domenica 30 maggio 2021

il passero rosso

Ho ancora dei tuoi libri a casa, tutti di Bukowski, manco a dirlo. L'idea era quella di coltivare il pessimismo ottimistico, ma mica sempre ti riusciva. Ricordo certe incazzate epiche, a volte per un niente. Una volta te la sei presa per un panino con la mortadella. Eri comunque più libero di me, ma anche per questo più solo. Il che non ho mai capito se fosse un bene o un male. Però avevi un modo di parlare lento, a tratti stonato, forse per tutto il vino che ti sei bevuto negli anni, e per forza di cose, con te, uno doveva fermarsi e buttare all'aria ogni altro impegno e starti dietro. Qualche volta, lo confesso, ti ho bestemmiato i santi, ma era un’arte anche quella, in fondo, l’arte della chiacchiera e dei discorsi lunghi tirati fino a tardi. A dirsi cosa poi? Io non mi ricordo più niente, solo tutto quel tempo che se ne andava e questa cosa del pessimismo ottimistico e un certo brindisi che abbiamo fatto una volta, «Alla cattiva scrittura e ai pessimi amori», anche quello fregato a Bukowski.


 

venerdì 28 maggio 2021

tutto l'amore che c'è

Stamattina pensavo a Janis Joplin, che diceva quando salgo sul palco faccio l’amore con 25.000 persone ma poi torno a casa e sono sola. Ecco, io uguale, quasi 5000 amici su FB e nessun vero trombamico nella vita reale, poi dicono che questo mondo è falso e ingiusto. In compenso non faccio in tempo ad accettare un tipetto all’apparenza inoffensivo e come nulla mi arriva il messaggio in chat: GESÙ TI AMA. Almeno con l’amore stiamo apposto.

giovedì 27 maggio 2021

la televisiun

Mia madre che mi chiama apposta per dirmi: Mi devi spiegare perché da un po' di tempo ogni volta che accendo la TV ci sono tutti, tutti, che presentano il loro libro, e tu non ci sei mai.
Io mi difendo come posso: Gli scrittori che contano non ci vanno in TV, ci vanno solo gli scartini per vendere.
E lei, implacabile: Ma tu non sei mica uno scrittore che conta. Potresti andarci anche tu.
Fine, la mia.

un posto

Stamattina, poco dopo le 7.00, è passato sotto casa un uomo che si trascinava dietro una pesante valigia, si sentivano le ruote macinare sull’asfalto, mentre gridava al telefono: «Sei una stronza! Spero che ti viene il Coronavirus e muori!». Arrivato in fondo alla strada, che è chiusa, si è guardato intorno sconsolato ed è tornato indietro. Io intanto, a letto, leggevo Mario Benedetti: «a volte lo si vede in un posto // come uno ha sé nella mente» e mi sono sentito in quel posto.

mercoledì 26 maggio 2021

la corsa

Tutti che scriviamo note recensioni appunti osservazioni a futura memoria dei libri che ormai leggiamo in pochi. La regola è quella: tu scrivi del mio ed io in cambio scriverò del tuo. Così forse un giorno, se mi salvo, ti salvi pure tu con me, in bibliografia. E viceversa. Unica salvezza dalla catastrofe del tempo, del nulla che ci aspetta, dalla dimenticanza dei posteri, non è sperare nel successo personale, ma puntare, contemporaneamente, su tutti i cavalli in gara; sapendo che uno solo vincerà la corsa e tu, fantino o brocco, bene o male ci sarai. Sperando che qualcuno, prima o poi, ne legga almeno uno, di noi.

