sabato 27 gennaio 2018

giornata della memoria due

A parte che è stata una brutta giornata culminata nel litigio con un vecchio amico, credo di avere avuto oggi uno scambio di mail col più grosso pezzo di burino ignorante di tutta Roma e provincia. Questo tipo lavora in un’azienda di produzione culturale e se ne vanta. Poi ci si chiede com’è che la cultura affonda. Forse perché i prodotti culturali si nutrono della stessa aria di chi li realizza e se chi li realizza è un porco quella che la cultura respirerà sarà la loro merda. È vero che sempre di concime si tratta, ma. Ma è bene ricordarselo ogni tanto, così sai quando devi mettere gli stivali di gomma per entrare in una stanza.

nel giorno della memoria


Siccome gli amici sanno che non amo particolarmente il 27 gennaio (per tutta una serie di ipocrisie che contiene), stamattina mi chiedevano sfottendomi un post polemico per il giorno della memoria. E visto che non mi va di parlare di quello, mi è venuto in mente di postare questa foto di un bellissimo complesso di trulli con tanto di aia e di giardino che sorge abbandonato su via Alberobello a due passi da casa mia. Leggende metropolitane che sicuramente sono false e tendenziose raccontano che un noto costrutture locale ha comprato il terreno e aspetta pazientemente che i trulli privi di manutenzione crollino da sé per potere poi, attraverso un intervento di ristrutturazione (come li chiamano), costruirci sopra un bel palazzo. E io mi chiedo, nella giornata della memoria, della mia memoria almeno, ma in tempo di crisi edilizia e di orgoglio per la nostra terra, non sarebbe più facile e utile risistemare i trulli col giardino e venderli così come sono, nel loro ambiente e nel rispetto della nostra tradizione, piuttosto che tenerli chiusi aspettando che muoiano? Non è un po' troppo da necrofili questa nostra concezione palazzinara? Io non c'ho i soldi ma se li avessi li comprerei subito quei trulli proprio perché sono così e non perché possono sviluppare volumetrie. Ma sia chiaro che questo è un esempio che vale per tutti, che di casi come questo se ne vedono ogni giorno e io non ce l'ho con quel costruttore in particolare, ma ce l'ho un po' con tutti perché certe volte, secondo me, non hanno proprio capito chi sono e da dove vengono.

venerdì 26 gennaio 2018

intervista su laboratori poesia


Rilke scrive: Mai d’improvviso, quasi si svegliasse, / si volta e ti fronteggia in pieno viso: / e tu allora inaspettatamente / ritrovi innanzi a te il tuo sguardo. (Gatto nero in Poesie 1907-1926 ET Poesia, 2014). Gli animali, e i gatti in particolare, hanno il potere di metterci in contatto con un nostro io più profondo?
Gli animali assolutamente sì, tanto che a parte i gatti ho avuto a che fare nella mia vita con cani, tartarughe, ricci, galline e conigli, colombacci e civette, la ghiandaia che vive sull’albero di fronte, e poi insetti vari, fino ad arrivare a ragni, lombrichi, cazzodde e limacce, e in ognuno di loro ho trovato una briciola di rivelazione.
Coi gatti poi ho una particolare complicità, tanto da convivere con cinque di loro. E poiché i gatti, un po’ come i bambini, si muovono in una sfera emotiva assai particolare, quando un mio gatto decide che è l’ora delle carezze non c’è ma che tenga, non c’è impegno di lavoro, stress, scadenza, scazzo o malumore che venga prima di quel contatto, per cui sei costretto, anche solo per pochi secondi, a staccare la spina per assecondarlo, e in quello stacco ritrovi per un attimo la tua dimensione più umana. “Restare umani” si dice sempre, non lo sono mai stato più che con un gatto.

Morire – questo a un gatto non si fa (W. Szymborska). E quando sono i nostri animali domestici a lasciarci?
In quarant’anni ho visto morire così tanti animali che per certi versi dovrei esserci abituato, eppure è la perdita di un famigliare, come si fa a darsene una ragione?
Molti animali hanno una grande dignità, quando devono morire si allontanano, spariscono, c’è questo pudore della morte che per certi versi trovo commovente e ammetto, da scrittore, che mi piacerebbe riuscire a penetrarlo, ma sono solo un uomo e ho i miei limiti. 

