lunedì 28 aprile 2014

il sogno di vincenzo

Esce oggi, per l’etichetta musicale Dodicilune, un progetto a cui sono molto legato su diversi piani: Il sogno di Vincenzo, di Donato Fumarola. L’idea di questo disco è di Donato, una sorta di omaggio musicale a Locorotondo, nostro paese e nostra continua fonte di ispirazione.
Ho conosciuto Donato Fumarola, compositore e pianista, attraverso suo zio Martino, mio vecchio amico morto alcuni anni fa e a cui ho dedicato una poesia nel mio Viva Catullo. Quando Donato lesse quella poesia, musicò in pochi minuti quei versi in chiave blues. Un lungo blues piovoso e triste.
Subito dopo mi chiese di collaborare con lui alla realizzazione di un progetto musicale che avesse come fulcro la nostra piccola Macondo, attraverso la descrizione di alcuni stati d’animo in certe ore del giorno, o col cambio delle stagioni, passeggiando per le sue strade, in cui il tempo sembra continuamente rivoltarsi contro se stesso. Un disco fatto più di paesaggi che di storie, ma in cui c’è anche spazio per una mia poesia in dialetto, sulla pioggia che ci piace tanto, recitata col solo accompagnamento al piano di Donato.
Io poi gli ho dato una mano come potevo, nella scrittura delle note del libretto, e soprattutto realizzando per lui la foto di copertina, la prima foto “professionale” della mia vita e, senza falsa modestia, credo che sia venuta proprio bene.



Queste sono le note introduttive del libretto del cd:

È stato mio zio Martino a farmi innamorare della Diana, una nenia suonata nel borgo di Locorotondo, in Puglia, per cullare i sogni dei suoi abitanti al passaggio fra la notte di ferragosto e il giorno di San Rocco, patrono del paese cui è dedicata una grande sagra. Col tempo molti di loro hanno preso ad aspettare sulle porte i musicisti e accompagnarli in giro per le strade fino all’alba.
Martino, per passione, si è messo alla ricerca dell’autore sconosciuto della nenia, destreggiandosi per quasi trent’anni tra le fonti più disparate, per individuarlo infine in Vincenzo Calella, compositore dell’800 in buona parte dimenticato, di cui un nipote aveva ritrovato, durante un trasloco, uno spartito originale in un baule. Da allora la missione di Martino è stata quella di restituire un nome alla verità di quel sogno musicale, contagiando col suo entusiasmo e la sua testardaggine chi gli stava intorno.
Lui mi ha coinvolto nella sua ricerca che poi è diventata, per me, ricerca di una terra e di una identità. Ecco che il sogno di Vincenzo, diventato poi il sogno di Martino, è ora il mio, un lungo sogno in cui la madre Diana si solleva dai vicoletti del paese sulla mia terra, alla ricerca del mattino.
 
Donato Fumarola

Qui sotto un brano estratto dal disco sulle quarantane (vedi QUI). Mentre, per il link alla pagina del disco sul sito di Dodicilune, clicca QUI.

venerdì 25 aprile 2014

scena in una stazione a nord

I cani impazziti nel sonno apprensivi osserviamo
attaccarsi coi treni. Non c’è verso di fermare
l’amaro scorrere di un’altra corsa inutile.
Tolgo il disturbo, mi dici indispettita se la vita
non va a tuo comando. E non ascolti né annoti
la vita spegnersi in un campo
d’inverno poco prima che faccia primavera.
Siamo immobili.
Ci arriva pungente il suo fiato letame. Sorridi
ché l’ultimo ricordo leghi pure a questa
scia di merda e presto
rinverdirà la terra ed i tuoi occhi verdi o rossi
e non più odiati non più desiderati, ma morti.

lunedì 21 aprile 2014

la pasqua

Ho visto mio nonno
resuscitato nel mattino di Pasqua del 2014
e alto non più di un bambino
venirmi a trovare in sogno.
È entrato in casa timoroso
e io preso da altro ci ho messo un poco
a riconoscerlo e abbracciarlo.
Mio padre seduto fuori sul parapetto
guardava il vento e mio nonno
in mancanza di lui si è stretto a me
suo padre diretto in linea di sangue.
Mi ha detto di non riuscire a dormire
e per questo è scappato di là. Già in pigiama
si è messo a cercare inutilmente
le sue coperte di lana e il letto
poi si è steso nella cenere del caminetto
ancora calda, ma nulla
era buono abbastanza. Allora
ha preso coraggio e mi è venuto in braccio
il mio nonno bambino
ha poggiato la testa sul mio petto
e si è lasciato cullare a lungo
fino a russare lievemente e farsi così finalmente
la prima dormita della sua morte
da un anno a questa parte.

