domenica 31 gennaio 2021

alcune note sulla “non attualità” di sordi


In ritardo di sei mesi, come mio solito, leggo questo dibattuto pezzo di Christian Raimo su Alberto Sordi, scritto ad agosto passato per il centenario dell’attore. Raimo, si vede, non ha grande simpatia per Sordi, ma il pezzo è effettivamente interessante. Eppure dà anche l’idea di una riflessione di parte, che non dice tutto, che non mostra entrambi i lati della medaglia. Quando Raimo, che ha ragione, descrive quello tipico di Sordi come personaggio infantile, asessuato, ridicolo e impotente (alla Brancati), incapace di un rapporto sano, stabile, maturo, con l’altro sesso perché figlio di una cultura fascista che non ha saputo mettere in discussione i propri modelli maschili dopo la guerra, non dice che questo blocco, questa regressione scatta proprio nel momento stesso in cui il dopoguerra non tiene fede alle sue promesse. Il personaggio di Sordi, reduce del fascismo e dei suoi ultimi deliri (scrivo questo post dopo aver visto, ieri sera, Tutti a casa di Comencini, che mostra le due facce di Sordi, quella infingarda ma anche quella più umana), si ritrova a vivere nel giro di una manciata d’anni in una nuova società, quella del boom economico, che ha sperato migliore, ma che sul piano morale si è rivelata identica, se non più avida e meschina della precedente (e Monicelli, che Sordi lo chiamava fascista, esprimeva le stesse critiche). È lì, in quella disillusione, che scatta il meccanismo della regressione, che è l’identica regressione/rimpianto espressa con altre parole e motivi da Pasolini, che non a caso scrive contro il personaggio di Sordi che “fa ridere solo gli italiani”. Sordi, quand’è al suo meglio, descrive lo stesso stupore, lo stesso disgusto (in tal senso è vero che non fa ridere) di chi non riesce a integrarsi in quel modello economico, ma alla fine se ne fa sedurre o distruggere, e in ciò non mi pare molto lontano, per cattiveria, da quanto espresso da Bianciardi nella Vita Agra o da Mastronardi nel Maestro di Vigevano (che Sordi ha pure interpretato in un film di Petri). Non a caso i suoi personaggi più infimi descrivono uomini infantili e sentimentalmente immaturi, perché passare alla “maturità” significa decidere da che parte stare nel nuovo paesaggio economico-sociale, se subirlo e farsene schiacciare o se passare al contrattacco, insozzandosese. Poi, è vero, a un certo punto il personaggio cede nelle sue sfumature psicologiche e si fa pura maschera teatrale, diventa una macchietta nera, molieriana (perché alla fine Sordi non ha inventano nulla). Ma nella parte centrale della sua carriera, fra i ’60 e i ’70, questo percorso si vede ed è a suo modo affascinante, per quanto crudele, specie nei suoi risultati più sardonici. Nel Boom di De Sica, Sordi decide di vendersi un occhio per ripagare i debiti. Nel Vedovo di Dino Risi, altro film citato da Raimo come esempio di personaggio maschile incapace di entrare in questi meccanismi e per questo succube di una moglie/mamma (Franca Valeri) la quale – questo Raimo non lo dice – è una scaltra donna d’affari milanese, strozzina e sadica: ma veramente, ci si chiede guardandola, è una vittoria mettersi “in pari” con un personaggio così? Chiudo con quest’ultima cosa. Raimo dice, ancora a ragione, che molto cinema di Sordi è invecchiato male – anche perché Sordi, al contrario dei suoi personaggio arruffoni e scansafatiche, ha lavorato, spesso acriticamente, come un matto. Eppure io ho pensato proprio al Vedovo pochi giorni fa, quando ho letto che la Moratti voleva distribuire i vaccini in base al PIL. In piena terza repubblica, non è figlia di quella stessa cultura la nostra brava Moratti? E ancora, di fronte alle infinite questioni sull’anno giudiziario, mi è venuto in mente Detenuto in attesa di giudizio di Nanni Loy, che Raimo si è guardato bene dal citare, perché non funzionale al suo discorso.