Raccontare l’infanzia e la vita attraverso “storie di gatti”.
Non è niente di rivoluzionario, a pensarci bene, ma è il libro a cui sto lavorando adesso e mi dà una certa gioia. Negli ultimi dieci anni ho prodotto così tanta roba che non si riesce nemmeno a trovare il tempo e lo spazio per pubblicarla tutta. Così, arrivato ai quaranta, mi sono accorto di avere già detto tutto quello che avevo da dire. Potrei ripeterla, ma perché? Così ho pensato di prendermela comoda e di lavorare al contrario, senza nessuna fretta – tanto il mondo non ha un tale bisogno delle mie poesie – lavorando per sottrazione, quindi cercando di limitarmi all’essenziale e di parlare di poche cose e non di altre, quindi fuori il mondo inteso nei suoi rapporti sociali, di potere o di pietà, fuori la politica e il sesso, che poi sono gli argomenti che in genere tratto, per ritornare a una dimensione più modesta e intima: la propria storia, gli affetti basilari – non ho una moglie, ma ho cinque gatti –, la perdita delle persone care, per cui non si può fare nulla, salvo cercare dei rimedi per lenire il dolore. E in questo, sono convinto, la poesia non può cambiare il mondo, come diceva la Cavalli, ma può lenire le ferite come nessun altro genere letterario. È una cosa piccola, forse, ma buona.

martedì 23 gennaio 2018

più spingo a fondo l’occhio di veggente...

Più spingo a fondo l’occhio di veggente
meno lettori avrò, cara poesia. Poiché
non è di tutti trattenere il fiato sul fondale
e vince chi più comodo galleggia
sul suo materassino radente il pelo d’acqua.
Lo so e mi tengo cheto e muto, ché
quelli come me muoiono soli a largo
oppure presi all’amo e poi grigliati.

sabato 20 gennaio 2018

la scoperta dell'acqua calda

Cosa ho scoperto, di nuovo, questa settimana?
1) la poesia non conta nulla, men che meno conta sul mercato editoriale o per gli addetti ai lavori che ti trattano come il parente povero invitato alla festa, simpatico ma con le pezze al culo;
2) i poeti, pubblicati o inediti che siano, non contano proprio nulla (a meno che non facciano ridere e allora sono poeti simpatici e vendono qualche copia in più), eppure se vogliono sanno farsi sentire, ovvero sanno come rompere il cazzo, soprattutto ad amici e parenti che compreranno i loro libri basta che stiano zitti;
3) i cantautori non contano un granché (quelli vivi almeno, quelli morti contano qualcosa in più) ma in ogni caso non sono poeti e forse non sono nemmeno cantautori: i cantautori non sono nulla allora, sono meno del nulla, però vendono sempre più di tutti;
4) le librerie non contano nulla. I librai parlano sempre di libri ma diciamoci la verità, alla maggior parte delle persone di quello che hanno da dire i librai non interessa nulla, e infatti i librai non contano nulla per nessuno;
5) del resto, il pubblico della poesia non conta nulla, è evidente (ma in generale, è altrettanto evidente che tutti i lettori presi nel mucchio non contano nulla) e stanno lì a guardarci come la sfinge nel deserto senza capire che ci stanno a fare: noi siamo le piramidi;
6) gli editori di poesia non contano nulla, e te ne accorgi soprattutto quando vanno alle fiere o ai festival del libro, o quando arriva il rendiconto delle vendite dal distributore, dove fanno sempre la figura dei parenti poveri invitati alla festa (simpatici e con le pezze al culo, come sopra);
7) i concorsi di poesia contano, forse, se c'è il nome di grido in giuria (che alla fine è solo un nulla un po' più evidente di te) che gli dà lustro, ma alla fin fine lo sappiamo non è che contino così tanto nell'equilibrio dei premi che contano e comunque vincono sempre gli altri;
8) in compenso i festival di poesia (e va preso atto che in Italia, dove ci sono più scrittori che lettori, ci sono ancora più fiere e festival letterari di quanti siano gli scrittori) sanno fare bene i conti: infatti campano sui soldi pubblici e su quelli spillati agli editori, per cui non contano quasi nulla in quanto eventi culturali, ma contano e tanto quando c'è da far girare i soldi; e mentre chiudono nel silenzio di tutti le biblioteche e i teatri, che non contano più nulla.
9) Insomma, tutto è nulla. O merda, a seconda dell'umore, che forse è nulla anch'essa, ma forse qualcosa più del nulla conta. Del resto da un bel nulla non nasce niente, dal letame nascono i fior. L'ha detto un poeta, forse. Chi lo capisce è bravo.

venerdì 19 gennaio 2018

storie del disimpegno

Ieri mi è capitato di trovare questa particolare sezione di un blog chiamato Colti sbagli. La sezione invece Nelle case dei poeti, e chiede a una serie di poeti di fotografare e raccontare un aneddoto su di un angolo di casa che hanno particolarmente caro. L'ho trovata una idea così semplice e bella che la condivido qui. Linkando su questo rigo vieni rimandato al sito e al particolare angolo indicato da Valerio Magrelli, che in effetti più che un angolo è un soffitto. 
E tu, quale angolo di casa hai più a cuore?

