Ogni giorno su questa povera bacheca leggo stupidaggini del tipo che Trump, almeno lui, non ha mai fatto guerre, per questo è sempre meglio degli altri. Nemmeno Andreotti ha mai fatto guerre, eppure… Eppure Trump vi piace, e allora io penso che forse il problema non è Trump, ma siete voi e i motivi per cui vi piace. Leggo quelli che dicono che appoggiano Trump perché amano la pace e odiano una certa sinistra, e non li capisco, non ha senso per me questo aut aut, la trovo una forma di malattia. Credo che per una persona sana sia normalissimo odiare una certa sinistra così come è impossibile appoggiare uno come Trump, per gli identici principi; e penso che non c’è contraddizione più grande di dire di amare la pace e aspettarsela da un uomo così, uno intimamente convinto che le donne siano esseri inferiori, che i migranti siano esseri inferiori da deportare, che chi ha denaro conta di più di chi non ne ha, che l’ambiente e il mondo siano un ostacolo da abbattere invece di una risorsa da coltivare, che l’ignoranza dei popoli e la menzogna vincono sempre sulla verità, sull’informazione e sulla cultura, per quanto scomode e sgradevoli esse possano essere. L’unica vera contraddizione per me è questa, stare sempre a dire di odiare le menzogne del potere e poi sposare la causa dell’ennesimo re nudo, invece che del bambino che lo sbugiarda senza mezzi termini.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
domenica 17 novembre 2024
lunedì 11 novembre 2024
lettura come lotta
Leggevo stamattina un articolo del Libraio.it in cui si diceva che sempre meno giovani nel Regno Unito leggono libri. Al momento solo il 34% dei bambini e adolescenti intervistati ama leggere nel tempo libero con una predominante di genere femminile. È lo stesso andazzo della popolazione dei giovani lettori in Italia che paradossalmente stanno un poco meglio (39%) almeno finché non arrivano alle medie, poi c’è il crollo. Con l’Italia che, però, continua ad attestarsi agli ultimi posti nella classifica dei lettori europei, insieme alla Romania e all’isola di Cipro (ultimi 3 posti sui 27 stati membri). La differenza è che nel resto d’Europa la percentuale media dei lettori è di circa il 53%, cioè una metà della popolazione legge e l’altra metà no. In Italia si scende al 35% (lettori che hanno letto almeno un libro all’anno). E il 39% (giovani lettori) del 35% (lettori totali) è effettivamente una cifra ridicola. Il dato più interessante però è un altro. Guardando alla mappa del mondo, viene fuori che i paesi dove si legge di più sono tutti in Asia (India, Thailandia, Cina, Filippine) e subito dopo in alcuni paesi dell’Africa. La media del tempo dedicato alla lettura in India, primo paese al mondo per lettori, è di quasi 11 ore a settimana per un totale di un libro letto ogni due settimane, a fronte della media italiana di un libro letto all’anno (più di un libro da noi fa già un “lettore forte”). È interessante per la percezione che si ha di quei paesi come di economie rampanti che presto controlleranno il mondo a fronte della nostra percezione di paesi in declino. In questo senso si potrebbe dire che si legge di meno anche come effetto del decadimento economico e culturale dell’Europa. Ecco così che mentre leggevo i dati continuavo a pensare a “Fahrenheit 451”, alla scena di quegli uomini che imparavano i libri a memoria per non perderli. E ho pensato all’attività della lettura come a una forma di resistenza contro il decadimento dell’Europa. Chi legge resiste, guarda al futuro, chi non legge, chi non trova più il tempo e la motivazione per farlo, è già stato a modo suo battuto, ha già fatto i conti con la storia e ha perso.
