A volte mi rimproverano – credo con ragione – di crogiolarmi un po’ troppo nei miei mali. Non sono il solo. Leggevo l’altra sera una poesia piccata di Giorgio Bassani che, accusato da un’amica della stessa colpa, sputtanava l’amica in una poesia e ci litigava. Tutto molto puerile. Di contro oggi leggevo un libro di poesie in cui ci si compiace senza fronzoli nella descrizione coi guanti bianchi del male degli altri. È questo il genere di sguardo che va per la maggiore oggi: lo chiamano distacco clinico, ma ci senti ancora dentro quel pizzico di crudeltà o disgusto del mondo che scuote i sensi assopiti del telespettatore abituale. A me sembra che in poesia ci siano rimasti soltanto – per impoverimento – due tipi di sguardo, due punti di vista: quello della cavia che si contorce/compiace in gabbia o sul vetrino e quello del macellaio che la viviseziona in nome di un principio più alto di superiorità della razza. Razza di stronzi, appunto.
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