martedì 25 maggio 2021

sui corsi editoriali

Uno scrittore è un dilettante dell’editoria che spera sempre di essere promosso ad artista in virtù del suo genio, come succede in certe favolette cinematografiche. La verità è che non funziona così. Come in tutti i campi dell’arte la formazione – la gavetta – è tutto. Più gavetta fai, meglio conosci i meccanismi dall’interno, migliore sarà il tuo percorso editoriale, anche se ovviamente genio e fortuna sono sempre discriminanti. Per questo motivo, pur non facendoli in prima persona, non riesco a capire certi post o atteggiamenti contro i corsi editoriali organizzati da altre case editrici, con l’accusa che così facendo tradiscano la propria missione che è vendere libri. Ma quelli che mi scrivono email piene di ingenuità sono spesso ragazzi che di editoria non sanno nulla e che invece, se sapessero, ci guadagnerebbero loro nel proporsi e farebbero perdere meno tempo a me. A volte mi sembra che l’editoria sia l’unico campo dell’arte dove si presume che tutti siano capaci di scrivere, che i corsi di formazione non servano a nulla e se ne fai uno ti stanno fregando. Per tutto il resto, dall’acquerello alla fotografia alla realizzazione dei vasi in terracotta, nessuno ti dice nulla se fai un corso, ma per l’editoria sì. Parlo di editoria e non di scrittura, perché io personalmente farei fare dei corsi a tutti quelli che vogliono provarci, non solo quelli di scrittura, ma corsi completi così gli aspiranti imparano come si scrivono le È invece di E’ o come gestire gli spazi intorno alla virgola, ma anche come si fa per scrivere una sinossi o una semplice mail di presentazione, cosa c’è dietro la firma di un contratto, cos’è il bon ton per cui non è corretto chiamare un editore dopo le 22 per chiedergli se ha letto il tuo manoscritto, o come si svolge e quanto costa il lavoro di un ufficio stampa. Io penso che capire cosa regge l’impalcatura dei nostri sogni li può rendere delle persone migliori, se non dei novelli Hemingway. E penso anche che in pieno 2021, in piena era informatica, uno scrittore o comunque una persona che aspira a lavorare in campo editoriale certe cose debba saperle prima, a prescindere. Informarsi. Primo, perché più errori fai, più ingenuità commetti, più tempo perderai per emergere. E secondo perché, se sei scafato, allora hai maggiori chance di non farti fregare dal primo venuto.

domenica 23 maggio 2021

bambini

Ieri leggevo, nel saggio di Miłosz sullo stato di assuefazione o asservimento degli artisti al regime comunista, che se da una parte gli artisti si piegavano ai dettami del regime perché questo dava loro una rendita e una casa, in quanto gli artisti erano considerati necessari alla formazione culturale del popolo, dall'altra, visto che l'unica arte che potevano sviluppare era legata al realismo sociale (unico genere ammesso dallo Stato), la sola valvola di sfogo creativo per loro, quella a cui tutti ambivano per sbrigliare la fantasia e i colori, era la letteratura per l'infanzia, su cui lo Stato attuava una censura più blanda. Così, oggi, alcune delle opere più alte prodotte sotto la rigida dittatura comunista, sono libri per bambini.

venerdì 21 maggio 2021

funghi

 Ieri a Bologna in Lettere si è parlato (anche) di John Cage, così, stimolato dalla chiacchierata, sono andato a leggermi alcuni aneddoti su di lui. Ce n’è uno bellissimo che ho letto dove nel 1959 Cage partecipa a “Lascia o raddoppia” di Mike Bongiorno come esperto di funghi. Non solo vince il premio, ma già che c’è gli chiedono di esibirsi in una performance. L’esibizione lascia allibiti sia il pubblico che lo stesso Mike, il quale (ancora ammirato per la sua competenza sui funghi) si avvicina a Cage e gli dice: “Bravissimo Sig. Cage, ora che ha vinto cosa farà, torna in America?”. Cage gli risponde: “Io vado, ma la musica resta”. E Mike: “Ah, lei se ne va e la sua musica resta qui? Ma non era meglio il contrario?”. Ecco, l’ho trovata la cosa più vicina che ci sia oggi in Italia al rapporto del pubblico con la poesia. Il poeta se è simpatico può rimanere, ma la poesia meglio di no. Il problema è quando il poeta è antipatico, non resta più nulla.

giovedì 20 maggio 2021

iceberg

Il mondo rapidamente si sbriciola e va in pezzi. Ma noi continuiamo a indossare le nostre mascherine, perché quelle ci proteggeranno dagli inganni del tempo e ci aiuteranno a superare le correnti gravitazionali e pure quelle marine.

