lunedì 31 agosto 2015

cantautori


Se non ci fosse stato Guccini ci saremmo accontentati di Vecchioni e di De André? Ci saremmo fatti bastare Claudio Lolli? Avremmo dandeggiato sulle note di Paolo Conte, raffinato melomane cosmopolita e provinciale? O avremmo seguito l’evoluzione e i deragliamenti di Alberto Camerini? I ripiegamenti pensosi di Finardi? La poesia di Antonello Venditti tra sguaiataggine e malinconia nazional-popolare? L’eclettismo di Lucio Dalla? Gli orientalismi di Franco Battiato? Il lirismo prezioso e vagamente stizzito di De Gregori? I baffi di Gino Paoli? La genialità cabarettistica del livido Lauzi?
I cantautori dei miei diciassette anni non erano poeti. Erano molto di più. E, su tutti, troneggiava Francesco Guccini, cantore di frati mai stati frati, di eroi già sbronzi al mattino, di giornate avvelenate, locomotive kamikaze, fiaccole anarchiche, silvie sbeffeggianti, pensionati cerimoniosi, tipi antisociali, annegati romantici, catene di monti coperte di abeti, uomini morti senza proferire l’ultima frase saggia, alberi giovani e forti, vecchie suore nere, sbornie, amori, krapfen e boiate, gatti, crisi non chiarite, religiose sonnolenze di orti, auto prese a rate, feste di compleanno finite male, libertari controllati da clero e Stato, antiche carte di corsari, angosciosi inverni cittadini, osterie, ragazze che se ne vanno, madri con forti emicranie serali, weltanschauung strambe, blue jeans vecchi e poche lire, figli dei fiori incuranti del domani, strade che corrono lunghe e diritte, bagasce che passeggiano nei viali, isole che si tingono d’azzurro (color di lontananza), belli con il vestito della festa, le luci dentro il buio, bikini amaranto, inquietanti nebbie, il tempo che dà e prende, stoviglie gozzaniane, Cristi eliotiani, Borges, Edgard Lee Masters, Hemingway, Omar Khayyam, Cartesio, Linus, ghirlande (per ornarti i capelli), albe come pugni in faccia, caffè della stazione, contadini curvi nei primi anni del secolo (scorso), lapilli, lamiere contorte, Americhe, vagoni dondolanti, uccelli iridati, budda, chela, animali mitici da bestiari, Marco Polo, antichi fasti, Jan Hus, roghi, peccati, espiazioni, tavoli di marmo, un cazzo in culo, dubbi di qualunquismo, il riso di chi ha nel cuore l’odio e nella mente la paura, stagioni di canzoni (e di facili illusioni), teoreti e preti, cazzate, case sul confine della sera, Gianni che nuota a vent’anni (ma lì avrà sempre vent’anni), conformisti radical-chic che apprezzano i film di Michelangelo Antonioni e Monica Vitti, gente bene, il colore rubino del vino sulla neve (perché lo cancellasti con il piede?), Mandrake, le urla dei bambini, bottiglie da aprire il giorno della laurea, le stesse cose viste sotto mille angoli diversi, lui (che si è ucciso per Natale), minestre riscaldate sulla stufa, liti con i vicini di casa, i pezzenti, le ali di una nuova forza, il progresso, la giustizia proletaria, ipocondrie, Cenne e Folgore, il mondo a capo chino, carnevali che impazzano, l’aprile crudele, chicchi d’uva grassi con le pance piene, fango, neri alberi, Benito, la Dc (ma di sinistra), futuri senza Ford, alcolizzati senza una lira in tasca, i fumetti, lavoro, casa, figli e consorte, coscienze pure, accuse di arrivismo, “andate e fate”, venerdì santi (prima di sera), visioni e frasi spezzettate, il Florìda, le catapecchie, la notte, il fiasco (se muoio rinasco finché non finirà), la mia chitarra romana (la pizza napoletana, l’azzurra marina), Fantoni Cesira (con il piacca), la signorina Argia, la Fiera di San Lazzaro, l’universo (creato a tempo perso da un vecchio con la barba bianca), la carne Simmenthal, voci di altre età, anelli al collo (che si stringono sempre più), aquiloni al vento (che a terra ricadranno), la grande bellezza di ottobre, il mosto e l’ebbrezza, le scelte fatte in piena libertà (quante ne hai fatte se ti muovi sempre dentro ad una prigione?), il vizio (di vivere) che ti ucciderà, tu (che forse giovane non sei stato mai), quell’amore – poi – reale, le canzoni di moda, Grazia, i cioccolatini, i cugini, i marinari, to peder (su l’us), laureati che contano più di cantanti, i libri.
Tutto questo i miei diciassette anni se lo trovarono nel piatto e lo sbranarono. Su questo la mia memoria si fece le ossa. Senza la lezione di Guccini (la lezione magistrale di un Maestro maiuscolo nella stazza e nella bravura affabulatoria) tanti di noi sarebbero un po’ diversi da come sono. Io dico un poco più poveri. E più spaesati e soli. 

