lunedì 30 novembre 2020

vincenzo

Ieri a Taranto è morto un bambino, Vincenzo, 10 anni, tumore alle ossa. L’anno passato sempre nel tarantino è morto un altro ragazzo di nome Vincenzo, 19 anni, leucemia. Siamo pieni di Vincenzo qui. Come nella canzone di Jannacci, Vincenzina è la fabbrica. Lo potremmo cantare a fil di labbra, non c’è altro che fabbrica. Siamo fregati allo stesso modo. Da una parte abbiamo il Covid che – dicono – uccide gli anziani, dall’altra abbiamo l’ex Ilva che ammazza i bambini. Pare non esserci una via d’uscita. Con la differenza che per il Covid hanno chiuso l’Italia, per l’ex Ilva le stesse persone e quelle prima di loro e quelle che verranno, non hanno ancora fatto nulla. Nulla, nessuno, in nessun luogo mai.

domenica 29 novembre 2020

nemici

Leggo con grande interesse una intervista a Nicola Crocetti sulla Lettura del Corriere del 15 novembre scorso, che mi ha consigliato Angela, in cui Crocetti spazia su vari campi della poesia. Dalla sua utilità pratica di serbatoio a cui attingere e in cui salvaguardare lemmi, idiomi, espressioni, proverbi e canti popolari che altrimenti verrebbero letteralmente cancellati dalla globalizzazione (questo la poesia lo ha sempre fatto); al gran numero di persone che oggi scrivono e inviano alle redazioni, un dato che anche lui legge in chiave positiva perché, al di là dell’educazione al verso, significa che c’è vivo interesse per tale linguaggio; ma interesse che cozza contro il totale disinteresse delle istituzioni e di un mecenatismo colto (nel paese di Olivetti). Ma pure leggo questo passaggio che è rivelatore: «CROCETTI: Io ho 80 anni e ho tradotto più di 100 mila versi dal greco, ho pubblicato 3.300 poeti e più di 60 mila poesie da 38 lingue. Un risultato che oggi mi riempie di soddisfazione ma che mi ha anche portato 70 mila nemici. INTERVISTATORE: E chi sono i 70 mila nemici di Nicola Crocetti? CROCETTI: Gli autori di tutti i manoscritti che ho rifiutato». Quindi, mi dico, non sono il solo ad avvertire quest’aura di negatività, di malevolenza e intrighi, per cui se non assecondi determinati meccanismi, certi scambi di favore, sei soggetto all’astio e all’esclusione. Ma non è tremendo e assurdo tutto questo guerreggiare fra poveri che si sbranano in nome della poesia? Eppure, prendo a prestito un libro che sto leggendo in questi giorni, “Jisei, Poesie dell’addio” curato da Ornella Civardi per SE, ovvero poesie scritte in punto di morte, e considero che la maggior parte di questi testi così effimeri e delicati, fiori leggerissimi tesi verso il nulla, sono scritti da soldati: gente d’armi avvezza al sangue alla violenza e sul punto di cadere sotto la lama nemica, che ha vissuto in epoche di grande precarietà e incertezza, dove le uniche regole sono state la fame e l’affermazione personale. Un mondo fatto di lupi. Forse la chiave di tanto splendore, mi dico, e il continuo bilico, la tensione verso l’abisso, l’estrema pulsione negativa che viene disinnescata nei versi, e che altrimenti si esprimerebbe nel suicidio, o nella violenza (anche masochistica) e nell’omicidio, perpetrati in vista di un potere più o meno fugace, ma che soddisfi quel vuoto. Probabilmente è vero che i poeti migliori sono anche, fondamentalmente, degli stronzi.

sabato 28 novembre 2020

saluto

Persone che vanno in giro con la mascherina al collo e quando le incroci se la tirano sul viso in segno di rispetto. Mi sono immaginato che fra cinquant'anni, quando si indosserà per convenzione, questo diventerà un gesto rituale di saluto come ai tempi di mio nonno ci si toglieva il cappello.