 



il suono di casa

Ieri sera ho visto un film, Cadillac Records, che parla in maniera un po’ troppo romanzata della nascita della Chess Records. All’inizio del film c’è un aneddoto molto bello in cui si vede questo bianco che arriva in una piantagione del Mississipi perché gli hanno parlato di un nero che suona il blues come nessun altro e lo vuole registrare per il suo archivio sonoro. Il nero lo accoglie con diffidenza, ma dopo aver registrato alcuni blues, si riascolta e prende coscienza di sé, dell’uomo che è in lui, tanto da decidere di cambiare la propria vita e partire per Chicago dove farà il musicista. L’aneddoto è vero. Il bianco era Alan Lomax, che alcuni anni dopo passerà anche dalle mie parti in un lungo viaggio per il sud Italia, e il nero era Muddy Waters, padre di quel blues elettrico per cui ancora oggi andiamo in visibilio ascoltandolo attraverso i Rolling Stones o i Led Zeppelin. Proprio ieri pomeriggio ho letto una intervista a Vinicio Capossela, su Bob Dylan che fra quattro giorni fa ottant’anni, e fra le altre cose Capossela dice una cosa molto interessante, che nonostante Dylan abbia avuto anche in Italia degli epigoni importanti, artisti come Guccini o De Gregori, da noi la musica popolare o folkloristica per cui il cantautore americano nutre una sorta di devozione quasi religiosa, è stata letteralmente accantonata, ci siamo dimenticati di tutto ciò che la riguardava e l’abbiamo messa da parte senza nessuna coscienza né rimpianti. Ecco allora che le stesse registrazione che Lomax ha fatto in Sicilia o qui in Puglia negli anni ‘50 riprendendo i canti dei nostri braccianti al lavoro hanno per noi il suono di canzoni provenienti da un’epoca lontanissima e quasi preistorica, che a volte ci commuove ma non sappiamo più decifrare. Mentre ascoltando il blues dei neri delle piantagioni americane – opportunamente elettrificato – ci sentiamo più a nostro agio che con i canti delle nonne contadine, più a casa che nella nostra stessa casa.

mercoledì 19 maggio 2021

neo-impegno e disimpegno

A me pare che il nuovo libro di Siti contro il neo-impegno stia diventando un facile pretesto per molti per giustificare il proprio disimpegno. Ha ragione Siti quando dice che le ragioni dell'arte devono essere più forti di qualsiasi causa o posa. Né possiamo fare di ogni libro un libro sociale, altrimenti sai che palle! Però le ragioni dell'arte vanno (anche) a braccetto con le ragioni del cuore. Sposare qualsiasi causa è stupido, non sposarne nessuna è disumano. Se io nei miei versi parlo di alcuni temi e non di altri è perché me li sento addosso, mi pesano sul cuore. Se tu non ne scrivi forse è perché non te li senti addosso; o forse è perché te ne vergogni, perché pensi che parlare del dolore degli altri possa sporcare il tuo dolore, macchiarlo con l'orrore della cronaca e per questo declassarlo; o peggio ancora compromettere i tuoi difficili rapporti col sempre politicamente corretto mondo editoriale. La posa del neo-impegno è brutta, quella da scrittore immacolato lo è altrettanto. Magari a non parlarne, come artista, sei fuori dalla posa del neo-impegno; umanamente potresti essere uno stronzo. Io ci penserei.

