mercoledì 27 febbraio 2019

dalla cripta

Donna gentile a l’amoroso guardo
ch’ognor beltade e più savere mostra,
i’ vo’ campar da la persona vostra
sí come quella a la cui face m’ardo;

e mora al dipartir non fora o tardo
lunge dai rai e dalla nivea chiostra
che sí mi volve in tormentosa giostra
più che l’agna dimembri aguglia o pardo:

ma fuggita, omè, che val, se priso
prisa da voi l’imago ne la mente
porto, lo stampo i’ dico del sorriso

cui pur pensando Amor mi fa dolente,
e ’n Inferno tornando ’l Paradiso
lagrime lassa a tanto strazio niente?


(Dante Petrarca o Francesco Alighieri, uno dei due. Bellissimo pastiche, ma mi chiedo se al di là del gioco, ovvero dell’esercizio stilistico, ce n’era davvero bisogno. E ancora, aspetto al varco tutti coloro che hanno comprato ammirati le cento poesie d’amore a Ladyhawke e ora forse diranno che Mari “non è più quello di prima”).

domenica 24 febbraio 2019

di sogni e favole

Ho appena finito il libro di Trevi, un libro talmente profondo e trasversale, “assoluto”, che, se avessi avuto lo stesso talento, profondità e pazienza, avrei voluto scriverlo io. Siccome non li ho, sono contento di averlo visto prendere forma nel lavoro di Trevi, liberandomi così di fatto dal senso di colpa di non aver saputo scrivere il libro “assoluto” che mi sognavo. Ora, se anche ne fossi capace, a che servirebbe? Lo ha già scritto lui. Meglio, quindi, dedicarsi a progetti più leggeri. Fra i tanti meriti dell’opera di Trevi, l’averci ricordato un periodo non troppo lontano in cui c’era un pubblico, non necessariamente colto, che riempiva i cinema durante le proiezioni dei film di Tarkovskij, che leggeva i libri di critica letteraria di Garboli, perché credeva che lo sforzo necessario a comprendere opere anche difficili sarebbe stato ripagato da una rivelazione, da un nuovo punto di vista e di comprensione della loro realtà. Altri tempi, ovviamente, prima di arrendersi all’idea che di sforzarsi di capire il mondo non vale la pena. A tal proposito, ancora Trevi ci ricorda – dopo Senza verso e Qualcosa di scritto – la centralità dell’esperienza poetica nel panorama culturale italiano, non tanto per la capacità della poesia di farsi leggere – ché gli unici poeti che vendono, in Italia, sono quelli di cui si parla nei libri dei romanzieri, vedi Trevi stesso, vedi Bolaño dei Detective selvaggi e Limonov di Carrère – ma come approccio necessario a una diversa percezione della realtà.

venerdì 22 febbraio 2019

come un veleno

"La Tav si farà" dice sicuro Salvini che oramai, avendo vinto su tutta la linea nel suo confronto con i Cinquestelle, si prepara idealmente a diventare futuro premier. "Chi lo vota uno così?" si chiedono in tanti. Eppure, solo un anno fa la Lega era un partito in bancarotta, colpevole di aver derubato lo Stato per 49 milioni di euro. E ho visto io stesso Salvini, appena sei anni fa, preso a uova marce in una piazza del Sud dove poi ha preso voti. Oggi lo stesso Salvini è lì indisturbato e quasi ammirato a far le sue cose, c'è chi lo indica come un leader, Bossi passa per uno statista, e si discute di secessione da Nord a Sud. Dopo il quasi ventennio di Berlusconi, colluso con la mafia, Salvini, leader di un partito di ladri, continua a corrodere e disgregare il nostro tessuto sociale per meglio spezzarci il collo, arrivati al dunque. Confermando come questo nostro Stato, avendo perso qualsiasi fiducia in se stesso e nel proprio futuro, si affida ormai a una manica di criminali per farsi meglio ammazzare dall'interno, come un veleno. Proprio come succede in un certo romanzo di Sciascia che diceva tutto a tutti senza venir creduto, additato anzi come disfattista. Sciascia che giustamente non viene studiato a scuola non perché meridionale (come insinuano, ma figurati se è vero), quanto perché ciò che scrive, una volta compreso, spaventerebbe a morte i ragazzi.

