giovedì 31 dicembre 2020

augurio

C’è un aneddoto molto bello di Goffredo Fofi che racconta di un cineforum estivo organizzato da Nanni Moretti a Roma, una ventina di anni fa. La proiezione di uno dei film più difficili in programma, “Sicilia!” di Straub et Huillet, crea il gelo alla fine del film, quando dovrebbe aprirsi la discussione fra Straub, ospite della rassegna, e il pubblico. Si alza uno spettatore deluso, che gli dice: «Caro Straub, io sono molto arrabbiato con lei perché lei non rispetta i miei diritti di spettatore, cioè Non mi spiega e Non mi fa divertire». Al che Straub si alza a sua volta e gli risponde: «Io non faccio film per gli spettatori, io faccio film per i cittadini!». Ecco, io per il 2021 faccio l’augurio a tutti quanti noi di essere un po’ meno spettatori e un po’ più cittadini.


 

regalo

Stanotte ho sognato che mi lasciavano una busta sulla porta di casa. Dentro la busta un pacchetto regalo e un biglietto di auguri. Scarto il pacchetto. È vuoto. Leggo il biglietto: "Fai tu!" Apposto.

#ComingOut2020

Io sono di quelli che va bene la comprensione e tutto, ma se credi che il vaccino non serve a nulla per me sei cretino, e se invece aspetti il vaccino come manna dal cielo, convinto che fai quello e passa tutto, sparisce per incanto ogni problema e si ritorna a prima, sei cretino il doppio.

mercoledì 30 dicembre 2020

sogno e stipendio

Pare che alla fine non ci sia stata effettiva violenza sessuale sulla vittima, e che sarà la comunità in cui viveva a prendersi cura delle capre di Agitu Gudeta. Speriamo. Mi spiace tanto per lei, e mi spiace che, al solito, molta gente prenderà questa storia come pretesto per una nuova campagna d'odio razziale, quando qui il fattore razziale è solo una parte del tutto. Se togliamo le origini a queste persone, la notizia è questa: un operaio a cui non è stato corrisposto, dopo un anno di crisi economica, l'ultimo stipendio, ha ammazzato il proprio datore di lavoro. Un gesto scatenato da futili motivi, come li chiama appunto il capitano in questo video, ma molto più radicati nel nostro sistema sociale di quanto si creda. Si può ammazzare qualcuno perché non ti paga lo stipendio? Io conosco persone che, almeno a parole, ti direbbero di sì. Poi certo, serve il giusto scatto d'ira. Ma in questo modo l'esempio di Adams Suleimani, che voleva il suo stipendio, sarà davvero più forte di quello di Agitu Gudeta, che aveva un sogno. E non può finire sempre in questo modo, con uno stipendio che si mangia il sogno di una vita.

martedì 29 dicembre 2020

chialà

 

il filo spezzato

Stamattina leggevo un pezzo di Paolo Di Stefano (titolo: Un appello ai poeti per ricominciare) in cui, nel centenario della nascita di Tonino Guerra, a Santarcangelo di Romagna alcuni ragazzi hanno organizzato degli “assalti poetici” offerti ai contadini del luogo, recitando loro dei versi di Guerra stesso e di Majakovskij. A me, leggendo, è venuta in mente l’immagine di uno che ti entra in casa per leggerti una poesia e tu contadino imbracci il fucile da caccia per difenderti dall’intruso. È vero che se Maometto non va alla montagna, la montagna dovrà pur andare da Maometto, ma è anche vero che se non troviamo un modo per sedurli questi contadini, convincerli a riavvicinarsi a qualcosa che in fondo era già loro prima che nostro – la poesia in quanto forma di racconto orale, che un tempo si faceva non solo nei palazzi signorili, ma anche nelle stalle, durante la veglia, per passare le lunghe serate d’inverno mentre ci si scaldava col fiato degli animali (quello che Zanzotto chiamava Filò) – servirà a ben poco andare a sostituire gli auto-parlanti al supermercato cercando di convincerli che la roba che ascoltano è buona. Ancora una cosa. Di Stefano nota che durante il discorso sulla conclusione della Brexit, Ursula von der Leyen abbia infilato nel discorso a Boris Johnson ben due citazioni di poesie, da Shakespeare e da Eliot. Attenzione: non filosofi, né politici, e nemmeno calciatori. Ma due poeti a commento di un accordo storico. Citare due inglesi ad un inglese è una stoccata d’alta classe, secondo me. Ma questo è successo non perché i politici europei siano mediamente più colti di quelli italiani, anche se probabilmente è vero. Ma perché all’estero si crede ancora che la poesia abbia una connessione con il nostro tempo, abbia cioè la capacità di raccontarlo, e quindi si trovi naturale usarla. Mentre in Italia semplicemente quest’idea si è persa, questo filo (filò) di comunicazione si è spezzato, ma senza venire sostituito da nient’altro. E i risultati si vedono.