martedì 18 maggio 2021

la polemica del fo

 Poco fa leggevo un post fra i tanti, in cui si riportava un aneddoto di Battiato che rispondeva male a Dario Fo, il quale gli diceva di non apprezzare i suoi testi. Sotto il post, fra i soliti commenti sprezzanti, ce n’era uno che scriveva che quello di Fo era un Nobel immeritato. È un pensiero che serpeggia questo. E, lo confesso, io non l’ho mai capita questa cosa del Nobel a Fo che offende tanto gli italiani. Penso che se fosse successo a un artista francese, in Francia sarebbero stati contenti di quel Nobel a un connazionale. Invece noi no, noi per pura onestà intellettuale diciamo che non se lo meritava, era meglio darlo a Philip Roth. Non parlo manco di Luzi, altro grande sconfitto, perché chi lo legge più Luzi? Una volta l’ho consigliato a un amico che mi fa: è bravo, ma puzza di cattolicesimo. Così è visto Luzi in Italia. E questi siamo noi, un popolo di stronzi (Monicelli). Ma tutti quanti appassionati di musica, cinema, opera e teatro, al punto che ci possiamo permettere di dire chi merita cosa oppure no, o quanto è giusto o meno il giudizio della commissione di Stoccolma, in base alla nostra vasta conoscenza dell’arte che però ci guardiamo bene dal sovvenzionare (anche semplicemente pagando il biglietto). Me ne capitano di continuo di persone così, che mi vengono a parlare del mio lavoro, dei miei libri, a dire quanto è bello o brutto quel libro e poi hanno letto solo poche cazzatine d’amore di Neruda o di Tagore. Hanno letto un solo libro e per questo credono di conoscerne altri mille. Sono sincero, io non lo conosco così bene il lavoro di Dario Fo, non abbastanza da potermi esprimere su di lui, non conosco nemmeno bene il contesto sociale e politico in cui si è espresso, che pure credo conti qualcosa, non c’ero e nessuno me lo ha detto, e a nessuno ha interessato raccontarmelo. Sarebbe stato bello capire meglio quel contesto anche attraverso Fo, ma non è successo. Posso solo dire, da appassionato di Enzo Jannacci, che piaceva tanto anche a Battiato (meno agli italiani: troppo triste), che senza Fo quelle canzoni sarebbero state diverse, e solo per quelle (Ho visto un re, La luna è una lampadina, Ohè sunt chi, Veronica, L’Armando, persino Vengo anch’io no tu no che Jannacci fece esattamente come Fo non la voleva, perché l’arte spesso succede per reazione a qualcosa e non soltanto per approvazione), solo per quelle magari il Nobel no, ma un minimo di rispetto in più a Fo potremmo anche darglielo.

domenica 16 maggio 2021

luigi

Forse è perché sono più vecchio di quello che mi credo, e il mio mondo è piccolo e definito, confortevole. Ma nell’ultimo anno ho visto morire così tanti amici che non provo quasi più piacere a uscire, dovunque vado non vedo più la piazza, la villa, lo stradone, ma solo un altro posto vuoto. Oggi se ne va pure Luigi De Michele. L’ho sentito appena l’altro giorno e stava bene. Mi aveva mandato uno dei suoi saggi di economia agricola in cui ribadiva, come faceva da tutta una vita, la sua sola fede: che tutto il nostro cuore sta nella terra, ed è dalla terra che si deve ripartire per salvare questo paese. Ognuno si sceglie la propria missione e la persegue come può. Io non ho mai visto nessun altro scrivere con tanto amore, ammirazione e rispetto della dignità di un pugno di contadini del sud, che con l’uso di una zappa e della forza delle proprie braccia erano stati capaci di cambiare il destino di un popolo. Lui lo aveva visto succedere e non voleva che questa eredità venisse perduta.

la rosa che non colsi

 


sabato 15 maggio 2021

between thought and expression

 Mi ha scritto un ragazzo che mi aveva mandato tempo fa una raccolta in un italiano talmente asettico e precisino da rasentare poeticamente il rigor mortis. Non un brivido, non una traccia di emozione. Era una cosa strana da spiegargli, perché non c’era nulla di sbagliato in come scriveva, semplicemente gli mancava una lingua, una voce, uno stile. In lui ogni immagine diventava banale. Era il perfetto risultato di una buona e rigorosa educazione scolastica, per cui non potevo nemmeno dirgli che avesse sbagliato a studiare, con tutti i ciucci che mi contattano. Per fargli capire cosa intendevo gli ho consigliato di leggersi Di Ruscio. Ieri mi ha scritto innervosito dicendo di aver seguito il mio consiglio e di essere rimasto deluso. Questo Di Ruscio è uno che non sa nemmeno dove comincia la lingua, è tutto sbagliato in ciò che scrive, la sintassi, la punteggiatura, il semplice uso delle parole che spesso sono scritte male. Quello è avere una voce, gli ho spiegato. Se quella scrittura “sbagliata” ma espressiva ti scatena delle immagini, delle emozioni, allora funziona, è da quella forzatura delle regole che nasce la poesia. Non ti ha scatenato proprio nulla? gli ho chiesto. Solo una gran rabbia, mi ha risposto, perché uno che non sa nemmeno scrivere viene pubblicato e io no. Mi ha ricordato tanto una ragazza che conoscevo, a cui molti anni fa feci ascoltare un disco dei Velvet Underground e mi rispose che non le piacevano perché sono stonati.

venerdì 14 maggio 2021

intervista a un poeta

Quando hai scritto la tua ultima poesia?
È stato ieri o stamattina? È più di un anno?
E come l’hai trovata? Sana e forte o gracilina?
Di quale colorito? Quale umore? Era piena
di entusiasmo o già piegata dalla vita?
Era calda e fumante o ancora acerba?
Aveva già un partito o zoppicava? Con le ali
reclamava un posto al sole o alla finestra?
E ha bussato per entrare? O si mortificava
perché non ti voleva ed era pronta a odiarti?
Aveva mani grandi o lunghe gambe?
Reclamava un abbraccio oppure un morso?
O già poneva le domande di ogni figlia
che ingrata e piena di rimpianti
chiede perché l’hai messa al mondo?

giovedì 13 maggio 2021

cucù

 

extra

Nelle ultime serate mi sono rivisto tutti i film del primo Polański. È una settimana che faccio incubi tremendi. Ad esempio stanotte ho sognato di fare un patto col diavolo per diventare finalmente ricco e famoso. Il diavolo mi chiedeva in cambio di dargli un figlio. Io, allora, non avendone di miei, gli ho dato un figlio dei vicini. I quali non l'hanno presa bene. Sono venuti a cercarmi armati di lunghi coltelli da cucina, e io per cercare di salvare la pelle gli ho ceduto il mio destino. Loro hanno perso un figlio, ma hanno avuto successo. Io sto esattamente come ieri, ma più stanco per tutto questo lavoro extra e non pagato. La storia della mia vita non si aggiusta nemmeno nei sogni.

mercoledì 12 maggio 2021

anniversario

Joseph Beuys, Difesa della natura, opera del 1984. Trovo sia bellissimo per un artista che ha sempre celebrato la vita, ricordarlo nel centenario della sua nascita e non in uno dei tanti inutili anniversari della sua morte.



martedì 11 maggio 2021

contentezza

Uno che mi scrive: "Dopo che mi hai rifiutato il libro ci sono stato male. Ma sono andato a cercare le tue poesie in rete. Fai schifo come poeta! Non mi farei pubblicare da te per nulla al mondo. Quindi ora sono contento." Pure io. Finalmente qualcuno che invece di ignorarmi come autore, leggendo ciò che scrivo ha trovato una forma di sollievo. È già qualcosa.

sabato 8 maggio 2021

la via sfocata del cuore

LA VIA SFOCATA DEL CUORE, poesie di Jim Dine, edito da Luca Sossella editore, credo sia la prima delle sue raccolte liriche tradotte in italiano, da Riccardo Duranti e Julia MacGibbon. Il volume, curato da Paolo Gervasi, offre un’ampia scelta di testi lirici e in prosa, un saggio di Annalisa Rimmaudo, e una bella intervista finale che rivela moltissimo dell’artista. Da quest’ultima, così piena di autoironia, riporto qui alcuni punti in particolare che mi hanno particolarmente colpito o fatto sorridere.

