"È giusto studiare quello per cui si è portati e che si ama? Soltanto se si è ricchi e non si ha bisogno di lavorare, dicono gli economisti. Se guardiamo all’istruzione come un investimento, le indagini sugli studenti dimostrano che quelli più avversi al rischio, magari perché hanno voti bassi e non si sentono competitivi, scelgono le facoltà che danno meno prospettive di lavoro, cioè quelle umanistiche. I ragazzi più svegli e intraprendenti si sentono sicuri abbastanza da buttarsi su Ingegneria, Matematica, Fisica, Finanza. Studi difficili e competitivi. Ma chi li completa avrà opportunità maggiori, in Italia o all’estero." [da un pezzo scritto da Stefano Feltri per il Fatto Quotidiano, che leggete per intero QUI]
Spiace ammettere che quello che un tempo era, per Costituzione, un diritto inalienabile, il diritto allo studio, coi tempi che corrono è diventato, invece, un investimento: il che non nega soltanto il valore stesso del diritto, ma anche il senso più alto della Costituzione, che se non garantisce lo studio, il lavoro, la dignità dei cittadini e degli uomini tutti, allora non si capisce che ci sta a fare. E infatti piano piano la stanno sgretolando perché inutile ai tempi che corrono, tempi che non chiedono diritti, ma investimenti.
L'articolo è argomentato male, pieno di lacune, e non si capisce dove vuol andare a parare, però è scritto dal vicedirettore del Fatto Quotidiano, laureato in economia alla Bocconi. Appunto.
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