domenica 27 dicembre 2020

déjà-vu

Ieri sera ho visto la versione europea di The Grandmaster di Wong Kar-wai, film del 2013 che, secondo me, è un clamoroso omaggio a C’era una volta in America di Sergio Leone (il quale si sa era, a sua volta, grandissimo ammiratore di Akira Kurosawa). Ho scoperto che ci sono tre versioni di questo film, per tre mercati diversi, una cinese da 130 minuti, una europea da 122 minuti, e una americana da 108 minuti, tutte e tre riconosciute come valide dal regista. Ogni versione ha un diverso montaggio, un diverso finale e contiene delle scene non presenti nelle altre, disseminate come indizi, ma solo la somma di tutte le scene permette di ricostruire determinate vicende o presenze, come quella, più sfuggente, del personaggio chiamato Il Rasoio (sul quale molti spettatori si sono, di volta in volta, interrogati). In altre parole il regista, già avvezzo a soluzioni simili ma con più discrezione, qui chiede allo spettatore lo sforzo intellettuale di rivedere per tre volte di fila lo stesso film (sei ore di visione) per cogliervi, fra le altre identiche, alcune scene che permettono di chiarire determinate storie, alcune minori, e come molte di queste storie cambiano di senso a seconda del montaggio, di come cioè te le raccontano, e del fatto che nella narrazione siano rivelati o taciuti determinati particolari. Che è in pratica lo stesso meccanismo della memoria, qui non soltanto sublimato dal meccanismo cinematografico, ma reso addirittura tangibile dall’espediente di Kar-wai che obbliga lo spettatore non solo a cercare le tre versioni, ma anche a un cosciente e reiterato déjà-vu, sull’esempio dell’ultimo film di Leone ma più ancora sul modello di Rashomon di Kurosawa, in questo immenso affresco sul tempo e sulla fine di un’epoca, paradossalmente alleggerito dai numerosi combattimenti di Kung Fu.

sabato 26 dicembre 2020

collima

 

Stamattina mi è venuto da ripensare a un poeta che un po’ di tempo fa, cercando di offendermi, dopo avermi scritto che ero scandalosamente superficiale, mi mandò il link a un pezzo di Chet Baker, una versione di “Estate” se non ricordo male, e subito dopo avermela mandata aggiunse “No, lascia perdere, non ascoltarlo, non ti collima!” intendendo che non avessi abbastanza sensibilità per cogliere la malinconica bellezza di un pezzo di Chet Baker, come invece poteva fare lui. Io, in tutta onestà, nella mia superficialità, più che per il pezzo mi sono stupito perché quella è stata la prima volta in vita mia che ho letto la parola “collima” in una frase e, forse per il suono, mi sono immaginato come una piccola altura, o una gobba, qualcosa che ti cresce addosso e che ciascuno di noi si porta dietro, come quando si dice avere il bernoccolo per qualcosa. Ecco, a me mi manca la gobba da Chet Baker. Lui mi piace anche, ma la sua tristezza non mi pesa.

giovedì 24 dicembre 2020

sogno del latte bruciato

C’è un grande cane bianco che compare in fondo al campo dietro casa. Salta il muretto di recinzione e si aggira sperduto e smagrito per il campo, con la catena spezzata al collo. Mi impietosisco e decido di preparargli una scodella di latte caldo in cui immergerò dei pezzi di pane duro. Spezzetto il pane con le mani, verso il latte nel pentolino, lo metto sul fuoco, ma proprio mentre sta per bollire suona il telefono. Decido di ignorare la chiamata, e invece, non so perché, vado verso il telefono e afferro la cornetta. Dico pronto, ma non risponde nessuno, anche se so che dall’altra parte c’è qualcuno. Resto fermo così, ripeto pronto. Pronto. Non succede nulla. Intanto mi accorgo che il latte sta bollendo, faccio per spegnerlo con la mano libera, ma quando avvicino la mano alla manopola del gas mi accorgo che manca, manca la mano, non ho altro che il polso liscio e senza alcuna traccia di taglio. Così, privato delle dita, non riesco ad afferrare la manopola del gas e il latte sbotta fuori dal pentolino, sporcando il fornello e spegnendo la fiamma. Allora mi giro verso la finestra e vedo il cane che si allontana deluso, supera il muretto, sparisce oltre la cornice, oltre il mio sguardo. Ce l’ho con lui, perché se non fosse mai arrivato tutto questo non sarebbe successo, e allo stesso tempo mi sento colpevole del mio insuccesso, della mia incapacità di aiutarlo. Resto fermo, senza più la mano, il gas è ancora aperto, la cucina macchiata, il latte bruciato diffonde il suo odore sgradevole nella stanza. Resto con la cornetta vicina all’orecchio. Dall’altra parte del telefono si sente finalmente un sospiro, poi lontanissima un’eco, pronto, pronto. La chiamata viene interrotta.

