domenica 27 giugno 2010

troppa pioggia



Ridi quando gli occhi bruciano
Sorridi quando il tuo cuore è in pena
Sospira quando cacci via il dolore
Giura che non succederà di nuovo

Non è giusto, in una vita
troppa, troppa pioggia

Sai che la ruota fa il suo giro
Allora, perché piangi?
Spesso nascondiamo i nostri sentimenti
Ma per ora di’ a te stesso che non succederà di nuovo

Non è giusto, in una vita
troppa, troppa pioggia

È troppa per chiunque, troppo dura per chiunque
E chi vuol vivere felice e sereno
deve imparare a ridere

Sorridi quando sei sempre di corsa
Sospira quando pensi al tuo futuro
Giura che sarai felice ancora
E va bene, nella tua vita nessun’altra pioggia

È troppa per chiunque, troppo dura per chiunque
E chi vuol vivere felice e sereno
deve imparare a ridere

giovedì 17 giugno 2010

due poesie d'amore di federico garcìa lorca

Lorca accompagnava spesso le sue poesie con dei disegni.

Sonetto del dolce lamento

Ho paura di perdere la meraviglia
dei tuoi occhi di statua, e l’accento
che di notte mi pone sulla guancia
la solitaria rosa del tuo fiato.

Ho paura d’essere su questa riva
un tronco senza rami, e ancora più sentire
di non avere fiori, polpa o argilla
per il bruco del mio struggimento.

Se tu sei il mio tesoro segreto
se sei croce e dolore da cui sono bagnato
se sono il cane tuo, padrone mio

non lasciare che perda il conquistato
e adorna le acque del tuo fiume
con foglie del mio autunno dissennato.



Gazzella dell’amore imprevisto

Nessuno comprendeva il profumo
dell’oscura magnolia del tuo ventre.
Nessuno sapeva che martirizzavi
un colibrì d’amore fra i denti.

Mille cavallini persiani dormivano
nella piazza con la luna della tua fronte
mentre io per quattro notti mi legavo
alla tua cintura, nemica della neve.

Fra gesso e gelsomini, il tuo sguardo
era un pallido ramo di sementi.
Io cercai, da darti, nel mio petto
le lettere d’avorio che dicono sempre

sempre, sempre
: giardino della mia agonia
il tuo corpo fuggitivo per sempre
il sangue delle tue vene nella mia bocca
la tua bocca senza più luce per la mia morte.