sabato 30 gennaio 2021

la bestia rara

Da pochissimo Mondadori ha ripubblicato, nella collana baobab, tutti i racconti di Dashiell Hammett dedicati al detective privato Continental Op, suo alter ego narrativo (prima di Sam Spade) per 2 romanzi (Piombo e sangue e Il bacio della violenza) e 28 racconti pubblicati nell’arco degli anni ’20 su varie riviste pulp fra le quali svetta Black Mask. All’epoca si considerava letteratura di evasione, ma fu talmente dirompente il linguaggio proposto da Hammett da creare un vero e proprio stile ed influenzare anche scrittori di fama come Fitzgerald, che attinse alle sue atmosfere per Il grande Gatsby, e Hemingway, che si cimentò in prima persona col genere noir per una serie di racconti di successo poi confluiti in Avere e non avere. Al di là della qualità d’autore di Hammett però, la raccolta si segnala, secondo me, perché recupera gli strilli originali con cui le riviste presentavano i vari racconti, e che sono ancora oggi freschissimi e spesso divertenti. Un esempio per tutti: «Ormai conosciamo tutti la tipica ragazza moderna. È una bestia rara, ed eccola qui in tutta la sua gloria, se così si può dire. Quello che segue è un ottimo poliziesco, pieno di azione e di personaggi autentici. Leggetelo.» Segue racconto in cui la tipica ragazza moderna è non solo una femme fatale come poche ma anche un’assassina coi controfiocchi nella migliore tradizione – appena appena venata di misoginia – del genere.

arti

Qualche settimana fa leggevo un articolo (su Internazionale) in cui Robert Wyatt diceva che più ancora della caduta dalla finestra che lo ha reso paralitico, a causargli qualcosa di simile alla sindrome dell’arto fantasma era stata la cacciata dai Soft Machine, la band di cui era stato cofondatore. I Soft Machine, da allora, passano sempre per i cattivi della situazione, ma se vai a vedere le date avevano tutti fra i 25 e i 28 anni, erano giovanissimi, e rigidi idealisti. La cosa straordinaria, secondo me, viene fuori proprio confrontando le date. Ti accorgi che sia Soft Machine che Wyatt, per i successivi trent’anni, andranno avanti per la loro strada, spesso al singhiozzo e senza più una formazione definita, seguendo percorsi quasi perfettamente paralleli, persino nelle pause e nei silenzi discografici. Come se l’uno non potesse muoversi senza il riflesso dell’altro, proprio come fanno appunto due arti, per quanto separati, dell’identico corpo.

martedì 26 gennaio 2021

confessione

Confesso la mia colpa, io Milo De Angelis non riesco a leggerlo, ogni tanto ci provo ma mi scappa di bocca come il pane sciapo. Nondimeno ne riconosco la grandezza, “quella roba lì non può che essere poesia” come mi disse una volta una mia amica, quella roba lì, intendendo qualcosa che sai che c'è, anche se non sai da dove prenderla. Lui scrive, nella sua nuova raccolta: “State attenti, tutti voi, perché non parlerò due volte” e io dentro di me so che mi sono già perso, irrimediabilmente, la prima.

domenica 24 gennaio 2021

ombra

Sull’amore è l’ultimo ricordo che mi lega a Michelangelo Antonioni e al film Eros. In realtà si tratta di una delusione perché è stata tradita la nostra idea di rendere poetico l’amore di un’anziana che, passeggiando sul mare, rimane affascinata da una ragazza che dorme a testa in giù, fino a sognare di possederla, entrando nella sua ombra: un’immagine poetica che Michelangelo non è riuscito a realizzare perché il produttore aveva fretta di finire il film. Una poesia incompiuta che rimarrà per sempre nella mia memoria.

Tonino Guerra

botta e risposta

Gentile editore, sono una giovanissima poetessa emergente che, dopo tante delusioni, sta cercando una casa editrice per la sua ottava raccolta di poesie. Lei sarebbe interessato?

Gentilissima, io le invidio la sua energia, pur giovanissima lei ha già pubblicato più libri di me. Se nonostante questo si ritiene ancora una emergente, non sarebbe il caso di prendersi una piccola pausa di riflessione? Il tempo non le manca.

amicizia

Ogni tanto nel mondo un gatto e un orso fanno amicizia (proprio come nelle favole), e ogni volta sui giornali qualcuno si chiede se, visto che sono così diversi, l'orso mangerà il gatto o il gatto graffierà l'orso per rubargli il cibo, e invece i due, anche se sono così diversi, si fanno solo buona compagnia, e ogni tanto una foto.

