lunedì 26 aprile 2010

reportage: bari all'incrocio dei mondi





























































I miei amici dicono che è nel ritratto che do il meglio di me come fotografo. Finora mi sono sempre limitato sul blog per problemi di privacy ecc... Poi oggi mi sono deciso ed ecco un reportage realizzato fra le strade di Bari e incentrato sulla semplicissima idea che di una città sono le persone a fare la storia e non le architetture. Spero pertanto, attraverso questi miei ritratti, di essere riuscito a raccontare cos’è Bari per me e come la vivo e la sento: un luogo perennemente all’incrocio fra vecchio e nuovo, fra est ed ovest, in bianco e nero. Un incrocio di storie, com’è sempre una città. Un paio di foto le avevo già pubblicata in passato. Le rimetto qui perché nelle mie intenzioni sono parte integrante della serie e necessarie al discorso.

sabato 17 aprile 2010

lou reed e l'amore - new york



ROMEO SI È FATTO GIULIETTA

Preso fra le stelle confuse, le linee tracciate, la mappa imperfetta che portarono Colombo a New York, perfettamente a metà fra l’Est e l’Ovest, lui passa a trovarla indossando un gilè di pelle. La terra stride e freme quando frena. Un crocefisso di diamanti al suo orecchio lo aiuta ad allontanare la paura per aver lasciato l’anima nell’auto a noleggio di qualcuno. Nei suoi pantaloni nasconde uno straccio per pulire lo sporco che ha fatto sgocciolare nella vita della sinuosa Juliette Bell. E Romeo voleva Giulietta, e Giulietta voleva Romeo. Romeo Rodriguez drizza le spalle e impreca Gesù, passa un pettine lungo la nera coda di cavallo. Lui pensa alla sua stanza solitaria, il lavandino che vicino al letto emana un puzzo, poi sente il suo profumo negli occhi, e la voce di lei fu come una campana. Fuori le strade fumavano, gli spacciatori di crack sognavano l’Uzi che qualcuno s’era appena comprato. “Scommetto che posso beccare quel lampione col braccio destro dietro la schiena” dice il piccolo Joey Diaz. “Fratello, fammi fare un altro tiro. Quei tipi del centro non valgono un cazzo, a quegli italiani serve una lezione perché imparino. Con quel poliziotto morto ad Harlem, credi che l’abbiano capito l’avvertimento? Io ho danzato quand’ho visto il suo cervello schizzare sulla strada.” E Romeo si è fatto Giulietta, e Giulietta si è fatta il suo Romeo. Metterò Manhattan in un sacco della spazzatura, con su una scritta in latino che dice: “È dura fregarsene di questi tempi.” Manhattan affonderà come un sasso in fondo al lurido Hudson – quale shock! Hanno scritto un libro sull’argomento, hanno detto che è come nell’Antica Roma. Il profumo bruciò i suoi occhi, mentr’era stretto alle cosce di lei. E qualcosa guizzò per un istante, e poi svanì e fu andata.

giovedì 15 aprile 2010

arthur rimbaud, aden, 30 anni

(ANSA) - PARIGI, 15 APR - Una foto inedita di Arthur Rimbaud scattata all'inizio del 1880 ad Aden - in Abissinia - è stata scoperta da due librai francesi. Si tratta dell'unico scatto che raffigura il celebre poeta 'maledetto' quando aveva una trentina d'anni. La foto, presentata al Salone del libro antico che si apre domani a Parigi, è stata trovata all'interno di un lotto con un'altra trentina di scatti acquistati dai due librai, Jacques Desse e Alban Caussè, in un mercatino.



Caro vecchio Rimbaud che ritorni
dopo anni di vita e poesia per mostrarmi
che la vita è ben altra da quella sognata
sui banchi di scuola e che segna persino
l’avventuriero feroce, ora che non sei
il ragazzo irrequieto dell’ultimo banco
ma lo stanco uomo a cui sto di fronte
da pari, lasciami scrutare con calma
l’occhio attento i baffetti cinici, non temere
ci assomigliamo noi due: siamo amici
di lunga data ritrovati dal tempo
trascorso per contarci l’un l’altro le rughe.

