulla che – ci accopperebbe volentieri
se non fossi di continuo aggredito dalla vita, dal mio

peso quotidiano, se
tu non fossi qui con me, ma non ci sei.
Cate, che ti chiamavo Claudia in una mia poesia
ed ora Anguilla pure tu, ma sei la prima.

Cate, fantasma pure tu, se sono stato anch’io per te
importante. E ora più non sono che un ricordo
coi miei disegni e tutto quello che ne resta
e che lo so, non basta mai contro il dolore, il nostro.

Cate, ora ti abbraccio e dico addio.

venerdì 4 ottobre 2019

gheddafi

Possibile che anch’io
già pronto al mio massacro
mi debba riconoscere in Gheddafi
prostrato nello schermo
mentre osserva i giovani in rivolta e/o
smaniosi di farsi padroni al posto mio
che l’offendono lo pesano
che posano con lui preda di caccia
cane ferito che guaisce – che vi ho fatto?
e in ognuno di loro è il mio nemico
il primo in primo piano che guaisce
quello a me più simile il più strano
che fa dei versi d’oro
e in nome di quell’oro
è pronto a dirsi libero e impiccarsi
ma viene poi ammazzato come un cane.

giovedì 3 ottobre 2019

finestra

Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto facendo finta di lavorare, ma in realtà non mi interessa far altro che guardare le nuvole? 
(Ma perché, hai una moglie tu?, mi chiederà il lettore a questo punto).

mercoledì 2 ottobre 2019

morte di un gatto di strada

C’è un gatto che muore in giardino
le gambe spezzate da un’auto
e il sangue alla bocca che sale.
Ringhia se mi avvicino.

Gli siedo a distanza e restiamo
per ore a squadrarci
nemici – lui trema.
La sete ci sfianca e le mosche.

Lottiamo.
Finché crepa nel mio sguardo
e io nel suo.

Intorno è la vendemmia.
L’uva si discosta dalla vite
e si fa mosto e il mosto sangue.

Lo infilo in una fossa dietro casa.

Ebbre di sangue di gatto
cantano le auto sulla strada.

lunedì 30 settembre 2019

morte a comala

Ho letto la prima volta Pedro Páramo anni fa, quando non ero ancora pronto e infatti non mi era piaciuto granché. L'ho riletto quasi per caso ieri notte e mi ha fatto una grande impressione, quasi paura anzi. La differenza ovviamente è dipesa dal fatto che la prima volta ancora no, mentre adesso, ad anni di distanza, ne ho fatto abbastanza esperienza da esserci entrato anch'io, nella morte, proprio come il protagonista del romanzo di Rulfo che non sceglie ma è già dentro Comala prima ancora di accorgersene. Come lui, non riesco a sentirmene più estraneo e infatti cammino in lei e mi fermo a parlare più coi morti che coi vivi, al punto che delle volte mi scopro già morto anch'io.

domenica 29 settembre 2019

sogni

Oggi hanno pubblicato questo post (bellissimo) su di un polpo che sogna e mentre sogna cambia colore. Guardandolo mi sono ricordato (perché tendo a scordarmelo) che tutti gli animali sognano. E allora mi è saltata in mente una frase di Clint Eastwood da Gli spietati che dice più o meno: "Ammazzare un uomo è una cosa grossa, perché gli porti via tutto ciò che ha e anche tutto ciò che sognava di avere". Ecco, ho pensato questo, che ogni volta che ammazziamo un animale, non ci stiamo solamente nutrendo, non applichiamo alla perfezione la legge di natura, ma anche gli stiamo portando via tutti i suoi sogni. Il che non è, a essere onesti, più terribile di tante altre cose che facciamo, ma è certamente crudele, e visto che noi di quei sogni non sappiamo e non sapremo mai nulla, lo è oltre ogni nostra immaginazione. 

la domandona domenicale

La figlia della mia macellaia, che mi vende di solito bistecche molto tenere, ha avuto da svolgere in classe un tema su una mia poesia. Poesia che le è sembrata subito difficile, da intendere a da approfondire. Tanto che la povera bambina ha preso quattro. Perché mai – è la domanda ironica e incazzata della macellaia – il signor poeta a cui vendo bistecche di primo taglio e scelta, da parte sua non sa fornire ai ragazzi, quindi anche alla mia bambina, una poesia che si possa cuocere e masticare con altrettanta facilità? Senza farsi saltare via i denti? Perché la poesia deve essere difficile e involuta? 