giovedì 26 novembre 2020

semplificare

Ragazzi che mi scrivono che gli ultimi libri che ho pubblicato sono scritti in maniera difficile. Facilissimi non sono, è vero, nel senso che come qualsiasi libro richiedono attenzione. Il punto è che a dirlo sono dei laureati, in alcuni casi dei giovani professionisti. Io non ci voglio credere che un laureato se la fa addosso per dei libriccini in versi da 80 pagine, preferisco pensare che sia solo pigrizia; e ho capito che sono densi, ma se davvero vi perdete d'animo per quelli qualcosa nella vostra istruzione non ha funzionato. Ancora una cosa: anche io attribuisco un valore alla comunicabilità dell'opera, però credo anche che ogni opera ha un suo proprio linguaggio, che alcune ti richiedono uno sforzo in più o addirittura di lottare corpo a corpo con loro. A volte è frustrante, specie quando perdi (a me capita di continuo), ma fa parte della regola del gioco. Ma lamentarsi e presumere che tutto si possa semplificare o abbassare a comando, a un tono medio caldo e confortevole che non richiede alcuno sforzo, alcuna immersione sia pure una immersione nel dizionario, significa ammettere che per noi la Letteratura non ha senso, che basta limitarsi alla sinossi per sapere come va a finire la storia. Io questo, da gente che mi parla di libri e di scrittura, non lo accetto. Tanto varrebbe limitarsi alle fiction Rai.

domenica 22 novembre 2020

miseria e nobiltà

Ho molto sperato in questa seconda metà dell’anno, e spero ancora in un colpo di fortuna nell’ultimo mese (ormai, in silenzio, mi sono ridotto a sperare nella fortuna, perché so già che dall’impegno non verrà un bel niente), ma per come si sono messe le cose questo sarà il mio primo anno da editore che chiuderò più povero di come l’ho cominciato. Non ho problemi ad ammetterlo e non sono nemmeno troppo depresso, in realtà; un po’ è stata sfiga, un po’ stanchezza di rincorrere le persone, un po’ me la sono cercata: potevo pubblicare 30 libri e ne ho pubblicati solamente 3. Però, se dopo sette anni di lavoro, basta un solo anno in negativo per mettermi in difficoltà, allora comincio a chiedermi che cosa ho costruito finora, e come, e per chi. Non si può capire, senza viverla, quanto sia tossica e stressante la mancanza di empatia di molti autori, la loro ipersensibilità senza sconti, la loro incapacità di confrontarsi col momento storico, il loro bisogno di rifugiarsi nella scrittura che poi esplode in un assedio senza tregua: Allora mi hai letto? Quando mi pubblichi? Ce la facciamo per Natale? Ma più di tutto mi infastidisce l’ipocrisia di chi ostenta un successo che non c’è, di chi applaude deliziato anche se magari non ha contribuito minimamente a quel successo, il leccaculismo di chi non compra mai un libro, ma continua a ripetere che tutto va bene anche se va male, che tutto è splendido e meraviglioso, che noi (noi) dobbiamo andare avanti a testa alta e sorridere, sorridere sempre, perché noi (noi) sì che stiamo facendo arte, Letteratura. Noi splendidi e con le pezze al culo. La storia della letteratura è piena di morti di fame che piangono miseria per arrivare a fine mese o che, come Dostoevskij, si prostituiscono editorialmente per pagare i debiti. E tutta questa miseria, credo, non ha una briciola di nobiltà, onestamente non mi fa nemmeno ridere.

martedì 17 novembre 2020

ma come si chiama?

La notte scorsa ho sognato che morivo e che al mio funerale nessuno si ricordava il mio nome. La gente veniva per dare le condoglianze alla mia famiglia e nessuno sapeva come mi chiamavo. Continuavano a indicarmi con le facce rattristate e a dire poverino, era così giovane, ma che peccato, com'è successo? Le solite frasi che si buttano lì per riempire il vuoto. Ma come si chiama? Pure sul manifesto sbagliavano il nome, ma la colpa era mia che ho il nome lungo. Il carro funebre passava senza banda, e la gente si fermava sulle porte a guardare. Ah vedi, è morto quello. Chi? Quello, quello lì. Quello che è morto ieri. Che te ne frega.

giovedì 12 novembre 2020

l'artista

Mi chiama una donna. Non si presenta. Mi dice: Cioè io sono un’artista, ho anche fondato un movimento spirituale, cioè ho anche scritto un libro di barzellette, ma cioè non riesco a trovare un editore, cioè mi cercano tutti i soldi, cioè tu come fai? – Signora dipende, che intende come faccio? – Cioè mi cerchi soldi anche tu? Oppure mi dai il 7% sui diritti? Cioè secondo me così è uno sfruttamento, cioè se io sono un’artista e tu sei un editore, sei tu quello che fa i soldi, o no? E allora tu mi pubblichi e facciamo 50 e 50, cioè così è giusto, cioè la poesia è un dono, a me mi esce dallo spirito. Se no tu a che cosa servi? – E non lo so signora, è lei che mi ha chiamato… – Oh, oh! Chiude.