la classifica

Due giorni fa è uscita per L’indiscreto una classifica di libri di qualità, allestita da esperti e “grandi” lettori, suddivisa per categorie. Per quanto riguarda la poesia, questa classifica mi pare fotografi bene qual è la situazione della poesia oggi in Italia. I primi dieci posti, infatti, sono occupati per metà da antologie (a cui aggiungo la ristampa di Brown Sugar di Veneziani, che a suo tempo fu un piccolo classico) che spesso provano a fare giustizia di personalità che in vita non ebbero la giusta visibilità (vedi Di Ruscio). E in cui un giorno, si spera, finiranno molti vivi che oggi scrivono ma non se le fila nessuno, manco i grandi lettori, che evidentemente sono più impegnati a fare i conti con le antologie dei passati. La poesia però, si sa, viaggia con tempi diversi. Così la ricognizione critica, che spesso è più brava a riesumare che incentivare i presenti e vivi. Unica grande eccezione: Valerio Magrelli, al primo posto con antologia (bellissima, per me), e al quarto posto con la sua ultima uscita (Il commissario Magrelli) che però è un libro minore, non certo il migliore della lista, anzi. Devo forse pensare, e nonostante gli scopi di imparzialità che la lista si impone, che anche qui il peso di un nome fa la sua parte? Il bello però arriva alla voce n.17, che riesce ad unire tutti gli estremi possibili tanto da essere degna di una mostra di Andy Warhol, nella capacità di appiattire ogni cosa su un unico piano semantico. Quella è la fotografia più perfetta di come è considerata la poesia oggi in Italia: un minestrone che accomuna ben dodici autori, dodici storie e scritture diverse, dove Franco Arminio e Paolo Fresu, Guido Catalano e Giampiero Neri stanno alla pari, perché tanto è sempre la stessa menata. Ecco, quando vedi queste cose, ti chiedi per un attimo perché scriviamo poesie, se alla fine il tuo lavoro rischia di essere buono come un altro, tanto buono da poter essere equiparato, nel gusto, a quello di un Neri o di un Magrelli, ma non abbastanza da avere la certezza che si sia capito perché. La risposta, ancora una volta, la dà una poetessa, Arundhathi Subramaniam (in un bel libro pubblicato da Interno Poesia), quando scrive che dieci persone le leggono, in ogni caso. Al di là di qualsiasi classifica.

sabato 16 febbraio 2019

due atrocità e un nonluogo

Ieri sera nella trasmissione della Palombelli ho sentito due atrocità. Le riporto qui, non tanto per puntare il dito contro la trasmissione in sé, ma perché mi pare abbiano il carattere del luogo comune, cioè sono cose che molte persone pensano. Ecco, volevo ribadire il fatto che invece, per me, sono atrocità. La prima, pronunciata da un giornalista, diceva che i centri commerciali non andrebbero chiusi la domenica perché sono luoghi per socializzare. A me dei centri commerciali non frega una benemerita mazza, ma non si socializza in un centro commerciale – che è notoriamente un nonluogo – ci si aliena. Proprio come davanti alla televisione. Se questo, per la élite culturale del paese, è quanto di meglio abbiamo per socializzare, allora è vero che ci considerano tutti dei palombi in gabbia, oppure che sono capre ignoranti quanto noi. Una politica culturale seria, che in Italia s’è fatta poco o nulla, invece di preoccuparsi dei centri commerciali, cercherebbe di trovare un modo per incentivare ad andare a teatro la domenica, ad esempio. La seconda atrocità, invece, ribadisce un pensiero un tempo caro a Beppe Grillo, ovvero che Umberto Bossi è stato uno statista. Io non so che peso si dia alla parola statista oggi in politica, certamente basso, ma a questo punto non capisco perché Craxi è morto in esilio, mentre uno come Bossi è senatore. Bossi è il peggio di quanto la nostra cultura da centro commerciale ha mai espresso: un fanatico, un violento, uno squadrista che ha sempre inneggiato all’odio, al razzismo, uno per cui, come ricordava bene Martelli ieri, il vero problema erano i “terroni” e lo pensava sul serio, un uomo che ha abusato del suo ruolo politico per rubare a man bassa dalle casse dello Stato. In tutto e per tutto un pezzo di merda. Ieri, dopo il ricordo di Martelli, la Palombelli ha cercato di stemperare le cose dicendo: “era il 1994”. Infatti i tentativi di secessione di questi giorni ce li stiamo solo sognando.

