martedì 29 settembre 2020

lillobestia

Oggi ho fatto un controllo e di tutti i libri che ho scritto e pubblicato (Rivelazione, Limonio, ecc.) e, salvo le copie sparse per librerie e distributore, non mi resta più nulla in magazzino, è tutto finito, salvo una decina di copie di Bestiario Fiorito (che è forse il mio titolo meno apprezzato, anche se a me continua a piacere persino nei suoi ostentati eccessi). Pertanto, dando seguito all'istinto intimamente suicida che c'è in ogni poeta, il quale ambisce sì a perpetrarsi ma ancora di più ad annullarsi, lancio questa proposta ai miei lettori più affezionati: chiunque nei prossimi giorni ordini sul nostro sito uno dei nuovi libri di Pietre Vive (ce ne sono di bellissimi) e desideri averlo, gli regalo una delle copie di Bestiario Fiorito, che probabilmente non ristamperò più. Ovviamente, fino ad annullamento delle copie stesse. Basta scrivermelo in una mail o in messaggio a parte e vantare un acquisto su uno dei titoli restanti, insomma due al prezzo di uno. Avevo anche pensato a un coupon a tema: LILLOBESTIA, ma poi mi è venuto da ridere e ho lasciato perdere.

domenica 27 settembre 2020

me la sono cercata

Mi scrive una ragazzina che ha cominciano a scrivere versi alle scuole medie e ora che è al liceo vuole pubblicare le sue poesie in rima baciata. Visto che è piccolina, anche se mi ero ripromesso di non farlo più, le rispondo. E le dico che è troppo giovane per pubblicare, che dovrebbe continuare a studiare e fare esperienze e se fra dieci anni sarà ancora convinta, si facesse risentire e ne parliamo. Ma soprattutto, mi raccomando mi raccomando mi raccomando mi raccomando mi raccomando, stai attenta agli editori truffaldini che, facendo leva sulla tua voglia di pubblicare, ti diranno che sei l’ultima erede di Ungaretti o Quasimodo e ti proporranno una pubblicazione a pagamento. Mi risponde dopo trenta secondi che è grata per la risposta, ma se non capisco quello che ha scritto non può diventarci vecchia lei per me, quindi grazie per i consigli, ma intanto cercherà altrove.

giovedì 24 settembre 2020

agli occhi di quelli che verranno

Noi, che a distanza di sicurezza
ci commuoviamo nei cinema
di fronte ai film hollywoodiani
che si dolgono ogni anno per la sorte
crudele degli schiavi e il dolore
che a gennaio ci stringe nel cordoglio civile
per non dimenticare. Noi
che facciamo mai abbastanza ma indossiamo
ad ogni funerale abito bianco
e guanti immacolati, noi che discutiamo
ore e ore intorno a un niente di cifre
per non dire che son vite
che hanno un nome.
Noi, così spietati nel vaglio della storia
degli altri: noi in quest’ora nudi
agli occhi di quelli che verranno
siamo uguali, né migliori né peggiori
di chi ci ha preceduti. E siamo noi i nazisti
siamo i turchi, siamo noi i negrieri
e i Cortés imbellettati, siamo ebrei
sganciati in Palestina, siamo noi
i più bravi a dirci altrove. Non importa
se ci reputiamo innocenti o sani
se ci dichiariamo impotenti, contrari
per il solo fatto d’essere vissuti in mezzo agli altri
e non aver gridato con più forza
non siamo noi più alti di chi allora
messi al vaglio della storia
non seppero convincere i giurati.
Diremo come loro: Non sapevo, non volevo.
O negheremo che fosse tutto vero.
Io non potevo immaginare: la menzogna suprema.
Nessuno mai, di quelli
che tanto ci assomiglia nel futuro
ci crederà innocenti o degni di perdono.
Agli occhi di quelli che verranno
non saremo assolti
quando ad occhi chiusi invocheremo
la loro comprensione.

mercoledì 23 settembre 2020

morirai in mare

Nella foto Abdel Wahab Yousif, poeta sudanese morto il 20 agosto 2020 nel Mediterraneo, insieme ad altri 45 migranti. Di seguito la traduzione di una una delle sue ultime poesie, in cui esorcizzava la paura del viaggio. 