il nemico

Leggo un articolo di Tony Judt, storico inglese di stampo socialista (morto una decina di anni fa) dove Judt racconta di un corso in cui prova a spiegare La mentre prigioniera di Czeslaw Milosz, descrivendo la propria difficoltà ad affrontare l’incredulità dei suoi studenti verso il sentimento del libro. La mente prigioniera è un saggio dei 1951 che – attraverso il ritratto di cinque intellettuali polacchi: quattro (chiamati Alfa, Beta, Gamma e Delta) adattatisi al potere stalinista, e un quinto (Witkiewicz) morto suicida – affronta l’asservimento a un sistema ideologico, o meglio ancora descrive il processo di seduzione di questo sistema ideologico sulla mente di quegli intellettuali che hanno ceduto (o per convenienza, o per paura dell’esilio, o per convinzione, o per sfiducia e inadeguatezza) parte della propria libertà di pensiero e del proprio senso critico a un sistema ideologico che li ingloba, in cui si sono ritrovati a vivere loro malgrado, ma alla cui visione si adeguano fino a farla propria. Tutti, inevitabilmente, entrando volontariamente all’interno di quella particolare gabbia e adattando il proprio campo visivo ai limiti imposti dalle sbarre, hanno finito per autoconvincersi che quella gabbia fosse l’unica realtà possibile. Nella prefazione al volume, Milosz racconta che quando uscì, in piena guerra fredda, il libro non piacque a nessuno, né ai comunisti che si sentirono insultati, né agli anticomunisti che avrebbero preferito un più deciso (e ideologico) atto di accusa contro Stalin, e non un saggio che prova a cogliere, invece, le sfumature di un processo mentale che avevano vissuto, in vari modi, tutti i popoli d’Europa nei trent’anni precedenti. Ecco che Judt ci racconta il seguito di quel processo, mezzo secolo dopo. Provando a discutere di questo saggio coi suoi giovani studenti, la difficoltà maggiore dice, è stata riuscire a definire l’idea di seduzione ideologica. I suoi studenti, infatti, cresciuti in un mondo post ideologico, pur capendo in sintesi cos’è una ideologia, affrontavano con incredulità o scetticismo la reale possibilità che qualcuno potesse immolarsi per una ideologia, ma anche “contro” una ideologia. La trovavano, portando all’estremo la propria insofferenza, una cosa inutile e insensata. Non attribuendo alcun valore a una qualsiasi ideologia, non riuscendo a capire che motivo ci fosse a lottare pro o contro una ideologia, non vedevano più nemmeno il nemico reale che avevano di fronte. Perché, anche se meno vistoso, ma altrettanto seducente, più sottile e infido, liquido, anche il consumismo è una ideologia, così come il liberismo selvaggio. Gli studenti astrattamente capivano di vivere a loro volta in una gabbia ideologica, ma nel concreto – o per paura o per convenienza – non vedevano né limiti, né soluzioni, né alternative, né vie di fuga da questa loro gabbia. E allora, concludendo, c’è da chiedersi: se non riesco più a vedere il mio nemico (perché magari il mio nemico è dentro di me, o io dentro di lui), come posso combatterlo? E ancora, ha senso combattere un nemico, anche se non lo vedo? E farlo, combattere un nemico che non vedo (anche sapendo che c’è), non è a suo modo una forma di follia?

due impressioni su centuria

Stamattina mi sono messo a leggere Centuria di Manganelli. Lo avevo lì da anni ma è la prima volta che lo prendo in mano. Due impressioni personali. La prima è che ha una scrittura talmente limpida e lineare questo libro (non ho letto altro di suo) che si fa un sacco di fatica a leggerlo. Perché mi accorgo che a volte lo stile è un alibi, tu lettore ti perdi nella forma, nella costruzione più o meno elaborata delle parole e non dai peso al contenuto o ci scorri sopra; lì dove lo stile è basso, preciso, non puoi che attaccarti ai contenuti, e visto che quelle di Centuria sono storie assai condensate dove si richiede al lettore (proprio come in poesia) di costruire castelli sul vuoto, riempire le assenze, lo sforzo di concentrazione/immaginazione del lettore è doppio. Seconda considerazione, non sono abbastanza addentrato nello scambio Manganelli-Queneau-Calvino che mi pare sia assai prolifico, ma a pelle mi sembra che Palomar che è l'ultimo e più bel libro di Calvino ha più debiti con Centuria che con tutti i libri del francese che hanno influenzato la sua ultima produzione. Anzi, a tratti mi pare quasi che Palomar nasca proprio qui. Semplicemente Calvino ha preso il libro di Manganelli, ci ha messo un po' di cuore, e l'ha fatto suo.