mercoledì 23 dicembre 2020

la cura

C’è un mio amico, dice che dorme male, è insofferente, stressato da tutta questa situazione. Vuole andare da un medico per farsi dare una cura. “Ma quale medico?” gli dico io, “ti serve solo un po’ di movimento all’aria fresca. Vieni a darmi una mano a tagliare la siepe e vedrai che ti passa subito qualsiasi problema.” La siepe non viene tagliata da quattro anni, per cui è diventata altissima, inestricabile, sformata, è un lavoraccio. Il mio amico viene e sgobba come un matto. Ripuliamo tutto. Alla fine dei lavori, senza più alcuno stress addosso, ringalluzzito dalla cura, il mio amico mi fa: “Sei un bel furbo tu, con la scusa della cura… se ero un operaio mi dovevi pagare a giornata!” Io mi metto a ridere. “Scherzi?” gli rispondo, “sei tu che sei fortunato, se ero un medico mi dovevi dare pure il resto!”

lunedì 21 dicembre 2020

violetta del deserto

 


stress

«Egregio EDITORE, Vengo dunque a proporLe la pubblicazione di un’ampia e ben ponderata raccolta di poesie, in parte classiche, in parte moderne, in parte postmoderne e sperimentali. Nel caso fosse interessato alla loro pubblicazione, Le fornirei, a stretto giro, il file Word da trasformare direttamente in PDF di stampa senza ulteriore stress, da parte sua, inerente all’editing del testo. In calce troverà in miei contatti e il mio curriculum aggiornato, ma non esiti a contattarmi per qualsiasi dubbio o curiosità». (Seguono contatti e bibliografia aggiornata, comprendente una trentina di titoli fra narrativa, teatro e saggistica, più enciclopedia in cinque volumi).

domenica 20 dicembre 2020

brodskij

 


finzione

Identificazione di una donna di Michelangelo Antonioni è probabilmente il suo film meno riuscito. Ho letto in rete delle recensioni tremende. Io personalmente non l'ho trovato così brutto. Per quanto sia discontinuo, lì dove il regista ritrova il suo smalto poetico, diventa un film assai malinconico e di un certo fascino sull'impossibilità di rinunciare al desiderio (inteso come anelito alla vita) anche di fronte all'evidenza della sua fugacità, che mi ha fatto pensare, per sentimento ed esiti, a Di là dal fiume e tra gli alberi di Hemingway.

Una delle critiche più forti che – ho letto – gli viene mossa dai critici, riguarda la sciatteria intrisa di retorica di certi dialoghi, la sua vicinanza all’estetica televisiva del melodramma e persino l’accento di Tomas Milian che non viene doppiato e quindi risulta stonato, assai poco “in parte”. Tutto vi suona insopportabilmente falso. Ecco, ricordando i miei studi d’arte, mi è venuto da pensare a Tiepolo i cui cieli erano di un azzurro talmente azzurro da risultare a volte stucchevoli, da svelare immediatamente la propria finzione. E così mi è venuto da pensare: e se Antonioni, dunque, lo avesse fatto apposta? Se avesse creato, cioè, un film che nemmeno provasse ad essere mimetico – caratteristica che sempre più diventa imprescindibile oggi: l’aderenza al vero, la prossimità al plausibile – ma al contrario svelasse immediatamente il meccanismo della propria finzione, ma non finzione consolatoria, piuttosto una finzione talmente finta da non consolare affatto, da mostrare – poiché il cinema è riflesso della vita e la vita è riflesso della televisione (Woody Allen) – come spesso sia proprio la nostra stessa vita a essere antiestetica, sciatta, costruita persino nei sentimenti, intrisa di retorica e a tratti ignobilmente sbagliata.

mercoledì 16 dicembre 2020

a natale regala un panettone

A NATALE REGALA UN LIBRO DI POESIE, mi raccomando. Ma non regalarlo a me, che ne ho anche troppi da leggere. Io mi accontento di un panettone meglio se a lievitazione naturale. Mi vanno bene anche i liquorini fatti in casa o, se proprio mi vuoi bene, una bottiglia di grappa invecchiata.

