lunedì 7 settembre 2020

vuoto

Continuo a leggere queste notizie sulla morte di Willy Monteiro Duarte che si muovono, come sempre, nella scia della suddivisione manichea fra bene e male, fra vittima e colpevole, da una parte questo povero ragazzo di 21 anni, vittima innocente di una rissa, e dall’altra i violenti che lo hanno ucciso a botte, e che vengono additati, tagliando la testa al toro, come bulli, fascisti o picchiatori, delinquenti, ma quasi mai senza dare loro un’età, perché il male non ha storia e rivelarla aumenterebbe la vergogna. Ecco che i quattro bulli di periferia erano quasi tutti coetanei dello stesso Willy, età media sui 23-24 anni. Tutti sapevano da tempo che erano violenti, ma nessuno ha fatto nulla fino a oggi. Dov’erano le famiglie dei quattro? Dove la scuola? Dove le istituzioni? Perché nessuno si è mosso per tempo? Perché li si riteneva irrecuperabili? Già bruciati? Le solite domande che si ripetono ogni volta. E a me sembra qui prefigurarsi, come già un anno fa con un caso assai simile a questo, avvenuto sempre a Roma, a piazza Eschilo, in cui due venticinquenni spararono in una rissa a Manuel Bortuzzo rendendolo paralitico, lo stesso tipo di problema, che è un problema di abbandono sociale e politico di alcune fasce della popolazione, che poi sono quelle che abbiamo visto in piazza nei raduni No Mask, gente che noi deridiamo come folli senza provare a capire cosa si muova lì sotto, quale tipo di rabbia o frustrazione. Quando quella rabbia esplode ci ricordiamo che esistono, siamo obbligati a farlo. Ma questo è da sempre stato il grosso problema del nostro paese, che non vuole risolvere i problemi, ma solamente additarli come capri espiatori o cancellarli quando si fanno troppo spinosi. Dove le metti queste persone? Come le reinserisci? Quando le perdi che ne fai? Le metti in galera a vita e te le dimentichi ancora una volta? E come le salvi prima che commettano il male, ad appena vent’anni? La risposta di molti sarà: non vanno salvate ma sparate alla nuca senza pietà. Ma così si torna al punto di partenza, al sangue che lava il sangue, fino al prossimo caso di cronaca nera. Quello dove ancora una volta si concluderà che “erano bulli fascisti” o “merde schifose” o “subumani” e allora così doveva andare e basta, dichiarandosi impotenti come al solito, senza rendersi conto o voler ammettere che dietro tutto questo c’è un vuoto più grande, quel vuoto che porta tutti questi ragazzi (i quattro di Colleferro, i due di piazza Eschilo, i due venticinquenni che a ottobre 2018 pestarono a morte Donato Monopoli a Foggia, i due ventenni di CasaPound che ad aprile 2019 violentarono una donna di trentasei anni a Vallerano, ecc.) e tanti altri a loro uguali: iperpalestrati, pompati, tatuati, violenti, che si muovono a due a due o in branco, ad aggregarsi intorno a un culto che non è solo fascista, perché il fascismo qui non è la ragione del male, ma il suo approdo naturale, ma un culto della forza bruta, che non riconosce un valore alla vita di nessuno, perché a monte non riconosce un valore alla propria vita, e fa della violenza l’unica soluzione a ogni problema.

Nessun commento: