domenica 27 febbraio 2022

i critici più severi

Mando una poesia d’amore a una ragazza. Mi risponde: Ma che cagata è? Le dico: È una poesia di Carlo Bordini! E lei: Ah scusami, pensavo fosse tua, allora è solamente brutta. Per farmi dispetto mi manda una poesia di Gio Evan che scrivendo “fai attenzione quando incontri una persona gentile” ha preso (fra ieri e oggi) 20.224 like e nemmeno uno “stronzo”. Roba che Arminio a confronto è un dilettante e tutti gli altri muti.

sabato 26 febbraio 2022

i ringraziamenti

 Quelli che sui libri ringraziano l'editore. Che se ne fa un editore del vostro grazie? Siate pratici, offritegli una cena.

giovedì 24 febbraio 2022

serietà

Autore che mi castia perché quando faccio le storie sui nostri libri mi dimentico sempre di mettere il link al carrello di acquisto. "Quando ti insegnerò a vendere diventerai un editore serio, poi ti perderò perché gli editori seri quelli come me non li pubblicano."

martedì 22 febbraio 2022

nomen omen

AUTORE: Allora non mi vuoi proprio pubblicare? Hai deciso? Lo sai che ora lo pubblico con **** (e dice il nome di altro editore che secondo lui dovrebbe farmi invidia).
IO: Va bene.
AUTORE: Ma niente niente ti fa?
IO: L'importante è che lo pubblichi... ti comprerò una copia!
AUTORE: Ma che cos'hai al posto del cuore, le pietre?!

sabato 19 febbraio 2022

vanità

Ho sempre pensato – da bravo illuso – che una crisi fosse comunque necessaria, perché forzando i punti critici di un sistema poteva spingere a dei cambiamenti importanti. Soprattutto in un settore imbalsamato e mefitico com’è quello culturale italiano. Non pensavo che ne saremmo usciti migliori, ma perlomeno più consapevoli e pronti a rinunciare a qualcosa per cambiarne un’altra. Invece non mi pare che questo stia succedendo, anzi l’ansia di tornare tutti a una normalità posticcia e che non c’è mai stata mi pare renda ancora più ciechi i ciechi, più sordi i sordi. Ma davvero tutto andrà a posto facendo finta che non ci siano delle crepe? Inorgogliendoci per la prossima fiera dove saremo tutti bellissimi nella nostra bolla di promotori culturali? Ho amici editori che si lamentano perché le librerie non pagano le fatture, ho amici librai che piangono perché non ce la fanno a pagare l’affitto con le vendite. La distribuzione comincia a fare acqua e persino i corrieri cominciano a perdere colpi nelle consegne, anche se i costi dei libri sono sempre più alti. Organizzare una presentazione è sempre abbastanza complicato ma a voler essere sinceri molti, moltissimi scrittori sono contro il green pass. Del resto fra quei 5 milioni di italiani non ancora vaccinati si nascondono tantissimi artisti. In tutto questo, anche se le analisi economiche sostengono il contrario, gli unici ad avere un reale vantaggio oggi sono “i padroni della festa”, quelli che stanno più in alto, che controllano i grandi marchi editoriali, che vendono più libri, che controllano la distribuzione. È un sistema che scricchiola? In questo senso non è cambiato nulla. E chi dovrebbe parlare sta quasi sempre zitto perché se pubblica coi grandi non gli conviene esprimere dissenso, e se pubblica coi piccoli può anche sgolarsi fino a morire, tanto non lo ascolterà nessuno a meno che non vinca un premio. Perché la vanità degli scrittori è brutta, ma anche la vanità dei lettori fa abbastanza paura.

