giovedì 30 luglio 2020

morte per acqua

Ieri parlavo con un mio amico che ha vissuto metà della sua vita in Africa, e mi spiegava che molti dei migranti che arrivano qui, perlomeno da certe zone, lo fanno perché sta finendo l'acqua, c'è un processo di desertificazione in corso, l'acqua potabile scarseggia sempre di più, e così vengono meno le possibilità di sostentarsi con l'agricoltura e la pastorizia. Se tu a un pastore togli la possibilità di nutrire il suo gregge non gli resta più nulla. E senza più lavoro che fai? Così, continuava il mio amico, quando si dice aiutiamoli a casa loro bisognerebbe pensare che quelli che servono sono aiuti concreti, investimenti in canalizzazione dell'acqua, pozzi artesiani, piccole centrali elettriche, strade. Non sono enormi investimenti ma se non siamo buoni a farli a casa nostra, come possiamo pensare di andare a scavare pozzi lì? Fatto sta che, per ironia della sorte, questi migranti scappano da una tremenda carenza d'acqua e si fanno un viaggio in mare con il rischio concreto di morire per acqua, di bere tanta di quell'acqua come non l'hanno mai vista in vita loro. E nonostante i tantissimi morti (perché sono tantissimi quelli che nemmeno sappiamo) ogni giorno guardo al Tg i nuovi sbarchi, di ieri, di oggi, di domani. La situazione è incontenibile. Quest'anno abbiamo pubblicato un libro che parla delle vicissitudini di una delle tante donne che arrivano qui: Cantare del deserto di Elvio Ceci. E fra i tanti commenti che mi sono arrivati sul libro due mi hanno particolarmente colpito nella loro criticità. Il primo diceva che è un libro che non venderà tanto perché è “pesante”, la gente ha bisogno di svagarsi e andare al mare, non di caricarsi di altri problemi. Ed è vero, purtroppo, il mare è tanto cose, a qualcuno fa da bara e a qualcun altro dà relax, e non è detto che uno voglia entrambe le cose insieme. E il secondo è che se è scritto in rima allora non è adatto a toccare la gravità del problema, perché le cose serie – dove provi a capire i fatti – oggi si scrivono in prosa. Io ho replicato che è una fesseria, che da sempre si usa la poesia per parlare dei problemi di un popolo; che molti popoli migranti compongono lunghi poemi in rima per ricordarseli, perché non hanno carta e penna e usano soltanto la memoria per tramandarli e leggerli. E mi hanno risposto che certo, è stato vero a lungo, ma noi non siamo migranti e quindi per noi vige la regola della carta e penna, dei libri stampati. Ovvero, per quanto tu possa sforzarti di capirli noi siamo noi e loro sono loro, per sempre divisi da tutto questo mare.

mercoledì 29 luglio 2020

ringiovanire

Non la sto seguendo per nulla e sono colpevole, ma se ho capito bene la situazione dalle voci che mi arrivano, in paese quelli che non vogliono presentare una propria lista si contano sulle dita di una mano. Io non so come fate e vi ammiro, davvero, che ho sempre pensato che il potere logora e a fare il sindaco si invecchia prima. Persino Tommaso Scatigna, da quando ha rinunciato al ruolo, l'ho visto ringiovanire. E abbiamo la stessa età.

da bashō

Delle cicale il canto | non ravvisa | il prossimo finire.

bogdan e mario archetti


martedì 28 luglio 2020

ma è modo?

Editore medio-grosso, nel senso che non è grande come Mondazzoli ma è grosso perché ci ha i soldi per investire (mica Pietre Vive, insomma). Questo editore pubblica il libro di un gran poeta poco prima del Covid poi, quando viene fuori il Covid, nella confusione, lo ritira dal mercato per non farlo "bruciare" nel vuoto che si è creato. Da allora il libro finisce nel limbo. Da una parte viene recensito sui giornali e va in finale a un grosso premio letterario. Dall'altra non si riesce più a trovarlo: ordinarlo diventa una rogna per le librerie, dagli store online è sparito proprio e a cinque mesi dalla sua uscita, senza avere avuto nemmeno una minima distribuzione, lo trovi a metà prezzo, usato, sul Libraccio. Non so cosa è successo dietro le quinte di questa storia, ma più bruciato di così, non so cosa possa esserci per un libro. Ma è modo?

domenica 26 luglio 2020

monopattino

Ieri ci hanno quasi investito con un monopattino... a Locorotondo! Che solo a dirlo fa ridere.

sabato 25 luglio 2020

come vanno le cose

È tutto tranquillo. Non è successo niente.
L’errore di scoprire il mondo lo rimpiangiamo da un pezzo.
Ogni colpo di vanga, ogni osso ritrovato, ogni speranza dissepolta:
la loro inefficacia è dimostrata da un pezzo. Le rovine
si edificano su progetto, anche questa una vecchia soluzione per dopo.
Sulle macerie artificiali abitano famiglie, accanite
a distribuire foto a colori: istantanee senza garanzia.
Si parlava di una piccola lista di obiezioni,
ridicolaggini, non mette conto di parlarne: non mette conto
comunque d’interrompere gli altri.

Tutto è tranquillo. Non è successo niente.
Le piccole ferite sanguinano come al solito, i ritardi
non hanno motivo. In altre parole, in altro modo,
detto altrimenti: il caso ne esce di nuovo vittorioso,
la ragione è battuta: nemmeno questo
le si vede addosso. Il suo profilo si è fatto più morbido
da quando parla solo di se stessa, i suoi occhi sono
più accademici, ogni sua uscita è facilmente scusabile.
È uno spasso diabolico starla a guardare: le soavi
drammatizzazioni della sua indifferenza.

