domenica 31 gennaio 2016

illusioni poetiche

Che fine ha fatto Antonio Bassano, lo ricordo
l’ultima volta alla fiera del libro, nero nel suo
eskimo da guerra, nell’anonimato senza scampo
dei poeti. Andavamo in cerca di fortuna, e
trovavamo Angiuli, Alborghetti, Oldani, cui
confidavano i nostri primi balbettii. Mi scriveva poi
della raccolta che nasceva con fatica
dalle pieghe del lavoro, sempre puntuale alle dieci
e un quarto la sera, quando sedeva in cucina da solo
e rievocava fra le briciole di pane il profumo
inconfondibile del tempo e dell’onda di Hokusai.
Lo ricordo distrutto dall’amore, ormai perduto
nel silenzio della stanza, poeta di postumo
successo per un libro ormai dimenticato, quando
l’ultima parola è detta e non ancora pronunciata.
Me lo immagino, dopo il trasloco, preda dei suoi orari
e delle sue visioni senza sfogo, la corsa ogni mattina
al tram, il ticchettio dell’orologio, il piacere solitario
del silenzio fino a tarda notte, e poi l’osservazione
dei vicini, dal palazzo di fronte, per tornare a casa.

il meno peggio

Trovo sia scorretto, per difendere il diritto dei gay ad avere una famiglia, denigrare la famiglia tradizionale con esempi negativi, tipo famiglie di disadattati, delinquenti, tossici o stupratori che ogni giorno campeggiano in cronaca nera. Sono storie orribili ma sono sempre (si spera) l’eccezione. Io sono cresciuto in una bella famiglia, magari eccessivamente chiassosa ma presente, e vorrei che tutti potessero avere la stessa possibilità di crearsene una, proprio perché la famiglia è una forza positiva in quanto dentro c’è qualcuno con te (indipendentemente da chi è), e non perché il meno peggio che c’è.

E comunque, diciamoci la verità, se dopo che tutte le ricerche scientifiche del mondo hanno dimostrato che fumare fa venire il cancro, trovo sia molto più cretino chi non scende in piazza per togliere ai fumatori il diritto di rovinarsi la salute.

sabato 30 gennaio 2016

revenge!

Un live spettacolare registrato nel 1964, durante il tour europeo di Mingus, l'ultimo insieme all'immenso Eric Dolphy. Particolarmente consigliato il quarto pezzo, Fables of Faubus, commento satirico alle starnazzate populiste di un politico razzista. Riascoltarla oggi direi che ci sta proprio bene.

per fortuna

Che bello quando scrivi a un'autrice, con tutto il tatto possibile, che secondo te il suo libro non è adatto alla pubblicazione e lei ti risponde: "Per fortuna che poco dopo averlo spedito a voi ho firmato un contratto con un'altra casa editrice. Grazie lo stesso per averlo letto." Sono i momenti in cui sono contento di leggere i manoscritti in bagno.

venerdì 29 gennaio 2016

la seconda

Incredibilmente, negli ultimi due giorni due persone completamente diverse fra loro mi hanno detto che parlare con me è una cosa piacevole. Pensare che io, dal vivo, mi reputo una persona mediamente noiosa. Qui due sono le cose, o io mi sottovaluto, o sono talmente noioso che la gente quando parlo comincia a canticchiare dentro di sé come Homer Simpson, per salvarsi. Ma credo più la seconda.

mercoledì 27 gennaio 2016

la cultura di chi?