Gianni Priano

sabato 29 agosto 2015

mitra

Ho appena terminato il mio prossimo libro di poesie. Titolo provvisorio: Nuove poesie catulliane (dico provvisorio perché c’è molto altro dentro, a parte Catullo). Il libro, visto che c’è dentro molta roba, sarà diviso in due volumi: il vol. 1 «Cani e porci», contiene poesie quasi tutte di sapore sociale o politico, di satira e di paesaggio. Il vol. 2, invece, Teoria dell’anguilla, contiene poesie d’amore (molte delle quali già pubblicate su questo blog). Ma come mi sembrano distanti le poesie d’amore in questo momento. Belle, certo, e sono io fino al midollo, ma inutili a capire il mondo. Di fronte a quello che vedo, che sento, al dolore di tutti, non c’è amore che serva. Non una parola che conforti. Molto meglio un mitra, mi dico. Pure un mitra verbale, la poesia armata che ci illuda di una possibile azione, di una giusta rappresaglia. Militanza del verbo «fottere», per ridire Carmelo Bene. 

Roberto D’Agostino: Se ne fotte anche del Governo? 
Carmelo Bene: Me ne infischio di me stesso, del Governo… 
Roberto D’Agostino: Della politica? 
Carmelo Bene: Della politica, del teatro soprattutto… 
Roberto D’Agostino: E di cosa noi dobbiamo fottere nella vita? 
Carmelo Bene: Di che cosa dovete fottere? Andate a farvi fottere! 
Roberto D’Agostino: Ah, così... 
Carmelo Bene: C’è a chi piace… 

[da Maurizio Costanzo Show del 27 giugno 1994]

lunedì 24 agosto 2015

l'asticella

Io credo sinceramente, e nonostante il suo caratteraccio, che mio fratello sia una persona straordinaria. Ha una forza di volontà grandissima, attraverso cui riesce ad affrontare qualsiasi problema e darsi la forza per ottenere i risultati prefissati: è corista al Petruzzelli (prima lavorava in fabbrica con contratto a tempo indeterminato, poi ha mollato tutto per assecondare il canto), è un ottimo giardiniere, cucina da dio e riesce anche a tagliarsi i capelli da solo. Quando sono morti i miei nonni è stato lui a lavarne e vestirne i corpi. Ha una schiettezza spietata: se non gli piaci te lo dice in faccia senza problemi. Io, che sono esattamente l'opposto, ogni tanto glielo dico: tu sei straordinario. Lui, che di contro a tanti pregi ha il suo caratteraccio, mi risponde così: «Non barare, io sono una persona normalissima». Nel suo linguaggio di quasi luterano intende dire che ad alzare l'asticella, prendendo per buono il fatto che è lui quello speciale, il resto del mondo si pone in una nicchia di tranquillizzante normalità. Invece, lui che si è conquistato tutto con la fatica e lo studio, abbassa l'asticella di proposito: e se lui è la normalità, il resto del mondo, o meglio chi non riesce a stargli dietro, è composto da inetti e ha da muoversi.