Morirai in mare.
La testa sbattuta dalle onde assordanti,
il corpo trascinato nell’acqua,
come una barca fallata.
Te ne andrai nel pieno della tua giovinezza,
timido nei tuoi trent’anni.
Andarsene presto non è una cattiva idea;
ma lo è di certo se muori solo,
senza che nessuna donna ti reclami al suo abbraccio:
«Lascia che ti stringa al mio petto,
ho tantissimo spazio.
Lascia che ti lavi dall’anima l’unto della miseria».

battitore libero

Quelli che ti chiedono di fargli il libro, e ti chiedono il preventivo, le tempistiche di uscita, la qualità di stampa, la distribuzione, l'impegno, la fiducia, come vuoi organizzare le prime presentazioni, ma porca madosca se ti mandano il manoscritto da leggere. Mesi ad aspettare di capire cosa di preciso ti vogliono proporre, e tu li implori per capirci qualcosa, e loro imperterriti ti mandano le foto sfocate dei quadernetti scritti a penna, i vocali di lettura, i prototipi rifatti in carta del libro d'arte che vorrebbero, ma non il file in word o in pdf. Quando ti lamenti con una di loro, accampa scuse, rigira la frittata, non si fida, o non capisce cosa vuoi da lei, infine, messa alle strette, sbotta: "Antonio scusa, ma non so usare il computer, se ti mando le poesie scritte a mano, me le ribatti tu al Pc?"

martedì 22 settembre 2020

ma veramente?

Elezioni in paese, vince Bufano (coi voti di Vito Speciale). Il commento più intelligente che ho sentito in merito è stato: "Se sapève". Si sapeva, e bene anche. Ma non c'è aria di festa e manco di sconfitta, non c'è aria di niente in giro. Se gioisce qualcuno è per la sconfitta di Scatigna. Ma tutto scorre esattamente come ieri e come ieri l'altro. Inutilmente immutabile. Come se non potesse cambiato proprio nulla. E in effetti, ed è tremendo, l'idea di fondo che sta lentamente cominciando a serpeggiare è che comunque non sarebbe cambiato nulla, in qualsiasi caso e con qualsiasi squadra, che al di là delle divisioni delle troppe sinistre avrebbe sempre e comunque vinto questa destra che non ha mai brillato in nulla. E non va bene, non va bene per niente, perché se questa è l'idea che passa, che persino provarci è inutile, allora perché provarci? Per l'ideale di essere dalla parte giusta? Ma veramente? E chi cazzo se ne frega di essere dalla parte giusta se poi governa l'altra parte? E infatti io non ci provo neanche più a essere da qualche parte. Avevo scelto anni fa l'astensionismo, e quest'anno sono andato al voto contro Fitto (come saggiamente diceva in un post Piero Ruggiero non ha vinto Emiliano, ha perso Fitto, che è un'altra storia) e già che c'ero ho provato a dare qualcosa al paese, ma dopo questa me ne torno volentieri al mio astensionismo che perlomeno è motivato. Mi pare assai più maturo dei tempi e degli umori che corrono.

lunedì 21 settembre 2020

merce di scambio

Oggi no, ma uno di questi giorni dovrò fare un post serio sugli amici che mi usano come merce di scambio per farsi belli con le ragazze: "Sai che ho un amico editore? Se ci parlo io ti pubblica sicuro!" Ma non uno o due, tanti! Poi corrono a cercarmi: "Dai, Antò, e non fare sempre quello prevenuto, e leggilo sto libro, e rispondi! Vedi che è un bel libro, e fidati, vedi che se lo leggi ti piace anche a te."