sabato 19 aprile 2014

volevo morderti mia stella

portarmi sulla lingua il tuo sapore che prude
il filo della tua schiena che scorre perfetto fra le labbra
dalla bocca al centro esatto della mia voce.
Volevo mia bella ferirmi sulla tua carne
e perdermi nel sangue dei nostri baci fluidi e densi
sentirmi innocente e fragile fra le tue braccia
nei tuoi singhiozzi di donna che forzano in luce
i segreti del cuore. Volevo morderti così
senza pudore, ardente e feroce, poi dolce ritrovarmi
ferito, in te guarito. Volevo mai più scordarmi
del tuo fiato, del tuo sapore di gatta
che mi fa un giorno più vivo, nascosto nella pelle
nell’incavo delle tue ascelle.

giovedì 17 aprile 2014

per la morte di marquez

Confesso che gli ultimi libri di Marquez non mi sono mai piaciuti molto, e ho sempre pensato che il suo ultimo libro davvero bello sia stato L’amore ai tempi del colera.
Di Marquez si parlerà sempre come dell’inventore del realismo magico, però devo dire che se dovessi individuare una capacità che aveva come scrittore, era quella di essere un delicatissimo narratore di splendide storie d’amore. Storie in cui il ritorno era sempre possibile, anzi, e l’abbandono necessario a una crescita personale, a una presa di coscienza di sé. In questo Marquez era uno scrittore della speranza, uno dei pochi veri ottimisti del ‘900.
Negli anni ho letto tutte le sue storie, e se dovessi indicare le mie preferite, non sarebbero romanzi ma racconti: La incredibile e triste storia della candida Erendira e della sua nonna snaturata, Morte costante al di là dell’amore, La santa, I funerali della Mamà grande, e poi due racconti lunghi o romanzi brevi di incredibile potenza, Nessuno scrive al colonnello e Cronaca di una morta annunciata. Testi brevi in cui venivano meno certi suoi manierismi che facevano indubbiamente parte del suo linguaggio ma che alla lunga potevano diventare stucchevoli. E poi alcune pagine meravigliose dai suoi romanzi più celebri.
Di tutte queste pagine lette e imparate, divorate a suo tempo, ancora ricordo la commozione che provai, da ragazzino, su una in particolare; commozione che mi portò poi a comprare il resto dei suoi libri e a innamorarmene, quella per il ritorno a casa di Bayardo San Romàn. Pagina che riporto qui, sperando di condividere ancora, con voi, quel sentimento:
“Un mezzogiorno d’agosto, mentre ricamava con le sue amiche, sentì che qualcuno era arrivato alla porta. Non ebbe bisogno di guardare per sapere chi fosse. “Era grasso e gli cominciavano a cadere i capelli, e ormai gli occorrevano gli occhiali per vedere da vicino” mi disse. “Ma era lui, cazzo, era lui!” Si spaventò, perché sapeva che in quel momento lui la vedeva decaduta come lei vedeva lui, e non credeva che avesse dentro tanto amore quanto ne aveva lei per sopportarlo. Aveva la camicia inzuppata di sudore, come lo aveva visto la prima volta alla fiera, e portava la stessa cinta e le stesse bisacce di cuoio scucito con ornamenti d’argento. Fece un passo avanti e posò le bisacce sulla macchina da cucire.
“Bene” disse, “eccomi qua.” 

lunedì 7 aprile 2014

lo spazio

L’innocenza di una bimba
a pochi metri, uno con un giornaletto in mano.
L’innocenza e la depravazione.
Il giocattolo scivola sull’asfalto
e l’uomo si sofferma sulle sue cose:
nascosti, poco visibili, una coppia che si bacia;
la bambina osserva e vuole diventare più grande
vorrebbe provare anche lei
ma in lei c’è sempre l’innocenza.
Ad un altro angolo due vecchi che s’incavolano,
forse per l’ultima volta,
mentre spadroneggia l’orgoglio e la dignità di un giovane
che non tradisce un suo amico.
La passione spadroneggia:
passione, esperienza, crudeltà, odio;
ma dopo ogni cosa l’amore.

(Pino Simone, poesia inedita)

sabato 5 aprile 2014

la cattiveria

Spesso sono triste perché mi manca la cattiveria. Vorrei leccare tutto il dolce che gronda dalle mie parole e parlare di gente che ha dato calci nella pancia delle donne incinte, o piscia nei bicchieri e offre questo suo champagne a puttane con le quali fa le notti in giro. Per raccontare la vita d’oggi bisogna avere la forza delle giovani madri che partoriscono per le strade e gettano questo mucchietto di carne nei bidoni della mondezza. E io insisto a dire che bisogna ascoltare la sinfonia della pioggia. Purtroppo non so fare di meglio, e le corde della tenerezza mi tengono lontano dall’orrenda verità. L’ottimismo della notte è venuto a fermarsi, tremolando, davanti alla luce della candela e al bianco del latte dentro al bicchiere.

(Tonino Guerra, da Polvere di sole)