venerdì 18 febbraio 2022

pettegolezzi

Leggo in questi giorni Conversazioni con Billy Wilder, libro intervista scritto da Cameron Crowe (Adelphi) e mi accorgo di come molte delle maldicenze che girano su Humphrey Bogart intorno al film Sabrina nascano da queste pagine. In sostanza Bogart, che era un alcolista con una tremenda paura di invecchiare, si lamentava di venire poco considerato sul set per via dei suoi rapporti con Audrey Hepburn: i due si detestavano a pelle. Wilder, che riconosce il talento di Bogart ma era amico intimo della Hepburn, nella sua autobiografia maltratta Bogart raccontando particolari che vanno dal pettegolezzo (Bogart, rivela, sputacchiava quando parlava) all’accusa di essere un antisemita, anche se poi aveva sposato l’ebrea Lauren Bacall. Che Bogart fosse antisemita io non l’ho mai letto altrove, quindi presumo fosse un’idea tutta di Wilder, ma questa la dice lunga su quanto fossero tesi i loro rapporti. Wilder fra l’altro si attribuisce la colpa di aver dato il via alle ostilità, quando rammenta che durante un piccolo ricevimento dato per festeggiare il primo giorno di riprese del film si fosse dimenticato di invitare proprio Bogart. Lui la giustifica come una svista, ma come fai a dimenticare il coprotagonista del tuo film? Bogart la prese male e disse che era in atto una congiura contro di lui, considerato anche il fatto che la Hepburn e William Holden, il terzo protagonista (anch’egli amico intimo di Wilder), erano amanti. Ma Wilder nell’autobiografia dice che questa tresca – confermata dalla stessa Hepburn – era un’assurdità a cui non credeva e che Bogart, che oltre a essere antisemita era anche pazzo, si era inventato tutto. Povero Bogie.

giovedì 10 febbraio 2022

uogliò

La ragazza di colore che ogni settimana scende alla stazione per vendere cianfrusaglie e ogni volta che mi vede mi saluta da lontano sollevando il cesto UOGLIÒ! e io ogni volta provo a spiegarle che è UAGLIÒ, UA non UO e lei ogni volta prova, ride, non ce la fa, troppo difficile parlate.

catastrofismo

Un paio di giorni fa la tutela dell’Ambiente è entrata nella Costituzione italiana. La speranza è sempre quella che un simile passo sia in grado di sistemare le molte contraddizioni del nostro paese dove notoriamente con l’ambiente, alla Totò, ci si pulisce il culo. Non parlo nemmeno di abusivismo edilizio, che è il male peggiore. Ma mi ha fatto specie lo stesso giorno sentire Tajani in tv dire che l’ambiente va difeso ma in maniera intelligente: il rispetto è una cosa, ma se questo rispetto preclude l’innovazione, ad esempio del nucleare, è una fesseria. E faceva l’esempio della Francia. Dopo nemmeno un giorno, però, ieri c’è stato il terremoto in Emilia, a ricordarci che uno dei motivi per cui non si volevano le centrali nucleari è il fatto che il nostro è un ambiente sismico, più simile al Giappone che alla Francia – se Tajani non ci crede potrebbe parlarne con Berlusconi che a L’Aquila ne ha fatte di tutti i colori – e sarebbe da chiedergli: ma tu sei pronto a giurare oltre ogni ragionevole dubbio che se fai una centrale in Italia e c’è un terremoto, non ne viene fuori un disastro? Questo è catastrofismo, lo so, e col catastrofismo non si fa mai nulla, ma l’ultima volta si propose di farne una, in Puglia, a Torre Guaceto che è zona ambientale protetta da prim’ancora che l’Ambiente finisse nella Costituzione. La mettiamo sotto la sabbia così nessuno la vede, si disse, e per me vale come esempio del fatto che, anche in politica dell’Ambiente c’è un’idea piuttosto vaga e approssimativa, e prima ancora di parlare di “riconversione verde” dovrebbero capire cos’è. Intanto le bollette rincarano, e forse alle porte c'è un’altra guerra che porterà qui nuovi immigrati, l’innovazione tecnologica promessa dicono che rallenterà per favorire la necessità di lavoro delle industrie – persino nella più evoluta Germania stanno riconfermando l’energia a carbone – e a questo punto le centrali nucleari ultramoderne e sicure, senza scorie, che promettevano di avere in vent’anni di ricerca, ce ne metteranno forse trenta o trentacinque ad arrivare. Ovviamente non puoi fare all’ultimo minuto tutte le cose che dovevi fare ieri l'altro senza trovarti in affanno. Ma non dicevano allarmati che avevamo passato il punto di non ritorno? Non si era detto che o facciamo così ora o si muore tutti quanti domani in un disastro ambientale? O anche LA FINE catastrofica che ci annunciavano, visto il periodo di crisi economica, ha deciso di posticipare i suoi effetti a dopodomani per darci una mano? Erano tutte bufale dei giornali o i problemi sono così tanti che ci si sono ingolfati e adesso non sanno più nemmeno loro di che morte dobbiamo morire? Sinceramente più vado avanti e meno lo capisco. Ma faccio come tutti, me lo chiedo un giorno sì e due no, così almeno nei part-time vivo sereno.