domenica 20 settembre 2020

caos organizzato

Visto oggi Chung Kuo di Antonioni, opera realizzata su commissione senza la quale non avremmo forse avuto Professione: reporter. Nel 1972 Antonioni viene spedito per due mesi in Cina, per realizzare un documentario di circa tre ore che andrà in onda sulla Rai suddiviso in tre puntate. La prima su Pechino, la seconda sulla campagna e altre città cinesi, la terza su Shangai. Particolarmente quest’ultima puntata ha un fascino incredibile, determinato dal fatto che sono stati ridotti al minimo i commenti parlati e musicali. Per quasi un’ora si vede l’obiettivo di Antonioni muoversi, anzi letteralmente perdersi per la città, attraversandola come fa l’acqua, senza bisogno di altro ritmo che quello dettato dal proprio sguardo che si spande lento fra le strade, sui volti. Guardandolo mi è venuto da pensare che spesso si accusa Antonioni proprio di essere “lento” nelle proprie riprese, pieno di tempi morti in cui non succede nulla. Invece a me pare che sia l’opposto, che Antonioni sia soprattutto un regista del rumore, e si muova più a suo agio, e con un’abilità registica formidabile, proprio nelle situazioni di caos estremo, di saturazione o assordamento dei sensi, anzi più rumore c’è meglio riesce a farlo risuonare sullo schermo e quel rumore esprime la sua irrefrenabile carica vitale. E si sente, anzi, che se la sta godendo, che non è simbolismo “esistenziale” il suo, ma puro godimento materico. In tal senso mi viene in mente una cosa che mi disse Vittorino Curci in merito alla lettura di poesie: che la parola in sé è importante, ma più importante ancora è il silenzio che un poeta riesce a creare intorno alla parola, per farla meglio risuonare nell’aria quando la pronunci. Allo stesso modo le atmosfere così rarefatte e sospese (e per alcuni esasperanti) di Antonioni non sono altro che la metodica preparazione di un silenzio che serve a far meglio deflagrare il caos.

venerdì 18 settembre 2020

illusione

Pensa come stiamo messi male in Puglia che è dovuto intervenire Nichi Vendola a fare la campagna elettorale a Emiliano, per ricordare che Emiliano ha qualcosa di sinistra da qualche parte, e anche quando tutti sanno che i due non si sopportano. Politica di partito che fa fronte comune contro il male? (E Fitto è certamente il male, o meglio ancora un criminale, come hanno stabilito anche i giudici). Sì, di quella alta pure. Ma umanamente è molto triste. Perché, se avessi la possibilità di scegliere, io voterei di nuovo Vendola a questo punto. Che almeno è la sinistra, quella vera, e non una sua parvenza. Invece quella stagione è andata per sempre e ora mi tocca turarmi il naso e votare per una sua apparenza, una semplice illusione.

ernia

Un autore mi scrive che, malgrado tutto, accorgersi di avere il pallino della poesia è come scoprire di avere un’ernia: la stessa profonda intimità che preme per uscire, gli stessi effetti indesiderati, ma anche lo stesso bruciante dolore che non perdona. Mi ha fatto a tal punto dispiacere che mi sa che lo pubblico solo per questo. Chiedo scusa agli altri poeti che soffrono meno.

giovedì 17 settembre 2020

citazione

Dostoevskij ha detto che un artista nella propria opera dice solo una cosa per tutta la vita. Se è molto bravo, forse due. La libertà concessa dalla natura paradossale di questa citazione mi permette di aggiungere che ciò non vale del tutto per me. Ma non spetta a me dirlo.
 

(Michelangelo Antonioni, intervista del 1975)

gli sfaccendati

Bellissimo vedere come, dopo aver scoperto che prendevano il reddito di cittadinanza, ora la destra italiana dice che i ragazzi che hanno ucciso Willy sono in realtà il frutto della politica sbagliata dei Cinquestelle che regala i soldi agli sfaccendati invece di investirli in cose più utili come, ad esempio, una più efficiente forza dell'ordine che contenga la violenza degli sfaccendati stessi. Nessuno che parli di investire nella scuola, perché agli sfaccendati la scuola non serve. Ecco che, ancora una volta, nessuno li vuole con sé, nessuno si assume la responsabilità delle loro colpe, ma sono tutti concordi nel capire che gli sfaccendati (meglio se criminali) sono un ottimo argomento di strumentalizzazione politica.