domenica 23 agosto 2015

coscia

Oggi ho visto la nuova pubblicità della Barilla, quella sugli spaghetti n°5, con Pierfrancesco Favino e regia di Gabriele Salvatores. Uno scialo di talento per raccontare l'amorosa partenza dello spaghetto dalla ditta verso le nostre tavole. Nell'ultima scena, mentre il camion si allontana sullo sfondo, si nota in primo piano, in cornice, una ragazza in bicicletta di cui non si vede il volto ma la coscia sì, una gran bella coscia a rimarcare la secolare affinità fra cucina, sensualità e natura. Mentre l'ammiro, mi passa per la mente quell'aforisma di Andy Warhol che dice che a ciascuno di noi è destinato un quarto d'ora di celebrità. Pensa che roba, mi sono detto, se quell'attrice ha utilizzato qui tutto il suo tempo. E un giorno, quando le chiederanno: «Ma tu, nella vita, che celebrità sei stata?» lei risponderà: «Sono la coscia nella pubblicità degli spaghetti n°5 della Barilla».

creuza de ma


venerdì 21 agosto 2015

adolescenza

“Un adolescente ordinato è un adolescente patologico.” [Donatella Caprioglio, psicologa]

Scoprire così di aver avuto una adolescenza sana, per quanto disordinata. E un fratello patologico.

lunedì 17 agosto 2015

disonore

Mi dicono che non c'è Destra né Sinistra, che sono due sigle vuote. Io penso che succede non perché non ci sono mai state, come molti ormai credono o vogliono far credere. Penso che succede perché la Destra ha definitivamente prevalso sulla Sinistra, inglobandola e perciò riducendo entrambe le sigle a un significato solo. Ma penso anche che la Destra, oltre alla Sinistra (al suo meglio e al suo peggio), ha inglobato e corrotto la parte sana della Destra stessa, annullando qualsiasi equilibrio fra bene e male. In questo senso non è il PD che ha preso il peggio della DC o di FI, come già in varie occasioni si è osservato, ma è la DC che aveva già corrotto in partenza tutte le forze della Sinistra poi confluite nel PD. O, per andare alla radice stessa del problema, fra la Destra sana di De Gasperi (di cui tanti hanno detto bene) e quella corrotta di Andreotti (di cui tutti hanno sempre detto male) ha vinto nei cuori, nei modi, nella cultura, nel cinismo interessato e nell'arguzia fine a stessa o che serve a mascherare il vuoto, la Destra di Andreotti, poi confluita, imbarbarendosi, in quella di Berlusconi. E questo va detto a disonore di tutti gli italiani.

solitudine e nausea

Più di tutti mi scrivono, ultimamente, e sono tanti, quelli che si lamentano di avere la nausea a stare con gli altri però, non sanno perché, ci stanno uguale. E allora stanno male due volte.
E mi viene da dire che io sto benissimo da solo perché per stare da soli ci vuole molta convinzione e non solo disgusto, ché il disgusto in genere è più di sé che degli altri. Per cui, se non sai stare da solo (anche se vorresti), allora stai con gli altri, così non passi il tuo tempo con qualcuno che non ti può vedere, e magari a stare con gli altri capirai, attraverso loro, cosa c'è che non va in te. Oppure, se il problema sono proprio gli altri, cambia compagnia, perché quelli che frequenti da una vita non è detto che siano i migliori amici che potresti avere. Ma soprattutto smettila di lamentarti con me, altrimenti rovini la mia solitudine.

sabato 15 agosto 2015

fare i conti con la realtà delle cose

Sento un servizio al Tg Norba in cui dicono che, nello sfacelo generale del Sud, un dato positivo c'è, ed è il turismo. Dopo il rilevante afflusso di turisti che dal Nordeuropa hanno invaso le nostre coste (loro possono, gli africani no), finalmente ci accorgiamo, soprattutto in Puglia, che il turismo potrebbe fare economia. Certo, occorre lavorare per sciogliere alcuni nodi: quello dei rifiuti ad esempio, e ancora più quello dei trasporti. Ricordo che Alitalia ha eliminato quasi tutti i voli diretti per il Sud e che non c'è un solo Frecciarossa da Roma in giù, nemmeno per collegare le due città maggiori, Napoli e Bari; Matera, capitale europea della Cultura nel 2019, è come un'oasi nel deserto, non un treno, non un aeroporto, e attraversare la Calabria comporta il Calvario. Pensa che ironia, mi dico, se finalmente ci risolvono il problema dei trasporti, ma non perché è nostro diritto di cittadini, solo per agevolare le vacanze dei "nordici". Detto così fa un po' colonia, perlomeno colonia balneare. Ma forse è ora di crescere e fare i conti con la realtà delle cose: sempre meglio essere una colonia coi treni che un libero stato delle banane.