(Roberto Roversi, La poesia, il critico e la bistecca, in appendice a Dal fondo. La poesia dei marginali, a cura di Carlo Bordini e Antonio Veneziani, Avagliano, 2007)

venerdì 27 settembre 2019

cappella del soccorso


dopo

Non scriverò di nuovo
ciò che un giovane uomo
pensa, non le parole
di ciò che sente.

Non c’è storia
a parte quella che ho vissuto, ne-
ssun’altra ma
dev’essercene un’altra.

Se quel tempo ha
riecheggiato, apparente
vendetta, se la carne
e le ossa coincidono –

lascia che il corpo sia.
Guarda galleggiare i volti
sopra l’orizzonte
lascia finire il giorno.

(Robert Creeley, Later, trad. mia liberissima)

la prosa del primo flaubert

«E poi muore
per mancanza di voglia di vivere,
di pura spossatezza e di tristezza...»

E poi è investito da un camion
mentre torna a casa dal lavoro,

e/oppure un masso
buttatogli addosso
da vecchissimi amici di famiglia
scrive FINIS alle sue sofferenze –

Oppure va all’università,
si sposa,
ed è poi che muore!

O magari finisce che non muore affatto,
seguita semplicemente a vivere
giorno dopo giorno come ha sempre fatto...

È un uomo molto interessante,
una persona acutamente sensitiva,
ma deve pur morire in qualche modo –

così se ne va da solo sulla spiaggia,
si mette a sedere e pensa
guardando l’acqua lì davanti:

«Perché sono nato? Perché
vivo?» - come
una vecchia canzone, chéri
e dopo muore.


(Robert Creeley, Later, trad. Francesco Binni)

la speranza

Leggendo i vari post o commenti su Greta che in queste ore esplodono su social e giornali mi è venuto in mente un testo assai bello di Bordini – lo potete leggere sul suo sito – che parla degli scrittori di destra e in cui Bordini distingue gli scrittori di destra da quelli di sinistra in base alla speranza. Gli scrittori di destra, dice, sono sempre un pochino più lucidi di quelli di sinistra perché non si permettono il lusso delle illusioni, non li “avvelena” la speranza, loro sanno lucidamente il male del mondo e siccome non sperano in niente, in quella distanza lo descrivono con una radicalità e una profondità un pochino più affilata. Si parla di gente come Swift, Baudelaire, Pound, Ionesco, Céline, Dostoevskij, Pirandello. Gli scrittori di sinistra invece hanno questa cosa che, anche se ci vedono e ci vedono bene, comunque sperano, e quando sperano si incatenano in una certa misura alle cose del mondo, cercano un accordo o un equilibrio con esse, e in ciò perdono quella distanza radicale che fa la differenza. Ecco, io quando guardo Greta lo so che dietro di lei ci sono tante cose occulte che nemmeno mi immagino, ma dentro, sempre, che mi rovina, ho anche questa speranza che ci sia del buono in lei e che del buono ne potrà venire anche domani, e in quella speranza io so che a modo mio io sono uno scrittore di sinistra (o lì vicino) e che a esserlo, francamente, non ci guadagno nulla – infatti, potendo scegliere, probabilmente starei dall’altra parte.

martedì 24 settembre 2019

percentuali

Ieri leggevo un articolo, non mi ricordo su che sito*, in cui si diceva che, a dispetto della percezione che abbiamo, in un mercato editoriale in cui ci sono sempre meno lettori, i lettori di poesia, pur restando una briciola sul totale, negli ultimi anni si sono raddoppati, passando dallo 0,5% all'1%. Mi sembra un grande risultato da cui partire, puntando ancora a raddoppiare verso il 2% della popolazione dei lettori (che, per chi non lo sapesse, è il 40% della popolazione italiana). Credo molto infatti in questa legge degli estremi che prima o poi si incontrano, e se i lettori tutti diminuiscono e i lettori di poesia invece aumentano, secondo me finiranno per incontrarsi un giorno, intorno al 5-6%.


*In realtà me lo ricordo ma siccome non sono citato fra gli editori di poesia meritevoli di attenzione, mi riservo il diritto di offendermi e non citarlo a mia volta.

lunedì 23 settembre 2019

coyote

Stamattina, ascoltando questa canzone, ho ripensato a una intervista rilasciata da Joni Mitchell qualche anno fa. Era una intervista piena di amarezza in cui tirò fuori una polemica feroce contro Bob Dylan, dicendo che era un pessimo uomo (poco igienico anche) e un pessimo artista (un plagiario della peggior specie) che non si meritava il successo che aveva avuto più di lei, infinitamente più brava di lui ma messa da parte perché donna. Di recente, con l’ultimo film di Scorsese sulla Rolling Thunder Revue, è venuto fuori il video qui sotto, dove loro due suonano insieme Coyote a metà degli anni ’70, mettendo da parte, nel nome di una vecchia amicizia, quell’intervista e quella rivendicazione. Però, mentre un certo punto di Chronicles Vol. 1, o forse in una intervista (non ricordo di preciso), qualcuno chiede a Dylan se ci sono dei giovani che gli piacciono, che hanno raccolto la sua eredità, e Dylan parla a lungo – stupendo l’intervistatore – della nuova scena rap americana, dice che gli piace l’uso che fanno della parola questi ragazzi e il modo in cui la usano per rapportarsi col mondo; nella succitata intervista alla Mitchell qualcuno le fa la stessa domanda, e Joni risponde che no, non le pare dopo di lei qualcuno abbia fatto qualcosa di altrettanto bello o di paragonabile al suo lavoro con Mingus. Ecco, leggendo tale risposta ho pensato che sia una cosa veramente triste da dire, e piena di egocentrismo – molto più egocentrica di qualsiasi Dylan, e ce e vuole! Dà l’idea di una persona che si sente molto sola, non perché lo sia davvero, ma perché proprio non riesce a vedere chi c’è intorno.

domenica 22 settembre 2019

il funerale di apollinaire

Novembre 1918. Giuseppe Ungaretti era in licenza a Parigi. Prima di ritornare in linea a Bligny, egli domandò ad Apollinaire che cosa voleva che gli riportasse dal fronte alla sua prossima licenza. Apollinaire disse: «Un mazzo di sigari toscani». 
L’armistizio è firmato dopo pochi giorni. Ungaretti torna a Parigi. Corre dall’amico a portargli i «toscani». Apollinaire è steso sul letto. La giornata è caldissima. Il suo povero corpo grasso comincia a decomporsi. 
Nemmeno la morte riuscì a placare la «iella» che perseguitava Apollinaire. Lo stesso giorno morì anche Edmondo Rostand. Due giorni dopo, due funerali di poeti traversavano a passo d’uomo le strade di Parigi. 
Vestita da carnevale, la polacca seguiva il feretro del figlio. Agli ingenui che cercavano di confortarla, essa ribatteva: «Mio figlio un poeta? Dite piuttosto un fannullone. Rostand: ecco un poeta!». 
Nello spazio di un mese la morte portò via anche lei. 

Alberto Savinio, Souvenirs, Adelphi, 2019

sabato 21 settembre 2019

calce e fiori


body and soul

Oggi un poeta mi ha detto che con il mio atteggiamento scanzonato e spesso poco serio (in primis verso me stesso) io offendo la poesia tutta che invece è sacra e, peggio, non do abbastanza valore al lavoro dei poeti che è serissimo. Uno potrebbe anche scherzarci sopra una cosa così, ma io davvero mi sono vergognato di non avere un attegiamento abbastanza sacrale quando la mattina mi appunto i versi in bagno, mentre vado di corpo.

cartolina dalla valle d'itria

giovedì 19 settembre 2019

quaderno di prima elementare


Come si vede a 6 anni avevo già capito tutto del rapporto uomo-donna (e le preferivo ricce e rosse).