mercoledì 16 settembre 2020

le solite domande senza uscita

Ogni volta mi dico che non dovrei farlo, eppure finisco sempre per leggere i commenti a certi fatti, solo per vedere fin dove si può cadere in basso. Stavolta è capitato in merito alla morte di don Roberto Malgesini, ucciso ieri a Como da un uomo con problemi psichici, un emigrato irregolare, senza casa, solo e abbandonato, che veniva assistito da don Roberto insieme a tanti altri. Come al solito, certi commenti sono più agghiaccianti della morte stessa. Quando va bene la gente parla di “morte assurda”, altrimenti don Roberto “se l’è cercata”, per alcuni la colpa è tutta di questi “immigrati e dallo Stato che non li caccia via”, per altri don Roberto era “un martire incompreso” per via del suo impegno. Ma Malgesisi non era un martire, era un uomo con gli attributi che aveva ben chiaro il proprio ruolo, più di quanto fosse chiaro a tanti altri, perché se il compito di un sacerdote è praticare il Vangelo ‘anche’ aiutando gli ultimi, ovvero coloro che sono esclusi dalla rete di protezione sociale, i reietti, allora lui assolveva perfettamente al proprio compito, assumendosi con coraggio i rischi del suo ruolo, e in tal senso sì, se l’è cercata. Ma non c’è assurdità in questo, né scandalo. C’è il senso ultimo di una Chiesa, quando è sana. Casomai, bisogna chiedersi, e con forza, chi è che non ha assolto al proprio dovere, chi ha permesso che una persona con problemi psichici – e non ce ne sono pochi in Italia, spesso abbandonati a se stessi, o alle cure delle famiglie in affanno o di pochi centri che li accolgono vita natural durante – com’è possibile che una persona con problemi psichici, e pericolosa, sia stata lasciata sola, dimenticata al punto da richiedere l’intervento di don Roberto. E ancora, chi avrebbe preferito che don Roberto si facesse i cazzi propri, venendo meno al dovere morale di soccorrere il prossimo, e per questo facendogli il vuoto intorno? Chi, per non prendersi quella responsabilità, preferisce che tanta gente in difficoltà, che è malata, matta, sola o abbandonata, o addirittura pericolosa per se stessa e per gli altri, diventi invisibile per sempre, o fino a quando non finisce all’improvviso al notiziario? E perché, nonostante tutto questo, abbiamo bisogno di parroci come don Roberto che si occupano di persone con tali problemi al posto nostro, accollandosi il peso di fare da cuscinetto fra quelle persone, fra quel tipo di disperazione, sofferenza e solitudine, e noi, la cosiddetta società sana, che non vede il male e, quando può, indossa i paraocchi e lo tiene rinchiuso a chiave?

martedì 15 settembre 2020

stile

 A quelli che dicono che mentre scrivono un libro non leggono altro perché altrimenti si fanno influenzare nello stile, rispondo che succede perché non hanno stile... Lo stile, quando c'è, si mangia tutto, pure le idee degli altri.

lunedì 14 settembre 2020

immaginazione binaria

Ho rivisto, moltissimi anni dopo i miei anni universitari, Zabriskie Point, questo film che descrive una società americana (ma avrebbe potuto essere ambientato ovunque secondo me, a Taiwan come a Parigi) violenta, fatua, edonistica, i cui due protagonisti – nemmeno simpatici – finiscono per piegarsi o assuefarsi alla stessa violenza che la caratterizza, che caratterizza persino i bambini che proprio dalla violenza avrebbero dovuto essere salvati. Il primo dei due eroi, un po’ testa di cazzo, viene ammazzato per errore da un poliziotto che spara a caso per spaventarlo; la seconda, che invece ha “immaginazione”, nell’immaginazione finisce col distruggere tutto con una esplosione tremenda, adottando cioè lo stesso linguaggio dei carnefici della società, che di fronte a una realtà incomprensibile non creano alternative, ma la annientano, la cancellano senza pietà. Non c’è più alternativa, nemmeno nella fantasia, alla morte, e l’unica alternativa offerta dalla morte a se stessa è puramente estetica: una gran bella morte, una morte grandiosa e finemente diretta: nella musica, nei colori, nel montaggio. All’epoca, con tutti i suoi difetti, non ultimo la mancanza di empatia che si prova verso i suoi protagonisti, il film fu rifiutato dal pubblico come dalla critica. Oggi, dopo quanto sta accadendo nel mondo, mi sembra profondamente attuale, forse più attuale di allora. E mi sono chiesto se era Antonioni – il quale aveva dalla sua l’arma di un profondo pessimismo a filtrarne la poetica – ad essere già avanti (o alieno) nel 1970, oppure semplicemente noi che stiamo pian piano regredendo verso quel particolare tipo di immaginazione binaria, quella che già Moravia aveva definito come oppositiva di Eros e Thanatos, con la vittoria schiacciante di Thanatos che piano piano ci sta fagocitando tutti.