È tutto tranquillo. Non è successo niente.
I sentimenti si sono fatti meno vistosi, era da aspettarselo, l’odio,
si è mutato in invidia. Non vi eccitate,
niente storie, niente malinconie: il finanziamento dell’apatia
è assicurato. L’export si sta riprendendo. La vita
è ora capace di miglioramento, finalmente
gli sforzi sono valsi la pena. Al museo, indifese,
le timide ambizioni dei passati:
a ognuno si fa chiaro come il sole su cosa si è infranta la storia.

Non è successo niente. È tutto tranquillo.
L’alfabeto è di nuovo in uso, le tabelline,
il dialogo ha congiuntura. I vecchi cappelli,
le vecchie profezie, i vecchi fenomeni: tutto
sembra nuovo. Ognuno da ieri ha la chiara sensazione
di esserci. Ognuno si presenta bene. Ognuno guarda ognuno
con interesse. Le conversazioni balbettanti
sono ammutolite, tutto scorre, fluisce, gli intimi
deragliamenti non ci sono più. L’oscuro è stato eliminato:
aforismi descrivono il mondo con mortale chiarezza.

Michael Krüger, trad. Anna Maria Carpi, Il coro del mondo, Mondadori 2010

ogni editore ha un prezzo

Ieri sera una signora assai amabile si è fermata vicino al tavolino dove tenevo i libri in esposizione e conversando amabilmente con me se li è guardati tutti, senza comprarne uno solo. Li prendeva, se li rigirava a lungo fra le mani (bellissimi, diceva) poi li rimetteva giù dopo essersi soffermata sul prezzo. Forse è un po' alto, mi ha suggerito amabilmente, visto che sono libri di poesie – e i libri di poesie, si sa, vendono meno – potresti abbassare il prezzo per incentivare il lettore. E io le ho risposto che secondo me ha perfettamente ragione, infatti i miei libri, con tutto che farli "bellissimi" mi costa un botto, spesso e volentieri li vendo a 10 euro e qualche volta a 5, invece che a 12 o a 13 euro – che è il prezzo comune di mercato – oppure a 18, come fa scandalosamente Mondadori, proprio per questo motivo. Ah, mi risponde, questo non lo sapevo. Poi mi chiede se ho l'ultimo di Arminio, che non ho perché non sono l'editore di Arminio – e che per la cronaca costa 16 euro – e alla fine se ne va portandosi via soltanto il mio biglietto da visita.

venerdì 24 luglio 2020

discorso del postino


Più li leggo e più trovo ci siano molte cose in comune fra il tedesco Michael Krüger e l’inglese Philip Larkin, in particolare questa loro poetica dello scarto, di ciò in genere va buttato via, non “le buone cose di pessimo gusto” ma quelle che stanno un gradino più in basso, i rifiuti, mozziconi di sigaretta, cartoline strappate, il sesso fatto male, i ricordi sbiaditi, le parole inutili di una lista della spesa, asservite a una certa austerità, una misura, una compostezza di matrice classica. Basta mettere a confronto due poesie programmatiche come Come vanno le cose di Krüger e Aubade di Larkin per rendersi conto che tale poetica procede quasi parallela, per accumulazione compulsiva, a tratti nevrotica, dei residui, delle tracce di tutto ciò che non è vita ma potrebbe esserlo stato: gli scarti accumulati, assemblati con logica finissima assumono, persino in tanto accanimento sul reale, una loro sacralità metafisica (soprattutto in Krüger), un equilibrio, un’estetica non consolatoria che raggiunge, specie in Larkin, delle punte di crudeltà a tratti infantile che ci pungolano, stimolandoci a un piacere quasi masochistico. Non a caso, volendo trovare un corrispettivo figurativo alla loro opera, il primo paragone che mi viene in mente è MERZbau, la Cattedrale delle Miserie Erotiche di Kurt Schwitters.



[…] È lineare come un armadio quello che sappiamo, 
che abbiamo sempre saputo, da cui non si può scappare, 
che non si può accettare. Un lato dovrà cedere. 
Intanto i telefoni stanno accucciati, pronti a suonare 
negli uffici ancora chiusi, e tutto l’indifferente 
intricato mondo a noleggio comincia a svegliarsi. 
Il cielo è bianco come argilla, non c’è sole. 
Il lavoro va fatto. 
I postini come dottori vanno di casa in casa. 

(Philip Larkin, trad. mia) 



[…] Non è successo niente. È tutto tranquillo. 
L’alfabeto è di nuovo in uso, le tabelline, 
il dialogo ha congiuntura. I vecchi cappelli, 
le vecchie profezie, i vecchi fenomeni: tutto 
sembra nuovo. Ognuno da ieri ha la chiara sensazione 
di esserci. Ognuno si presenta bene. Ognuno 
guarda ognuno con interesse. Le conversazioni balbettanti 
sono ammutolite, tutto scorre, fluisce, gli intimi 
deragliamenti non ci sono più. L’oscuro è stato eliminato: 
aforismi descrivono il mondo con mortale chiarezza. 