mercoledì 9 febbraio 2022

one man show

Ieri un amico mi scriveva che dopo le due letture di poesie a Sanremo si è scatenato un polverone, il solito, per capire chi è poeta o no. C’è chi dice che la Gualtieri è più poeta di Arminio e c’è chi dice che nessuno dei due, per diversi motivi, è poeta. C’è chi a questo punto tira in ballo Magrelli, di cui esce a breve il nuovo libro, dicendo che Magrelli è stato poeta nei suoi primi tre libri ma dopo quelli non più; ma a questa stregua ci sarebbe da chiedersi se è più poeta Magrelli che prova a sperimentare nuove formule e linguaggi con risultati non sempre all’altezza del suo nome, o De Angelis che è superbo nel riscrivere lo stesso libro da più di vent’anni, dando credito a chi dice che la poesia è soprattutto musealizzazione di se stessi in un procedimento collaudato. “Brand” è il termine per il mercato. Quando la poesia trova il suo brand vende. Ma chi può dire chi è poeta o no, e in base a quale criterio o gusto? Se le vendite non fanno testo, se il gusto del pubblico nemmeno, se quello degli addetti ai lavori è fazioso come pochi – e lo dico io che ci sto dentro, se la critica se ne sbatte e anche se non se ne sbattesse importerebbe a pochi (perché attenzione: se la critica dice che Arminio fa schifo è ok, ma se la stessa critica, ammesso che si accorgesse di te, dicesse che il tuo libro è insignificante quanto il suo, tu lo accetteresti?). Chi decide, insomma, chi è poeta o no? E come? Tutto questo parlare a vuoto mi ha fatto pensare a quando i giornalisti a metà anni 60 chiedevano a Bob Dylan – altro esempio di artista che non si è mai capito di preciso cos’è – di esprimersi sui cantanti di protesta della sua generazione, e lui rispondeva così: Sono 136, non uno di più non uno di meno. E allora i giornalisti, che non capivano lo scherzo, continuavano: E lei si considera un cantante di protesta? Io no, diceva Dylan, io sono un “One Man Show”, un uomo che fa il suo spettacolo tutto da solo. I giornalisti compiaciuti ridevano.