Ho visto adesso adesso la notizia della copertura dei nudi capitolini per il passaggio di Rohani. Si parla di cultura negata e di orgoglio ferito, ma in tutta onestà mi viene da chiedermi: quale orgoglio per quale cultura? Gli italiani sono per loro stessa ammissione degli ignoranti senza pudore (gente che ti dice, candidamente: "non lo so, ma tanto non è grave", oppure: "non lo so, forse è grave, ma dai non sono io il problema", e tira dritto). Non bastano cinquant'anni di abusi edilizi a dimostrarlo? Non le risatine ironiche quando parli di poesia nella terra di Dante? Ma Dante lo sanno tutti che è il più grande di tutti, perché gliel'ha spiegato Benigni... Per qualcuno la parola "cultura" è appunto solo una parola che serve a tirarsela, ma poi gli chiedi di scegliere fra una mostra d'arte e una gara di rutti per passare la serata, e vedrai che molti preferiranno la gara di rutti, perché la cultura sì è importante, ma insomma la vita è una sola. Quindi di che stiamo parlando? Di quale particolare orgoglio? E per difendere cosa? L'identità culturale di chi? Dei ruttofili? Preferisco difendere Rohani a questo punto, almeno lui a quelle statue dà un valore, magari negativo, ma almeno lui le considera. Le vede.

domenica 24 gennaio 2016

consapevolezza

Quando Phil Ochs incise Jim Dean of Indiana, bellissimo pezzo pubblicato sul suo ultimo album di studio, ironicamente chiamato Greatest Hits (dopo una breve carriera piena di belle canzoni e di rivoluzione, ma funestata dai tanti insuccessi commerciali e dalla depressione) stava già pensando al proprio epitaffio. Sarebbe morto solo sei anni dopo, impiccandosi in casa, dimenticato dai più e ormai ridotto al fantasma di se stesso. Per un certo periodo era stato rivale e amico di Bob Dylan, e a pensarci bene è il destino che capita a moltissimi artisti: pochi ce la fanno, altri per quanto bravi verranno dimenticati dai più, saranno ricordati da sempre troppo poche persone. Delle volte lo ascolto e ho la consapevolezza di condividere con lui l’identico destino, di essere anche io un poeta minore del mio tempo.

cos’è la violenza nell’arte?

Stamattina, per caso, mi è capitato di rileggere la polemica venuta fuori un paio di anni fa intorno alla scena del burro in Ultimo tango a Parigi, quando cioè Bertolucci ammise, con titubanza, che la scena non fu concordata con la Schneider in modo da avere da lei una reazione più forte e veritiera. La stessa Schneider, che all’epoca aveva vent’anni, condannò sempre questo abuso del regista come una violenza vera è propria, che ebbe ripercussioni poi sul suo equilibrio psichico. Mi hanno stupito gli articoli di giornalisti esperti e spesso preparati, che alla luce di questa ammissione, hanno definito Bertolucci un regista mediocre che si è costruito una carriera su quella scena peraltro inutile all’equilibrio di un film bellino ma solo quello (scena che dunque ha per loro, nel suo significato, un valore più grande di pellicole come Novecento o Il conformista, che immagino non abbiano mai visto) e per cui la violenza in nome dell’arte è sempre sbagliata. E qui, ma sarebbe un discorso troppo lungo, ci sarebbe da chiedersi cosa è da considerarsi violenza e cosa no nell’universo artistico, e quali filtri adottare per discernere. Eppure, mentre leggevo tutti questi articoli perbenisti, provavo una sensazione di disagio, come se vi aleggiasse un alone di sottile ipocrisia, di perbenismo che non ha poi riscontri nella vita di tutti i giorni. Così, per curiosità, mi sono rivisto quella scena che sinceramente non ricordavo più, la scena di uno stupro, in cui un uomo che comincia a invecchiare ma ancora attraente costringe una giovane donna a un rapporto anale, involgarito dall’uso del burro, riducendola in lacrime e forzandola a ripetere con lui: «Voglio farti un discorso sulla famiglia: quella santa istituzione inventata per educare i selvaggi alla virtù... E adesso ripeti insieme a me... ripeti: santa famiglia, sacrario dei buoni cittadini, dove i bambini sono torturati finché non dicono la prima bugia, dove la volontà è spezzata dalla repressione, la libertà è assassinata dall’egoismo...» e mi sono chiesto se avesse ancora qualcosa da dirmi, in tutta la sua inutilità, su me stesso e sulla mia realtà di oggi. E ho pensato che se ci riesce allora è arte, e la violenza forse ha uno scopo. Se non mi racconta nulla, allora no, la violenza è gratuita.