(Michael Krüger, trad. Anna Maria Carpi, da Il coro del mondo, Mondadori, 2010)

giovedì 23 luglio 2020

certi paradossi

In questi giorni mi è capitato di raccontare un paio di volte un piccolo aneddoto, e cioè l’ex sindaco del mio paese, che ora è in campagna elettorale con un partito di destra ed è letteralmente agli antipodi di qualsiasi mia idea politica, da che mi ricordo, ogni volta che esce un mio libro ne compra una copia e poi mi chiama o mi manda un messaggio per dirmi cosa ne pensa. E credo sia una cosa carina. Quando l’ho detto la prima volta, e poi la seconda, mi è stato fatto notare, non proprio con simpatia, che probabilmente voleva “comprarsi il voto” e che forse “non li ha letti proprio i libri”. E io non l’ho fatto ma avrei dovuto rispondere che, voto o non voto, almeno lui si è comprato i libri. Nel senso che ho tantissimi altri amici, anche intimi (anche intime), di centro, di sinistra o ultrasinistra, di chiesa, atei, di sopra e di sotto, e senza contare gli artisti, i musicisti, gli scrittori, persino colleghi editori, che un mio libro non lo hanno mai comprato, ma nemmeno letto, non dico per sbaglio, ma manco per pietà, perché sostanzialmente un libro di poesie ti fa “due palle così,” diciamocelo. E il tempo è sempre troppo poco. Mi rimane ancora nelle orecchie una cosa che mi disse un’amica scrittrice a cui il libro volevo regalarlo, lo rifiutò con garbo dicendomi: “No, lo comprerò, perché i libri non si regalano, si comprano!” Infatti non l’ha mai comprato. Ho saputo poi da un’amica comune che quando scrivo in versi non mi capisce, quindi non lo voleva proprio il libro, per paura che le chiedessi poi se le era piaciuto. L’avrei costretta a leggerlo, oppure peggio a mentire, e allora a modo suo è stata decisa.

questi che noi veggián pittori

...questi che noi veggián pittori, e quelli
che giá mille e mill’anni in pregio furo,
le cose che son state, coi pennelli
fatt’hanno, altri su l’asse, altri sul muro.
Non però udiste antiqui, né novelli
vedeste mai dipingere il futuro:
e pur si sono istorie anco trovate,
che son dipinte inanzi che sian state.

(Ariosto, Orlando furioso, canto XXXIII)

calcolatrice

Stamattina rileggevo il post (ormai un classico) degli Italiani che sono il popolo più ignorante d'Europa. Ma vicino a quello, prima e dopo, ce n'erano degli altri in cui si rivelava quanto ci spetterebbe a cucuzza se l'Europa erogherà l'anno prossimi i primi soldi dei Recovery Fund: più o meno 500 euro a testa. Una miseria, si commenta. E ho pensato a tutta questa gente che, come gli è arrivata la notizia da Bruxelles, la prima cosa che ha fatto è stata prendere carta e penna e farsi i calcoli: cosa ne viene a me? Perché gli italiani saranno anche ignoranti come bestie, ma puttana eva (cit. Cochi & Renato, Il reduce) sono nati con la calcolatrice nel cervello e se gli metti le mani in tasca non ce n'è per nessuno.

fatti inaccettabili

"Fatti inaccettabili, che rischiano di infangare l'immagine dell'Arma" l'ho sentita ripetere così tante volte questa frase negli anni che non mi pare sia cambiato nulla, né sono uno che ce l'ha con l'Arma, ho molti amici in divisa. Però delle volte mi chiedo come li prendano certi soggetti, attraverso quali test psico-attitudinali. Uno fuori di testa ci può anche stare che non si noti subito, ma un intero gruppo che forma "un'associazione a delinquere", come si vanta uno di loro in una intercettazione telefonica, non mi pare che sia solo "un caso".

mercoledì 22 luglio 2020

la descrizione di una mela

Stamattina pensavo che almeno fino a tutti gli anni '70 gli scrittori in prosa del nostro paese nascevano poeti (vedi Pavese) o venivano dalla poesia (alcuni, come Parise, si definivano poeti anche quando scrivevano in prosa), o scrivevano 'anche' poesia andando e tornando fra i due linguaggi (Pasolini), o comunque frequentavano con assiduità il linguaggio dei poeti o i poeti stessi (Calvino, Gadda). Persino i più insospettabili (come Fenoglio con Coleridge) si dilettavano di traduzioni in versi. Tutti questi rapporti di scambio, ovviamente, nascevano a scuola, dove lo studio dei classici contemplava la lettura attenta dei poeti. Poi c'è stato una sorta di stacco, di allontanamento, o se si preferisce di tracollo o decadimento e della scuola e dei programmi scolastici e qualcosa si è perso. Né si ritiene necessario. E mi è venuto da pensare che forse uno dei motivi dell'impoverimento linguistico, e immaginifico, e metaforico dei romanzi di oggi sia derivato proprio da questo allontanamento dei poeti, o per meglio dire dal pensare che si possa scrivere in prosa anche senza poesia. Non solo, ma se un poeta prova a scrivere in prosa gli dicono che probabilmente non sarà capace, perché la prosa è un'altra cosa, non c'entra nulla con la poesia. Così, una volta, se uno scrittore parlava per tre pagine di fila di una mela marcia sul tavolo di una cucina dimessa voleva creare con le parole una metafora del mondo e del tempo, adesso spesso e volentieri scimmiotta le indicazioni di una sceneggiatura (la ripresa della mela con lo stacco sulla mosca agitata o sulla goccia d'acqua che perde dal lavandino!) per vedere se magari qualcuno si interessa e ne fanno un film, oppure gliela tagliano in fase redazionale del testo perché tre pagine con la descrizione di una mela annoiano irrimedabilmente il pubblico dei lettori.