giovedì 15 agosto 2024
il “nemico”
Si può essere, da antifascista, amico di un fascista? Me lo chiedeva un amico un po’ di tempo fa? – Se il fascista è intelligente sì, rispondevo. – E lui incalzava: Ma ci sono fascisti intelligenti? Io non credo. – Mi è tornato in mente stamattina, mentre leggevo dell’incredibile amicizia fra Piero Gobetti e Curzio Malaparte, che ha un doppio livello di lettura. Sul piano pubblico era pungente, severa e sarcastica, specie da parte di Gobetti, oppure assai prudente, specie da parte di Malaparte; su un piano privato era un’amicizia più intima, onesta ed affettuosa. Nelle loro lettere, lettere di due ventenni che guardano il mondo da punti di vista opposti, riescono a parlarsi in nome del talento che entrambi riconosco all’altro. Malaparte, acutamente, dice che quello che li separa è l’esperienza della guerra, che lui ha fatto, segnandolo nel profondo, e il poco più giovane Gobetti no, lasciando puro il suo idealismo. Gobetti predice a Malaparte che, con la sua intelligenza e col suo carattere così bizzarro, non gli ci vorrà molto prima di litigare coi fascisti, ma questo non potrà che fare bene alla sua scrittura, liberandola dalla brutta retorica del regime. Malaparte si preoccupa per lui, lo mette in guardia, implora di lasciar perdere l’editoria politica e dedicarsi esclusivamente all’arte e alla letteratura, prima che i fascisti lo facciano fuori. Gobetti invece sceglie di emigrare a Parigi per continuare da lì la sua lotta e viene ucciso nel 1926. Malaparte non commenta in alcun modo la sua morte e scriverà solo anni dopo, a guerra finita, quasi come un tributo postumo per quanto tardo, che “senza dubbio Piero Gobetti è l’uomo che, in senso antifascista, ha avuto maggiore influenza sulle giovani generazioni”, facendo di lui “il capo riconosciuto dell’intellettualismo antifascista”, più ancora di Gramsci, insomma. Nel 1925, a testimonianza della sua grandezza l’editore Gobetti pubblica due libri diversissimi fra loro. Uno di un giovane e riottoso poeta genovese alla sua prima pubblicazione, uno dei pochi intellettuali italiani che non aderì al fascismo, gli “Ossi di seppia” di Eugenio Montale; e l’altro di Curzio Malaparte, prima ancora che prendesse quel soprannome, una raccolta di saggi e articoli sul fascismo, chiamato “Italia barbara”. Gobetti lo presenta con una nota in copertina scritta di suo pugno, e degna di quella che vent’anni dopo Vittorini avrebbe riservato a Fenoglio per “La malora”. Scrive Gobetti: “Presento al mio pubblico il libro di un nemico. Coi nemici si vuole essere generosi: qui poi Curzio Suckert ci aiuta a combatterlo. Mi piace essere settario-intransigente, non settario-filisteo. Ho giurato di non rinunciare mai a capire né ad essere curioso. Curzio Suckert dunque è la più forte penna del fascismo: io non gli farò l’oltraggio di confutarlo. Completare immagini, opporre politica a variopinta fantasia e a stile pittoresco non è di mio gusto. Il mio antifascismo non combatte mulini a vento. Gli spiriti bizzarri amo lasciar sbizzarrire e anche della loro faziosa toscana letteratura, quando è letteratura, applaudirli. Sono oppositore; né melanconico, né pedante”. L’anno dopo Gobetti verrà ucciso. Nel 1928, Malaparte gli dedica un libro che Gobetti aveva letto in anteprima e che avrebbe voluto pubblicare, una raccolta di scritti satirici intitolata “Don Camaleo” dove si descrivono le malefatte di un fascista che, proprio come un camaleonte, riesce a cavarsela sempre in virtù della sua innata capacità di trasformismo. Da un verso è una presa per il culo di Mussolini, e a suo modo di Malaparte stesso, dall’altro è un sentito ‘mea culpa’ indirizzato alla coraggiosa intransigenza del “nemico” Gobetti.
giovedì 1 agosto 2024
la lunga storia di canzone
chi cambierà il mondo?
giovedì 4 gennaio 2024
gli imprenditori...
Dopo mia cugina, oggi è il turno di mio fratello che come ogni volta mi consiglia di mollare quest’idea di fare l’editore per fare invece un concorsino e infilarmi in qualche ufficio come dipendente. – Tu non sei buono a fare il libero professionista. Gli imprenditori veri sono figli di puttana, è gente che ti fa un culo così su tutto. Un professionista se gli chiedi qualcosa ti dice sì, so tutto io, faccio tutto io, 2000 euro! Tu se ti chiedono qualcosa rispondi sempre forse, boh, non lo so, vediamo, e preferisci perdere soldi piuttosto che avere problemi. E poi un imprenditore è un intrallazzino, dove stanno i soldi lì sta un imprenditore, tu invece sei l’opposto, te ne stai sempre per i cazzi tuoi e se arrivano i soldi te ne vai proprio. E poi hai un carattere di merda, sei un finto buono, per questo in paese non ti sopportano. Perché i buoni sono fessi, ma tu invece ci vedi benissimo, solo che per non avere problemi ti nascondi dietro quell’aria da artistoide sognatore e fai finta di non vedere le cose per non litigare. Solo che gli altri lo capiscono che fai finta e litigano lo stesso. – E oggi mio fratello era di buon umore.
lunedì 23 ottobre 2023
due poesie di cassiano ricardo
Cassiano Ricardo è uno splendido poeta brasiliano della prima metà del '900, mai tradotto in Italia, un cui testo però è stato tradotto e musicato da Enzo Jannacci in una canzone assai bella è sempre molto struggente, Giovanni telegrafista (quello dal cuore urgente)... La traduzione di entrambe è mia. La prima poesia viene dalla raccolta Un giorno dopo l’altro (1947), la seconda da Montagna russa (1960).