domenica 13 settembre 2020

fiori e calce

 

le presentazioni

Uno non può. Uno ha il lavoro. Uno ha la famiglia. Uno è sempre troppo lontano. Uno non vuole. Uno non ci crede più. Uno ha il compagno o la compagna gelosi. Uno le organizza da sé e nemmeno te lo dice. Uno ci va ma poi si ubriaca e litiga con tutti. Uno ci va ma prova a portarsi a letto chiunque si trovi a tiro. Uno è troppo pigro. Uno è fobico. Uno ci va ma vuole che gli rimborsi le spese. Uno ci va e racconta barzellette sconce. Uno ci va e comincia a guardare in alto senza parlare. Uno ti dice sempre no, ma gli piace che glielo chiedi ogni volta. Uno nemmeno ti risponde al telefono. Uno ci va ma solo se è in città, perché la provincia lo infastidisce. Uno prima dice che ci va poi ti dà bidone all’ultimo minuto e pensaci tu a chiedere scusa al posto mio. Uno devi andare a prenderlo a casa e trascinarcelo a forza, ma poi si sblocca e si diverte. Uno ci va ma solo se la data è inserita in un festival di prestigio. Uno non ci vuole più andare perché ha paura del pubblico. Uno ci va ma gli serve l’autista. Uno ci va ma solo se gli garantisci un minimo di 50 persone altrimenti nemmeno si muove da casa. Uno ti fa le scenate perché l’altro scrittore invitato ha venduto più copie del suo. Uno ci va ma ti chiede il gettone perché gli scrittori seri si fanno pagare la presenza. Uno dice che uno scrittore deve scrivere e basta, che un libro vende per quello che c’è scritto, le presentazioni non c’entrano nulla con lo scrivere. Ognuno ha la sua bella teoria in merito. Io ogni volta mi chiedo chi me lo fa fare. Se non le organizzi ti rimproverano di essere un cattivo editore, che non si interessa a promuovere i libri. Se le organizzi fanno i capricci come i bambini. Se non le fai, non vendi i libri. Se le fai sono più problemi che ti accolli che i guadagni reali. Come ci si salva da tutto questo? Come se ne esce?

sabato 12 settembre 2020

para bailar la bamba

Stanotte ho sognato che con Giovanni Laera e Domenico Mezzapesa, per dare una svolta alle nostre vite arrangiate, attivavamo un giro di droga a Noci, spacciandola attraverso le fogne. Fatta la conta, loro scendevano di sotto a fare il lavoro sporco e io me ne stavo per strada, vicino al tombino, distraendo i passanti. I quali, non riconoscendomi come nocese, a un certo punto hanno cominciato a guardarmi male, e mi chiedevano: Che ci fai tu qui? Io rispondevo furbescamente: C'ho la bamba di sotto! Quelli, non sapendo cosa fosse la bamba, anzi credendo che avessi rinchiuso di sotto una donna in carne e ossa mi hanno agguantato, picchiato a sangue e appeso per i piedi a un palo della luce. Poi hanno provato a salvare la fanciulla ma si sono trovati di fronte Giovanni e Domenico, e così pensando fosse tutto uno scherzo, hanno preso e picchiato pure loro. Dalle mie tasche, mentre ero appeso a testa in giù, hanno cominciato a cadere tutti i soldi della banda, monete per lo più, da uno o due euro. Giovanni, che è poeta, piangeva sconsolato: I miei soldi, i miei soldi! Domenico, invece, se la rideva alla grande, perché continuavano a chiamarlo tutti Pietro e a menare e menare a più non posso, e lui come Totò: Ma che mi frega a me, che sono Pietro io?