sabato 23 gennaio 2021

barzelletta

 Io mi rendo conto di come spesso non sono capace di essere meno superficiale di così e per questo sbaglio a esternare le mie idee, ma trovo straordinario come un giornalista, mentre prova a fare una battuta di pessimo gusto in cui definisce "escort" una donna bellissima che ha sposato uno degli uomini più squallidi, arroganti, misogini e volgari, ma per carità l'amore è cieco (ovvero, confessiamolo, dando voce a quello che moltissimi altri uomini e qualche donna hanno pensato almeno una volta negli ultimi anni, ma hanno avuto il buon senso di non dire) fa una cosa tremenda, imperdonabile e offensiva per quella donna in particolare e per tutte le donne del mondo; ma se negli stessi giorni migliaia di persone prendono l'immagine di un vecchio infreddolito coi guanti di lana e la rigirano in tutte le salse possibili per trasformarlo nella più grossa barzelletta umana del pianeta, invece quella è considerata una cosa simpatica che non lede la dignità di nessuno.

venerdì 22 gennaio 2021

pari pari

Stamattina ho saputo da suo figlio Riccardo della morte di Gino, un vecchio amico il quale, solo pochi mesi fa, cercava ancora di convincermi a scrivere la storia della sua vita. Mi diceva: “Lillo, tu senti a me, noi ci mettiamo intorno a un tavolo, ci perdiamo la testa per qualche mese, un anno, due anni, quello che ci vuole per farlo bene, io ci metto il vino, tu porti la capa, e io ti comincio a raccontare la storia della mia vita, vedrai che casino che è stata, tu prendi appunti e scrivi, e non ti preoccupare, che quando è pronto il libro, vedrai come si vende! Facciamo i milioni!”. Io ogni volta gli rispondevo che non avevo tempo, ed era vero, ma adesso un po' mi dispiace perché quella storia, che non ho ascoltato, non potrò più raccontarla. Aveva una bella voce, gli piaceva cantare, si appassionava alle cose. Gli piacevano le cose semplici, bere e mangiare, perdersi nei ragionamenti con gli amici, ma ogni tanto si sedeva da parte, sui gradini delle scale in piazza Moro, in silenzio, si accendeva una sigaretta, e stava fermo lì, come assente, guardava il mondo che gli passava davanti come se si fosse seduto fuori da tutto, molto lontano. Tutte cose che, posso dire, Riccardo ha preso pari pari da lui.