domenica 6 febbraio 2022

le mucche

Ieri sera, incuriosito dalla sua storia, ho visto L’orgoglio degli Amberson, secondo film di Orson Welles, del 1942, che molti definiscono il suo più bello insieme a Quarto potere (io preferisco Il processo del 1962). Stamattina, invece, ho letto il testo con la sceneggiatura originale che mette in luce i tanti tagli apportati al film dalla RKO, la casa di produzione (lo ha pubblicato “Il Saggiatore” come appendice al libro intervista di Peter Bogdanovich a Welles). La storia del film è nota: approfittando dell’assenza del regista a causa della guerra, la casa di produzione che aveva paura di un film troppo “colto” che avrebbe venduto poco al botteghino, fece una proiezione di prova in un cinemino di provincia, e visto che al pubblico di quel cinemino non piacque, mise mani al film senza il permesso del regista, tagliando circa un terzo del film (40 minuti su circa 2 ore) rimontando molte scene e, soprattutto, facendo girare un nuovo finale a un oscuro aiuto regista. Welles quando vide il “massacro” fatto al suo film rescisse il contratto con la RKO, con cui cominciò un lungo contenzioso legale, e abbandonò Hollywood. Mentre la RKO, dovendo liberare spazio in magazzino, e forse per dispetto, fece distruggere i rulli originali rendendo impossibile il restauro del film. Va detto che all’epoca nessuno pensava che il cinema potesse considerarsi una forma d’arte, ma la storia è tremenda perché, leggendo la sceneggiatura originale dopo aver visto la pellicola, ti accorgi di come abbiano tagliato con l’accetta tutte le scene che offrivano delle sfumature di significato in più o che arricchivano i piani emotivi della narrazione; e così suggerisce il senso di superiorità padronale di chi dirigeva la casa di produzione che riteneva il suo pubblico troppo stupido per capire la differenza fra un riempitivo e un film d’autore, fra la sabbia e l’oro. Ecco che gli spettatori, che tanto quelli della RKO ci tenevano a difendere dal “colto”, erano per loro al livello delle mucche nella stalla, a cui dai il fieno e da cui mungi il latte, e infatti quelle scelte si vedono tutte tradotte, oggi, nel livello culturale dell’americano medio che vota Trump e non ha nemmeno un dubbio.

 

sabato 5 febbraio 2022

odio

Alcuni poeti prima o poi finiscono in TV o nei cuori dei lettori, altri si muovono rasoterra, con un passaparola appena appena sussurrato. Ho cominciato a leggere la Annino perché me ne ha parlato Roberto R. Corsi, che l'amava quasi col pudore di un figlio. Proprio come ho conosciuto Bordini per l'amore di Francesca Santucci. Sono quegli incontri che restano perché si basano sulla condivisione di un segreto. Oggi leggo questo ritratto di Siti, e mi ritrovo scoperto e quasi liberato in questa frase della Annino: “la poesia mica bisogna amarla, bisogna odiarla”. Perché io la odio la poesia, con tutto me stesso, o meglio, la vivo in questo limbo lacerante di amarla e odiarla insieme, come Catullo. E non capisco chi dice di amarla e basta, perché se la ami e basta forse non ti ha fatto abbastanza male.

la poesia in tv

Ho visto Jovanotti che dice ora leggo un poeta e confesso che sono stato quei cinque secondi che ho trattenuto il fiato pensando irrazionalmente "Ora legge me, ora legge me, ora cambia la mia vita!" poi ha letto la Gualtieri e sono morto di invidia pensando che ora la Gualtieri schizzerà nell'iperspazio delle vendite proprio come successe alla Szymborska con Saviano da Fazio, e penso a questa ingiustizia che a farsi i soldi con la poesia sono sempre gli stessi, ovvero Einaudi (che pubblica la Gualtieri) e non certo noi che stiamo in basso e veniamo presi per scemi o martiri del sistema. E volevo dire che, come si vedrà nei prossimi giorni sui giornali, non è vero che con la poesia non si possono fare i soldi, ma per farli serve un testimonial importante che te la dice in TV, che ti ricorda che esiste. In ultimo ho pensato che Jovanotti con la barba assomigliava un po' a Pierluigi Cappello, che pure conosceva, e con tutto il rispetto per la Gualtieri che è brava, mi è dispiaciuto che non abbia recitato lui, che forse se lo meritava un po' di più, anche se forse Cappello non è un poeta adatto allo spettacolo.