martedì 21 luglio 2020

pensieri fuori dal reale

Continuo a pensare al ruolo fondamentale che ha avuto, indirettamente, Salvini sulla “vittoria” di Conte ieri sera, perché se un anno fa non avesse fatto saltare quel governo osceno, permettendo a Conte di rivelarsi, infilandosi come un cuneo fra i due litiganti, non ci saremmo nemmeno arrivati a ieri, o peggio ci sarebbe stato Salvini al posto suo, facendo scoppiare una guerra. E continuo a pensare che se invece di dar retta a Conte si fosse dato retta alla sinistra, che si è sostituita alla Lega in un secondo governo osceno nato per abbattere il primo, sinistra che oggi si accoda alla vittoria, nemmeno si sarebbe arrivati a ieri, ci si sarebbe accontentati delle briciole elemosinate a caro prezzo dall’Europa. E continuo a pensare che senza la politica della destra, che oggi dice attraverso Berlusconi che l’Europa ne esce un po’ più forte (e forse è vero), non si sarebbe mai arrivati agli ultimi mesi, agli ultimi quattro giorni, alle insinuazioni che siamo economicamente e politicamente inaffidabili. Continuo a pensare che se fosse stato per tutti quelli che consideravano Conte un politico impresentabile, uno scartino, una marionetta, nemmeno si sarebbe finiti a discutere in Europa, ci si sarebbe impiccati molto prima o saremmo finiti come in Grecia. E continuo a pensare che, nonostante la “vittoria”, non so come andrà a finire ma ho il forte sospetto che se mai quei soldi arriveranno in Italia, poi rimarranno non spesi, o ritorneranno in Europa, per colpa della burocrazia che strozza tutto, anche le idee, e che ci vorrebbero più Vendola e Minervini in Italia e meno Emiliano, ma noi abbiamo anche i Toti e i Zaia. E penso al fatto che nonostante tutto questo, la sensazione è che Conte abbia portato avanti una sua battaglia da solo, una battaglia che è una battaglia comune (dovrebbe) e che farebbe una qualsiasi persona con un po’ di buon senso, di onestà e di coraggio ma che non tutti hanno avuto le palle di fare, e sono contento che sia pugliese perché il SUD, come si vede, ogni tanto serve a qualcosa. Continuo a pensare a tutto questo, e a come il caso ha una importanza preponderante nelle nostre vite politiche, lì dove il caso dovrebbe essere l’eccezione e non la regola, un Paese non può andare avanti a botte di culo e personalismi, prima o poi si cade. Ma penso anche che aveva ragione chi diceva che se c’è un’area politica di riferimento di Conte è la DC; e mi chiedo a questo punto perché ci siamo dovuti sorbire una seconda e una terza e forse una quarta repubblica – che non ci ha fatti crescere, ma ci ha soltanto abbruttiti – se la prima volta in trent’anni che ho fatto il tifo per l’Italia in Europa, e con un po’ d’orgoglio, cioè quando Conte ha detto a Rutte: “Potrai essere eroe in patria per qualche giorno, ma poi di fronte alla storia ti giudicherà l’Europa intera” (che è una di quelle frasi che finiscono nei libri di storia), tutto questo è successo per via di un democristiano. Continuo a pensarci su, ma ovviamente io di politica non ne capisco nulla, e come tutti i miei pensieri sulla politica non hanno nulla a che fare col reale e quindi non vanno da nessuna parte.

amore per le proprie idee

L'altro giorno, al bar, Dudduzzo mi diceva che secondo lui il motivo principale che ci spinge a litigare e accanirci in accese discussioni, noi italiani, non è il senso di giustizia ma l'amore per le proprie idee. In altre parole, non c'è quasi mai un vero astio verso l'altro, perché fondamentalmente non ce ne frega nulla dell'altro: noi stiamo difendendo le nostre idee non per amore della verità, ma per puro spirito agonistico, per poter dire di avere ragione. E infatti, se l'altro a un certo punto cambia bandiera e sposa le nostre idee, subito l'astio finisce, nella vita quotidiana così come nella politica. Dudduzzo di questo amore ne parlava in termini anche alti; io ripensandoci mi accorgo che c'è qualcosa di profondamente infantile in tutto questo e un po' mi ha dato fastidio.

lunedì 20 luglio 2020

intanto...

È paradossale e tremendo scoprire che noi siamo qui, da più di un anno, a discutere del monumento a un morto per uno stupro di stampo colonialista perpetrato a danno di una bambina ottant’anni fa, e intanto a Novara, da trent’anni, operava una setta che riduceva in schiavitù giovani ragazze e bambine con la complicità di psicologi e attraverso una rete di attività commerciali fra cui scuole di danza, erboristerie, una bottega artigiana e persino una casa editrice (!). Spero solo che a contribuire in parte a questa scoperta siano state proprio le accese discussioni degli ultimi mesi. Ma intanto, negli ultimi trent’anni, davvero nessuno ha visto nulla? Nessuno sapeva nulla? Complimenti!

ridere (2)

Conosco anche gente che quando pubblicano notizie di altra gente nel mondo che contrae un virus o ne muore commenta queste notizie con l'emoticon della risata dicendo che ci sono tante cose dietro che non sappiamo, ma che cosa ci sia da ridere non ho capito.

ridere

Stanotte ho sognato Vasco Rossi, il giovane Vasco degli anni '80, che mi stava vicinissimo e mi fissava coi suoi occhi cerulei e freddi e col ghigno strafottente che aveva negli anni '80, e mi chiedeva quasi con cattiveria: "Che cazzo c'è da ridere?" E io non sapevo rispondere. Perché veramente non c'era niente da ridere. Eppure ridevo.