giovedì 18 gennaio 2018

odiare la poesia

Odiare la poesia di Ben Lerner. Libro breve ma assai carino (“potenzialmente commerciale” per dirla come Frank Zappa) che parte da un assunto affascinante, simile a quanto già espresso da Henry Miller in Tropico del Cancro: “Chi odia un ebreo più di un ebreo?”. Lerner rilancia: “Chi odia la poesia più di un poeta?” E dunque si chiede: perché odia il poeta, e che cosa odia di preciso: ciò che può toccare o ciò che non riuscirà a costruire nemmeno coi versi più raffinati, l’ideale a cui è diretto il canto? Con che ferocia odia il poeta, e fino a che punto? Fino a rinnegare se stesso e il proprio ruolo, facendo comunella col pubblico sempre più disattento? E fin dove? Fino alla violenza verbale sulla materia poetica propria e degli altri? Fino alla lamentazione continua? Fino al silenzio? E ancora: ma mi si nota di più se continuo a scrivere detestando ciò che faccio, o se sto zitto perché tanto ciò che faccio non ha nessuna importanza? Questo, in poche righe, il succo del libriccino di Lerner che non è affatto brutto o insignificante, anzi. Però, come dice Roberto R. Corsi, il quasi coevo I poeti sono impossibili di Alessandro Carrera ha un respiro, una visione e un carico di dubbi assai più vasti, oltre a essere ben più lungo. In ogni caso sono entrambi, proprio perché scritti dal punto di vista di due scrittori, strumenti utili a guardarsi un po’ dal di fuori e prendersi in giro, che ce n’è sempre tanto bisogno coi poeti.

martedì 16 gennaio 2018

prima di arrivare alla lentezza

Visto che fra quelli che conosco non mi pare lo abbia fatto nessuno, posto io questa canzone che è la mia preferita dei Cranberries. Di quel gruppo ricorderò per sempre To The Faithful Departed, album che mettevo sempre in cuffia nell'unico periodo della mia vita (più di vent'anni fa) in cui mi misi in testa di fare sport e correre. Correvo come un pazzo sbavante, senza nessuno stile o coordinamento, e il ritmo bipolare del disco scandiva il mio respiro e i pensieri alternandosi a Nervermind che stava registrato sul lato B della cassetta. Insomma, fu un vero disastro atletico, ma qualche chilo in compenso lo persi. Memoria inossidabile di quand'ero un uomo a due velocità.

necrologi

Sckítte cure pùrke de Napolitano nan ce sckàtte mè u sícchie!” dice mio padre, commentando il Tg che dedica un servizio alla morte di Dolores O’Riordan che è più lungo di quello per la visita del Papa in Cile dove lo stesso si scusa per gli abusi sui minori, perpetrati dai preti.

venerdì 12 gennaio 2018

colpo di fulmine


Ieri sera, per puro caso, mi sono ritornate sotto gli occhi alcune scene di un film del 1985, Colpo di fulmine di Marco Risi, con Jerry Calà che, trentenne confuso in una Venezia invernale che non può che rimandare a Thomas Mann, si innamora della figlia undicenne del suo migliore amico Ricky Tognazzi. La bambina è interpretata da Vanessa Gravina che all’epoca è già bellissima. È una storia dalla tematica assai delicata, il rapporto sfalsato fra un adulto immaturo e una bambina che appare già grande, eppure non c’è una sola battuta fuori posto, non una scena meno che casta: tutto è basato sui dialoghi in quest’opera minore ma dignitosa, che però mette a disagio. Rivedendolo pensavo che, per quanto ambientato negli edonistici anni ’80, c’è molto più in comune con quanto succede oggi proprio sui social dove la differenza anagrafica nel rapporto fra persone viene spesso cancellata dalla componente virtuale delle chat. E quanti quarantenni ci sono qui che flirtano senza problemi con ragazzi che potrebbero essere loro figli? Proprio per questo, secondo me, un film così fatto oggi sarebbe inaccettabile. Non tanto per la tematica in sé, ma per come viene trattata, con la naturalezza tipica della commedia sentimentale, che in questo inizio di secolo sarebbe considerata da incoscienti e quindi invisa al riflusso neo puritano che sta caratterizzando il nostro panorama artistico. Come dire che oggi argomenti che rasentano la pedofilia, o li tratti caricandoli all’estremo per farne emergere la carica malata, disturbante e drammatica, cioè li definisci a monte “politicamente scorretti”, oppure li riduci a macchiette comiche (alla American Pie) che sembrano scorretti ma in realtà ne cancellano del tutto le zone d’ombra. In tal senso Gerry Calà è quasi imbarazzante nel suo trattare un simile rapporto con la serietà che attribuiremmo a una comune love story (con tanto di finale malinconico), e in altri contesti il suo film verrebbe di sicuro censurato. In questo modo riveliamo, però, la nostra incapacità di trattare con disinvoltura, e quindi con maturità, temi che peraltro ci riguardano da vicino, fanno parte del nostro quotidiano, e forse proprio per questo ci mostrano per quello che siamo: mostri immaturi, egoisti e romantici. Ma soprattutto bugiardi.

