martedì 5 novembre 2019

serietà

Leggevo stamattina il regolamento di una buona casa editrice che fra le istruzioni per l'invio di manoscritti dice: "Noi non siamo una casa editrice a pagamento, siamo editori seri, mica stampatori". E poi aggiunge, subito dopo: "Non accettiamo poesie, nemmeno se fossi il nuovo Mario Luzi ti pubblicheremmo". E allora ho pensato a come queste due frasi comunicano fra loro e a come, stando a questo ma anche ad altri regolamenti simili che leggo da anni, principio inalienabile per fare editoria seria, che non richiede contributi e vive sana e fiera di sé, è che non ci sia la poesia di mezzo, o che sia il più marginale possibile. Perché sotto sotto lo sai, lo sanno tutti che se pubblicassi poesia non ce la faresti a fare lo sborone così, saresti sempre in bilico, ancora più in bilico di come stai, e quindi per mantenere alto il tuo profilo editoriale è meglio barattare "l'arte e il canto" con il saldo attivo, evitarsi il problema alla radice, anche a costo di zittire magari la voce del nuovo Luzi o di un Sereni, che sono geni sì, ma vendono sempre troppo poco. Quello che gli resta ormai ai poeti seri, per gli editori seri, è lo stampatore.

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