domenica 19 luglio 2020

dal retro

Oggi pensavo a questa cosa buffa, su cui mi ha fatto riflettere un video di Giulio Mozzi. E cioè molti poeti italiani, nel tentativo di ammodernare il loro linguaggio, hanno cominciato a usare il verso lungo e quasi prosastico sull’esempio degli americani, i quali a loro volta sono stati ispirati da Walt Whitman, capostipite della poesia americana. Ma Walt Whitman a sua volta elaborò quel verso ispirandosi direttamente alla Bibbia di Re Giacomo (cioè la versione inglese della Bibbia). Insomma, fondamentalmente tutta questa nostra cultura poetica che per decenni si è detta laica se non proprio atea e spesso rifiutava con fastidio la retrograda cultura cattolica, nel tentativo di ammodernarsi stilisticamente, per imitazione è ritornata ancora una volta alla chiesa, ma anglicana. In altre parole, i poeti uscivano sbattendo la porta principale del tempio e rientravano alla chetichella dal retro. Però senza troppa colpa. Nel senso che gli americani, a differenza nostra, la Bibbia la leggevano perché la loro cultura lo consente (per contro permettendo altre porcate), mentre storicamente la Chiesa cattolica ha sempre impedito ai fedeli di leggerla e interpretarla, con tutta una serie di danni che non sto a dire per i lettori, fra cui quello di pensare nuovo qualcosa di fondamentalmente antico e già codificato, per semplice ignoranza del Verbo.

sabato 18 luglio 2020

banalità

Ci sono giorni che faccio l'errore di andare a leggere i contenuti di certe pagine in cui i lettori discutono di libri, pagine che sono, per come le vedo io, l'apoteosi del qualunquismo benintenzionato, un po' come certi post di Gianni Morandi che per carità sono animati dalle migliori intenzioni ma poi cascano sempre nella banalità più disarmante. E tu di fronte a Gianni Morandi cosa puoi fare? Ogni volta che leggo un post in una di quelle pagine, un piccolo pezzo dell'editore che vorrei essere muore. Un giorno lo so finirò anche io per arrendermi e farò i libri che piacciono a loro, fatti mandare dalla mamma o uno su mille ce la fa.

venerdì 17 luglio 2020

un poeta in visita

Ho visto Charlie Simić che, assecondando il suo strambo gusto per le occasioni, veniva a trovarmi in forma di zanzara. Mi portava a letto la sua lieta novella, ronzando nella penombra della stanza. Io lo ascoltavo con sospetto e innervosito dalle sue ciarle insinuanti: più lui si avvicinava all’orecchio e meno lo capivo, mi rigiravo nel letto per scostarlo o provavo a mollargli una sberla perché rinsavisse e tornasse a una lingua più terrena. Ma lui, ormai dotato di ali leggere, nemmeno ci provava a darmi retta. Stammi a sentire, ascoltami, insisteva, dopo questo buio della stanza c’è solo il buio della notte là fuori e dopo quello un buio più fondo della notte e senza luna, un buio interstellare, un buco nero già pronto a divorarci. Il suo compito era quello di scuotermi dal sonno a cui mi avviavo, di riportarmi alla ragione, ma senza più il conforto di una sola battuta, perché avrei dovuto ascoltarlo? Così mi negavo, esausto e offeso: Charlie, Charlie, perché non mi lasci in pace. Dopo una lunga e fastidiosa rincorsa l’ho agganciato finalmente sulla guancia, mentre provava a darmi un bacio, spiaccicandolo ben bene sulla carne. Povero Charlie. M’è rimasto il corpo a pezzi fra le dita, le zampine nere che ancora vibravano nell’aria. Mi sono ripulito alla meglio strofinandolo contro il pigiama, poi mi sono rigirato dall’altra parte.

se fosse vivo monicelli...

QUI, attraverso la testimonianza del figlio di una abitante del luogo, si approfondisce la tesi che la sposa bambina eritrea non sia mai esistita. Montanelli ne viene fuori come un colonialista, un fanfarone e un imboscato di guerra. Se fosse vivo Monicelli, che film ne farebbe!

giovedì 16 luglio 2020

metriquadri

Ecco l’ultimo progetto di Ignazio Fabio Mazzola, metriquadri, che è una rivista aperiodica (senza data certa insomma) di quelle old-style, cioè da un foglio solo, grande, che gira intorno ad alcune sue (e di altri) riflessioni sull’Architettura, ma rilette in chiave artistica. I richiami sono talmente tanti che non ci provo nemmeno a riassumerli, però su questo numero ci sono contributi miei, di Gianmaria Giannetti e di Pavone & Sorrentino Architetti e questo ci rende molto fieri. 
Il numero è scaricabile gratuitamente, ad alta risoluzione, in pdf dal link sul titolo, e visto che è fondamentalmente un’opera d’arte (nell’epoca della sua riproducibilità tecnica), il bello del gioco è proprio quello di scaricare il file, portarlo in tipografia, o in copisteria, o semplicemente alla stampante, e stamparlo appunto su carta, cartoncino, plastica, vetro, o dove vi pare per poi – visto che da architetto a muro il passo è breve – appendervelo al muro, come se fosse una finestra.