sabato 23 gennaio 2016

dialogo fra sordi

Incontro A. autrice di belle speranze ma scarsa fortuna, che mi dice di seguire già da un po’ il mio lavoro, che lo trova interessante, coraggioso, e mi rispetta molto come editore. 
La ringrazio e le dico, in piena sincerità, che ho letto la sua proposta, che ci ho trovato alcuni spunti iniziali ma che si perdono tutti da metà in poi, e di non trovarla quindi adatta alla pubblicazione. 
Mi risponde che sa di non essere perfetta ma che crede molto nel suo lavoro e se anche io faccio il mio editing sistemeremo le cose che non vanno ed è sicura che può venirne fuori un gran libro che venderà tantissimo. 
Le dico che per vendere ci vuole assai più della fede, ma va bene, io le faccio l’editing a patto che si metta sotto e riscriva metà del libro. 
Mi dice che no non crede ci sia bisogno di arrivare a tanto, che c’è qualche difetto da sistemare ma che di sicuro esagero, lei crede molto nel suo lavoro così com'è, e quindi basterà lavorare un po’ sui particolari per sistemare tutto. 
Va bene, le rispondo, allora visto che credi così tanto nel tuo lavoro ma non così tanto nel mio editing, sono sicuro che sarai disposta a investirci del tuo per coprire le spese di stampa. 
Mi risponde che non sono serio come editore se le chiedo di metterci i soldi, che un editore serio investe sempre lui e solo lui nei libri che pubblica, non specula sull’autore. L’autore ci mette il libro, l’editore lo vende, si fanno i soldi, e tutti sono felici. 
Va bene, le dico, hai ragione, allora io investo sul tuo libro e lo vendo, ma tu ne riscrivi la metà che non mi convince e che, così com’è, non riuscirei a vendere senza mentire. 
Assolutamente no, mi dice, è dispiaciuta ma non può venire meno alla sua integrità artistica. 
Le dico che, con queste premesse di sfiducia reciproca, non sono interessato alla pubblicazione. 
Ci salutiamo. 
E più tardi scrive un post in internet, assai commosso e altrettanto commentato, sul fatto che ha incontrato l’ennesimo piccolo editore che ha provato a truffarla, spillandole denaro per il suo lavoro incompreso che nessuno, nel mondo assai marcio dell’editoria odierna, le vuole ancora pubblicare. Chissà perché.

venerdì 22 gennaio 2016

pensiero di mezzanotte sulle tette

Certe volte, quando leggo commenti come quelli che hanno scritto sulle ragazze che si sono fatte i selfie col nome dell'università sulle tette, ringrazio di non essere nato donna, per non cadere come loro nel peccato di essere donne, perché le donne intelligenti si sa non mostrano le tette, studiano, e il corpo non ce l’hanno proprio, e se ce l’hanno non lo fanno vedere a tutti, ancora meno se per fare della stupida goliardia. Ma poi mi dico, in un paese libero saranno pure cazzi loro se mostrano o meno il corpo, è il loro corpo alla fine, cioè il corpo delle singole ragazze, non il corpo di tutti (anche se a molti piacerebbe averlo). Tu mi dirai: ma ci mettono in mezzo anche il nome dell’università, lo infangano. Ma con quello che spendono in tasse universitarie, avranno anche diritto di metterselo dove gli pare il nome dell’università, è un diritto che si sono comprate come tutti gli altri. (Scrivo questo mentre ascolto Renzi in tv che parla di lavoro, scuola, di Europa e di banche, ma davvero preferirei evitarlo, e allora scrivo di tette perché le tette non fanno male a nessuno).