venerdì 11 settembre 2020

pietà di sé, infinita pena e angoscia

Ieri sera ho scoperto, parlando con una amica che ci ha avuto a che fare per un libro, che una casa editrice di media grandezza e considerata di assoluta qualità editoriale, anzi fra quelle di maggiore qualità in Italia, per la collana di poesia – non so per le altre – si fa pagare la pubblicazione dagli autori, e non chiede nemmeno poco, anzi. All’inizio mi è caduto un mito, poi ho pensato alle tante contraddizioni di questo mondo, per cui da una parte ci sono piccoli editori “morali” che non chiedono nulla agli autori, ma che poi scopri non pagano i collaboratori o, per andare avanti, sfruttano il lavoro degli stagisti; e dall’altra ci sono i medi editori “immorali” perché chiedono soldi agli autori, però con quei soldi ci pagano i collaboratori e la redazione, danno da mangiare a delle famiglie, e non so dire chi abbia più ragione o chi torto dei due. Stronzate, mi dice la mia amica, il segreto per pagare le famiglie, è comportarsi da editore e pubblicare i libri giusti, niente più poesia ma solo roba che vende: così si pagano gli stipendi. Poi certo, ci sono i casi clinici, gli editori “eroici” o “folli” perché sono soli come cani e quando muoiono ti accorgi che portavano la stessa barba, gli stessi occhiali, lo stesso paio di pantaloni rappezzati da vent’anni, non avendo soldi nemmeno per cambiarsi. Ma io quando mi immagino che finirò così mi viene pietà di me, infinita pena e angoscia, e allora confesso di sperare anch’io di passare, prima o poi, in serie B, al lato oscuro della forza. Soltanto per vedermi cambiato.

mercoledì 9 settembre 2020

ferita

Io non so più che lingua parlare. Di recente c'è un'aria di morte qui, si respira tanta di quella morte qui, e violenza, che mi sembra quasi mancarmi l'aria. Un'amica mi ha detto vai su IG che c'è silenzio, ma anché lì sono soltanto cruda carne, ancora bocche, e io non ho più bocche da offrire, mi fotografo apposta con una mascherina, nascondo la ferita, che la bocca oggi è una ferita, ogni parola non detta sanguina, ogni parola detta sanguina, sanguina ogni cosa detta male, o detta troppo forte, o troppo piano, tutto è sangue, tutto è una ferita che non tace. Non si secca.

in morte di nico naldini

È morto oggi Nico Naldini, che fu cugino e biografo di Pasolini. Naldini era fra quelli che sostenevano che Pasolini non fu vittima di una congiura ma semplicemente dei propri vizi. Ho sempre pensato che, proprio per questo, fu tra quelli che più soffrirono per la sua morte. Perché gridare "me lo hanno ammazzato!" come faceva Laura Betti, in parte assolve da colpe, lanciadole fuori, all'esterno, come pietre; mentre, all'opposto, persino il più rassegnato "si è fatto ammazzare" sottintende quasi sempre, con furore autopunitivo, un opprimente "...e io non ero lì a salvarlo".


martedì 8 settembre 2020

cesare

La mia lamentela del martedì mattina (con risposta).

IO: Devo cambiare registro mi sa. Non sono bravo come editore. Qui a me pare che l'editoria sia un meccanismo grandioso dove tutti guadagnano qualcosa, meno che l'editore!
IL MIO AMICO CESARE: I soldi sono come la passera: vanno chiesti.
IO: Questa la uso senza citarti.
CESARE: Maledetto.