venerdì 14 agosto 2015

capriccio

Non nascondo che quanto sta accadendo in questi giorni in seno al mondo ecclesiastico, questa sorta di salutare restyling sfuggito al controllo e che fa emergere lotte intestine e contraddizioni secolari ma che dà anche spazio, finalmente, alla parte sana e spesso imbavagliata della Chiesa, mi appassiona come poco altro. Qualsiasi cosa ne pensiate, succede, ed è vitale, perché persino nelle sue goffe espressioni di pancia, come l'incauta e meravigliosa dichiarazione del "comunista" Galantino, nelle smentite, nei bisticci, nei retroscena, si capisce che non è programmato, e che preme per emergere [leggi QUI]. Ed è molto più di quanto, in contemporanea, succede nel mondo politico, che a parole ha rivoltato tutto ma nei fatti non ha migliorato niente. Così tutti i giorni ci tocca ascoltare al tg queste facce insulse, ottuse, infantili, autoreferenziali fino al ridicolo, o peggio ancora ignare, ignave, bugiarde, oppure convinte senza capire nemmeno di cosa: il nulla di nulla applicato alla nostra vita, quasi per capriccio.

let it be, let it bleed

L'ho letto adesso [QUI]: Keith Richards ha definito Sgt. Pepper spazzatura e una miriade di fan è partita con la polemica. Ma non ho capito dov'è la notizia che fa scandalo. 
Bob Dylan già nel 1967 paraculava Harrison per Sgt. Pepper, che non gli piaceva, trovandolo un po' vacuo. Harrison, che al contrario era innamorato del suo John Wesley Harding gli chiedeva quanto tempo ci avesse messo per registrare un disco così bello e Dylan gli rispondeva ridendo "sei ore circa", cosa inconcepibile per Harrison che con Sgt. Pepper aveva perso circa sei mesi. E lo stesso John Lennon, in una celebre e incazzosa intervista del 1971, disse: "Quello era un progetto di Paul e solo di Paul!" come per tirarsene fuori. 
La verità è che Sgt. Pepper (come molti critici hanno osservato) è più un prodotto della sua epoca che un'opera senza tempo, e come documento musicale del flower power è ancora splendido. Le cose imprescindibili dei Beatles, però, sono altre. La stessa Rolling Stones nella sua Storia del Rock fa notare come all'inizio degli anni '60 i Beatles fossero l'unico gruppo inglese ad avere radici rock'n'roll, in una Inghilterra che, dagli Stones agli Animals agli Yardbirds, non si era mai staccata dal blues revival. In questo senso i Beatles furono gli autentici apripista di una nuova corrente musicale che avrebbe portato all'altro grande filone della musica inglese, quello che va dai Who a Bowie ai Pink Floyd fino agli estremi di Elton John e del progressive. Contrapponendosi dunque all'evoluzione del blues rock operata dagli stessi Stones, Eric Clapton e Led Zeppelin. 
Fatto sta che Sgt. Pepper, spazzatura o no, lo copiarono praticamente tutti per far soldi, Rolling Stones compresi, prima di ricredersi, grazie proprio al lavoro di Keith Richards (e subito dopo la cacciata di Brian Jones), per tornare finalmente al blues sporco e cattivo delle origini.

l'etica della bellezza

Ecco, in contrapposizione al post di ieri che citava il controverso articolo di Stefano Feltri in merito all'efficacia delle materie umanistiche, questo bel progetto [QUI] di due laureati in filosofia. "L’idea di Ilaria e Francesco è quella di insegnare ai bambini a imparare a guardare il mondo in maniera sempre attiva e critica, senza mai subirlo." Molte lezioni sono indirizzate, ovviamente, al rispetto dell'altro. Ma, personalmente, la mia preferita è la 7: La bellezza ha una dimensione etica, oltre che estetica. 
Implicazione che molti tendono a dimenticare con facilità sorprendente.

