Stamattina, per caso, mi è capitato di rileggere la polemica venuta fuori un paio di anni fa intorno alla scena del burro in Ultimo tango a Parigi, quando cioè Bertolucci ammise, con titubanza, che la scena non fu concordata con la Schneider in modo da avere da lei una reazione più forte e veritiera. La stessa Schneider, che all’epoca aveva vent’anni, condannò sempre questo abuso del regista come una violenza vera è propria, che ebbe ripercussioni poi sul suo equilibrio psichico. Mi hanno stupito gli articoli di giornalisti esperti e spesso preparati, che alla luce di questa ammissione, hanno definito Bertolucci un regista mediocre che si è costruito una carriera su quella scena peraltro inutile all’equilibrio di un film bellino ma solo quello (scena che dunque ha per loro, nel suo significato, un valore più grande di pellicole come Novecento o Il conformista, che immagino non abbiano mai visto) e per cui la violenza in nome dell’arte è sempre sbagliata. E qui, ma sarebbe un discorso troppo lungo, ci sarebbe da chiedersi cosa è da considerarsi violenza e cosa no nell’universo artistico, e quali filtri adottare per discernere. Eppure, mentre leggevo tutti questi articoli perbenisti, provavo una sensazione di disagio, come se vi aleggiasse un alone di sottile ipocrisia, di perbenismo che non ha poi riscontri nella vita di tutti i giorni. Così, per curiosità, mi sono rivisto quella scena che sinceramente non ricordavo più, la scena di uno stupro, in cui un uomo che comincia a invecchiare ma ancora attraente costringe una giovane donna a un rapporto anale, involgarito dall’uso del burro, riducendola in lacrime e forzandola a ripetere con lui: «Voglio farti un discorso sulla famiglia: quella santa istituzione inventata per educare i selvaggi alla virtù... E adesso ripeti insieme a me... ripeti: santa famiglia, sacrario dei buoni cittadini, dove i bambini sono torturati finché non dicono la prima bugia, dove la volontà è spezzata dalla repressione, la libertà è assassinata dall’egoismo...» e mi sono chiesto se avesse ancora qualcosa da dirmi, in tutta la sua inutilità, su me stesso e sulla mia realtà di oggi. E ho pensato che se ci riesce allora è arte, e la violenza forse ha uno scopo. Se non mi racconta nulla, allora no, la violenza è gratuita.
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