Mi sono sempre chiesto una cosa. Si parla di editoria a pagamento, io ogni tanto sento qualche amico che scrive saggi che mi dice – a meno che non mi stia clamorosamente mentendo – “ho proposto quel mio saggio o raccolta o sottogenere a quel marchio, e si parla qui anche di grossi marchi nazionali, marchi che detengono il mercato, e quelli mi hanno chiesto 3-4000 euro perché è un saggio, però loro sono un marchio prestigioso e poi hanno il distributore nazionale e mi fanno arrivare il libro pure in Amazzonia se vogliono. Venderlo poi, come si sa, è un’altra cosa, ma intanto, se pago, ci arriva”. Ecco la domanda è: quando il contributo economico te lo chiede il marchio editoriale prestigioso con tanto di distributore nazionale – che pare sia l'unica cosa che conti in certi discorsi: arrivare dovunque, anche solo per non vendere nemmeno una copia, fallire meglio insomma, come diceva Beckett – quella è da considerarsi editoria a pagamento oppure no? Me lo chiedevo perché a volte questi miei amici mi regalano i loro saggi e alcuni sono talmente noiosi che io nemmeno impegnandomi al massimo riesco a finirli (o capirli), e mi chiedo come possano vendere anche solo una copia al di fuori della ristretta cerchia di appassionati, considerando anche il prezzo di copertina che in alcuni casi è veramente alto. E infatti – a meno che tu non sia Carlo Rovelli che parla degli affascinanti buchi neri, ma quello che scrive della riproduzione delle limacce o degli affreschi della cappelletta dispersa nell’oscuro paesino montano del centro Italia o quello che fa la monografia dell’oscuro poeta minore che non si è nemmeno suicidato, scriveva e basta dopo il lavoro – il libro il più delle volte lo pagano loro. Quella è EAP, o sarebbe meglio evitare di scrivere libri "per pochi", che non vendono copie concentrandosi unicamente sull'origine dei buchi neri e altri argomenti più romanticamente allettanti per una ricerca di mercato? Poi certo, ci sono anche quelli che usano gli studenti universitari iscritti al loro corso come porcellino-salvadanaio costringendoli a comprare il libro e quindi affidando loro la nobile missione di combattere l’editoria a pagamento che sfrutta gli autori, sfruttando invece gli studenti (che tanto sono già sfruttati, quindi sono abituati). I quali, per unire la beffa al danno, poi sul libro dovranno anche dare l’esame: quando si dice che del salvadanaio non si butta via nulla.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
lunedì 3 luglio 2023
giovedì 26 novembre 2020
semplificare
Ragazzi che mi scrivono che gli ultimi libri che ho pubblicato sono scritti in maniera difficile. Facilissimi non sono, è vero, nel senso che come qualsiasi libro richiedono attenzione. Il punto è che a dirlo sono dei laureati, in alcuni casi dei giovani professionisti. Io non ci voglio credere che un laureato se la fa addosso per dei libriccini in versi da 80 pagine, preferisco pensare che sia solo pigrizia; e ho capito che sono densi, ma se davvero vi perdete d'animo per quelli qualcosa nella vostra istruzione non ha funzionato. Ancora una cosa: anche io attribuisco un valore alla comunicabilità dell'opera, però credo anche che ogni opera ha un suo proprio linguaggio, che alcune ti richiedono uno sforzo in più o addirittura di lottare corpo a corpo con loro. A volte è frustrante, specie quando perdi (a me capita di continuo), ma fa parte della regola del gioco. Ma lamentarsi e presumere che tutto si possa semplificare o abbassare a comando, a un tono medio caldo e confortevole che non richiede alcuno sforzo, alcuna immersione sia pure una immersione nel dizionario, significa ammettere che per noi la Letteratura non ha senso, che basta limitarsi alla sinossi per sapere come va a finire la storia. Io questo, da gente che mi parla di libri e di scrittura, non lo accetto. Tanto varrebbe limitarsi alle fiction Rai.