lunedì 7 settembre 2020

vuoto

Continuo a leggere queste notizie sulla morte di Willy Monteiro Duarte che si muovono, come sempre, nella scia della suddivisione manichea fra bene e male, fra vittima e colpevole, da una parte questo povero ragazzo di 21 anni, vittima innocente di una rissa, e dall’altra i violenti che lo hanno ucciso a botte, e che vengono additati, tagliando la testa al toro, come bulli, fascisti o picchiatori, delinquenti, ma quasi mai senza dare loro un’età, perché il male non ha storia e rivelarla aumenterebbe la vergogna. Ecco che i quattro bulli di periferia erano quasi tutti coetanei dello stesso Willy, età media sui 23-24 anni. Tutti sapevano da tempo che erano violenti, ma nessuno ha fatto nulla fino a oggi. Dov’erano le famiglie dei quattro? Dove la scuola? Dove le istituzioni? Perché nessuno si è mosso per tempo? Perché li si riteneva irrecuperabili? Già bruciati? Le solite domande che si ripetono ogni volta. E a me sembra qui prefigurarsi, come già un anno fa con un caso assai simile a questo, avvenuto sempre a Roma, a piazza Eschilo, in cui due venticinquenni spararono in una rissa a Manuel Bortuzzo rendendolo paralitico, lo stesso tipo di problema, che è un problema di abbandono sociale e politico di alcune fasce della popolazione, che poi sono quelle che abbiamo visto in piazza nei raduni No Mask, gente che noi deridiamo come folli senza provare a capire cosa si muova lì sotto, quale tipo di rabbia o frustrazione. Quando quella rabbia esplode ci ricordiamo che esistono, siamo obbligati a farlo. Ma questo è da sempre stato il grosso problema del nostro paese, che non vuole risolvere i problemi, ma solamente additarli come capri espiatori o cancellarli quando si fanno troppo spinosi. Dove le metti queste persone? Come le reinserisci? Quando le perdi che ne fai? Le metti in galera a vita e te le dimentichi ancora una volta? E come le salvi prima che commettano il male, ad appena vent’anni? La risposta di molti sarà: non vanno salvate ma sparate alla nuca senza pietà. Ma così si torna al punto di partenza, al sangue che lava il sangue, fino al prossimo caso di cronaca nera. Quello dove ancora una volta si concluderà che “erano bulli fascisti” o “merde schifose” o “subumani” e allora così doveva andare e basta, dichiarandosi impotenti come al solito, senza rendersi conto o voler ammettere che dietro tutto questo c’è un vuoto più grande, quel vuoto che porta tutti questi ragazzi (i quattro di Colleferro, i due di piazza Eschilo, i due venticinquenni che a ottobre 2018 pestarono a morte Donato Monopoli a Foggia, i due ventenni di CasaPound che ad aprile 2019 violentarono una donna di trentasei anni a Vallerano, ecc.) e tanti altri a loro uguali: iperpalestrati, pompati, tatuati, violenti, che si muovono a due a due o in branco, ad aggregarsi intorno a un culto che non è solo fascista, perché il fascismo qui non è la ragione del male, ma il suo approdo naturale, ma un culto della forza bruta, che non riconosce un valore alla vita di nessuno, perché a monte non riconosce un valore alla propria vita, e fa della violenza l’unica soluzione a ogni problema.

ruscetizze

Parola bellissima del nostro dialetto che ho imparato oggi, descrive il suono della pioggia quando è lontana.

domenica 6 settembre 2020

follia

Visto La signora senza camelie, film che mette grande malinconia addosso. Lucia Bosè è molto brava ma a tratti sembra fuori parte. Troppo eterea ed elegante per giustificare certe scelte della sceneggiatura tutta incentrata sul desiderio di possesso maschile verso la protagonista. Ho letto che il film era stato scritto in origine per Gina Lollobrigida la quale rinunciò alla parte perché si vedeva troppo scoperta nel ruolo di "maggiorata", che tutti scritturavano (e bramavano) per la sua avvenenza più che per il suo talento. La Lollo voleva dimostrare di essere qualcosa in più e disse di no. E ho pensato che, invece, la differenza l'avrebbe fatta proprio accettando di cavalcare la tigre, assecondando la dose di lucida follia che tutti gli artisti in fondo hanno, o dovrebbero avere, nel togliersi la pelle di dosso e mostrarsi nudi, e fragili (creature fatte di sangue e di carne) davanti al pubblico.

venerdì 4 settembre 2020

la prefazione

Autore esordiente mi manda libro con prefazione di nome autorevole. Il buffo è che, a conti fatti, la prefazione non solo ha maggiore peso editoriale della raccolta stessa, ma risulta persino più lunga per numero di battute. Per un attimo sono quasi tentato di pubblicare direttamente la prefazione senza la raccolta. Poi l'etica prevale e gli scrivo: Forse non andrebbe messa una prefazione così impegnativa... Mi risponde: Scherzi? Con quello che mi è costato averla!

giovedì 3 settembre 2020

i vinti

I vinti, film a episodi del 1953 diretto da Michelangelo Antonioni. Nel primo episodio due ragazzi francesi innamorati della stessa ragazza discutono di amicizia, poesia e di Prévert prima che uno dei due spari all’altro per derubarlo. Nel terzo un giovane poeta inglese che ama le donne e le corse dei cani cerca di realizzare il delitto perfetto (anticipando Hitchcock): ammazza una perfetta sconosciuta e si dichiara colpevole credendo di farla franca. Nel secondo episodio, invece, un giovane ragazzo italiano che non ha rispetto per i libri, ma vuole godersi i suoi vent’anni, tenta di fare i soldi, tanti e subito, mettendosi a contrabbandare sigarette. Direi che già nel 1953 la differenza di orizzonti culturali fra i giovani cattivi d'Europa si faceva sentire.