il contenitore

Leggo molti post amareggiati o simil-amareggiati dalla notizia che anche PLPL, come tutti i grandi eventi librari del 2020, non si terrà quest’anno e credo di essere l’unico – ma lo so bene che non è così – a pensare che male realmente non farà a nessuno. Si dipende troppo da queste fiere o saloni del libro che, per quanto “etici” possano dirsi alla base, si risolvono sempre in una rappresentazione talvolta stucchevole, più spesso simile a un conclave laico, con gli editori che parlano della bellezza di ritrovare un rapporto con pubblico (come se non lo incontrassero altrove, il pubblico), ma che in realtà sono entusiasti soprattutto di potersi re-inquadrare in una comunità di fedeli – i centinaia di fedeli del Libro, cioè gli editori stessi, più gli autori (degli altri) più una parte dei lettori, visto che un’altra grossa parte ci va come si va ai Centri commerciali, per passare il fine settimana “diverso” – al punto che gli editori investono anche ingenti somme di denaro, ogni anno, per esserci. Esserci = apparire all’interno del rito, in questo caso vale più che guadagnare, tradendo addirittura la natura commerciale della propria attività. A chi si chiede cosa fa un editore, un editore è uno che fa, insieme, attività culturale e attività commerciale intorno al libro. Ma un salone o una fiera del libro, almeno in Italia, sono gli unici posti al mondo dove non si fa attività commerciale, almeno da parte degli editori, perché conti alla mano ci si va sempre in perdita (e lo si sa da ben prima di andarci, lo si mette in conto), mentre sull’attività culturale si può discutere a lungo. Si fa cultura essendo lì tutti insieme? Forse. Ma nella maggior parte dei casi i limiti della proposta culturale di una fiera o di un salone sono quelli costruiti intorno alla possibilità di incontrare il grosso scrittore di turno, sceso sulla terra per noi come il vitello d’oro. Non c’è altro, né si chiede altro al Contenitore, non un contenuto forte, quanto piuttosto un personaggio che ha sposato un contenuto, un personaggio-contenuto insomma, infilato a sua volta nel contenitore come in una sorta di Matrioska. È vero che è così dovunque e in ogni altra occasione, ormai, che questo è il sistema, solo che una fiera amplifica il sistema, non lo contraddice, perché gli fa comodo: perché diventare un Contenitore di incontri con personaggi-contenuto che fanno audience porta denaro al Contenitore stesso. Questa è cultura? Io pubblico vado a vedere l’autore figo, proprio come andrei a vedere l’attore figo a Venezia, ma con più contenuto in corpo, e voglio essere nella stessa stanza con lui, non sono lì per ciò che dice, che è secondario, ma perché lo dice lui. Infatti per ogni autore figo ci sono decine di incontri deserti intorno, con decine di autori che avrebbero anche cose interessanti da dire ma vengono semplicemente ignorati per l’eccesso di offerta, e per i quali i loro editori pagano l’affitto della sala-deserto in cui si esibiranno e poi si sforzano di fare foto da angolazioni strane per non far vedere il deserto, da postare sui social. Perché quando si fa cultura tutto ha un costo. I piccoli autori, però, sono contenti uguale, anche di parlare di fronte al vuoto della sala, nel mezzo del deserto, perché non conta più cosa stai dicendo e a chi, ma dove lo dici, cioè nel Contenitore-conclave, lì dove sei qualcosa in più. Io lo trovo sempre molto triste alla fine, ma confesso che mentre sono lì mi ci entusiasmo anche, è il dopo sbornia che mi uccide. Intanto sono lì, parte di una comunità in cui mi sento vivo, e anche se magari molti di loro, pur non confessandolo, portano un mantellino rosso cardinalizio sotto i vestiti.

mercoledì 15 luglio 2020

patrick depin


un film che qui nessuno ha visto (e dovrebbero invece vedere)

Dubito che in paese qualcuno abbia visto un film bellissimo, uscito alcuni anni fa, chiamato Il vento fa il suo giro. Nel film, un francese che cerca una nuova casa e un nuovo stile di vita, decide di stabilirsi in un piccolo centro assai chiuso, di stampo contadino, dove all’inizio la comunità lo accoglie con sospetto e poi – non riuscendo né loro a rapportarsi con lui, né lui a rapportarsi con loro – finiscono per rivoltarglisi contro finché lui, offeso, decide di andar via. Il film diventa insomma una metafora dell’impossibilità di comunicare e di venire a patti fra due culture diverse, dove tanti punti di vista, spesso opposti ma non per forza sbagliati, finiscono per trasformarsi in una sorta di rifiuto testardo e spesso sgarbato che produce solo perdita, una grossa perdita per tutti. Io ho assistito fra ieri e oggi, nel mio paese, per due volte, a un copione assai simile, e ne ho provato una grande tristezza, un senso di sconfitta che mi tocca nella natura stessa del mio essere figlio di questa terra. A un certo punto, per un mio commento in difesa del personaggio francese di questo copione assai triste, sono stato rimproverato anche io dalla mia comunità di appartenenza, come se stessi venendo meno a un patto di lealtà verso di loro. Il che è davvero una stronzata, primo perché sarebbe bastato parlarsi un po’ più civilmente per sistemare le cose subito e senza ferirsi, e secondo per accorgersi di essere tutti quanti qui per un solo comune motivo: cioè per amore di questo piccolo pezzo di terra che non ci meritiamo.

martedì 14 luglio 2020

stato

Quel momento figo in cui scopri che un tuo lettore, uno che manco conosci di persona fra l'altro, usa il verso di una tua poesia come stato su Whatsapp. Un po' ti senti come Jovanotti, un po' come Il postino di Neruda: la poesia non è di chi la scrive ma di chi gli serve. E ti senti stupendamente utile a un altro che cercava le parole giuste, quelle sei parole esatte per dire chi è.

un piccolo surrealista amico mio


sabato 11 luglio 2020

titolo

Stanotte ho sognato di scrivere un libro a quattro mani con una persona di cui non ricordavo né il nome e nemmeno la forma. Né mi ricordavo il contenuto del libro. Eravamo a una presentazione gremita di gente e più sforzavo e più mi sfuggiva ogni particolare, quindi mi arrampicavo sugli specchi, parlandone, per non far brutta figura, per dirne tutto il bene possibile agli altri pur non sapendo nulla di nulla dell'altro/a che era lì con me. Il libro si chiamava così: IL PALOMBARO EGOISTA. Ecco, stamattina ho pensato di condividere questo mio sogno. Io ci ho messo il titolo e se qualcuno vuole ci può aggiungere il contenuto e anche il co-autorato e ovviamente la condivisione sui diritti.