ELEGIA PER MIA MADRE
Ora, ciò che mi resta
è questa triste grazia
di aver aspettato che tu
ti addormentassi per prima.
Ora ascolto di notte
la voce delle radici,
anche quella delle formiche
immense, numerose,
che stanno, tutte, mangiando
le spighe e le rose.
Io sono un ramo secco
sul quale due parole
gorgheggiano. Nulla di più.
E so che ormai non ascolti
queste parole vane.
Un fitto universo
mi ferisce con radici
di tristezza e di gioia.
Ma non vedo che le facce
della notte e del giorno.
Non ti ho dato il dolore
di andarmene io per primo.
Non ti ho freddato le labbra
col gelo del mio viso.
È stato saggio il destino:
tra il dolore di chi parte
e quello più grande di chi resta
a me ha dato quello – che più dura –
che non volevo darti.
Che mi importa di sapere
se al di là delle stelle
ci sono altri mondi
o se ciascuno di essi
è fatto di luce o è uno stagno?
L’universo, nel suo cerchio,
brilla alto e complesso.
E al centro di tutto
e di qualsiasi sole
che sia giorno o notte
un’unica cosa esiste.
È questa grazia triste
di aver aspettato che tu
ti addormentassi per prima.
È una lapide nera
sulla quale, giorno e notte,
brilla verde una fiamma.
***
CANTO INCIVILE
Basta essere vivi
per essere sovversivi.
(O sottovivi).
Basta non figurare
nel registro civile
per essere incivili.
(O vili, per dirla in breve).
Basta essere incivili
per non essere nessuno.
Basta non essere nessuno
per avere il soprannome
che dà la polizia
a chi non è nessuno.
Io avevo due nomi:
Zebedeo,
che mi ha dato la povertà.
E “elemento sovversivo”
che mi ha dato la polizia.
E soltanto un dolore:
che mi ha dato la vita.
E ora eccomi qua, incivile,
(o vile, per dirla in breve).
Scalciato da un cavallo
a metà del corteo
eccomi qua, steso lungo per terra
sulla schiena.
(O già tagliato a metà,
senza dolore, né sale).
domenica 4 dicembre 2022
coraggio
Sapere
che oggi in Iran hanno soppresso la polizia morale è una di quelle cose
che ti fa star bene, che ti fa sperare come non è vero quanto ci
raccontano e a volte ci raccontiamo, che per quanto forze soverchianti
provino ad annicchilirci e sottometterci chiudendo la nostra mente in un
sistema perverso che pare escluderci da qualsiasi scelta, o rinuncia,
od uscita, non tutto è perduto, che se ci si oppone con fermezza e
coraggio, senza cedimenti, si può abbattere anche il potere più subdolo e feroce.