giovedì 21 gennaio 2021

e se domani mi chiamassero…

Amanda Gorman, 22 anni, legge una poesia durante l’insediamento di Biden alla Casa Bianca. È una donna, nera, è giovane, vincitrice di premi importanti realizzati ad hoc per chi scrive versi, e si prende il palco insieme a due star dello star system (Lady Gaga e Jennifer Lopez). Inconcepibile, o meglio ancora innaturale per il pubblico italiano, dove la poesia è roba da morti e per i giovani imperversano i talent show. Mi faceva particolarmente specie, stamattina, un commento che ho letto, di una signora che diceva che in Italia non succede mai che politica si commistioni con la poesia. Che è una cosa assolutamente falsa, ma diffusa nella percezione comune. Da sempre politica e poesia vanno a braccetto. E fino a tutti gli anni ’70 la poesia interveniva a gamba tesa negli affari politici. Poi è cambiato qualcosa, c’è stato un allontanamento, una resa (Le mie poesie non cambieranno il mondo) che ha impoverito entrambi i campi. Di recente gli unici tre interventi di poeti conosciuti in chiave politica sono stati la candidatura di Franco Arminio alle elezioni europee del 2014 con L’altra Europa di Tsipras; il processo a Erri De Luca, con assoluzione nel 2015 per le sue dichiarazioni “sovversive” anti-TAV; e più di recente (novembre 2019) il discorso di Rondoni a favore della Lega durante le scorse elezioni di Bologna. In tutti e tre i casi il mondo delle Lettere ha reagito, o dileggiandoli (Arminio), o astenendosi vigliaccamente e lasciandolo solo (De Luca); o delegittimandoli: quello non è un poeta (Rondoni). Che però, in tutti i casi e per ragioni diverse, sono già delle prese di posizione politica le quali, mi pare, non vada da nessuna parte oltre il no. E lo dico facendo parte, anche io, di quel no. Mi accorgo, guardandomi, come sono bravissimo a lamentarmi senza fare mai abbastanza, senza muovere un dito, talmente disgustato dall’idea di un’azione politica da rifiutarla in toto, senza assumermi la responsabilità di sporcarmi le mani per cambiarla, la politica, anche sbagliando posizione (come Pasolini o Fortini, come Sanguineti, persino come Pound). E questo perché nella mia ansia di purezza, ho preferito spesso una posizione passiva, ma che mi permettesse di mantenere la mia fedina penale immacolata in attesa che la storia riconoscesse il mio valore di poeta, dal puro impegno ideologico ma scritto sulla carta igienica. E forse per questo molti di noi si stupiscono piacevolmente di quanto successo in America, non perché loro hanno capito, più di noi, quanto può fare/dare la poesia, ma perché quello che abbiamo visto in atto lì, a cui ci piacerebbe ambire, è il riconoscimento del Potere come noi non lo viviamo più, ma come lo abbiamo appreso a scuola. L’ambizione a quel mecenatismo in cui sotto sotto ancora speriamo. Qualcuno che dall’alto ci chiami e ci dica: tu sei bravo, vieni! E così, per chiudere, solo per gioco mi chiedo: e se domani mi chiamassero davvero, se domani Conte mi telefonasse dal Parlamento e mi dicesse: devi fare una poesia per celebrare l’Italia e leggerla davanti a tutti noi, a Franceschini, a Renzi, a Salvini e Meloni, a Di Maio… Lo farei? Ci andrei, anche solo per leggere la mia poesia “contro” di loro (ben sapendo che dopo verrei dileggiato dai miei amici come dai miei nemici, insultato dai giornali, in TV, dagli haters di professione e ricoperto di merda per mesi)? Sarei degno della chiamata istituzionale, o rifiuterei apertamente l’istituzione dicendo che non è degna dei miei versi? O, più saggiamente, me ne tirerei fuori con una scusa di comodo, magari simulando un mal di pancia?

domenica 17 gennaio 2021

di che parlano

Sul blog di poesia della Rai leggo una poesia di Davide Rondoni scritta in onore di Franco Loi e la trovo brutta. Ne parlo con un amico che, con sufficienza, mi dice: Ma tu ancora Rondoni leggi, tutto quello che scrive sono cazzate. Non mi convince. Vado sul profilo di Rondoni. Leggo un suo post, in cui commenta la recente proposta di trasformare i Musei in luoghi di vaccinazione e invita a non confondere, come stanno invece facendo per pubblicizzare la cosa, la “cura” del corpo con la salute dell’anima, perché a fare confusione si finisce soltanto per svilire pericolosamente ciò che è necessario alla salute dell’anima (che a volte, per scuoterti, non è affatto salutare, né tantomeno edificante). È un pensiero che condivido. Se viene da Rondoni, no, mi dice il mio amico, io non lo posso accettare. Rispetto il mio amico, ma secondo me la sua è una visione di partito. Visione che, ridotta ai minimi termini, fa così: Se non sei con me allora sono contro di te. Fino a rifiutarti in toto. Ed è, aggiungo, il sistema mentale più elementare e vecchio della storia. L’avevano i comunisti così come prima i fascisti, prima ancora i realisti, i borghesi nei salotti, i mafiosi, i tifosi, le bigotte di paese, gli operai in fabbrica, i carbonari, le bande, le guardie e i ladri. L’abbiamo vista manifestarsi in questi giorni in TV, e in tutta l’attuale classe intellettuale e politica di questo paese e di ogni altro paese. L’abbiamo additata e derisa. Ma nonostante tutta questa storia pregressa, non abbiamo mai imparato a guardare oltre. Nemmeno fra “sommi” letterati. Forse perché non pensiamo faccia parte di noi. Anche io, ieri sera guardavo Gli occhiali d’oro di Montaldo, tratto dal libro di Bassani, e pensavo che probabilmente ci sono decine di persone che hanno visto lo stesso film, letto lo stesso romanzo, li apprezzano per il contenuto, il contesto storico, li definiscono capolavori di forma e di stile, ma non hanno capito di che parlano.