venerdì 15 febbraio 2019

mortacci loro

Ieri ho comprato l'ultimo libro di Trevi (16 euro). Ma voglio ancora prendere quello di Di Ruscio (20 euro). Poi questo mese ci sono le offerte sul catalogo Adelphi (25% di sconto, vuoi non approfittarne?). E così mi dissanguo. Lo so che non dovrei essere io a dirlo, ma quanto cazzo costano i libri! Mortacci loro! Preso da questo sentimento, ieri, mentre tornavo a casa, ho cominciato a parlare col libro di Trevi: "Spero che, con quello che mi sei costato, sarai all'altezza delle aspettative, altrimenti altro che sogni e favole!, ti strappo foglio per foglio e ti metto sul fondo della lettiera del gatto! Statti attento, Trevi!".

giovedì 14 febbraio 2019

viva vito riviello


In questo splendido 2019, fra le altre cose, la Regione Basilicata sta facendo cose assai degne nell'ambito della poesia e della diffusione del meglio delle proprie voci liriche. Sappiamo che l'anno prossimo verrà ristampata, col contributo della Regione, l'opera omnia di Leonardo Sinisgalli. Quest'anno intanto è pronto il volume, edito da Sapienza Università, con l'opera tutta di Vito Riviello, nato a Potenza, di cui da anni non si trovava più niente in giro. Non solo, a questa pagina è anche possibile scaricare l'intero volume (1220 pagine) in pdf, gratuitamente. 
Sono cose belle che vanno condivise.
 
Mappa

Più a sud del sud c’è sud
sud e sud, tanto sud che
ancora a sud non c’è che sud
a perdita d’occhio sud
all’infinito sud,
solo alla fine dei sud,
si fa solo per dire,
c’è l’ultimo sud,
il sud più sud che mai
il sud-sud, il suddissimo,
poi c’è il Sud-Africa.

Vito Riviello

felicità

Guardo il Tg delle 13.00 (tanto per avvelenarmi il pranzo) e vedo che dopo i pastori sardi anche gli olivicoltori protestano. Il mondo dell'agricoltura, dopo anni di abbandono, comincia seriamente a incazzarsi, e fa bene. Ci si deve incazzare, è un dovere. Ma si deve avere anche uno spazio sui media, altrimenti la tua incazzatura non serve a nulla, non la guarda nessuno. Nessuno se la ricorda. Ecco che, di fronte alla discussione sulla Tav che è diventata una battaglia politica in tutto e per tutto, dove quindi il benessere degli individui passa in secondo piano rispetto alla forza di potere che la spunta, mi chiedevo: ma che fine hanno fatto i No Tav, tutti coloro che per circa 15 anni hanno fatto opposizione a quei lavori e sono stati picchiati, arrestati, vilipesi, trattati alla stregua di criminali e terroristi dalle forze dell'ordine. Ora che, per commuovere il pubblico da casa, si tirano in ballo i destini di quei poveri 50.000 operai che rischiano il posto di lavoro (e quindi, si dice, interrompere i lavori è come sputare sul loro problemi), quei cittadini che invece erano contrari da sempre perché ritenevano quell'opera pubblica dannosa per l'ambiente in cui vivevano, non li nomina più nessuno? Non hanno più diritto di parola? Ma nemmeno per dire che ci sono altre ragioni a parte quelle sacrosante del lavoro? Nessun microfono per loro? Oppure non parlano perché li hanno finalmente sterminati tutti? E pensandoci, mi viene in mente una bella vignetta di Altan che dice tutto, che è lo specchio più preciso di quello che siamo diventati. "Abbiamo diritto a un po' di felicità". "A chi gliela togliamo?". Essere felici tutti, insieme, non è più un sogno possibile.