sabato 1 ottobre 2022
la barca dei poveri
Guardando la Boldrini che litiga a una manifestazione (sull’aborto libero) con delle giovani ragazze, mi è venuto da pensare che è la stessa donna che pochi anni fa litigava con Salvini per difendere delle ragazzine dall’odio mediatico dei suoi follower (comportati da adulto, gli diceva) e adesso ironicamente le tocca la stessa sorte. Ho pensato anche che la sua risposta, del tutto sbagliata, “allora fatevi difendere da Fratelli d’Italia”, è in fondo la stessa su cui il PD ha fondato (e perso) la sua campagna elettorale: o noi o i fascisti. Ma è anche la stessa risposta di tutti coloro che (nel PD o no) hanno cercato di motivarmi ad andare a votare: se non voti loro allora poi ti farai difendere dai fascisti. Stesse parole, stesso messaggio. Anche le ragazze che, disgustate dalla politica, vogliono cacciare la Boldrini dalla manifestazione rappresentano un po’ quel sentimento della sinistra (ma magari non sono nemmeno di sinistra) per cui “questa nostra battaglia non è tua, perciò non la puoi condividere con noi” (un po’ come fanno PD e Pandistelle). Figurarsi, mi sono detto, che succederà fra qualche mese, quando ci sarà da manifestare per cose come la difesa della Costituzione e allora ci si picchierà in piazza, ma fra di noi, per decidere di chi è la Costituzione. Ma questo (giusto e sacrosanto) desiderio di purismo, di non mischiarsi più col potere (e la Boldrini qui rappresenta il potere, magari benintenzionato, ma è potere), è anche in fondo il sentimento di chi ha passato gli ultimi mesi a dire che la gente è scema o si è fatta incantare dalle chiacchiere del potere (svegliatevi!) e quando sono arrivate le elezioni si aspettava un miracolo tipo che gli stessi scemi si ripigliassero all’improvviso dal sonno e andassero in massa a votare per un partito da zero virgola che nella realtà (con questa legge elettorale) non entrerà nemmeno nei bagni del parlamento. Ma andare a votare, dicendo di voler salvare il paese ma già consapevoli di perdere (si affida ai miracoli solo chi non ha speranza), non è un po’ un atto di resa o di vanità, del tipo “io ci ho provato, ma senza volermi sporcare le mani”? È un po’ come non andare a votare, oppure fare le manifestazioni per una causa comune e cacciare chi non riteniamo degno della causa. Mi pare che in questo ormai siamo tutti sulla stessa barca, che è la grande barca dei poveri. Esserci, pur non rappresentando niente per gli altri e per noi stessi: mi pare che almeno in questo, e con le diverse sfumature che ci contraddistinguono, siamo riusciti ad essere perfettamente uguali e allineati al potere.
sabato 17 settembre 2022
la locomotiva guccini
Ho visto l’intervista di Guccini a Propaganda Live. O meglio, ho visto la registrazione di Propaganda Live per via di Guccini. L’ho fatto perché ho letto che non tutti hanno apprezzato alcune sue uscite e che quello che cantava La Locomotiva si era ridotto a fare lo specchietto di Draghi e della Nato. Però Guccini è anche quello che ha detto (ieri) che lui non voterà Letta perché è un democristiano, che Conte non è la sinistra, e che la Meloni è una fascista ma se gli italiani la votano che se la godano pure come si sono goduti Mussolini. Non mi sembrano le parole di un vecchio rimbambito. Poi ha aggiunto, e questo forse ha dato più fastidio: “Ci sono i pacifisti della domenica, ci sono quelli ancora fissati con l’Unione Sovietica e ci sono quelli che citano il santo padre; io sono pro Ucraina, potevamo calarci le braghe e regalare l’Ucraina a Putin o dare una mano agli ucraini per resistere ai russi, io sono per non calarci le braghe”. Ecco, Guccini può piacere o no, è lecito, così come La locomotiva può piacere o no (a me come canzone non è mai piaciuta), ma quella non è una canzone di pace, è una canzone di follia e vendetta, se c'è una ingiustizia io non vengo a parlare con te, io mi lancio “a bomba contro l’ingiustizia”, non vengo a trattare, vengo ad ammazzarti insieme a me. Ecco, magari può non piacere come messaggio, ma Guccini è sempre stato quello lì, da sempre, uno molto emiliano, sanguigno, di pancia, non uno da “veniamo a patti”, ma tutto l’opposto, uno che se tu gli dai addosso ci scrive su L'avvelenata per fare il tuo nome e dire al mondo che spari cazzate.
domenica 21 giugno 2020
di rabbia, bastardi e omogeneizzato
domenica 15 dicembre 2019
il compagno praz
col disprezzo nella voce
colui che per il popolo lottava
ma senza dargli voce.
«Liberarlo anzi si deve il popolo
cornuto e traditore».
Ma dunque in che è diverso, il tuo
dallo sguardo del padrone?
«Cambia tutto, invece, infame!»
E si accaniva addosso
al fascista naturale
che in ciascuno sta nascosto. Anche sul mio:
«O fai pubblica ammenda per ogni tua parola
ch’io non condivido, o ti sputtano!»
E citava certamente il compagno poeta Majakovskij
contestandomi ogni pelo del naso
per dar scandalo. Ne faceva una questione
non di fede, ma venale
ché nulla gli importava dei princìpi
ma soltanto di finire sul giornale
o nei libri di storia o meglio ancora
sul Monumento ai caduti in piazza.
Persino se voleva un uomo morto
non aveva le palle di ammazzarlo.
Imbastiva un pezzo ad arte e lo postava
in rete. Calato nella parte gli scriveva:
«Caro mio, devi morire.
E bada in me non c’è violenza».
Così faceva, Praz, la Resistenza.