Quando
vedo un film di Takeshi Kitano mi viene da pensare a una critica che mi
sento fare, a mio demerito, sui miei racconti, ovvero che alcuni miei
personaggi non sono ben definiti, risultano a volte abbozzati o
manichei. Mentre tutti, invece, dovrebbero significare. A me, pur
riconoscendo i miei limiti, fa sempre uno strano effetto sentirlo,
perché nella vita reale la maggior parte delle persone che incontriamo
non significano un bel nulla, non sono che comparse, non solo non
sappiamo niente di loro, non ci interessa saperlo, oppure vivono secondo
schemi mentali talmente radicati e rigidi da renderli quasi delle
macchiette, e noi per questo li odiamo o li prendiamo in giro. E quindi
mi chiedo, pretendere dal personaggio di un libro di significare
qualcosa, non è un po’ come mistificare la realtà? E a quale scopo? Per
rendere migliore la storia, o per migliorare la realtà, la sua stessa
idea? Devo dire che finora, la soluzione più radicale l’ha trovata
proprio Kitano nei suoi film. Per lui la vita non ha senso, quindi i
personaggi di contorno vengono semplicemente ammazzati, spesso in
maniera violenta, e la gente paga per vedere il sangue.
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