1) La prima presa di coscienza di Jim Dine della scrittura è legata al fatto che fosse mancino e che a scuola (classe 1935) ha imparato a scrivere usando il pennino a inchiostro: seguendo il senso della scrittura da sinistra a destra la sua mano sinistra, la mano cioè con cui scriveva, era sempre macchiata di inchiostro; non solo, imbrattava anche il testo già scritto ma ancora umido, convincendolo che la fase creativa da cui scaturisce la parola debba sempre coincidere con lo sporcarsi le mani;
2) Negli anni ’60, durante la sua prima affermazione come pittore-poeta, Dime parla esclusivamente di incontri con poeti-stampatori o in ciclostilo: quella della poesia ben impaginata e stampata da un editore è una rivelazione tutta europea, la scopre a Londra; a New York si va di ciclostilo, meglio se spillato;
3) Per quanto sia stato incoraggiato a scrivere versi da Robert Creeley in persona (e speriamo che prima o poi qualcuno la curi una bella edizione tradotta delle sue poesie), Jim Dine afferma chiaramente di essere stato ammesso nel circolo dei poeti che contano non per il suo ruolo da poeta ma per quello da pittore: ovvero i poeti lo accettavano fra i loro non perché gli importasse qualcosa delle sue poesie, ma nella speranza che lui disegnasse le copertine dei loro libri;
4) Nel 1972, improvvisamente, Dine smette di scrivere per circa vent’anni, perché preferisce il silenzio al non sentirsi all’altezza dei poeti che ama, ma con cui si sente portato a una continua competizione;
5) Quando, vent’anni dopo, è tornato a scrivere poesie, Dine si è costruito una stanza apposta per dedicarsi alla poesia, che spesso compone in verticale, sul muro, e che quindi non rubi spazio allo studio pittorico. La cosa buffa è che la nuova stanza, costruita in giardino, ha finito per coincidere invece con la serra, dove poesie e piante e fango hanno ormai lo stesso spazio.

uno ogni due

Una volta un mio amico (che lavorava per una grossa casa editrice) mi disse che lui consigliava di leggere ogni due romanzi contemporanei un romanzo classico, per ricordarsi che cos'è una storia. Ecco, io faccio una ragionamento in parte opposto, e consiglio a tutti di leggere ogni due romanzi contemporanei un libro di poesie, per ricordarsi che cos'è la scrittura.

venerdì 7 maggio 2021

il ghostwriter

Giovane di belle speranze laureato e con tanto di corso di scrittura alle spalle mi manda il suo curriculum proponendosi come ghostwriter. Per una casa editrice di poesie? Tutto si può imparare a scrivere, mi risponde. Gli chiedo perché non fa un libro tutto suo. Mi risponde che scrivere gli piace, ma non ha velleità autoriali, e comunque si guadagna di più così. Ecco l'evoluzione ultima del mestiere di scrittore, penso, che si mette al servizio della vanità degli altri. Ma io su questo ragazzo ho già deciso che ci scrivo un libro.

giovedì 6 maggio 2021

lo zoccolo duro

Leggevo poco fa la classifica degli audiolibri più venduti in Italia: classici, fantasy, bambini. Non ci voleva molta fantasia per arrivarci. Io leggo e continuo a chiedermi per quale perverso meccanismo un editore furbo si ostini a pubblicare autori vivi, che nella maggior parte dei casi non fanno cassa, con tutta la marea di morti che ci sono in giro e che non solo non pretendono diritti, non solo non hanno altre pretese, ma vendono addirittura di più. A tal proposito, stamattina una mia amica mi diceva che fra le istruzioni di invio manoscritti dovrei mettere: dichiarazione di aver superato la fase adolescenziale. Ora credo che forse bisognerebbe andare oltre e mettere nero su bianco che l'autore si impegna a morire e diventare un classico entro due anni dalla pubblicazione, con tanto di penale se non muore, meglio ancora se divorato da un drago mentre va in cerca di avventura in compagnia di un gruppo di nani allupati (visto che non si dice mai, ma anche il porno ha un suo zoccolo duro di affezionati consumatori).