mercoledì 14 aprile 2010

incontro e lamento di lunedì pomeriggio

La vita è l’arte dell’incontro, diceva Vinicius De Moraes. Io personalmente posso affermare di essere abbastanza bravo in quest’arte, e fortunato. Anche perché, come potete ben immaginare, molto spesso un incontro può portare ad altri incontri, non necessariamente fisici ma ugualmente emozionanti e significativi. Così è successo per me, ad esempio, con Dania e Pier Vittorio Tondelli.
Proprio per questo non sarò mai abbastanza grato a Martin e Paolo Vites e Sergio Pasquandrea, per avermi fatto riscoprire l’opera di Francesco De Gregori. Paolo e Sergio mi hanno prima incuriosito e poi entusiasmato, sui loro blog, con le loro parole appassionate e Martin, pur essendo un vero fan, mi ha fatto il santo regalo, in tempi non sospetti, dell’intera discografia del Principe ma senza pungolarmi o spingermi ad ascoltarla e aspettando che fossi io, naturalmente, ad avvicinarmi ad essa, come puntualmente è successo. Ma cosa si può volere di più da un amico?, dico io.
Non è che non conoscessi già De Gregori. Prendere e lasciare nei ’90 l’avevo ascoltato bene e mi piace ancora. Poi avevo ascoltato anche Rimmel è l’avevo trovato, fin dal primo ascolto, un capolavoro. Ma la mia conoscenza di lui finiva lì: le mie strade musicali erano altrove, si spingevano nel cuore dell’America di Bob Dylan e Lou Reed e il buon De Gregori venne presto messo da parte e dimenticato. È stato negli ultimi due o tre anni che, credo con l’arrivo della maggiore età, mi sono riavvicinato alla cultura musicale italiana e girando e rigirando, guardandomi attorno, mi sono ritrovato seduto accanto a De Gregori, sullo stesso identico treno, per scoprire con tutto l’entusiasmo del neofita che le mie strade musicali e le sue coincidevano alla perfezione fin dall’inizio, ed erano le stesse strade percorse un tempo “a girare l’Europa” da Bufalo Bill.
L’ultima di queste strade l’ho percorsa lunedì pomeriggio, quando ho ascoltato per la prima volta il disco che molti (come ho letto in giro) considerano il più ostico di De Gregori e che, a differenza di quanto si possa pensare sulle prime, non è uno degli album degli anni ’70, ma Il fischio del vapore, del 2002, cantato insieme a Giovanna Marini. Tutte canzoni che provengono dal repertorio della canzone popolare italiana e di cui De Gregori ridisegna gli arrangiamenti in un perfetto connubio fra vecchio e nuovo. Sono canzoni che per davvero, nell’animo, sembrano provenire da un’altra epoca, eppure trasudano un fascino tutto loro, particolare e si potrebbe dire senza tempo. Sono canzoni “politiche”, ma nel senso di canzoni con una visione nitida, netta, precisa, canzoni che prendono una posizione di fronte alla politica certo, ma ancora di più di fronte alla vita, da un’epoca in cui prendere una posizione decisa non era solo scomodo ma pericoloso.
Come operazione commerciale è di per sé affascinante perché, anche se ci sono numerosi gruppi che provano a recuperare la canzone popolare nel proprio repertorio, un intero disco di pezzi così “vecchi” in pieno 2000, proposto sul grosso mercato da un autore che comunque vende, come De Gregori, ha un grande valore per la diffusione di musica che, altrimenti, verrebbe dimenticata o resterebbe accantonata negli archivi di qualche musicologo. È questo che io mi aspetto faccia per me un artista, non certe apparizioni inutili a dibattere di se stesso o di nulla in televisione, ma che mi dia l’occasione continua di fare nuovi incontri, di arricchire me stesso di gente e della loro vita, delle loro storie. Ed ecco perché, per concludere, il pezzo dell’album che vi pubblico qui sotto, bellissimo, è della sola Giovanna Marini, una delle grandi esponenti della Cultura della nostra povera patria, così brava a dimenticarsi delle sue donne. Né sarò mai abbastanza grato a De Gregori per avermela fatta conoscere.