martedì 19 gennaio 2016

lenka

Lenka mi confondo è il nome
del cane mandato nello spazio
e del tuo gatto un po’ bagascia
un po’ topastro d’appartamento.
È Laika mi correggi il cane
mandato a morire nello spazio
in nome della scienza. Lenka
è come il nostro amore dorme
in cima alla libreria e vola oltre
la stratosfera quand’è sedotta
dal tuo intelletto (quando non fai
lo scemo). Proprio come fa Honza
in umide poesie per ribadire
che il sesso migliore lo fai con le
parole. La conosci?

lunedì 18 gennaio 2016

la straniera

L’amore mio non chiede una poesia.
Mi scrive lettere da una terra straniera
umiliata da un cappotto italiano
e da una fame d’affetto inguaribile.
Arrossisce per niente se le chiedo di
tradurre da una lingua che mi schiuda
il suo mondo. È slava mi risponde e non
romanza negando una voce comune alle nostre
urgenze. Eppure aggiunge abbiamo
qualcosa ed elenca una gatta e poche
parole volgari che usiamo nel buio.
Abbiamo ripete con orgoglio abbiamo
una poesia mai scritta in qualche luogo
e un’alleanza senza storia né amicizia
dove siamo ancora questo: due suoni
incomprensibili nel buio di chi scava
nel sesso due vuoti lontanissimi eppure
due speranze che sono più di una.

sabato 16 gennaio 2016

pena

Stamattina mi è tornata in mente una serata di circa un anno fa, in cui organizzamo un reading di poesie + cena, con letture di testi di tutti i nostri autori, di Ennio Flaiano e stralci della vita di Monk, e avevo alle mie spalle un ragazzo che, per tutto il tempo, ha emesso sospiri di vera sofferenza, e diceva "o mio dio è poesia, è una serata di poesia, mio dio" boccheggiando nervoso per farsi sentire dai suoi compagni di tavolo, come un bambino che voglia punirli per essere stato portato lì con l'inganno. A recitare i nostri testi era un attore televisivo e magari loro si aspettavano altro, ma adesso si trovavano a una serata di poesie, e non potevano scappare, avendo già pagato la cena. Insomma, alla fine una sua compagna si è presa la briga di fare la matura, e lo ha zittito perché cominciava a dar fastidio a tutti. Eppure ho avuto pena per lui, mi sono immaginato che deve aver avuto qualche trauma infantile, tipo che il maestro l'avesse punito per aver balbettato una volta di troppo sul Passero solitario o su Rio Bo, oppure che si è incartato sulla poesia per la festa del papà e dopo non gli hanno dato la fetta di dolce. Son cose, queste, che ti segnano dentro per sempre.

menage a trois

Prima parlavo con una scrittrice e mi diceva che un editor è un po' come l'intruso in una coppia, perché entra nella vita del libro quando non è ancora un libro ma un manoscritto, cioè quel particolare rapporto che si crea fra lo scrittore e un ipotetico tu che il più delle volte è lo scrittore stesso, mentre scrive la sua storia. Poi arriva questo intruso, che è l'editor, cioè un altro e non un tu, e se l'intruso è abbastanza bravo il manoscritto scopre cose nuove di , cambia, e chiede qualcosa di più di quello che può dargli lo scrittore, così diventa un libro, lo lascia e se ne va.

venerdì 15 gennaio 2016

stupore

Mi sono letto la notizia su alcune testate, e devo dire che fra l'americana uccisa a Firenze e il senegalese che pare sia stato riconosciuto come suo assassino, quelli che fanno la figura peggiore sono gli italiani che hanno commentato la notizia, con la solita pletora di insulti gratuiti, sessisti, machisti, bigotti e razzisti, e, peggio ancora, da sottuttoio. Italiani brava gente, fino in fondo. Incredibile che riescano ancora a stupirmi.

il franco attore

La morte non ci disinganni.
Il buio ci chiude esattamente
qui come altrove. Fingere
che il guanto rivoltato non mostra identico
la stessa pelle la stessa faccia il ghigno
la stessa precisione chirurgica
del macellaio
che qui definiamo necessaria.

