martedì 22 novembre 2011

crave (brama)

Per A. che me lo ha fatto ascoltare.



Credo che sia il sogno di ogni artista quello di riuscire a creare un’opera che per certi versi lo superi e prenda vita propria, anche a costo di mostrare più di quanto l’artista stesso non aveva immaginato di dire, o di rivelare di sé. Se questo succede allora l’opera è più grande dell’artista che le ha dato forma e si può davvero affermare che, come per Dante o Shakespeare o anche i Beatles, l’opera diviene espressione assoluta di un tempo e di un popolo, di cui l’artista si è fatto voce.
Tutto questo pensiero in realtà mi è nato ascoltando un pezzo teatrale che forse non può paragonarsi a Shakespeare, ma che pure ha preso vita fino a diventare non solo uno dei preferiti dai giovani attori dell’ultima generazione ma anche dal pubblico, che sia più o meno affezionato al teatro. Mi riferisco al monologo di A, da Crave, spettacolo andato per la prima volta in scena nel 1998, della drammaturga inglese Sarah Kane. L’opera, la più celebre e la penultima della drammaturga, morta nel 1999, parla della disperata e fallimentare ricerca d’amore fra due coppie formate rispettivamente da una persona anziana e da una più giovane, che non riescono mai a comunicare i propri sentimenti. Lo stesso titolo, Crave, che si potrebbe tradurre con “brama” o “implora”, esemplifica bene il senso di tale ricerca, quasi patologica, da parte di queste persone che chiedono, pretendono, ma non sanno più dare. E al di là dei vari risvolti sociali il testo ha degli accenti tragici, talvolta romantici, che lentamente hanno conquistato il pubblico.
Di tutto il testo il monologo di A, come ormai viene definito un estratto dell’opera che ha assunto una sua autonomia poetica, rappresenta una sorta di drammatica dichiarazione d’amore (ma fatta a se stesso, mai comunicata) da parte di A, un uomo anziano, verso C, una ragazzina di cui si è innamorato e che paradossalmente ricambia i suoi sentimenti, pur a sua volta tacendoli. Lo stupore nasce dal fatto che il monologo è diventato in breve uno dei preferiti delle attrici e dei più sentiti da parte di un pubblico fondamentalmente femminile. Insomma, pur essendo stato scritto per un personaggio maschile (e pedofilo!), il testo ha catturato alla perfezione, per il proprio implicito e disperato romanticismo o perché tocca le corde più intime dell’animo femminile, l’immaginario di molte donne che lo hanno assunto come proprio manifesto poetico. Tanto è vero che se fate un giro in internet, dove sono caricati decine di video a tema, troverete davvero poche interpretazioni dello stesso realizzate da uomini e tantissime, alcune eccessivamente caricate di sentimentalismo (lì dove il sentimentalismo va assolutamente evitato), da parte di donne che lo recitano con tale naturalezza da farne addirittura dimenticare l’origine.
Certo, viene da pensare che ad spingere così tanto il monologo in tale direzione conti il fatto che a scriverlo sia stata una donna, per di più molto giovane. La Kane, suicidatasi a 28 anni, disse di aver scritto Crave quando ormai aveva perso “la fede nell’amore” e lo indicava come “il più disperato” dei suoi lavori. E mi pare indicativo che abbia messo quelle parole, parole così profondamente connaturate al desiderio femminile, in bocca a un personaggio maschile tanto più anziano di C (child) e che quindi verrebbe a confondersi con la figura paterna, amata follemente e allo stesso tempo ferocemente respinta. È una chiave di lettura non solo per tanto seguito appassionato ma anche dei risvolti psicologici vissuti della stessa autrice mentre scriveva.
Ma in fondo, al di là di tutte le analisi o divagazioni, resta come una piccola perla di poesia d’amore, questa lunga lettera per nessuno in cui maschile e femminile si fondono, vecchiezza e giovinezza, disperazione e gioia, in una sorta di vortice emozionale nel cui occhio sereno continueranno a riflettersi, volenti o no, l'ombra di Sarah Kane e di tutte le donne della sua epoca.



In alto il monologo di A, recitato da Paola Minaccioni. Nella versione italiana il dramma della Kane è stato tradotto con Febbre.
In basso lo stesso, in lingua originale, e con voce maschile (anche se con molto meno pathos).

mia è la corona e il cappello di paglia...

Mia è la corona e il cappello di paglia
tuo il mio bracciale di perline africane
e il pacchetto di Sobranie
portato dall’ultima tua sera in Puglia

dove risuona d’acque gelate l’inverno
e di foglie morte
di bande rifugiate in ostello. E le foto
appese al muro e fuori fuoco
confortino i ricordi ancora un poco!

Ecco dunque cosa chiedi per Natale
dei nostri ex voto per sempre ricordare
e un libro vecchio
e un vero abbraccio non mi chiamare.

lunedì 21 novembre 2011

di tutte le foto scattate...

Di tutte le foto scattate l’unica
ti piace che sei di schiena
una massa informe e nera tu
di capelli ed io ci stavo dentro
adagiato come un uovo
e ridotto a pigolare a forza di risate.

venerdì 11 novembre 2011

si sente l'unto della pelle nel calzino...

Si sente l’unto della pelle nel calzino
la presa di cenere sulla mia copia di
Stella Variabile di compleanno un regalo
ormai ricordo spentosi l’anno nel calzino
disciolto di cenere di pelle dopo la muta

lunedì 7 novembre 2011

un sonetto sulla disoccupazione e la poesia

DIARIO DELL’11

Ancora una volta m’impongono
i miei di trovarmi un lavoro.
Dicono non vivranno in eterno.
Dicono che la vita è un inferno

e m’aspetta – la vita sa aspettare.
Ok mi arrendo, manderò il mio
curriculum per quel posto da babbo
natale, e speriamo vada bene.

Spicca il salto dal libro al cactus
il giovane ragno. È romantico
e infelice leggeva di Zenna.

Per salvarlo potrei reinventarlo
come mia renna… Sintonizzo la radio.
Balliamo entrambi la tarantella.

Dicembre 2006

giovedì 3 novembre 2011

l'idea della mia morte non mi dà respiro...

L’idea della mia morte non mi dà respiro
l’idea di una fine senza scampo,
quando la decrepitudine del corpo
si farà così estrema che non potrò più fuggire
od oppormi al saccheggio ti prego
prestami le tue gambe
le tue gambe così tenacemente aggrappate
alla vita le tue gambe sottili e dure
di passero-capra. Prestami le tue gambe
per salire più in alto sulla cima dei palazzi
e confondermi nella luce del tramonto
allo sguardo dei segugi. Oppure al risveglio
perché allontani con un balzo il senso
d’inutilità del giorno, se tutto ha comunque fine.

martedì 1 novembre 2011

a tutto applicavamo...

A tutto applicavamo
la nostra speciale parola
che fosse un’esclamazione, il nome
di un amico oppure di un paese
fantastico che fungesse da amuleto
e filtrasse per noi
quel che non puoi dire
il nocciolo delle cose ben protetto
da una scorza di realtà.
Tu più velocemente, piena d’ansia
d’arrivare ed io a rilento
perché pigro e per di più goloso
scavavamo in quel frutto ottobrino
con le nostre parole casuali
ridotti a poco forse ma felici
piccoli vermi ungarettiani.