verso la secessione

Domani, venerdì 15 febbraio, il governò firmerà l’intesa per l’autonomia differenziata di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Si tratta di una richiesta di devoluzione pressoché totale, una secessione mascherata da autonomia. 
La Lega sta per riuscire ad ottenere l’obiettivo per cui è nata: separare il Nord dal resto d’Italia.
L’obiettivo ultimo è quello di trattenere sul territorio i 9/10 del gettito fiscale. Il tutto mascherato da una procedura tecnica: da ora in avanti, infatti, per gestire le risorse che le Regioni potranno trattenere, verranno stabiliti dei bisogni standard parametrati sul gettito fiscale. L’idea è semplice: se un territorio è più ricco ha diritto ad avere più servizi e di miglior qualità. In questo modo, come ben spiega Giancarlo Viesti nel pamphlet "Verso la secessione dei ricchi" (Laterza) si fa tranquillamente passare il concetto che i diritti di cittadinanza “a cominciare da istruzione e salute, possono essere diversi fra i cittadini italiani; maggiori laddove il reddito pro-capite è più alto”. 
L’avvio di questa trattativa “segreta” fra Stato e Regioni si deve al bellunese Gian Claudio Bressa, in qualità di sottosegretario di Stato dell’ultimo governo Gentiloni. 

mercoledì 13 febbraio 2019

chapeau

Stasera ho sentito che Berlusconi ha subito in circa trent’anni che fa politca 88 processi, molti dei quali costruiti sulle sue vicende “private” al solo scopo di affondarlo, “porcate” le ha appropriatamente chiamate. Più o meno per lo stesso lasso di tempo, 33 ne ha subiti Pasolini, ben 55 di meno. Berlusconi 1 - Pasolini 0.

discorso di lino sul sole

Mi lascio prendere dal sole.
Stanotte non ce l’ho fatta a prender sonno, tanto rumoreggiava la tempesta.
Oggi il sole giallo splende tra i suoi rami spogli.
Mi metto tra parentesi e faccio spazio all’immenso.
Non è stata un’inezia levarsi così in alto
tra i casermoni in affitto, ché chi ti parla è anch’egli affetto
da questa forma di miopia e cerca sì di liberarsene
difetto congenito alla vista di un io fortissimo implacabile
che confonde di continuo le acque anche piovane
e la poesia.
Parliamo in questa stanza a cuore aperto, facciamolo cantare il cuore
per le ombre. Ché un cuore deve battere, agitarsi. Un cuore
deve vivere e convivere coi lutti.
Con le sue contraddizioni in versi.
Perché ci son soltanto due tipi di poesia: una che ti chiede e l’altra
che qualcosa vuole darti. Ed è difficile distinguerle.
Devi domandarti: la tua poesia mi sta chiedendo attenzione
o ha solo voglia di parlare
a cuore aperto con me?
Ma ricorda nessuno è perfetto, nemmeno un maestro
e ognuno è debole secondo il caso.
Anch’io ho bisogno di non parlare con gli ulivi
ma di mettermi in ascolto della loro parola.
Arrendevolezza. Umiltà. Qualche volta e non sempre ci riesco.
Sii paziente. (Ride). Ascolta ancora un poco.
È un impegno che dura da una vita
liberarsi da questa forma di miopia
che può portarmi finalmente a poter dire:
mi lascio prendere dal sole. E così via...


In Discorso di Lino sul sole sono innestati versi sparsi di Discorso mattutino all’albero Griehn (Morgendliche Rede an den Baum Griehn) di Bertolt Brecht, nella traduzione di Anna Maria Curci pubblicata su Poetarum Silva il 1 aprile 2012, insieme a parole scritte da Lino Angiuli in una e-mail datata 8 febbraio 2019.

scusa

Stamattina pensavo che c'è un sacco di gente che mi manda manoscritti, e io rispondo a tutti come posso, a qualcuno do anche dei consigli, a qualcuno faccio persino l'editing se il lavoro mi piace. Poi, per varie ragioni, i manoscritti vengono pubblicati da altri, anche giustamente mi viene da dire, visto che le mie possibilità sono limitate. Il punto è: ce ne fosse uno che mi avesse mai detto grazie. L'unico che mi ricordi è Antonio Bassano che scrisse un libro bellissimo e poi si è defilato dal mondo dei poeti (come dargli torto?). Ma altri ciccia, nada. Ci pensavo stamattina, e poi mi sono detto: "questi discorsi sono il primo sintomo che stai diventando un vecchio acido. Non sono da te". E infatti l'ho usata come scusa per mangiarmi un bel cornetto alla crema e marmellata e così ripristinare gli equilibri.

