Mi ha scritto un ragazzo che mi aveva mandato tempo fa una raccolta in un italiano talmente asettico e precisino da rasentare poeticamente il rigor mortis. Non un brivido, non una traccia di emozione. Era una cosa strana da spiegargli, perché non c’era nulla di sbagliato in come scriveva, semplicemente gli mancava una lingua, una voce, uno stile. In lui ogni immagine diventava banale. Era il perfetto risultato di una buona e rigorosa educazione scolastica, per cui non potevo nemmeno dirgli che avesse sbagliato a studiare, con tutti i ciucci che mi contattano. Per fargli capire cosa intendevo gli ho consigliato di leggersi Di Ruscio. Ieri mi ha scritto innervosito dicendo di aver seguito il mio consiglio e di essere rimasto deluso. Questo Di Ruscio è uno che non sa nemmeno dove comincia la lingua, è tutto sbagliato in ciò che scrive, la sintassi, la punteggiatura, il semplice uso delle parole che spesso sono scritte male. Quello è avere una voce, gli ho spiegato. Se quella scrittura “sbagliata” ma espressiva ti scatena delle immagini, delle emozioni, allora funziona, è da quella forzatura delle regole che nasce la poesia. Non ti ha scatenato proprio nulla? gli ho chiesto. Solo una gran rabbia, mi ha risposto, perché uno che non sa nemmeno scrivere viene pubblicato e io no. Mi ha ricordato tanto una ragazza che conoscevo, a cui molti anni fa feci ascoltare un disco dei Velvet Underground e mi rispose che non le piacevano perché sono stonati.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
sabato 15 maggio 2021
giovedì 11 marzo 2021
like
Oggi
una ragazza assai gentile mi ha detto che non vede l’ora che esca il
mio prossimo libro. Mi ha fatto molto contento, ma anche per questo
continuo a interrogarmi sul senso di fare libri, oggi. Spesso leggo
autori che, in omaggio a Manzoni, ironizzano sui propri 25 lettori.
Probabilmente non si rendono conto che stiamo già realizzando, invece,
la profezia/condanna di Andy Warhol, il quale diceva: “in futuro,
ciascuno avrà i suoi 15 minuti di celebrità”. Ecco, allo stesso modo, ma
senza ironia, si può dire che in futuro ciascuno scrittore avrà i suoi
25 lettori, ma non più di quelli, 25 in tutto. Quanti soldi, quanta
fatica, quanto malesangue costa fare un libro, molti non lo immaginano
neppure, e tutto questo lavoro spesso lo si fa perché quel libro lo
leggeranno 25 persone. Quando ci penso, in parte mi risolleva quanto
disse Brian Eno del primo disco dei Velvet Underground, che lo
comprarono in 100 ma quei cento poi diventarono tutti musicisti, ne
furono stregati; in parte continuo a chiedermi che senso ha. Me lo
chiedo soprattutto quando faccio un post buffo su FB per cui prendo
magari 50, 70, 100 like e quei like sono la dimostrazione evidente che
mi hanno letto e apprezzato il doppio o il triplo delle persone che
normalmente comprerebbero un mio libro.
mercoledì 20 novembre 2019
only time will tell
venerdì 15 gennaio 2010
lou reed e l'amore - shelley albin (seconda parte)
Il mio pezzo preferito di queste registrazioni, però, si intitola I’m sticking with you, mi sto attaccando a te, e come spesso succede nei pezzi più intimi del primo Reed, la fa cantare ad altri. In questo caso il pezzo è costruito con un arrangiamento vaudeville e affidato alla batterista, Maureen Tucker, che con la sua voce da ragazzina non fa che accentuare il sentimento d’innocenza espresso dal testo (non a caso poi inserito nella colonna sonora di Juno). A metà però succede l’imprevisto. Il pezzo diventa prima un duetto fra lei e Reed. Poi, per dieci lunghissimi secondi, proprio come in I found a reason, Reed canta da solo, anzi di più, fa cantare il suo cuore. Non è mai stato e raramente sarà ancora così scopertamente nudo come in questo momento. Non è più una semplice interpretazione la sua, si avverte, è puro sentimento: “Farò qualsiasi cosa per te, qualsiasi cosa mi chiederai di fare, qualsiasi cosa per te…” prima del coro in crescendo finale. Qualsiasi cosa perché tu (Shelley) stia con me, è sottinteso. È un momento di grande commozione. La crisi è già alle porte e lui la sente e, come succede sempre a tipi così, l’unica maniera che ha per combatterla è aprirsi completamente, tirare fuori e confessare i suoi più intimi sentimenti. Una resa totale all’altra che però non venne capita, generando in tal modo un profondo rancore.
giovedì 14 gennaio 2010
lou reed e l'amore - shelley albin (prima parte)
L’idillio finì quando Lou fece il grosso errore di chiedere a Shelley di presentarlo ai suoi genitori. Quando i due lo incontrarono si ritrovarono davanti a un tossico cinico e nichilista, e (comprensibilmente) impedirono alla figlia di rivederlo. Il loro divenne così un amore segreto, trascinatosi fra grandissime difficoltà, dovute ai primi massicci esperimenti con le droghe di Reed (in questo periodo scrisse Heroin e Waiting for my man) che avevano un effetto deleterio sul suo carattere. Alla fine Shelley, stanca, lo lasciò per un altro. Reed ci rimase male, tanto da litigare ferocemente con lei. Ma quando nel 1964 si laureò, prima di andare via dall’Università, si fermò a casa di lei, che era malata e non aveva nessuno accanto e le rimase vicino, prendendosene cura, finché non fu guarita. Era la prova che in fondo, nonostante tanti problemi, l’affetto fra loro restava sempre fortissimo. Poi i due si persero di vista per quasi tre anni, il tempo necessario a Reed per formare i Velvet Underground e per completare la sua discesa all’inferno nella Factory di Andy Warhol.