giovedì 13 agosto 2015

la poesia è viva, la poesia è morta

La poesia è viva, la poesia è morta. Ma che rottura questa storia che intasa siti e giornali da più di un mese, la poesia è viva, la poesia è morta, e serve solo a fare marketing, verso chi non so visto che la poesia se la leggono in pochi. Questo posso dirvi: io sono vivo, e chi non legge la poesia è morto. E chi non legge proprio è stramorto, ma come tutti gli stramorti non lo sa.

diritto e investimento

"È giusto studiare quello per cui si è portati e che si ama? Soltanto se si è ricchi e non si ha bisogno di lavorare, dicono gli economisti. Se guardiamo all’istruzione come un investimento, le indagini sugli studenti dimostrano che quelli più avversi al rischio, magari perché hanno voti bassi e non si sentono competitivi, scelgono le facoltà che danno meno prospettive di lavoro, cioè quelle umanistiche. I ragazzi più svegli e intraprendenti si sentono sicuri abbastanza da buttarsi su Ingegneria, Matematica, Fisica, Finanza. Studi difficili e competitivi. Ma chi li completa avrà opportunità maggiori, in Italia o all’estero."  [da un pezzo scritto da Stefano Feltri per il Fatto Quotidiano, che leggete per intero QUI]
Spiace ammettere che quello che un tempo era, per Costituzione, un diritto inalienabile, il diritto allo studio, coi tempi che corrono è diventato, invece, un investimento: il che non nega soltanto il valore stesso del diritto, ma anche il senso più alto della Costituzione, che se non garantisce lo studio, il lavoro, la dignità dei cittadini e degli uomini tutti, allora non si capisce che ci sta a fare. E infatti piano piano la stanno sgretolando perché inutile ai tempi che corrono, tempi che non chiedono diritti, ma investimenti. 
L'articolo è argomentato male, pieno di lacune, e non si capisce dove vuol andare a parare, però è scritto dal vicedirettore del Fatto Quotidiano, laureato in economia alla Bocconi. Appunto.

una cartolina dall'islanda

Si suggella così il tuo lungo viaggio
e il nostro breve che per poco
ci portò un romanzo: il breve lampo
del tuo slancio senz’amore
ma incapace di slegarsi dal mio amore
(né disse mai l’amore di volerci)
soltanto per averci complici
e compagni di perdenza per il giorno
del tuo ritorno a casa anguilla mia.

Mi scrivi dalle coste dell’inverno
in una luce tutta notte tutta inverno
mai più salvezza tu mai più l’eterno
ma serratura (toppa e chiavistello)
da serrare in vista dell’averno:
cruna che dall’abisso di un vulcano
ci schiude una parola il tuo saluto
poi viene divorata dall’incuria dallo sputo
dei postini infreddoliti. Perdonali

non sanno.

mercoledì 12 agosto 2015

mike, ungà e la poesia in italia

Scrive Alberto Casadei in uno degli infiniti interventi sul futuro della poesia che in questi giorni intasano i giornali: “Ho sempre considerato molto significativo, sui destini della poesia in Italia, un piccolo episodio raccontato da Mike Bongiorno in una sua intervista televisiva. Pare che, quando presentava «Lascia o raddoppia», un giorno capitasse negli studi Giuseppe Ungaretti, che il giovane Mike non conosceva nemmeno di nome. Notò comunque il grande ossequio che tutti i tecnici e in generale i presenti profondevano verso questo signore già un po’ attempato, e capì che anche lui si doveva adeguare. La nuova cultura massmediatica e quella umanistica s’incrociarono per un momento, e la seconda riceveva ancora il massimo rispetto dalla prima.” Poi l’autore prova a descrivere, in breve, gli infiniti danni che la Scuola della seconda metà del secolo scorso ha inflitto alla nostra cultura umanistica e fa delle proposte condivisibili ma che non interessano a nessuno che comandi. Mi verrebbe da dire che oggi l’Italia è piena di Mike Bongiorno che si credono Giuseppe Ungaretti (e spesso frequentano Lettere). Addio mio Novecento. 