lunedì 11 febbraio 2019

addio fantasmi


So che il gioco degli accostamenti facili, quando si parla di un libro-libro come Addio Fantasmi di Nadia Terranova (Einaudi Stile Libero, 2018), è sempre dietro l’angolo. Soprattutto quando l’autrice ha, alle sue spalle, una terra ricca di scrittori com’è la Sicilia, quella di Vittorini della Conversazione così come quella di Pirandello del Mattia Pascal, che qui viene richiamato alla memora con un ribaltamento sostanziale. Lì dove lui si chiedeva: cosa succede quando un uomo decide di venire meno alla propria vita insoddisfacente, qui l’autrice si chiede: cosa succede a chi rimane e resta in balia della sua presenza priva di un corpo da seppellire?
E Laquidara, in tal senso, mi sembra un cognome tanto appropriato quanto pirandelliano da attribuire a questa famiglia, le cui esistenze liquide, racchiuse in una casa i cui segnali – dall’acqua sporca che preme nei termosifoni fino alle perdite del tetto, i cui lavori di riparazione richiamano in Sicilia la protagonista, fuggita anni prima attraverso lo Stretto – rimandano continuamente a una dimensione sommersa.
Intorno a quella domanda, cosa succede a chi rimane?, si muove il nucleo narrativo di un romanzo la cui trama è stringatissima, priva di veri colpi di scena e tutta costruita per quadri e movimenti lievi. La levità è importantissima nell’andamento del romanzo, permeato da un senso di accettazione del dolore, che rifiuta volutamente il registro tragico, pur nell’irrisolta elaborazione del lutto (“incompiuta tristezza”).
Ecco, se c’è un libro a cui avvicinerei questo di Nadia Terranova è Le otto montagne di Paolo Cognetti. Per la stessa trama ridotta all’osso; in cui il paesaggio (lì le alpi, qui il mare siciliano) assume il ruolo fondamentale di coprotagonista; per il tempo lento che dispiega la narrazione, un tempo che ti chiede (con gentilezza) di adeguarti a lui e non il contrario; per la scrittura nitida, solida, colta senza sembrare erudita, spesso basata su chiaroscuri emotivi, una scrittura cordiale, che ti accoglie, ti abbraccia, pur senza consolare. Pochi personaggi imprigionati nei propri vizi, nei propri piccoli egoismi, nei propri rapporti irrisolti a causa dei traumi subiti, si incontrano, si parlano, né risolvono mai del tutto i loro problemi.
In entrambi i libri c’è la figura di un padre scomparso con cui si deve fare i conti, un padre non capito fino in fondo, un padre che è la metafora (causa e proiezione) di qualcosa di irrisolto nella loro maturità. In tutti e due c’è la necessità di ricostruire, senza successo, una casa che ha delle falle evidenti. Vi è dunque, in entrambi, mi pare, una vena fortemente pavesiana che si estrinseca soprattutto nei loro finali, in cui il lutto personale assume una portata esistenziale, dove si comprende come quello dei morti è un mondo più forte, offre una casa più accogliente, ma proprio per questo fare i conti con loro diventa un atto di rivolta necessaria, esprime una volontà di riappropriazione della propria storia che è il primo passo per diventare adulti.
In entrambi i romanzi, infine, questa rivelazione si dispiega attraverso un rapporto d’amicizia (e non d’amore): Bruno, per Cognetti e Nikos, per Terranova, non sono spalle ma figure riflesse che hanno affrontato gli stessi paesaggi perturbati, senza però fuggirne, lasciandosene permeare (avvelenare) lentamente e che per questo sembrano, all’apparenza, più forti nella loro immunità.
Proprio in tal senso, a mio avviso, l’unico difetto riscontrabile nel libro di Nadia Terranova, sta nel fatto di aver dato meno spazio di quello che avrebbe potuto a una figura bella come quella di Nikos, che viene un po’ appiattita nella prima parte (anche se in linea con la psicologia egoistica della protagonista), facendoci desiderare di averne avuto un po’ di più. Nikos, che simboleggia la controparte più concreta, rassegnata ma anche semplicemente “umana” della protagonista, la sua immagine speculare e per questo caratterizzata da una cicatrice sul volto, traccia evidente di una ferita insanabile, mi ha fatto pensare – forse perché suggestionato dalle sue origini greche – a una bellissima poesia di Vittorio Sereni, da Diario d’Algeria, che condivido qui, come omaggio:

Dimitrios

Alla tenda s’accosta
il piccolo nemico
Dimitrios e mi sorprende,
d’uccello tenue strido
sul vetro del meriggio.
Non torce la bocca pura
la grazia che chiede pane,
non si vela di pianto
lo sguardo che fame e paura
stempera nel cielo d’infanzia.

