Dubito che in paese qualcuno abbia visto un film bellissimo, uscito alcuni anni fa, chiamato Il vento fa il suo giro. Nel film, un francese che cerca una nuova casa e un nuovo stile di vita, decide di stabilirsi in un piccolo centro assai chiuso, di stampo contadino, dove all’inizio la comunità lo accoglie con sospetto e poi – non riuscendo né loro a rapportarsi con lui, né lui a rapportarsi con loro – finiscono per rivoltarglisi contro finché lui, offeso, decide di andar via. Il film diventa insomma una metafora dell’impossibilità di comunicare e di venire a patti fra due culture diverse, dove tanti punti di vista, spesso opposti ma non per forza sbagliati, finiscono per trasformarsi in una sorta di rifiuto testardo e spesso sgarbato che produce solo perdita, una grossa perdita per tutti. Io ho assistito fra ieri e oggi, nel mio paese, per due volte, a un copione assai simile, e ne ho provato una grande tristezza, un senso di sconfitta che mi tocca nella natura stessa del mio essere figlio di questa terra. A un certo punto, per un mio commento in difesa del personaggio francese di questo copione assai triste, sono stato rimproverato anche io dalla mia comunità di appartenenza, come se stessi venendo meno a un patto di lealtà verso di loro. Il che è davvero una stronzata, primo perché sarebbe bastato parlarsi un po’ più civilmente per sistemare le cose subito e senza ferirsi, e secondo per accorgersi di essere tutti quanti qui per un solo comune motivo: cioè per amore di questo piccolo pezzo di terra che non ci meritiamo.
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