venerdì 4 febbraio 2022

mito

Quello scambio di battute che c'è stato ieri fra la Foer e Zanicchi è bellissimo anche perché ti fa vedere come nasce un mito. Nel senso che basta andarsi a vedere la registrazione di ieri per rendersi conto che lo scambio di battute non è stato così secco né la Zanicchi così antipatica e cafona come dicono. Però sappiamo anche che la leggenda è nata e fra cinquant'anni verrà riportata così come la scrivono adesso, con stile eroi e tempi perfettamente teatrali. Aggiungo che se vogliamo cercare la volgarità ce n'è tanta, la prima sera ad esempio Fiorello faceva una battuta ad Amadeus sull'allungamento del pene, è stato volgare (a Berlusconi per dire sarebbe piaciuta), ma nessuno ne ha parlato perché in fondo questa è un'ironia bassa che piace a tutti e poi perché Fiorello è simpatico, mentre la Zanicchi non è così simpatica come si crede e quindi come la fa la sbaglia. Mi permetto di scriverlo perché fondamentalmente sono più colto di voi.

la mossa

Antonio caro, mi dice un autore al telefono, sei stato molto gentile, ma ti chiamo per dirti che c'è una casa editrice che mi ha fatto una proposta interessante e penso di accettare.
Quando sento il nome della casa editrice chiudo gli occhi e domando: Quanto ti hanno chiesto, 2500?
No, 2000, perché il mercato è in crisi e allora vengono incontro all'autore.
Figurati se non ti venivano incontro. E tu che fai, firmi?
Beh, mi dispiace un po', ma ho quasi trent'anni e ancora non ho pubblicato un solo libro. Devo darmi una mossa.

giovedì 3 febbraio 2022

sanità

Bene, in sostanza mentre l'Italia canta Emiliano affida la nostra Sanità a Rocco Palese, centrodestra, c'è chi dice per disperazione, c'è chi dice per inciucio. Un mio amico poco fa giustamente scriveva se non era meglio votare direttamente Fitto a questo punto, si facevano meno giri per arrivarci. Fra le altre cose Cultura e Turismo vengono scorporati che nel linguaggio politico significa più soldi e investimenti nel Turismo e meno nella Cultura. L'unica cosa buona è che forse la smetteranno con l'infilare in ogni bando culturale la richiesta di mettere un richiamo alla cucina pugliese, perché era svilente. Ora finalmente la cucina pugliese si prenderà ogni cosa ma perlomeno non ho più l'ansia da prestazione con orecchiette e ristoranti sul mare.

webinar

Dicono di quelli che la tengono in auto, io sto facendo un webinar dove alcuni partecipanti tengono la mascherina in casa, per il solo fatto che stanno in pubblico davanti allo schermo. Dio bon, mi viene da dire, spegni la videocamera che almeno ti rilassi.

mercoledì 2 febbraio 2022

sui versi

A volte mi rimproverano – credo con ragione – di crogiolarmi un po’ troppo nei miei mali. Non sono il solo. Leggevo l’altra sera una poesia piccata di Giorgio Bassani che, accusato da un’amica della stessa colpa, sputtanava l’amica in una poesia e ci litigava. Tutto molto puerile. Di contro oggi leggevo un libro di poesie in cui ci si compiace senza fronzoli nella descrizione coi guanti bianchi del male degli altri. È questo il genere di sguardo che va per la maggiore oggi: lo chiamano distacco clinico, ma ci senti ancora dentro quel pizzico di crudeltà o disgusto del mondo che scuote i sensi assopiti del telespettatore abituale. A me sembra che in poesia ci siano rimasti soltanto – per impoverimento – due tipi di sguardo, due punti di vista: quello della cavia che si contorce/compiace in gabbia o sul vetrino e quello del macellaio che la viviseziona in nome di un principio più alto di superiorità della razza. Razza di stronzi, appunto.