martedì 15 giugno 2010

volevo mostri che odiassero intere città - stephen king e il suo doppio

“Volevo mostri che odiassero intere città, cadaveri radioattivi che emergessero dall'oceano e che odiavano i surfisti, ragazzi vestiti di nero che sembrassero figli della spazzatura.” Stephen King. In genere, il bello di essere dei giovani lettori è di potersi permetter di tutto senza preoccuparsi di cosa stai leggendo. L’importante è leggere, poi viene la qualità del testo. Devo dire di essere stato, da ragazzo, sì un lettore vorace (più di quanto non mi riesca ora, purtroppo), ma anche di aver avuto la fortuna di leggere davvero poche porcherie. E ci ripensavo proprio ieri quando, spolverando lo scaffale mi sono trovato di fronte all’angolo dedicato a Stephen King, di cui ho quasi tutti i primi romanzi. Da adolescente ne ero un fan accanito, poi l’ho perso di vista, c’è stato un momento in cui l’ho rinnegato e infine l’ho quasi del tutto rivalutato col senno di poi, rendendomi conto del suo reale valore anche se, ammetto ancora, leggermi uno dei suoi libri oggi per me sarebbe impossibile. Troppo lunghi per i miei tempi. Eppure King resta un grande. L’immagine più forte che ho di lui è contenuta in On writing, la sua autobiografia, e ce lo descrive mentre scriveva Misery e se ne stava lì a battere senza posa sulla tastiera del pc, talmente strafatto di coca da avere dei tamponi di carta nel naso per evitare che il sangue gli schizzasse fuori, sporcandogli il computer. È un’immagine agghiacciante e incredibilmente macabra, persino per un grande scrittore dell’orrore com’è stato lui. Uso il passato perché è risaputo che proprio dopo Misery, quando incominciò la lunga cura che l’avrebbe portato a disintossicarsi, il valore del suo lavoro di pari passo ha cominciato a scemare. Tanto che qualcuno, stupidamente, ha addirittura insinuato che fossero la droga e l’alcol il segreto nascosto del suo genio, e non capendo invece che non erano altro che l’anestetico necessario a tirar fuori da sé tutto il dolore di un’infanzia “difficile” e dargli nuova forma per gli altri. E in fondo non si dice niente di nuovo se si osserva che più ancora che di licantropi e fantasmi e pazzi furiosi e alieni assassini il tema fondamentale della sua opera riguarda la paura del crescere e del diventare grandi (e di cui i mostri sono in realtà la proiezione), tanto che da alcuni critici King è stato paragonato a Dickens, altro grandissimo narratore dell’infanzia. In questo IT resta il suo formidabile capolavoro ma non certo l’unico. Carrie, Shining, Il corpo, Unico indizio la luna piena, Gli occhi del drago e Il Fotocane affrontano tutti il tema dell’infanzia minacciata e del superamento di un grosso orrore come necessario al passaggio all’età adulta. Da questo punto di vista il fatto che nei romanzi di King l’infanzia vinca sempre sul male e che nonostante le perdite e la sofferenza vissuta ai suoi bambini sia sempre promesso un lieto fine, fa dell’opera di King qualcosa di più maturo e vicino alle favole antiche di natura iniziatica (come Cappuccetto Rosso per intenderci) che non alla letteratura di serie B a cui spesso è stato associato all’inizio della carriera o a Dickens stesso, d’altro canto. Né, del resto, è l’unico ad aver attinto agli stilemi di un genere popolare per arrivare a una forma d’arte più raffinata. Chandler ha fatto lo stesso col romanzo poliziesco, anche se va detto che la visione artistica di King ha una vastità enorme, spaventosa e tipicamente americana di cui Chandler fa volentieri a meno. L’altro grande tema del primo King (quello maledetto e affascinante) riguarda il confronto col proprio doppio, cioè con la parte oscura di sé che molto spesso, nei suoi romanzi, prende il sopravvento. Si affronta questo tema in quasi tutti i suoi libri ma particolarmente in: Shining, La metà oscura e Finestra segreta, giardino segreto dove, guarda caso, alla doppiezza dell’animo si affianca anche l’atto della scrittura. Se il tema dell’infanzia spesso rievocava gl’incubi legati al suo passato e il tentativo continuamente frustrato di superarli e abbattere quell’altissima torre di brutti ricordi, il tema del doppio negativo ha più a che fare col confronto a cui, ormai all’apice della sua dipendenza, King era costretto quando fissava l’immagine che lo specchio gli restituiva. Questa cosa mi ha sempre affascinato. Il fatto che, nella sua opera, da una parte King cercasse di salvare il bambino infelice che era stato e dall’altra di uccidere la metà oscura ch'era in lui nascosta. C’è una sorta di coincidenza, quasi puritana alla fin fine, fra male esterno che lo condanna avendone inquinato l’infanzia e male interno che si porta dietro in quanto proprio, in quanto lui inquinato. Qualcosa di non detto, del tipo: “me lo meritavo perché in fondo lo so che sono cattivo.” Talvolta pare quasi che King voglia, per salvare il bambino e quella purezza perduta, uccidere la metà oscura dentro di sé, sacrificarla per purificarsi. Ma è solo un’illusione. Nel momento stesso in cui si uccide la metà oscura, l’uccisore si ritrova comunque ad essere un po’ più sporco, un po’ meno felice di com’era all’inizio del romanzo. Né potrà più tornare a quella felicità perduta. In fondo è questo, per King, il senso vero del crescere: l’accettazione del dolore come condizione necessaria alla vita. Ma la salvezza che concede ai piccoli protagonisti delle sue storie, King non riesce a ricrearla per sé. La sua opera è tutta pervasa dall’estenuante e angosciosa ricerca di motivi per dare un senso al proprio dolore. Da ciò nasceva la sua arte. E anche quando ha provato a eliminare sul serio il suo demone interiore, con la disintossicazione, questi è tornato prepotentemente a rivendicare la sua importanza, negandogli l’ispirazione per anni. Perché, se è vero, come racconta nella sua autobiografia, che talvolta l’unico prodotto delle sue lunghe ore di lavoro giornaliero nello studio erano pagine e pagine di frasi sconnesse tipo il mattino ha l’oro in bocca per citare la famosissima scena di Shining, allora resta il mistero di come abbia fatto King a scrivere, pur con l’aiuto della droga, una tale mole di romanzi perfetti (in tutti gli anni ’80 quasi quaranta di cui almeno una ventina sono dei capolavori) e soprattutto un libro così lucido com’è appunto Misery, lunga discesa nell’inferno generato dal blocco creativo dell’artista e dal violento scontro con l’ingordigia senza pietà del suo pubblico e senza ricordare, come ha ammesso poi, quasi nulla dei lunghi mesi di scrittura se non il sangue versato sulla tastiera. Chi mai può aver partorito un simile incubo se non la sua metà oscura e demoniaca?