mercoledì 11 novembre 2020

il riccio

Stasera, appena fatto buio, ho scoperto che c'è un nuovo ospite in giardino. È un piccolo riccio rossastro che si è rifugiato qui e adesso si sta mangiando un piattino di pasta. Qui intorno è ancora campagna, e così ogni tanto se ne ferma qualcuno prima di riprendere i suoi giri. Così, visto che è arrivato oggi, ho pensato di chiamarlo Carlo. Ieri, leggendo i tanti post che gli hanno dedicato, ho visto che molti lo descrivevano come una persona discreta. Forse perché non alzava la voce ed era capace di grandi silenzi. Ma io personalmente ho un’altra esperienza di lui, di uno che coltivasse l’apertura. La prima volta che ci ho parlato, gli avevo appena scritto una mail, mi ha chiamato dopo nemmeno mezz’ora al telefono e abbiamo parlato. Io dalla Puglia e lui da Roma. Abbiamo parlato di poesia e di lavoro, non ho mai scritto una sola poesia sul lavoro mi ha detto, ma come se fosse una cosa a cui non aveva pensato. Ma soprattutto abbiamo parlato della situazione degli immigrati nel mondo, un argomento che invece aveva a cuore, tutta questa gente che cerca un posto dove vivere e i profondi problemi che deve affrontare per arrivarci. Non faceva più politica, diceva, ma aveva una visione politica del mondo. E questa politica cominciava appunto da loro. E da cosa potevamo fare noi per loro. Citandomi una sua poesia, mi ha detto: E noi che scriviamo poesie, cosa possiamo fare? Io non lo so. Ma la poesia serve proprio a questo, a dirsi E noi cosa possiamo fare? Io non lo so, ma per stasera ho accolto un riccio, ed è un inizio.

transfert

A pagina 31 della Solitudine del Satiro, Flaiano scrive: «Questa moda di presentare i nuovi libri, come i re dal balcone presentavano alla folla il principe ereditario appena nato, è recente: pochi anni fa avrebbe coperto di ridicolo gli autori; oggi si accetta come una forma di persuasione palese, un postulato della cultura di massa». È un appunto datato 1962, strettamente legato a La Notte di Antonioni, dell’anno prima, di cui Flaiano fu sceneggiatore con Antonioni stesso e Tonino Guerra. Nel film, Marcello Mastroianni, scrittore di successo, si prepara alla presentazione del suo nuovo libro, che viene descritta come un vero e proprio evento mondano, un elegante e vacuo vernissage con tanto di ospiti illustri (i veri Quasimodo, Eco, Bompiani); intanto il suo amico e opposto Bernhard Wicki, in tutto e per tutto, persino nei baffi, la copia sputata di Flaiano, è sofferente in ospedale, inappagato nella salute (dunque nella vita), nell’arte e anche nell’amore per Jeanne Moreau, moglie infelice di Mastroianni. Nella seconda parte del film nulla si aggiusta: mentre Wicki muore dimenticato quasi da tutti (pure da noi), Mastroianni, non pago del proprio successo, va a una festa, riceve una ricca ma poco etica proposta di lavoro e già che c’è seduce Monica Vitti. Insomma, se la fortuna non è cieca è di sicuro stronza. Ho sempre immaginato che tanta snobistica antipatia per le presentazioni sia derivata a Flaiano da quella sorta di transfert cinematografico per cui, a rivedersi nell’opposto di Mastroianni – che a sua volta era attore feticcio di Fellini, con cui Flaiano avrebbe litigato di lì a poco proprio perché Fellini, da regista, si prendeva ogni merito e successo del loro lavoro artistico – il Nostro un po’ sghignazzava divertito e un po’ stringeva i denti.