gioia dei gattari


Pierppaolo Miccolis, dal catalogo della mostra Induced Spirits, 2018, a cura di Nicola Zito MICROBA con Achrome (catalogo Pietre Vive Editore)

scarafaggi

Sono scarafaggi e vivono nell’ombra
accumulando cianfrusaglie all’ombra
delle loro persiane chiuse portandosi
dietro l’odore umido dei loro calzini
ribadendo in ogni gesto il mio odio
immotivato se non perché mi odio
il loro sangue così come il mio
infatti sono uno scarafaggio anch’io

mercoledì 18 settembre 2019

spaghetti western

Checché se ne dica siamo tornati al solito cliché italiano dello spaghetti western: Il buono, il brutto, il cattivo. Eccoci qui. Gli elettori scalpitano, sbuffano, si indignano, ma sotto sotto a breve, al primo duello al sole, andranno in brodo di giuggiole per vedere chi estrae per primo.

martedì 17 settembre 2019

mi viene da ridere

Enrico Mentana scrive che il nostro debito pubblico è di 2.409.900.000.000 di euro. Io penso ai miei amici che, alla loro età, credono ancora alla pensione e mi viene da ridere.

lunedì 16 settembre 2019

trovarse

Ho cominciato la giornata con un libro di Samuele Editore, L'inventario di un'assenza di Michele Paoletti, e la chiudo con un altro libro Samuele, Xe sta trovarse di Francesco Sassetto, un libricino brevissimo ma perfetto, composto da sette poesie in veneziano che sono il diario intimo di un amore di mezza età vissuto fra le calle di Venezia. Un libro che si merita lo sforzo di essere letto nella sua lingua, magari a voce alta, perché vive tutto in quella lingua, senza mediazioni, e senza quella perderebbe molta della sua struggente fragilità e della fatalità che (Francesco lo sa) incalza su ogni amore. Un libro fatto d'acqua, così come la città in cui è ambientato, ma anche di lunghi abbracci per tenersi caldi. 

Vien qua, amor, vissìn de mi, vien qua 
che te coverzo co i brassi.

sabato 14 settembre 2019

documentari

A 42 anni suonati devo ammettere (spero senza troppa vergogna) che il cinema mi annoia, guardare film mi annoia mortalmente e l'unica cosa che ormai mi pare interessante e degna di essere vista sono i documentari (per quanto la definizione sia limitante), meglio ancora se “immaginari” e dove “nessuna rappresentazione dei fatti o delle persone è reale”. Come in questo di Robert Frank sui Rolling Stones o l'ultimo, assai interessante, di Nicolás Lasnibat sul personaggio di Arturo Belano, appunto The Invented Biography.

venerdì 13 settembre 2019

messaggio di ninnì aprile ai compaesani

Ieri sera, mentre giravo per Noci, ho rivisto dopo anni Ninnì Aprile. Si è dimagrito assai ed è invecchiato ma ha sempre quella faccia lunga e ossuta che sembra venuto fuori da un quadro del Greco. Gli faccio Ninnì come stai, ti ricordi di me? E lui, abbassando gli occhi e mentendo per gentilezza, certo che mi ricordo. Ti ricordi tutte le mangiate che ci siamo fatti? E lui – anche se non si ricorda più – perché adesso non ce la possiamo fare una mangiata? Mi racconta alcune cose di sé, poi mi prende la mano e mi affida questo messaggio ai Curdunnesi: Volevo venire alla festa quest'anno, ma il treno non funziona. Quando li vedi, per piacere, salutami tutti i compaesani e digli che li voglio bene a tutti, anzèche se pènzene ca mi scerrète! Ninnì non è cambiato proprio.

le recensioni

Le recensioni scarseggiano e sono spesso cerimoniali. Chi si accorge che un libro di poesia è brutto o inesistente sono sì e no cento persone. Di queste cento, quelle che lo dicono sono una ventina. Quelle che lo scrivono sono meno di cinque. 

