Ieri ho visto tanta gente che presa dalla commozione per la morte di Bowie ha cominciato a pubblicare molti messaggi o brani celebri in internet. Molti erano pensieri sentiti, altri scomposti, ma credo che funzioni così quando avverti che è venuto meno un pezzetto della tua storia culturale, e scrivi qualcosa più per te stesso che per gli altri, una sorta di elaborazione del lutto a livelli basilari. Qualcuno ha insinuato che ci fosse una ipocrisia di fondo in tali messaggi, del tipo “manco sapete chi è Bowie, e adesso fate gli addolorati” ma sapere tutto del defunto non conta nulla in questo genere di cose, non è un padre uno zio o uno di famiglia, uno non piange Bowie in quanto persona, lo piange in relazione a se stesso e ai propri ricordi legati alla sua musica. Se ieri fosse morto Beethoven invece di Bowie, sarebbe cambiato qualcosa? Non credo. Tutti avrebbero postato il coro del quarto movimento della nona (reso celebre da L’attimo fuggente), o le note introduttive della quinta, Per Elisa o la Sonata al chiaro di luna. Altri si sono lamentati per tali eccessi, giudicandoli di cattivo gusto, dei fenomeni formali tipici dei social. Il punto è che i social, in tutta la loro virtualità, sono una realtà che sta sviluppando nuovi codici relazionali, ancora amorfi ma già caratteristici, e credo sbagli chi pensi il contrario, sottovalutandoli. E quello di ieri mi è sembrato, pur in tanta commossa esagerazione (ma attenzione: su scala mondiale!), molto interessante come fenomeno, perché a pensarci bene queste sono le prime veglie funebri ai tempi dei social, e quindi c'è proprio una mancanza di limiti, codici e pudori data dalla mancanza di prossimità al soggetto che si piange, per cui prima era richiesto un diverso approccio. Non è nemmeno detto che questo fenomeno sia più kitsch di altri: forse che in alcune zone del Sud, ad esempio, fino alla metà del secolo scorso, non c’erano donne che venivano pagate per addolorarsi e piangere e lamentarsi a viva voce dietro la bara portata al cimitero? Era forse un comportamento sbagliato? No, era tipico di quella cultura. Estinta la cultura, si modifica il comportamento. E così, chi ieri si lamentava dei “piangenti”, lo faceva in base ai propri criteri di giudizio che spesso sono costruiti su vecchi codici comportamentali novecenteschi che non comprendono i social, per cui ne sentono il disagio. Ma chi dice che siano i criteri più giusti nella nuova realtà dei social che si sta costruendo?
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