giovedì 9 luglio 2020

mantenere la giusta distanza

Ho fatto un incontro in presenza
di me stesso
tenendomi a adeguata distanza
dal corpo

una parte di me mi diceva
vien qua fatti avanti
stringiti pure a me se hai paura

l’altra
si rifiutava di obbedire

come si fa con un genitore assillante
o con un amante
che ci ha troppo deluso

siamo ancora assuefatti al suo corpo
un fringuello di terra
la sua ombra.

mercoledì 8 luglio 2020

non so

Uno che mi manda il suo manoscritto: "Non so dire perché vi mando questo libro, non sono un vero scrittore..." Se non lo sai tu perché me lo mandi, figurati se posso dirtelo io: ecco come demotivare alla lettura di una proposta editoriale. A questo punto era molto meglio un approccio femminile: "Salve, vi mando questo libro perché mi fate ridere".

martedì 7 luglio 2020

manoocher


ferire

A volte leggo queste recensioni negative a dei libri, pesantemente negative e spesso giuste e ben argomentate per spezzare le gambe a libri di grandi nomi e che quindi vanno in giro per il mondo come il re nudo prima di venire smascherati, e mi pare – ma forse è una impressione solo mia – che per quanto siano necessarie e giuste nelle argomentazioni, siano poi sbagliate nel sentimento, in quella sottile vena di compiacimento nel ferire, nel far male, nell’affondare il coltello nella piaga. Le leggo e mi chiedo: che gusto c’è a ferire gli altri? È invidia? Livore? È piacere? È senso talebano di giustizia? Solo perché hanno avuto qualcosa che non meritano? Ecco, ogni qual volta io fra le righe di una stroncatura ci leggo quel sottile compiacimento nel ferire gli altri mi prende la voglia di fare un passo indietro, anche se magari la recensione è giusta e messa a fuoco. Non perché gli altri non vadano feriti se serve, ma perché per farsi piacere una cosa così un po’ guasti da qualche parte bisogna essere. Ma assai peggio di chi scrive e ci mette la faccia, credo, ci sono quelli che si accodano compiaciuti: “è proprio quello che pensavo anch’io!” solo che tu non lo hai scritto, te ne sei guardato bene, ti sei accodato col tuo ghigno al giudizio negativo di un altro per lucrarci sopra, che in gergo si dice fare gli avvoltoi.

leggendo le più intransigenti considerazioni di poveri cristi che scrivono poesie...

…ho pensato che la maggior parte degli autori dichiara sdegnosamente che la piccola editoria è meglio (e la grande di conseguenza fa schifo, mafiosa e ignorante come chi ci pubblica) solo perché non possono accedere alla grande, ma se domani ti chiamasse Mondazzoli o Feltrinelli un bel calcio alla piccola editoria lo daresti anche tu, senza pensarci due volte e dicendo che è la cosa più naturale del mondo assecondare il proprio successo.

momento tremendo

Quel momento tremendo dove stai cercando di risvegliarti da un brutto sogno (in cui ti stai facendo la pipì addosso) e dai una craniata al muro che ti stordisce per un'altra mezz'ora...

domenica 5 luglio 2020

albergo ad ore

proposta

Ho appena avuto questa idea che se mai un giorno toglieranno la statua di Montanelli dalla piazza di Milano, forse potrebbero sostituirla con una di Sgarbi che è a suo modo una delle massime sintesi dell’italiano medio ma un po’ fuori dal comune che abbiamo oggi in Italia, quindi abbastanza medio da essere uno-di-noi ma anche abbastanza fuori dal comune da meritarsi una statua che è sempre summa e simbolo di una collettività. Quindi prendi quest’uomo rissoso per amore della rissa; colto e istrionico ma arrogante; egocentrico al punto che spesso e volentieri si fa riprendere in bagno (seduto sul cesso come Frank Zappa); uno che si dice “libero” perché non ha una precisa collocazione politica – tanto da avere anche delle uscite anticonformiste e felici quando meno te lo aspetti – ma comunque tende a destra; uno che ama le donne ma senza rispettarle, che ne fa spesso oggetto di apprezzamenti sessuali bassi o volgari; che tratta le istituzioni come le donne; che pur essendo nato con la TV privata è stato completamente assorbito dai social, tanto che vive con un telefonino in mano sempre, persino quando è ospite di una trasmissione televisiva; che vive nel telefono e attraverso il telefono, in una continua autorappresentazione che ha avuto il suo ultimo apice – uno dei tanti – nell’immagine di Sgarbi trascinato via dalla Camera come in una deposizione rinascimentale. Ma per me l’immagine sua più bella rimane quella in cui divora con ferocia una granita da un chiosco notturno romano mentre conversa amabilmente, con partecipazione umana, con l’immigrato del Bangladesh che lo gestisce: amabile e ingordo insieme, come un bambino, e sempre tenendo in mano il telefono. Inoltre, pensando a questa eventuale e impossibile sostituzione di statue, e di tutto ciò che direttamente e indirettamente rappresentano, mi è venuto da pensare che siamo ironicamente passati dall’epoca gloriosa della Olivetti – che imbracciava Montanelli nella foto storica da cui hanno ricavato la statua a Milano, simbolo di un’epoca in cui industria e cultura si sposavano nel nome del progresso italiano – a quella del telefonino di Sgarbi che è probabilmente prodotto di importazione, Taiwan o affini. Sgarbi seduto sul cesso mentre scrolla il telefono. Non è forse la cosa più vicina all’immagine stessa dell’italiano – quando non muore di fame – che c’è oggi in giro? E se non ci mettiamo Sgarbi, chi ci mettiamo? Franca Viola, come mi piacerebbe anche? E chi la conosce? (“È sui social?” mi chiedeva un ragazzo l’altro giorno e vi assicuro che è stato triste, anche se non era colpa sua). Un calciatore, magari di quelli acquistati dall’estero, così riscattiamo i neri? Uno scrittore vero, di quelli che magari hanno vinto lo Strega (ma non scherziamo)? E come ci accertiamo che sarà meritevole di tanto onore? Per la qualità sempre discutibile delle sue azioni? Per la media del numero di like che fa tendenza?