giovedì 11 gennaio 2018

via crucis

Chi darà il conto della volpe investita sul ciglio della strada.
O del gatto rannicchiato al segnale rallentare. Chi
delle edicole votive che raccordano sulla via crucis statale
le anime vaganti dopo il grande investimento. Sono in tanti
qui che aspettano un passaggio: cani schiacciati e riccetti
poco più grossi di un pugno, naufraghi persino nel ricordo
di chi con troppa fretta inseguiva il proprio tempo e il proprio sogno
e non guardava in faccia a niente. Figurarsi alla carcassa di un bastardo.

mercoledì 10 gennaio 2018

appunto

Non ho la testa oggi per scriverci su, ma c'è qualcosa che andrebbe approfondita (e mi prendo questo appunto) sulla notizia del pubblico che, scoperto che i quadri di Modigliani in mostra a Genova sono dei falsi, chiede il rimborso per aver assistito a una mostra che in realtà era solo il riassunto della storia. Per essersi dunque stupiti e commossi di fronte a opere che credevano di Modigliani (senza peraltro avere i mezzi per riuscire a capire la differenza fra vero e falso), come se il fatto che i quadri fossero dei falsi rendesse più false anche le emozioni provate.

lunedì 8 gennaio 2018

la mia idea del nomadismo supertramp

Per come la vedo io, se è vero che “viaggiare apre la mente” è anche vero che un cazzone resta un cazzone. Dunque, se sei un cazzone e vai a vivere a Parigi non smetti di essere un cazzone perché stai a Parigi: sei soltanto un cazzone a Parigi. E se da Parigi ti sposti in Europa centrale oppure in Groenlandia, come impone la moda supertramp del momento, non ti migliori aggiungendo chilometri alla corsa, sei soltanto un cazzone un po’ più lontano.

aspettando i servizi sociali

Me lo diceva poco fa Alessandro Canzian: bisogna inventarsi dei nuovi metodi per vendere i libri, perché non si può lavorare così, come se si chiedesse l'elemosina. Così mi è venuto in mente un tipo che la settimana scorsa, scherzando con quell'ironia tipica di chi un po' sfotte un po' vuole ferire, mi diceva che avrebbe dovuto lui chiedermi dei soldi per leggere i miei libri, perché alla fine chi le capisce le cose che pubblico? Sono difficili, e chi scrive difficile (spesso chi scrive in versi) non dovrebbe semplicemente pubblicare, perché fa una cosa socialmente inutile. Invece, quasi senza pudore, gli autori difficili continuano a pubblicare, spesso lamentandosi perché non è giusto che paghino per la pubblicazione, e io come faccio a dargli torto? I lettori però non dovrebbero essere costretti a leggerli se non li sopportano, ma se sono costretti a farlo dovrebbero essere almeno pagati per l'impegno. E io credo che in questa battaglia per la sopravvivenza della lettura come pratica civile, quotidiana, i piccoli editori dovrebbero essere esentati dal chiedere soldi agli autori, ma anche dal pagare gli stampatori, gli editor e i grafici, gli addetti stampa, i commercialisti ma anche le tasse, visto che si è capito che l'editoria ha più a che fare con il settore assistenziale che imprenditoriale, e quindi a tutta questa massa di poveri dovrebbero pensarci i Servizi sociali.

venerdì 5 gennaio 2018

la copertina

La copertina del nostro prossimo libro che è un po' una campagna pubblicitaria e un po' un atto di fede. L'ha disegnata per noi Raffaele Fiorella, e a me piace un sacco.

lunedì 1 gennaio 2018

il mio business plan per il 2018

Creare un gruppo d’infiltrazione nelle case delle brave mamme italiane denominato CSI (sta per consorzio suonatori indipendenti, dove per suonatori si intende di campanello), assieme a un rappresentante Folletto e a un’agente Bimby. Il nostro slogan sarà: “Ecco tre cose assolutamente indispensabili per il vostro cuore: l’aspirapolvere, il robot da cucina e un pizzico di poesia tra una faccenda e l’altra”. Col pacchetto all inclusive si ha diritto a un poster autografato dai protagonisti di Tempesta d’Amore.