martedì 12 gennaio 2016

profondità

Leggendo un commento di Vincenzo Ostuni che si lamentava che negli stessi giorni di Bowie è morto anche Pierre Boulez, ma tutti pensano a Bowie che secondo lui è un musicista infinitamente inferiore, mi è venuto da pensare che in effetti il problema non è che è morto Bowie o che sia stato migliore o peggiore di Boulez, il problema è che negli stessi giorni di Bowie sono morti anche Pierre Boulez e Paul Bley e molti non lo sanno né lo sapranno mai, né gli importerà di saperlo, e si accontenterranno di uno quando potrebbero averne tre. E quei molti non si accorgono che solo per questo sono un pochino più poveri, come una persona che è cieca da un occhio, potrà sempre godersi il tramonto nei suoi colori e commuoversi, ma si perderà la profondità del cielo. 

i funerali al tempo dei social

Ieri ho visto tanta gente che presa dalla commozione per la morte di Bowie ha cominciato a pubblicare molti messaggi o brani celebri in internet. Molti erano pensieri sentiti, altri scomposti, ma credo che funzioni così quando avverti che è venuto meno un pezzetto della tua storia culturale, e scrivi qualcosa più per te stesso che per gli altri, una sorta di elaborazione del lutto a livelli basilari. Qualcuno ha insinuato che ci fosse una ipocrisia di fondo in tali messaggi, del tipo “manco sapete chi è Bowie, e adesso fate gli addolorati” ma sapere tutto del defunto non conta nulla in questo genere di cose, non è un padre uno zio o uno di famiglia, uno non piange Bowie in quanto persona, lo piange in relazione a se stesso e ai propri ricordi legati alla sua musica. Se ieri fosse morto Beethoven invece di Bowie, sarebbe cambiato qualcosa? Non credo. Tutti avrebbero postato il coro del quarto movimento della nona (reso celebre da L’attimo fuggente), o le note introduttive della quinta, Per Elisa o la Sonata al chiaro di luna. Altri si sono lamentati per tali eccessi, giudicandoli di cattivo gusto, dei fenomeni formali tipici dei social. Il punto è che i social, in tutta la loro virtualità, sono una realtà che sta sviluppando nuovi codici relazionali, ancora amorfi ma già caratteristici, e credo sbagli chi pensi il contrario, sottovalutandoli. E quello di ieri mi è sembrato, pur in tanta commossa esagerazione (ma attenzione: su scala mondiale!), molto interessante come fenomeno, perché a pensarci bene queste sono le prime veglie funebri ai tempi dei social, e quindi c'è proprio una mancanza di limiti, codici e pudori data dalla mancanza di prossimità al soggetto che si piange, per cui prima era richiesto un diverso approccio. Non è nemmeno detto che questo fenomeno sia più kitsch di altri: forse che in alcune zone del Sud, ad esempio, fino alla metà del secolo scorso, non c’erano donne che venivano pagate per addolorarsi e piangere e lamentarsi a viva voce dietro la bara portata al cimitero? Era forse un comportamento sbagliato? No, era tipico di quella cultura. Estinta la cultura, si modifica il comportamento. E così, chi ieri si lamentava dei “piangenti”, lo faceva in base ai propri criteri di giudizio che spesso sono costruiti su vecchi codici comportamentali novecenteschi che non comprendono i social, per cui ne sentono il disagio. Ma chi dice che siano i criteri più giusti nella nuova realtà dei social che si sta costruendo?

