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domenica 16 giugno 2024

cina, faro del mondo

Leggevo stamattina due notizie che riguardano la Cina e alcune contraddizioni che ci riguardano. 1) La Cina sta imponendo la censura (o damnatio memoriae) sui fatti di piazza Tiananmen, nel senso che a Honk Kong è impossibile fare manifestazioni pubbliche in merito a quella giornata: la famosa foto dell'omino che da solo fronteggia i carri armati cinesi è bandita; scrivere post sul 4 giugno, o come lo chiamato loro 35 maggio, è vietato; così come accendere una candela commemorativa in quella data (è successo a due ignari turisti, arrestati per aver acceso di sera la torcia del cellulare); ma anche indossare una maglietta con Che Guevara è un reato punibile con l'arresto. 2) Nel frattempo a Bruxelles c'è una "guerra commerciale" in corso che riguarda l'aumento dei dazi da imporre alla Cina per l'esportazione di auto elettriche in Europa, con la Cina che attualmente è il maggiore partner commerciale europeo avendo esportato auto elettriche per dieci miliardi di euro e minacciando dure rappresaglie commerciali a un continente che per la maggior parte dei suoi prodotti, dal vestiario all'oggettistica, è ormai "made in China" e ora, pur con molte resistenze interne, prova a porre dei freni allo strapotere cinese. Tutto questo, dicono gli esperti, non farà che aumentare i costi di produzione e rallentare la tanto annunciata transizione ecologica, di cui, si vocifera, la Germania ho proposto di posticipare la data di scadenza ben oltre il 2035 con una brusca retromarcia sulla decarbonizzazione della nostra tecnologia. Non a caso le destre che stanno prendendo il potere considerano che la preoccupazione ecologica non abbia fondamento e che ci siano in gioco interessi più importanti, quali il lavoro e l'industria. Alla faccia dell'emergenza climatica, ma pure dei diritti degli stessi lavoratori, che ogni giorno vengono ridotti. La nostra speranza, insomma, è di non finire come in Cina, se fra una ventina d'anni qualcuno pronuncerà "2035" con una certa malinconia nella voce e verrà arrestato.

sabato 14 maggio 2022

pigri pregiudizi

Stamattina mi sono svegliato con la notizia del nostro Primo ministro che dice apertamente che la storia del sud è più complicata di quello che ci hanno raccontato, che il sud è stato rovinato dalla cattiva e fallimentare gestione dello Stato italiano, il quale ha messo pezze su questa cattiva gestione coprendosi dietro una serie di “pigri pregiudizi” che sono nella sostanza identici a quelli inventati dal colonialismo: i meridionali, come gli indigeni, sono pigri, ladri e ritardati. Fino al punto di farlo credere anche a noi. Quando se ne lamenta un meridionale gli rispondono che il suo è un pregiudizio al contrario, una forma di vittimismo congenito, perché i meridionali sono anche vittimisti. Ieri però lo ha detto il Primo ministro e io come meridionale la prendo come una ammissione importante da parte dello Stato. Che attenzione, non sta facendo mea culpa per spalate di merda che ci hanno fatto mangiare, ma rilancia i suoi piani per noi, dicendo che ora vuole investire nel Sud, e meglio ancora nella sua riqualificazione energetica! Insomma, lo stesso sud che si affacciava sul Mediterraneo da cui arrivavano i poco graditi migranti, adesso deve accogliere a braccia spalancate i rigassificatori che sostituiranno quelli russi. E ce la fanno passare come una nostra conquista. L’energia ci serve, punto. Ma così è ancora una volta una presa per i fondelli, e c’è sempre la paura che riescano ad attuare quelle porcherie contro cui abbiamo lottato per anni, ovvero costruire impianti in zone naturali o di interesse paesaggistico, come quando volevano fare – perché?! – una centrale nucleare nella riserva naturale di Torre Guaceto. Ma d’altra parte che alternative abbiamo? Cos’altro possiamo inventarci per vivere? Turismo a parte, che certo va bene, ma sempre più mi sembra diventato una forma di colonialismo 2.0. Aspettare i nuovi ricchi del pianeta che vengono qui a rilassarsi con la loro carta di credito e se gli viene voglia ti pisciano sulla porta di casa e tu li ringrazi perché ti stanno pagando per farlo.