giovedì 8 aprile 2010

fiori delle mie notti inquiete

Ogni notte faccio di questi sogni un po’ strambi, come questo che mi porto dietro dal buio in cui mi perdevo la vite di giuntura del ginocchio e attraverso il foro che mi passava da una parte all’altra dell’osso potevo osservare i vermi che neri e sottili penetravano e si mangiavano la carne, facendosi largo intorno. Risalivano e non potevo muovermi o fuggire, ero inerme perché li avevo dentro e m’indebolivano, mi sbriciolavano lentamente, e dietro di loro degli scarafaggi mi accumulavano in piccole sfere di sterco da conservare per il prossimo inverno. Aspettavo che arrivassero al cuore e man mano che si apprestavano alla meta sentivo l’aria mancarmi in petto perché, avvicinandosi, mi consumavano i polmoni. Vedevo minuscoli lividi comparirmi all’improvviso sulla pelle, come macchie d’inchiostro che spuntavano, s’intensificavano e poi si spegnevano lentamente, lasciando appena un’ombra di sé. E anche se non potevo vederli, sapevo che erano gli scarafaggi che mentre percorrevano voraci i cunicoli scavati nel corpo dai vermi, a volte affioravano e premevano sottopelle lasciando un’effimera traccia esterna, prima di rituffarsi a pasteggiare di sotto.

lunedì 5 aprile 2010

letti

Sarà anche vero che, come dicono, i segni della primavera sono dovunque. Fatto sta che qui la notte è ancora di un freddo siderale, e uscire di sera è considerata impresa da folli o da quindicenni. Così io in genere me ne resto a casa ad ascoltar musica anche se poi, come mio solito, alle undici sto già ronfando sul divano. La mia pasquetta è stata una giornata tranquilla passata in piazza Vittorio Emanuele, gettato sui gradini di una scala con gli amici, a spostarci col sole a seconda dell’ora del giorno, ad aspettare, secondo il noto detto cinese, che fosse il mondo a venire da noi per una volta e non sempre noi da lui. E beh il mondo è passato tutto meno che le poche persone che avrei voluto realmente vedere. Immagino la si possa considerare una sorta di legge del contrappasso.
Sapete, le cose cominciano a girar bene, non posso lamentarmi troppo. Lo spettacolo che abbiamo portato in scena l’altra sera, pur con qualche imperfezione che può migliorarsi col tempo, è stato un piccolo successo. Sono usciti articoli sui giornali, la Gazzetta del Mezzogiorno e la Repubblica. La sala era piena ed è piaciuto ai ragazzi (l’ho scritto per loro) ma anche, nonostante il linguaggio spinto, agli adulti. E infatti il complimento più grande mi è arrivato da una signora che mi ha detto: “Antonio Lillo, ti devo fare le mie scusa, non ti avevo capito.” C’è stata anche gente a cui non è piaciuto, intendiamoci. Ma non posso farci nulla e infatti non faccio. Ho anche altri progetti in mente ma per ora non anticipo nulla. Insomma, da un certo punto di vista, tutto va bene.
Quello che non va non lo dico per non ripetermi, per non ripetere le solite paturnie del cuore, che poi mi becco i rimproveri di Licia che mi dice sempre di darmi una mossa. Posso solo ammettere che più vado e più mi rendo conto che Mod aveva proprio ragione quando mi scrisse che i grandi amori arrivano una volta nella vita, due al massimo ma poi basta. E io mi sa che mi sono giocato male tutte le mie carte. Nessuna voglia di amare al momento. Nessuna voglia d’essere “pazzamente felice”. Solo un leggero peso, come un’ansia in petto che non so ben definire né indirizzare in maniera creativa.
Sapete, in genere quando sono in ansia cammino, cerco di spegnere l’ansia con la stanchezza, per cui infilo le scarpe e macino chilometri di strada sperando pure in qualche incontro fortunato. Il problema è quando fuori fa freddo e non ti va proprio di uscire e ti coccoli l’ansia in corpo sotto le coperte. Stasera, a pochi metri da casa mia è morta Marianna, una signora che conoscevo fin da bambino e qui intorno era tutta campagna, prima che la speculazione edilizia ci soffocasse coi palazzi. Era sola e viveva bloccata in un letto coi suoi incubi e i suoi sogni e una balia a lato a cambiarle il pannolino e imboccarla tre volte al giorno. E questa sera mi sono sentito per un attimo così vicino a lei, due solitudini palpabili in due letti diversi eppure distanti solo pochi metri di strada. E mi sono detto, che potendo scegliere, preferirei morire che invecchiare solo.

foto di scena dal fiat umbra



















Tutte le foto sono di Michele Giacovelli meno la prima, di Gianluca Murasecchi.

sabato 3 aprile 2010

fanali



Credo che mai mi abituerò all’idea
che un giorno tu possa passarmi accanto
senza voltarti né provare emozioni
così com’è successo ieri e ieri l’altro
e di te non mi è rimasto che lo spettro
del tuo profilo i tuoi occhiali confusi
con l’ombra dei capelli e la luce d’uno
dei fanali di coda perché l’altro è rotto da una vita.