martedì 10 novembre 2020

per carlo, con tanto affetto

Nel suo libro (per me) più bello, Memorie di un rivoluzionario timido, che tanta fiducia mi ha ridato nelle possibilità della scrittura, Carlo Bordini scrive: “Io non immaginavo di entrare in questo luogo allegramente mortuario, in questa selva di epigrafi. E d’altronde, la morte nascondeva le sue ferite…”. Il tema del libro non è affatto la morte, o solo in parte, ma lui come prima cosa ci mette la morte, nella sintesi del romanzo in premessa, perché “rinascere è anche morire”. La cosa bella di Bordini (per me) era questa straordinaria libertà, di pensiero, d’amore, di scrittura – una libertà che una volta gli dissi avevo trovato solo in Bolaño e allora lui mi rispose non ci avevo mai pensato quindi non può che essere così – per cui (per lui) il tempo era qualcosa di plastico, nemmeno circolare, ma proprio plastico. Il tempo si muoveva, si deformava, prendeva delle forme strane. Ecco, una cosa che ho imparato da B. e da quel suo libro è questa: che un finale non deve essere messo necessariamente alla fine. Può stare dove vuole lui, dove ti chiede di finire. Ad esempio, nelle Memorie il finale arriva alla fine della seconda parte, prima dell’intervallo, e tutta la terza parte che viene dopo non è che l’impalcatura di qualcosa in divenire e mai terminato che però finisce davvero nelle considerazioni in premessa, ma non subito subito, a pagina 9. Ecco, ho pensato, magari funziona così anche nella vita. Noi crediamo che uno muore ed è finita lì, e invece quella non è che la fine del secondo tempo, mentre già si profila il terzo tempo di qualcosa di più grande.

 

(PS. Il testo era pieno di errori di battitura e avrei voluto lasciarceli come facevi tu, ma siccome non ce l’ho il tuo coraggio di essere come sono, li ho corretti tutti o quasi).


lunedì 9 novembre 2020

malesangue e il suo nuovo libro

È appena uscito questo libro fighissimo, Terrore, amore, poi ancora terrore di uno scrittore che amo molto, Marco Montanaro in arte Malesangue. Editrice LiberAria. Non l'ho ancora letto ma il titolo e la cover mi hanno fatto pensare a un certo film di Tim Burton, Ed Wood che parla dell'ossessione divorante di chi produce sogni. Mi chiedo se mi ci sono avvicinato ma farò un post ad hoc appena lo leggo. Su Malesangue girano un sacco di leggende metropolitane, alcune malevolissime. Per quanto mi riguarda io ne ho una mia personale, per cui ogni libro suo che ho comprato, e ad oggi sono 3, mi è stato di volta in volta rubato, sottratto e mai restituito. È una maledizione, tanto che delle volte mi chiedo perché mi ostino a comprarlo, invece di cominciare a rubarlo anche io. Ovviamente perché secondo me Malesangue è uno scrittore fighissimo, non solo nel nome, e si merita l'acquisto. Piccola nota di merito per LiberAria che non solo ha coraggio a pubblicarlo, ma (come si vede dalla foto) gli fa il corredo con delle copertine altrettanto fighe.


 

domenica 8 novembre 2020

Strasbourg / St. Denis

anni felici

Anni felici, di Daniele Lucchetti, visto ieri sera, mi ha ricordato che un'opera non dev'essere necessariamente un capolavoro per toccarti, e questa cosa mi ha confortato che prima o poi riuscirò a creare qualcosa di buono, per quanto non all'altezza delle mie ambizioni.

sabato 7 novembre 2020

la notizia più bella

Sono felice per la sconfitta di Trump, più che per la vittoria di Biden che manco conosco. Ma chi dice che questa è la notizia più bella venuta dagli USA nel 2020 ha la memoria corta, perché quanto di meglio ci è arrivato da lì quest’anno, a fine marzo, nel solco dell’emergenza, è stata l’ultima canzone di Bob Dylan, Murder Most Foul, che è un’opera d’arte popolare ed epica sulla fine di un’epoca, proprio come fu Guernica di Picasso. Avere la possibilità di assistere, da suoi contemporanei, alla sua nascita, ascoltarla dalla stessa prospettiva storica ed emotiva, dalla stessa zona d’ombra da cui si è schiusa, sentire come quel tempo lo modella accordandolo al nostro stesso respiro (“I can’t breathe” è l’altra frase chiave di questo movimento), secondo me non ha paragoni, né prezzo, supera di gran lunga, e supererà nel tempo, qualsiasi storia politica.

venerdì 6 novembre 2020

poesia sentimentale

Stavolta ha davvero esagerato
disse lei con stizza
scaraventando contro la parete
il libro in cui si riconobbe
seduta accanto alla stufa.
Lo chiamò per dirgli tremando
che amava e amava ancora
quella sua poesia che pure
l’arrabbiava. Lui rispose ridendo
siamo in due. Leggendo
una volta ancora chiese lumi
di quel verso perfetto
posto a chiusa di un abbraccio.
Lui confessò che gli era uscito naturale
e senza sforzo dalla mente.
Senz’alcuna sbavatura emozionale.
Non peggiori la sua situazione
disse lei con sdegno
trovando insopportabile una tale
noncuranza. Glielo recitò
una sera a cena il verso da lui scritto
e poi dimenticato. Perdona
disse lui se non ricordo
ma quando è scritto è andato.
Fu l’ultima cena insieme
lì al ristorante dei morti.
Dopo lo aiutò a cercarsi casa.