lunedì 11 gennaio 2016

stella nera/ buco nero

Devo essere sincero, nell'ultima settimana mi sono successe queste due cose a loro modo traumatiche: 1) mi hanno inserito su Fb in un gruppo segreto del mio vecchio liceo attraverso cui mi bombardano quotidianamente di vecchie foto dei primi anni '90 con dentro persone di cui non mi ricordo più nemmeno il nome ma che continuano a scrivere che quelli sono stati i migliori anni della loro vita (e non riesco a immaginare cosa deve essere stata la loro vita nei vent'anni successivi per dire una cosa così assurda) e 2) è morto David Bowie che proprio in quegli anni ho cominciato ad ascoltare (lui e Lou Reed) e da allora, fra alti e bassi, non ho più smesso. E devo dire che, se dovessi indicare qual è l'evento più traumatico dei due, direi che è l'inserimento nel gruppo segreto, mi mette un disagio addosso che Bowie manco per sogno ci è mai riuscito. Con la differenza che Bowie, morto, ha ancora tempo per rimediare, ha tutta la mia vita che si aggiunge alla sua per continuare a lanciarmi messaggi dalla stella nera che si è scelto come casa (quasi fosse un Piccolo principe versione dark); il gruppo del liceo, anche continuando a postare foto di jeans a vita alta e belle frasi un po' melense, è qualcosa di talmente perduto e lontano nello spazio/tempo che può solo finire com'è cominciato, in un buco nero della memoria.

nel silenzio

Posso dire, con una nota autobiografica che non c’entra nulla con quanto segue, che sapere che David Bowie è morto mentre sei in fila dal fisioterapista e hai di fronte una ragazza russa che ti insegna a dire acqua nella sua lingua (вода) ha un che di surreale. Soprattutto se pensi che appena due giorni fa è uscito il suo ultimo disco, Blackstar, a detta di molti un capolavoro, e che adesso prende il sapore del testamento. Si vede che, sapendo di morire, ci ha messo qualcosa in più, un alito di vita in più. Ancora incredulo sono andato a controllare. A parte le notizie sulle varie testate, c’era già, come una lapide sulla sua storia, o un punto, la data di morte su Wikipedia. Io, stupido, mi sono chiesto chi sarà stato, chi è che mette le date di morte su Wikipedia? Chi è stato a chiudere il file? Tempo fa ho letto in un testo critico che il periodo artistico più rilevante di Bowie coincide con l’internamento in manicomio di suo fratello Terry, per cui Bowie scrisse la sua canzone che preferisco, The Bewlay Brothers. Quando Terry peggiorò e poi morì, a metà anni ’80, Bowie perse molti stimoli e la voglia di fare arte, e nascose se stesso dietro un muro di musica commerciale, spesso squallido ma non abbastanza da scalfire la sua aura di artista, com’è successo ad altri reduci del rock degli anni ’60 e ‘70. Un bel ritratto di lui e di come veniva percepito all’apice del suo talento e poi subito dopo la caduta, lo ha dato Todd Haynes in Velvet Goldmine, film che racconta (anche) la magia di un periodo e di un genere, il glam rock, senza metterci dentro un solo brano di Bowie, che negò il suo permesso a usarli. Eppure, anche se non si sente mai la sua voce, il film lo racconta ancora meglio di quanto fece L’uomo che cadde sulla terra, di Nicolas Roeg, a cui partecipò con vero sentimento lo stesso Bowie in qualità di protagonista. Credo anzi che sia stato proprio questo il segreto di molta sua arte, appreso dalle lezioni del primo Bob Dylan e di Lindsay Kemp, ovvero la capacità di alimentare il proprio mistero, l’arte della sottrazione per cui quello che conta, il messaggio, spesso perturbante, non è in ciò che dici, ma all’opposto in ciò che taci, in ciò che sta nascosto nel silenzio.

domenica 10 gennaio 2016

inceppo

Volevo scrivere una poesia con dentro la parola raspone, ma porca miseria se mi inceppo ogni volta sul più bello...