mercoledì 5 maggio 2021

leggere

Oggi si è vaccinata mia madre. In fila per il turno ho visto anziani che non avevano capito cosa fare, quali moduli portare, senza figli né accompagnatori ad aiutarli, in coppia o da soli, lasciati a se stessi nel tentativo di compilare i moduli di consenso, che sono sinceramente troppo lunghi e dispersivi. Ti chiedono una firma in cui dichiari di aver capito, ma di fronte a una popolazione anziana e che non legge, cosa si pretende che capiscano? Li ho visti e ho pensato che è umiliante, e che purtroppo questo non è il paese che sta per finire, ma è il paese che ci aspetta, perché ha imparato come si firma ma non è abituato a capire cosa dice un testo, e invecchia.

con lo sconto

Una giovane ragazza mi scrive per chiedermi un parere, ha firmato un contratto con un famigerato editore che le ha promesso la pubblicazione in un’antologia in cambio di un acquisto copie scontato, con libri che però costano 40 euro a copia. Morale: 7 copie del volume – che deve comprare – le costano 200 euro. Se sono trenta autori, fate il conto del guadagno. Ora, chiedere all'autore di acquistare delle copie con lo sconto è una pratica comune, ma c’è una misura per tutto, e fargliele pagare il triplo del loro valore è una cosa deprimente non solo perché ti stai approfittando dell’ingenuità di una persona, ma perché stai ammettendo che quelle copie non ci vuoi neanche provare a venderle: chi cacchio se lo compra un libro a 40 euro? In generale alla maggior parte dei giovani autori andrebbe detta la verità, l’acquisto delle copie con lo sconto serve soltanto a coprire delle spese, ma non li farà diventare degli autori di successo, per diventare degli autori di successo devono prima vendere (tanto) e farsi conoscere (tanto), e questo si fa o scrivendo un libro sconvolgente (è raro, ma capita) oppure lavorando sulle proprie relazioni: significa andare dovunque (a proprie spese), fare tutte le presentazioni possibili (a proprie spese), essere disponibili (senza sputtanarsi), sorridere sempre (senza sembrare scemi), fare mille favori (prima di chiederne uno), ed è una cosa costosa, sfibrante oltre che costosa. Io personalmente non ci sono mai riuscito e ho creato la casa editrice apposta per non dover chiedere favori a nessuno, per poi accorgermi che comunque li chiedo, perché sono pieno di limiti. Nell’editoria, come in qualsiasi altra arte, la qualità conta ma non è tutto, se non sulla lunga distanza, e tu non sei nella misura di ciò che fai, ma sei nella misura di chi conosci. E infatti, io alla ragazza del primo rigo ho detto: per i tuoi precedenti errori sei stata perdonata, ma ora che mi conosci, se ti fai imbrogliare di nuovo, giuro che ti vengo a cercare per ucciderti con le mie stesse mani.

sabato 1 maggio 2021

primo incontro

Il primo maggio 1965, era di sabato proprio come oggi, mentre il mondo festeggiava come ogni anno la sua festa dei lavoratori, mio padre, 19 anni, girava in vespa per la campagna fra Martina e Alberobello, quando incontrò per la prima volta mia madre, 12 anni, che faceva da balia a mia zia allora bambina. Lui, senza nessuna malizia, le fece ciao con la mano, da lontano, e mia madre rispose ciao da lontano. Si conobbero così, senza parole, con un gesto di saluto. Chi lo avrebbe mai detto che mi sarei preso quella mucidigghiodda, mi dice mio padre più di cinquant'anni dopo, a commento di quel primo incontro.