alcune forme di resistenza

Mi stavo studiando adesso Bookdealer, che è un nuovo sistema di vendita online legato alle librerie, assai interessante e in via di definizione. Parlo per me. Da ciò che ho capito il sito non contempla la voce Poesia (ci sono le Novità, poi Narrativa, Saggistica, Bambini, Albi e Fumetti), dunque o cerchi lo specifico editore che ti interessa, se già lo conosci, che sia io o qualsiasi altro di poesia, oppure sei escluso dalla ricerca di genere. Non è che la cosa mi sorprenda più di tanto perché il sito riflette le dinamiche librarie e la considerazione minima del pubblico per questa forma d’arte. Ma almeno in questo, sia pure per mera convenzione, quel mezzo scaffale di riguardo dedicato alla Poesia in una qualsiasi libreria fisica lo trovi sempre, anche se in quello scaffale non ci sono quasi mai tutti gli editori, ma solo i blasonati. Ecco, quello che forse mi aspettavo in più dal mercato digitale è che avrebbe superato i limiti di una certa ghettizzazione editoriale, mentre mi pare che si sia semplicemente adeguato a quanto già fatto in passato, interiorizzando un canale di vendita come metodo di resistenza e/o sopravvivenza, ma senza operare nessuna vera rivoluzione nella visione del mercato, se non nella volontà di opporsi ad Amazon. O forse la rivoluzione è proprio insita nell’eliminazione di ciò che si ritiene obsoleto in nome di una maggiore efficienza. Probabilmente mi sbaglio, eppure non credo che basandosi “soltanto” su queste premesse la lotta possa essere vincente. Ammetto però che queste sono dinamiche che si aggiustano nel tempo e non si può pretendere che avvenga tutto e subito. Insomma, incrocio le dita per noi e mi godo il piacere di trovare i nostri titoli consigliati da alcuni amici librai. Sono le piccole gioie che ti fanno sentire meno solo.

cosa ho ereditato dai miei nonni

 


con candide mani

Da poco pubblicato, Con candide mani di Anna Lombardo (Proget, 2020) è una raccolta assai diversa dalla poesia fortemente narrativa che le conoscevo, questo è un libro assai intimo, quasi privato, ma molto asciutto sul piano emotivo e stilistico, nel suo procedere per sottrazione, nella pudicizia con cui si mette a nudo. Come lettore e come amico leggendolo mi sono commosso.

giovedì 5 novembre 2020

questa fa male...

Comincio a credere che non conta quanto tu ami qualcuno, forse quello che conta è quello che riesci a essere quando sei con qualcuno.

William Hurt in Turista per caso

diario della giornata

Ho letto seriamente tre manoscritti solo per scrivere ai loro autori che ne pensavo, prima di comunicare loro che non li pubblicavo. Ho passato due ore al telefono con una gentile signora per parlare di vecchie storie di Bertolucci, Saba e Giudici di cui fu amica. A pranzo ho scritto una poesia. Complessivamente per tutto questo oggi ho incassato 0,00 euro. Meno di un raccoglitore di pomodori senza passaporto. A suo modo è un record. Secondo il sistema economico vigente (di cui Toti è solo un portavoce) non solo non sono indispensabile allo sforzo produttivo del paese, ma sono addirittura un parassita. Il bello è che non lo sono, indispensabile, nemmeno all'interno del settore in cui opero; infatti da qualche parte ci sarà sempre qualcuno pronto a giurare che quel poco che faccio lo faccio pure male. Ecco, io non so cosa ci porterà questa pandemia, ma spero che comunque porti un cambiamento.

fermati woody

Oggi al telefono con una poetessa che fu amica di Attilio Bertolucci, mi racconta un aneddoto spassoso di suo figlio Bernardo. Pare che una volta il giovane ma già affermato Bernardo fosse a New York per lavoro, e vede da lontano Woody Allen. Ammirato e intimidito insieme comincia ad andargli dietro cercando un momento buono per attaccare bottone. Solo che Woody si accorge di lui, si spaventa per quell'uomo che lo segue, accelera il passo e poi comincia a scappare, inseguito. Immaginate la famosa scena di Manhattan in cui lui corre per New York miscelata con la notte degli assassini di Pinocchio. Woody davanti che corre a gambe levate gridando "Aiuto, aiuto, mi vogliono ammazzare!" e Bertolucci dietro che lo rincorre: "Woody, Woody fermati, sono Bernardo Bertolucci! Voglio parlare con te!"