mentre il vento fa il solletico ai sogni

Quando Claudio Lolli cita i suoi punti di riferimento musicali in genere indica sempre i Beatles, Francesco Guccini e Piero Ciampi. Molti poi lo accostano, nel suo primo periodo, a Bob Dylan (in Italia basta che suoni la chitarra acustica e ti dicono che sei come Dylan). In realtà il primo Lolli ha più debiti verso Leonard Cohen che non verso Dylan, e nella sua particolare e bellissima “trilogia elettrica” (Ho visto anche degli zingari felici - Disoccupate le strade dei sogni - Extranei) il riferimento fortissimo è Neil Young, particolarmente quello di Zuma e American Stars ‘n’ Bars. Un altro punto fisso di quel periodo, mai ricordato adeguatamente (ed è strano vista la comune origine bolognese) è Lucio Dalla, in particolare il Lucio Dalla assai sperimentale dei dischi scritti con Roberto Roversi. Forse il brano in cui è più evidente questa influenza è I giornali di marzo, il cui titolo pare una evidente parodia della più famosa I giardini di marzo di Battisti, con un testo di forte impronta politica che è in realtà il cut up di vari titoli di giornale riguardanti i violenti scontri di piazza avvenuti a Bologna l’11 marzo 1977, e con un arrangiamento e un cantato che sono praticamente modellati su quelli di Dalla.

venerdì 8 gennaio 2016

lamentazione inutile

Pensavo che ho scritto una raccolta di poesie belle, civili, incazzate, una cosa seria, che ho messo insieme in cinque anni di lavoro e in cui mi prendevo addirittura la briga di insultare Renzi insieme a tutta la Democrazia Partitica senza peli sulla lingua. Titolo della raccolta: Bestiario Fiorito. Pensavo che ho addirittura trovato un artista serio, incazzato, che mi presta una sua opera per la copertina. Pensavo che mi sono detto un po' di tempo fa: "stavolta faccio le cose per bene, provo a mettermi in gioco, così invece che pubblicarmela io la raccolta, la invio a qualcha altra casa editrice", e proprio per mettermi in gioco ho cominciato da case editrici più grandi, dove non conoscevo assolutamente nessuno, per vedere come andava. Ho mandato la raccolta a una quindicina di case editrici. Pensavo di avere un curriculum che un minimo potesse garantire sulla qualità del mio lavoro. Sono passati cinque mesi. Non mi ha ancora risposto nessuno, nemmeno per dirmi lascia perdere, sei querelabile. Penso che comincerò a perdere le speranze.

martedì 5 gennaio 2016

quasi 40

Quando avevo 20 anni mi dicevo che non sarei arrivato vivo ai 30. Adesso che mi avvio ai 40, mi auguro di raddoppiare la posta in gioco, e arrivare fino agli 80 con la stessa energia sessuale di Ungaretti, l'arguzia di Caproni, la libertà di spirito di Brodskij e l'espressione da eterno paraculo di Woody Allen.

lunedì 4 gennaio 2016

malanno

Quando tirava dal naso
tirava come i bambocci
che gli usciva il fiato
dagli orecchi: cercava il moccio d’oro
per ripulirsi meglio dagli attacchi
del malanno. Ormai
ridotto a un otre vuoto
risuonava secco accompagnato
dai bisbigli di sua madre
che al telefono
faceva la conta dei morti di quell’anno.

venerdì 1 gennaio 2016

una donna

C’è una donna. Mi consiglia caldamente di vedere un film, The Lobster. Dice che è il futuro che mi aspetta, o che perlomeno dovrebbe aspettarmi per le mie scelte di vita insulse, piene di poesie ma prive di pratica. Il film, ambientato nel futuro, descrive un mondo dove i single, a una certa età, vengono arrestati, chiusi in un hotel e costretti a trovarsi un partner nell’arco di quarantacinque giorni, dopodiché, se non ci riescono, verranno trasformati in animali a loro scelta e abbandonati nella foresta. Io l’animale ce l’ho già, le dico, è l’orso. Lei mi guarda male e mi gira le spalle offesa.

[Liberamente ispirato al lavoro di Mimmo Pastore ispirato dall'opera di Peter Esterhazy]