sabato 12 giugno 2010

spider and i



Il ragno ed io sediamo a guardare il cielo
in un mondo senza suono.
Tessiamo una tela per catturare una moschina
per il nostro mondo senza suono.
Noi dormiamo nel mattino
e sogniamo di una nave che navighi lontano
a un migliaio di miglia di distanza.

venerdì 11 giugno 2010

la peonia



Sei tu la peonia che secca silenziosa in giardino.
L’estate t’esplode intorno in colpi di sole e caldane
e stai lì fragile ma combattiva,
le foglie spesse e dure sotto i petali di carta velina.

Ritagli un tuo spazio lunare fra l’arancio dei papaveri
ed emani dai fiori putrescenti
sottili aromi crepuscolari, ubriacanti i ragni in caccia
e sempre in bilico nei sogni d’un poeta.

Sei tu la peonia che aspra matura nel cuore pian piano
in memorie impassibili. Crollerà l’ultimo capo
un giorno sul canneto che ti regge
poi di te non resterà più niente, nemmeno un pianto.

giovedì 10 giugno 2010

il direttore

Da circa un mese sono diventato direttore di un mensile, un piccolo mensile di provincia ma pur sempre un giornale che viene letto e talvolta fa opinione. Ieri è uscito il primo numero con la mia firma.
E ne sono stato contento finché non ho scoperto che la cosa buffa del diventare direttore è che non solo non guadagni nulla per il tuo lavoro o perlomeno mai abbastanza, ma che alle spalle ti danno pure del venduto, a chi e per cosa poi non si sa.
L’unica cosa buona in tutto questo sta nel fatto che per fare il direttore non avrò più il tempo di fare il giornalista e scrivere articoli angosciosi sulla politica locale. Decisamente non fa più per me. Da una parte ti rimproverano di non essere abbastanza militante (militante io? con quelle facce un po’ così quell’espressione un po’ così che abbiano noi prima di andare a fare in culo), dall’altra devi sempre stare attento a non offendere qualcuno perché qui se offendi qualcuno non è un estraneo ma il tuo vicino di casa, un amico dei tuoi, il padre della tua collega oppure il medico di tuo nonno... Insomma, un ginepraio di parentele!
Per questo credo che comincerò a mettere tutto nel cassetto e fregarmene. In fondo me lo posso permettere. Sono il direttore, che siano gli altri a scrivere di cosa accade fuori. Gli do lo spazio che vogliono. Io mi limiterò ai saluti mondani e agli inviti per degli aperitivi o presentazioni di libri noiosissimi. In fondo, come canta Cohen, il cantante muore come tutti, è la canzone che resta. Quindi perché farsi venire il sangue amaro ogni volta che non riusciamo a essere come gli altri ci vogliono?

mercoledì 9 giugno 2010

colori



Fu a Goethe a scrivere: “I colori sono azioni della luce, azioni e passioni”. Una frase enorme, grandissima. Questo sopra è un quadro che dipinsi all’età di 18 anni, quando ero innamorato allo stesso tempo dei Futuristi e di Duchamp e non riuscivo a scegliere chi preferissi e passavo le ore a interrogarmi e sognavo di diventare un pittore e credevo nella verità dei colori come se fosse fede. Molte cose sono cambiate da allora. Per anni ho vissuto in bianco e nero, o meglio ancora in sfumature di grigio. La fotografia mi ha restituito i colori. Speriamo che il rosso non mi tradisca.


lunedì 7 giugno 2010

amsterdam usa e getta



















Queste foto sono state realizzate con una usa e getta. Mi affascinava l’idea di vedere s’ero capace di fare delle buone foto anche con una macchina dai grossi limiti tecnici. Devo dire di aver avuto dalla mia il culo di una buona luce: l’unica mattinata di sole di tutte le mie vacanze olandesi.

giovedì 3 giugno 2010