martedì 9 aprile 2019

bellezza in materia di commercio

La bellezza trova sempre strade impreviste per raggiungerti. Nel mare di libri ben scritti ma fondamentalmente noiosi che mi capitano di continuo sottomano, oggi mi ha offerto una pura boccata d’aria una raccolta di articoli di economia e commercio scritti nel Portogallo della fine degli anni ‘20 che, fra capitoli assai tecnici e/o datati (ad es. Capitolo III - La quotazione C.I.F. include le spese per la fattura consolare?), delizia per alcuni passaggi o note di sapore quasi zen nella parsimonia della lingua e nella chiarezza del pensiero, che distilla saggezza universale dalle buone pratiche nel commercio e viceversa. Cito a caso dal novello Kenkō: «A nessun commerciante piace avere, seppure momentaneamente, l’impressione che sia l’avvocato del corrispondente a scrivergli. La precisione commerciale deve avere sempre un tono casuale e spensierato – quello della conversazione di un uomo intelligente» o ancora: «È del peggiore gusto e del peggiore effetto che un capoufficio si scusi con “un errore di un impiegato”. Non vi sono errori di impiegati. Ogni errore di un impiegato è solo l’errore di avere impiegati che commettono errori»; «Nessuna lettere deve rimanere senza risposta per più di 5 giorni […] O la lettera non ha risposta e non si risponde; o ha risposta e si risponde d’immediato; o non può avere risposta d’immediato e allora si scrive dicendolo. Avere fama di essere rispettoso e cortese vale più di un francobollo. È una pubblicità a basso costo» e, sempre in materia di corrispondenza commerciale: «meglio la chiarezza che la brevità; meglio molti paragrafi che pochi; meglio rispondere in fretta, pur dicendo solo parte, che ritardare la risposta per dire tutto». Autore della raccolta, pubblicata in Italia da dell'Urogallo e credo ormai fuori commercio, Fernando Pessoa (nella traduzione di Brunello De Cusatis).

giovedì 4 febbraio 2016

congiura

Teorie sociali di mio fratello mentre addenta una coscetta di pollo. Secondo lui quello delle unioni civili non è un problema di civiltà, ma semplicemente di reversibilità, cioè economico. Sono pensioni in meno da pagare. Colpevole, quindi, della congiura non è la Chiesa, ma l'INPS.

giovedì 13 agosto 2015

diritto e investimento

"È giusto studiare quello per cui si è portati e che si ama? Soltanto se si è ricchi e non si ha bisogno di lavorare, dicono gli economisti. Se guardiamo all’istruzione come un investimento, le indagini sugli studenti dimostrano che quelli più avversi al rischio, magari perché hanno voti bassi e non si sentono competitivi, scelgono le facoltà che danno meno prospettive di lavoro, cioè quelle umanistiche. I ragazzi più svegli e intraprendenti si sentono sicuri abbastanza da buttarsi su Ingegneria, Matematica, Fisica, Finanza. Studi difficili e competitivi. Ma chi li completa avrà opportunità maggiori, in Italia o all’estero."  [da un pezzo scritto da Stefano Feltri per il Fatto Quotidiano, che leggete per intero QUI]
Spiace ammettere che quello che un tempo era, per Costituzione, un diritto inalienabile, il diritto allo studio, coi tempi che corrono è diventato, invece, un investimento: il che non nega soltanto il valore stesso del diritto, ma anche il senso più alto della Costituzione, che se non garantisce lo studio, il lavoro, la dignità dei cittadini e degli uomini tutti, allora non si capisce che ci sta a fare. E infatti piano piano la stanno sgretolando perché inutile ai tempi che corrono, tempi che non chiedono diritti, ma investimenti. 
L'articolo è argomentato male, pieno di lacune, e non si capisce dove vuol andare a parare, però è scritto dal vicedirettore del Fatto Quotidiano, laureato in economia alla Bocconi. Appunto.