L’articolo di Casadei si può leggere QUI.

sabato 8 agosto 2015

le parole preferite

In generale mi piacciono tutte le parole che cominciano con Z, forse perché ti danno l’idea di essere parole scomode, le ultime della partita, già quando le pronunci sulla lingua. In particolare mi piacciono: la parola Zavorra, perché mi fa pensare a tutte quelle cose che ti porti dietro, spesso tuo malgrado, anche se non sono indispensabili, e sono praticamente le sbavature che danno significato alla tua storia. Mi piace la parola Zappa, perché è stata la prima parola con cui ho capito la differenza fra nord e sud (al nord hanno la Vanga, mi diceva mio nonno, perché lì la terra è soffice e ricca, e la gente sta sempre a testa alta, mentre qui la terra è aspra e piena di sassi, e allora noi usiamo la zappa, che ti costringe a stare piegato). Poi mi piace la parola Zingaro. Adesso si usa tanto la parola Rom nei telegiornali, quando sembra che vogliano tutti puntualizzare sull’etnia, a me in verità pare una sigla fredda. Zingaro magari è meno corretto ma è più bello, perché dentro ci senti tutto un mondo di avventure e di pericoli, com’è appunto quello del cuore. Il cuore è uno zingaro e va, cantava Nada, e tu ti ritrovavi calato in un paesaggio impetuoso di Salgari. Pensa se invece fosse stato: Il cuore è un Rom e va. Non funziona. Dove va un cuore così? Nei centri di Accoglienza, non certo senza catene per il mondo. 

Nota. Ho scritto questo pezzo in risposta a un bellissimo post sul blog di Paolo Nori, che potete leggere QUI.

giovedì 6 agosto 2015

petterusse

«A kjéne kjéne, petterusse!»
lucculève attaneme da riète
ca ij fuscève nnànde
i me spascève a képe sope i piète.

Russe pur jídde p’a fatigghje
spascève i piète pu martidde
sópe a ferrovie. «Nna jè a stessa cose»
se mbriachéve a sère, «fatiè pe l’ólte
pe campè a sciurnète
o acchiarse na fatigghje ca te pièsce.»

Può pegghjève sunne a kjéne kjéne
sópe a banke. «Kèr è libertà
i kèss è capitalismo. Mbàrete,
ca i ciucce vone nnànde, petterusse,
ma u munne u spàscene i paruòle.»

I m’accattève i libre pa fatigghje
pe ffè a revoluzione nziéme a jídde.

I nna sapève nudde ca na dígghje
m’è appeccète mpitte u stésse fúke
u cante ca na dígghje a spascè u munne
pi paruòle, ca so piète p’u scarpidde.

U sacce bbúne jí, ca i fatigghje.


Traduzione

«Piano piano, pettirosso!»
Gridava mio padre da dietro
che io scappavo avanti
e mi spaccavo la capa sulle pietre.

Rosso pure lui per il lavoro
spaccava le pietre col martello
sulla ferrovia. «Non è la stessa cosa»
si ubriacava la sera, «lavorare per gli altri
per campare la giornata
o trovarsi un lavoro che ti piace.»

Poi prendeva sonno piano piano
sulla tavola. «Quella è libertà
e questa è capitalismo. Imparalo
che i ciucci vanno avanti, pettirosso,
ma il mondo lo spaccano le parole.»

E mi comprava i libri col lavoro
Per fare la rivoluzione insieme a lui.

E non sapeva nulla che un giorno
mi si è acceso in petto lo stesso fuoco
il canto che un giorno spaccherà il mondo
con le parole, che sono pietre da scalpello.

Lo so bene io, che le lavoro.