le donne di atene

sabato 4 luglio 2020

il tramonto di mao


smantellare l'ilva

Dice ogni sera in TV che non si sa come spendere i soldi UE, dice che servono più lavori pubblici per ridare fiato alle famiglie. Ecco un bel modo allora per usarli quei soldi e per creare nuovi posti: smantelliamo l'Ilva. Riconvertiamo la zona. Diamo lavoro a chi, si dice, rischia di rimanere senza lavoro. Prima con un amico si diceva che per bonificare Taranto ci vorranno almeno 50 anni. Se iniziassero oggi io non riuscirei a vedere la fine dei lavori. Mi piacerebbe comunque vederne l'inizio.



venerdì 3 luglio 2020

le app al potere

Una cosa molto nerd che mi piace tanto è la app BirdNET che ho scaricato sul telefono, anzi, è una delle poche cose che me lo fanno amare. Ogni tanto, specie di sera, mi faccio un giro qui intorno (che è già campagna) alla ricerca degli uccelli notturni e quando sento un richiamo strano, la attivo e subito mi dice di che si tratta, assiolo civetta o affini. Sono piccole gioie con qualche imprevisto. Ieri sera, ad esempio, stavo passeggiando e dietro una curva ho sentito un rumore strano, un richiamo sottile acuto ripetuto più volte, subito ho attivato la app e quella mi ha detto UMANO. Possibile?, mi sono chiesto. Sono andato avanti e indietro lì intorno per un bel po' cercando di capire che uccello fosse, poi ho visto due ragazzini venire fuori da dietro un muretto e lei mi ha guardato male, ma proprio male, quasi fossi un eterofobo.

mi sorprende

E soprattutto mi sorprende che ci sia ancora gente che dallo Strega, che è notoriamente un premio senza alcuna profondità se non nell'atto stesso di operare il miracolo di creare marketing intorno a un libro spesso di media qualità, quindi passando dal piano del pensiero critico a uno puramente ecclesiastico, si riescano ancora ad attingere degli argomenti di discussione culturale che vadano oltre il dogma che lo Strega è, persino quando sai che non è vero o dubiti, lo Strega è, come la Chiesa o Matrix. Veramente ha ragione Augias, allora, che chiunque se ha un minimo di testa può discutere di tutto, anche del sesso degli angeli se gli gira.

giovedì 2 luglio 2020

colonne

La madre delle Muse è la Memoria. Questa canzone in particolare è come un pozzo senza fondo pieno zeppo di riferimenti e di storie, da una parte recupera il più scanzonato "sing a song for me" di Mr Tambourine Man che era comunque una creatura ultraterrena, il Genio, e per altri versi fa il paio con Series of Dreams del 1989. Sogno e Memoria sono le due colonne di passaggio della creatività. 

un post di risposta a un post

Ieri ho letto un post di risposta a un post, entrambi di persone che girano intorno al mondo dell’editoria e come tutti quelli che girano intorno al mondo dell’editoria passano la loro vita a disquisire su come dovrebbe essere l’editoria senza ovviamente cambiare nulla, in cui nel primo post c’era questo noto profilo fake che parlava di come secondo lui/lei gli scrittori dovessero essere semplici e immediati per arrivare al pubblico perché dei lambiccati che ti fanno sentire scemo non sappiamo più che farcene – però era scritto appunto da un profilo fake che ha generato altri profili fake in risposta a quello, e lotte e bagarre al punto che ne è venuto fuori un gioco kafkiano stile Il terzo uomo che non ci si capisce più nulla per quanto è complicato il tutto, e tu che non capisci ti senti realmente scemo. E in risposta a quello c’era un noto scrittore che rispondeva che no, uno scrittore può e deve anche essere ricercato e non solo semplicistico perché il suo dovere è anche quello di dare al pubblico qualcosa in più – e a me, anche se è un fatto personale che forse non c’entra nulla con lo scrivere libri, veniva molto umanamente di rispondergli: ti ricordi quella volta (ovviamente no) che sono venuto alla tua presentazione ed ero l’unico spettatore in sala e nonostante questo mi sono pure comprato il tuo libro e l’ho letto e ti ho scritto poi per dirti cosa ne pensavo cioè che mi era piaciuto e tu nemmeno m’hai risposto, ma manco per dirmi un “grazie, ciao”? Sarà che come scrittore sarai pure elaborato ma puttana assassina un po’ più garbato potevi anche esserlo. E questo perché, come disse Roberto Bolaño in una intervista a chi gli chiedeva cosa dovesse essere soprattutto un scrittore, Bolaño rispondeva: una persona gradevole. Perché di persone sgradevoli è pieno il mondo e il genio non è una buona scusante per aggiungere merda all’altra merda.

mercoledì 1 luglio 2020

giuseppe girimonti greco, la grande beune

cultura dello stupro


"E poi non venite a dire che un clandestino vi ha violentate classiche ragazze pagate dalla sinistra..." scritto a due ragazze, di 18 e 22 anni, per aver mostrato dei cartelli civilissimi contro Salvini a Codogno. E non uno solo, ma 13.000 persone! 13.000 adulti contro 2 ragazzine. E se non è cultura dello stupro questa, io non so cosa sia.

paese che vai, cultura che trovi

“Lo sai, da noi qui i gatti non si mangiano! Qui da noi i gatti si tengono in casa, come se fossero figli nostri!”
Quanto mi sarebbe piaciuto sentire l'opinione di Beppe Bigazzi su questa frase.