È già lontano,
arguto mulinello
che s’annulla nell’afa,
Dimitrios, su lande avare
appena credibile, appena
vivo sussulto
di me, della mia vita
esitante sul mare.

domenica 10 febbraio 2019

meglio che crepi il pastore

Sono rimasto sconvolto dalla protesta dei pastori sardi, il cui latte viene pagato, leggo, 55 centesimi a litro, più o meno quanto il costo della telefonata a Sanremo per votare il vincitore del festival. Sapevo che le condizioni di chi fa agricoltura sono pessime, ma farsi sbattere in faccia quanto poco sia considerato il loro lavoro fa sempre male. Certo che se lo paghi quanto si deve quel lavoro, poi i prodotti alimentari finiti li pagherai quattro, cinque, sei volte di più del loro prezzo attuale. Per questo tutti stanno zitti, anche se sanno, per questo chiudiamo gli occhi di fronte alle forme di neo-schiavismo degli immigrati, perché se devi sceglierne uno solo che deve immolarsi per tutti, fra il pastore e chi va a fare la spesa, è meglio che crepi il pastore. Ma allora, perché tutti gli altri non stanno bene?

sabato 9 febbraio 2019

la vera domanda

La gente che si incazza per Busetti che, essendo leghista, dice cose da leghista. Io mi chiedo, cosa mai dovrebbe dire un leghista, che gli piace un meridionale? Sarebbe un leghista effeminato. Inconcepibile. Di Maio che lo accusa di aver detto cazzate è quasi più ridicolo di lui. Non gli sarà sembrato vero che per una volta a dire cazzate è un altro! Starà stappando lo spumante in questo momento! Ma la vera domanda, per me, rimane un'altra. Lasciado perdere la storia degli insegnanti del Sud che devono darsi da fare (ché si sa bene che la Scuola italiana tutta, da nord a sud, si regge sugli insegnanti meridionali, spesso costretti a emigrare), la vera domanda per me rimane questa: senza voler esagerare, ditemi un solo ministro di un solo governo, negli ultimi vent'anni, che abbia mai investito in maniera sostanziale nella Scuola, in termini economici ma anche di idee, di proposte, invece di far tagli. Io non me ne ricordo uno, uno solo, un solo nome. Poi magari sono io che ho la memoria corta, e allora mi scuso.

mercoledì 6 febbraio 2019

la poesia compagna

La poesia compagna, la poesia compagna, ogni giorno incontro un poeta che fa la poesia compagna. Poi però se provo a fargli editing si inalbera: a un poeta, ti risponde, non si può toccare nulla! Perché la sua voce è unica e parla già per tutti a modo suo. Ma io volevo spiegargli a quel poeta che un libro è qualcosa di più di una voce sola, di una persona sola, è un lavoro collettivo, in cui l'unione fa la forza, moltiplica la voce per cento. Non ci siamo capiti. Delle volte mi sembra che qui l'unico vero compagno sono io.

martedì 5 febbraio 2019

dono

Se ne parlava poco fa con Roberto R. Corsi. La poesia è un dono, la narrativa un lavoro. Per questo i libri di narrativa si comprano, al poeta si dice: “Hai mica una copia da regalarmi?”

sabato 2 febbraio 2019

il nome giusto

Mi segue su Instagram un tizio che si è scelto come nickname Carciofo Sottovuoto. A volte penso che anche per trovarsi il nome giusto occorre talento.

poesia coi grilli

“Lillo fa rima con grillo…”
“Purché non faccia rima con grillino…”
“In quel caso ci scrivo Lillino…”

venerdì 1 febbraio 2019

dialogo

Stamattina pensavo che c'è qualcosa di assolutamente straordinario nel modo in cui, da quando faccio l’editore, la mia condizione economica si rifiuti ostinatamente di crescere professionalmente con me. Più divento bravo nel mio lavoro, più lei si rifiuta di collaborare e, anzi, ogni tanto si chiude in se stessa e mi fa la guerra del silenzio, oppure i dispetti, manco fosse una moglie che ce l’ha con me perché si sente trascurata. E io che non faccio altro che pensare a lei! Ma niente oh, non c’è dialogo. Non ci capiamo proprio sui fondamentali.