In ritardo di sei mesi, come mio
solito, leggo questo dibattuto pezzo di Christian Raimo su Alberto Sordi, scritto
ad agosto passato per il centenario dell’attore. Raimo, si vede, non ha grande
simpatia per Sordi, ma il pezzo è effettivamente interessante. Eppure dà anche
l’idea di una riflessione di parte, che non dice tutto, che non mostra entrambi
i lati della medaglia. Quando Raimo, che ha ragione, descrive quello tipico di Sordi
come personaggio infantile, asessuato, ridicolo e impotente (alla Brancati), incapace
di un rapporto sano, stabile, maturo, con l’altro sesso perché figlio di una
cultura fascista che non ha saputo mettere in discussione i propri modelli
maschili dopo la guerra, non dice che questo blocco, questa regressione scatta proprio
nel momento stesso in cui il dopoguerra non tiene fede alle sue promesse. Il
personaggio di Sordi, reduce del fascismo e dei suoi ultimi deliri (scrivo
questo post dopo aver visto, ieri sera, Tutti a casa di Comencini, che mostra
le due facce di Sordi, quella infingarda ma anche quella più umana), si ritrova
a vivere nel giro di una manciata d’anni in una nuova società, quella del boom
economico, che ha sperato migliore, ma che sul piano morale si è rivelata
identica, se non più avida e meschina della precedente (e Monicelli, che Sordi
lo chiamava fascista, esprimeva le stesse critiche). È lì, in quella
disillusione, che scatta il meccanismo della regressione, che è l’identica
regressione/rimpianto espressa con altre parole e motivi da Pasolini, che non a
caso scrive contro il personaggio di Sordi che “fa ridere solo gli italiani”.
Sordi, quand’è al suo meglio, descrive lo stesso stupore, lo stesso disgusto
(in tal senso è vero che non fa ridere) di chi non riesce a integrarsi in quel
modello economico, ma alla fine se ne fa sedurre o distruggere, e in ciò non mi
pare molto lontano, per cattiveria, da quanto espresso da Bianciardi nella Vita
Agra o da Mastronardi nel Maestro di Vigevano (che Sordi ha pure interpretato
in un film di Petri). Non a caso i suoi personaggi più infimi descrivono uomini
infantili e sentimentalmente immaturi, perché passare alla “maturità” significa
decidere da che parte stare nel nuovo paesaggio economico-sociale, se subirlo e
farsene schiacciare o se passare al contrattacco, insozzandosese. Poi, è vero, a
un certo punto il personaggio cede nelle sue sfumature psicologiche e si fa
pura maschera teatrale, diventa una macchietta nera, molieriana (perché alla
fine Sordi non ha inventano nulla). Ma nella parte centrale della sua carriera,
fra i ’60 e i ’70, questo percorso si vede ed è a suo modo affascinante, per
quanto crudele, specie nei suoi risultati più sardonici. Nel Boom di De Sica,
Sordi decide di vendersi un occhio per ripagare i debiti. Nel Vedovo di Dino
Risi, altro film citato da Raimo come esempio di personaggio maschile incapace di
entrare in questi meccanismi e per questo succube di una moglie/mamma (Franca
Valeri) la quale – questo Raimo non lo dice – è una scaltra donna d’affari
milanese, strozzina e sadica: ma veramente, ci si chiede guardandola, è una
vittoria mettersi “in pari” con un personaggio così? Chiudo con quest’ultima
cosa. Raimo dice, ancora a ragione, che molto cinema di Sordi è invecchiato
male – anche perché Sordi, al contrario dei suoi personaggio arruffoni e scansafatiche,
ha lavorato, spesso acriticamente, come un matto. Eppure io ho pensato proprio al Vedovo pochi giorni fa, quando ho letto che la Moratti voleva distribuire i
vaccini in base al PIL. In piena terza repubblica, non è figlia di quella stessa
cultura la nostra brava Moratti? E ancora, di fronte alle infinite questioni
sull’anno giudiziario, mi è venuto in mente Detenuto in attesa di giudizio di
Nanni Loy, che Raimo si è guardato bene dal citare, perché non funzionale al
suo discorso.
2 commenti:
pare che dalla tua analisi, forse da Raimo che non conosco, traspare il concetto di Nanni Moretti sugli italiani ed il cinema : " vi meritate Alberto Sordi". io dico invece : magari avessimo ancora Alberto Sordi!!
michele Lenzi
sono d'accordo con te, michele!
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