 (Alfonso Berardinelli su Il Sole24Ore di domenica 27 maggio 2007)

giovedì 12 settembre 2019

con guido catalano


più o meni venti anni fa


cartoline

oggi mentre rimettevo ordine alla mia scrivania ho pensato che sono una persona fortunata perché appartengo a quella generazione che ancora comunicava con la penna. ho il cassetto pieno di lettere infatti, e di cartoline che hanno fatto il giro del mondo solo per potermi dire ho pensato a te.

mercoledì 11 settembre 2019

da che parte sto

Non voglio dire che sia una cosa sbagliata, ma pensavo a questa cosa di chi oggi festeggia Facebook perché ha oscurato CasaPound e solo ieri protestava per il fatto che sempre Facebook censura immagini (persino artistiche) inneggianti al corpo nudo delle donne, ritenendole volgari e offensive. Pensavo che il più importante social del mondo ha lanciato questo messaggio: che fascismo e corpo delle donne sono orribili allo stesso modo e per questo censurabili. E mi ponevo il dubbio se c'è da fare un più comodo due pesi e due misure, sacrificando il "male minore" per far fronte al fascismo, oppure cercare di capire, in questo meccanismo, da che parte sto.

cortocircuito

...La smania di scrivere e riscrivere ponderose opere a volte fa incappare in lapsus ridicoli, come quello a pag. 371 dell’edizione cartacea, dove a proposito del libro di Voltaire, si dice Zelig invece di Zadig. Onore a Woody Allen. 

 (Zordan, recensione pubblicata su Amazon)

scena poetica

Condivido una paginetta di Carlo Bordini da Susanna, diario di un mese d’inizio 1982 a Roma, contenuto in Manuale di autodistruzione (Fazi, 1998) e poi inserito in Difesa berlinese, a cura di Francesca Santucci (Luca Sossella editore, 2018), in cui viene minutamente descritta la favolosa scena poetica del tempo. 

Martedì. Arriva Attilio Lolini per una lettura al Flaiano. È noiosissima, con tutte quelle vecchie. Noi stiamo fuori. Dario Bellezza, Antonio, Tommaso triste e in crisi (ho saputo poi che l’hanno trasferito a Ravenna; una cosa terribile) e Alberto Toni sempre ubriaco. Bellezza parla di scrivere un «Nuovo inferno». Veneziani distribuisce Brown Sugar. Lolini è serafico, scrive poesie dolorose, una linea nuova, a volte un po’ sbavata; vorrei capire meglio. Vado a letto presto, non voglio ubriacarmi, sto male. Alla lettura viene Gabriella con un uomo, abbiamo un rapporto freddissimo, come se fossimo entrambi imbarazzati. Qualche giorno fa ho saputo di reazioni violentissime – in senso positivo – al mio libro. C'è gente che lo vive con un’intensità enorme. Alessandro Ricci e i suoi amici. Manni dice che la distribuzione del mio libro va bene a Roma.

torta di compleanno


domenica 8 settembre 2019

sapersi vestire

Che cosa ridicola, dico, questa del ministro che viene presa in giro perché non si sa vestire...
Hai ragione, ribatte mio fratello, pensiamo piuttosto a come non ti sai vestire tu.

sabato 7 settembre 2019

riprendersi

Stavo scrivendo un post che cominciava così: "ma è impressione mia o sono bastati pochi giorni da quando se n'è andato Matteo Salvini che l'Italia sembra già un paese migliore?" quando il cielo ha cominciato a rannuvolarsi e la temperatura si è abbassata di colpo. Allora mi sono ripreso: meglio non cantare vittoria, che qui piove sempre sul bagnato.

giovedì 5 settembre 2019

rimorso

Quando vedo i giovani poeti rampanti che corrono alla conquista del mondo mi piglia sempre il rimorso della mia giovinezza cazzara, quando mi costava fatica persino alzarmi dal letto per andare in bagno a liberarmi e l'unica cosa che mi dava vera gioia era il sesso (matto e disperatissimo), mica come adesso che non sono più giovane abbastanza.

sabato 31 agosto 2019

sintesi della mia estate

Quattro passi al sole, per pensare in pace, incontri quattro persone: due vogliono raccontarti una loro idea, le altre ti chiedono un'idea. Così passano i giorni: idee che ti entrano da un orecchio ed escono dall'altro, scomodando, al passaggio, quell'unica idea che hai in testa e che vorrebbe dormire.

(Ennio Flaiano, Diario notturno, Adelphi 1994)