giovedì 2 luglio 2015

la cubatura non si tocca

Alcuni anni fa ci fu un tentativo di lottizzazione in una vasta zona di terreni inutilizzati dietro casa mia e che coinvolgeva anche la mia famiglia. C'è stata una lotta quasi decennale per costruirci su qualcosa, con progetti che andavano da un parco per bambini a una serie di casermoni in stile Paolo VI a Taranto. Poi, a causa del fatto che c'erano di mezzo troppe teste, più di quindici proprietari, tre ingegneri e varie ditte coinvolte, fra l'avidità di alcuni e gli interessi di altri, non si è riusciti a far nulla, anche perché nel frattempo sono intervenuti tutta una serie di vincoli idrogeologici a fermare ogni possibile progetto. Insomma, di tanti arrangiati che in paese si sono fatti la casa tirandola su pure in mezzo alla strada, il più fesso di tutti sono io che son rimasto a bocca asciutta pur avendo il terreno. In tutto questo, la cosa che meglio ricordo è una riunione in Comune per mettere pace, in cui presentarono il progetto di uno degli ingegneri che aveva riordinato la zona con una serie di villini bassi e non troppo impattanti ma un po' stretti fra loro, per accontentare le richieste di tutti. E mi ricordo che lo stesso ingegnere propose che, se tutti avessimo rinunciato a un po' di cubatura, si sarebbero potute realizzare delle aree verdi intorno alle case che avrebbero garantito un po' di respiro e reso le stesse proprietà più appetibili sul piano commerciale. Di tutti, e c'erano più di una trentina di persone fra tecnici e proprietari, a essere entusiasti della cosa, fummo in due, forse tre. Quel verde non interessava a nessun altro. Mi ricordo un mio vicino di sedia che continuava a bofonchiare: "A cubatura megghje nan se tocche! A cubatura megghje nan se tocche!" Ed è un po' la logica che è andata avanti nella nostra provincia negli ultimi cinquant'anni. Mi è tornato in mente stamattina, che sono uscito in giardino a piedi nudi, e vi assicuro è una sensazione stupenda, e ho pensato che è una fortuna riservata a pochi perché non tutti se la meritano. Ad altri, invece, hanno riservato una sterile cubatura che, se ti va male, te la ficchi in culo ma finisce lì.

lunedì 20 agosto 2012

chiude l’ilva: sentenza storica e speranze per il futuro

Ci sono varie teorie in merito alla chiusura senza appello, oggi confermata, dell’Ilva. I più maligni, o scafati, sostengono legata alla prossima apertura di nuove e più redditizie acciaierie dall’altra parte del mare, in Africa. Altri semplicemente fanno notare come fosse ora che si facesse qualcosa per un problema talmente evidente che ogni altro minuto di silenzio risultava imbarazzante.
Che fosse davvero ora, molti non ne sono convinti. La situazione, storica ed economica, è quella che è, e chiudere adesso significa mettere sulla strada centinaia di famiglie. Purtroppo, non è il momento ad essere sbagliato rispetto alla crisi, ma la crisi stessa che ha portato alla luce carenze preesistenti, e quando i nodi vengono al pettine c’è poco da fare. Per centinaia di persone senza lavoro altrettante esulteranno, ringraziando il cielo che l’incubo del cancro da polveri sottili sia per loro finito. Chi ha ragione? In questo caso tutti. Chi ha torto? I padroni inadempienti, su cui si spera cada davvero e senza pietà la mannaia della giustizia.
Al di là delle questioni aperte, però, una cosa è certa: la sentenza di oggi, che mette al primo posto, e come raramente succede nel nostro paese, l’ambiente e la salute, con un occhio di riguardo alle generazioni future, ha una portata talmente rivoluzionaria da essere storica.
In futuro diventerà di certo pietra di paragone per altre controversie. L’Italia finalmente dimostra di volersi mettere al passo con la Comunità Europea, non solo a parole. Lo fa con durezza, ma che questo accada a Taranto dichiara, al di là delle sofferenze di alcuni e della retorica di altri, come il Sud non sia vittima designata ma abbia ancora una posizione centrale e un ruolo importante da giocare nello sviluppo futuro di questo paese. Bisogna solo stringere i denti.