martedì 4 agosto 2015

il mio sud

C’è chi si sradica il Sud dal cuore
come una pietra dallo scasso
lì dove gli emigranti sono cani sciolti
e indirizzati al macello. E portano
l’abito buono. Ma tu non conosci il Sud
non vuoi saperlo e nemmeno ti morde
il calcagno la screscia velenosa
dei giorni che pettegola ti si attacca
al cazzo per vomitarti addosso il suo
rancore livido e la sua passione di
bizzuoca ammaestrata allo scirocco
e alla grattugia. E non conosci
che l’amore rammendato del randagio
né quello di verme nel formaggio punto
allevato a trozzolare nel pastone e poi
nutrito nell’invidia e nel peccato
di chi ha poca voglia e piglia
non per fame ma per odio del fratello
e poi lo sgozza la domenica nel sugo.
E si rivolta negli usi strafocati dagli odori
del paese né si dà conto degli aranceti
gravidi e marciti all’ombra dell’Ilva
nel silenzio dei potenti e dei poveri.
C’è chi si pente ogni giorno
per questo abuso carnale e edilizio
e prega prisciato di sé e del bello che in sé
vede sotto gli ulivi unti a cacasangue
per la gloria d’Europa e di Monsanto
e in penitenza strofina le palme
con visionaria ferocia sulla pelle ustionata
dei braccianti e sogna accecato a occhiaperti
ma senza più rivelazione la vendetta
giurata dai Borboni ai politici e ai preti
e ai traditori e agli infami che l’hanno
svenduto il nostro Sud per un piatto di fave
e di sivoni d’uva asprigna come i cuori
piegati dalla zappa e bestemmiano
i figli d’essere nati a prenderne il posto
coll’unto addosso della mola
e il destino già scritto dei muli
che trascinano le casse ereditate dai nonni
e dentro portano i pinnacoli rubati ai loro trulli
da rivendersi alle squadre dei paretari
albanesi o indossare a coppie
invece dei testicoli.

lunedì 3 agosto 2015

passerotti

Ho fatto un sogno in cui eravamo, in tre, perduti in giro per l’Italia a fotografare piazze deserte di città deserte che sembravano sconfinate pianure di ghiaccio. Leo raccoglieva, da collezionare, gli scheletri dei passerotti caduti al suolo e pietrificatisi, ed Eva mi diceva che erano fossili di sogni finiti male.

cosa il mondo

Non ho mai capito cosa il mondo volesse da me che non potessi restituirgli in versi.

sabato 1 agosto 2015

mi piace il tuo naso

«Mi dà troppa tristezza la poesia
né voglio più esserne informata.
Io vivo in un mondo senza tempo
negli anni che più non sono i miei».

Si stava all’ombra in afa
della sua fresca vedovanza.
Amava un giornalista – l’ombra incancrenita
di una attualità senza più vita

e ormai passato in RAI, cane
al guinzaglio. Lei acerba e folle, non arresa
ma un po’ stanca. Io già autunnale
e un po’ ammattito per amore

le citavo versi di Sandro Penna ché tutto
le mostrassero di sé, del cuore
come se in partenza noi fossimo
già scritti, e per questo sollevati dal dolore.

«Non consola» ripeteva «non consola»
senz’alcuna gratitudine. E mi pigliava,
da dentro, come un fuoco di Sant’Antonio
per tutti i Sandro Penna andati in bianco.

«Ma non ti basta sapere che ti amo, adesso ora
né più ti lascio sola! Che altra attualità
ti serve, quale uomo? C’è chi si spulcia
l’ANSA la mattina. Io nutro poesia!»

«Amavo la poesia. Mi piace anche il tuo naso.
Mi ricorda il naso altro di un uomo
ch’è ormai andato senza un verso, uno starnuto.
Andato lui, il suo fiuto, andata pure

via da me, dei nostri giorni, la poesia
squallida e incolore che la smetta
di parlare al cuore inutile
e lo morda finalmente il culo del padrone!»

Lo diceva – rimpiangendo senz’amore
il suo mastino ormai corrotto dal padrone –
per giustificarmi il suo rifiuto… Né
pareva accorgersi di offendere non me

ma il mio lavoro in rima. Di contro
da bravo ex-giornalista li racconto
ora sposati con squallore e pochissimo
pigmento, lei e il suo bracco in RAI

il suo fallimento.

rispetto

Me la ricordo ancora una vecchia intervista di TV Sorrisi e Canzoni in cui chiesero ai presentatori dell'epoca, parlo di vent’anni fa, cosa fosse più importante per chi lavora nello spettacolo e tutti (Pippo Baudo, Maurizio Costanzo, Corrado ecc.) risposero con molta eleganza «il rispetto del pubblico» e l'unico fuori dal coro, Mike Bongiorno, rispose: «gli sponsor!» Mike la sapeva lunga. Mica per nulla è finito in un saggio di Umberto Eco sui nostri tempi e gli altri no, con rispetto parlando.