 


baishu dell'impaginatore

Appena chiuso l'ultimo
impaginato dell'anno
non vuoi vedere un file
InDesign fino a gennaio.

martedì 15 dicembre 2020

malerba

Credo che il più bel libro in prosa che ho letto nella seconda metà del 2020 sia stato La scoperta dell'alfabeto di Luigi Malerba che, faccio mea culpa, conoscevo pochissimo. Il punto è che si fa tanto per andare sempre a citare gli americani e i russi, i sudamericani, gli orientali, o più semplicemente quelli che vanno a vivere in città, come per riceverne l'avallo di una apertura e di una liberazione dal nostro sbandierato provincialismo. E poi ti accorgi che bastava andare in direzione opposta, alle radici stesse del provincialismo, nella campagna più aspra e cruda, per capire come la solitudine può farsi sangue e carne, favola e follia. Quel posto che ciascuno di noi porta nel cuore come una ferita e una molla, e che per qualcuno sta nelle Langhe, per qualcun altro in Irpinia, per qualcuno in Lucania e per Malerba sull'Appennino.

lunedì 14 dicembre 2020

arrossire

Oggi un ragazzo assai romantico che mi ricorda tanto com’ero io alla sua età, mi ha detto che ha capito che solo quando si muore si ha successo nell’arte – cosa che in buona parte credo anche io: o morti o pseudotali, ovvero simulacri – per cui ha voluto confidarmi il suo piano: fare subito molto clamore e poi morire giovane. Che mi ha fatto molta tenerezza, perché io alla sua età la pensavo uguale (morirò a trent’anni, dicevo io). Quindi, per una sorta di rispetto verso di lui e verso il me stesso che ero, gli ho voluto dire la verità. È una fesseria, gli ho detto. Nel senso che funziona solo se sei molto bravo o molto fortunato. Perché i morti bravi hanno successo, ma i morti meno bravi alla fine sono morti e basta. Ci è rimasto male. Vuoi dire che non sono abbastanza bravo? Questo non lo so, ma invece di pensare a come morire in grande, che è una cosa molto stupida, dovresti goderti di più la vita e basta, almeno quella che hai. I poeti morti, per quanto bravi siano, non si godono niente, nemmeno il loro successo. Sinceramente più sfigati di loro, per me, non c’è nessuno. Ecco allora che ascoltandomi mi sono sentito, per un attimo, diventare padre di me stesso, a darmi lezioni di vita che alla sua età non avrei voluto sentire. Non da me, almeno. Insomma, oggi mi sono guardato allo specchio e sono arrossito.

domenica 13 dicembre 2020

doppia morale

Ieri ho letto La poesia è finita. Diamoci pace. A meno che… di Cesare Viviani (Il Nuovo Melangolo, 2018), libricino tutto sommato superfluo che parla dello svilimento odierno della poesia, ma con un piglio offeso, a metà fra l’elitario e il paternalistico, e ribadendo concetti abbastanza scontati: se la poesia si muove sul limite allora non si può definire (ma va). E però Viviani non è un fesso e il libretto ha degli elementi di interesse. In particolare, mi ha colpito questo passaggio: «Io, testimone degli ultimi quarantacinque anni (1973-2017), posso dire che allora la poesia aveva uno spazio marginale ma di grande valore, nella considerazione sociale. Oggi, invece, lo spazio è marginale e svalutato: il mondo dell’utilità l’ha seppellita considerandola un esercizio narcisistico di altri tempi. Allora non sarebbe meglio consegnare a mano 10-20-30-40 copie (tante quante le persone che stimiamo, non più di quaranta) del libro stampato a nostre spese, facendone 10-20-30-40 doni?». Viviani qui tocca un nodo fondamentale. Perché la maggior parte dei poeti che conosco – a cominciare da Viviani stesso, che predica bene e poi pubblica con Einaudi – ribadisce esattamente, E CON FORZA, le stesse cose: che la poesia non si può definire nella sua vera essenza; che si spinge sempre verso un limite; che è sempre poesia civile, anche se non di lotta, perché si rimescola nell’umano; e che nella sua pura essenza è assolutamente fuori dai meccanismi (e servilismi) del mercato. Ma allora perché, pur essendo tutti d’accordo che la poesia è fuori dal mercato, dalle sue possibilità e dalle sue ambizioni, ci ostiniamo testardamente a misurarla coi criteri del mercato? «Quante copie stampi, dove le mandi, dove sono le mie percentuali? Il libro è in libreria o no? Andiamo al festival o no? Mi puoi recensire il libro, sì o no?». Questa doppia morale, di dirsi assolutamente liberi e fuori da un sistema aborrito, disprezzato, spesso definito corrotto, pur volendoci rientrare a tutti i costi e da paria – o con la pretesa assurda di voler fare una rivoluzione dall’interno – non è un po’ una falsa morale, sia pure stupida, sia pure ingenua, o più semplicemente indotta dalla realtà che dovremmo trascendere, dice Viviani, proprio in virtù della poesia, e che non trascendiamo perché la nostra sbandierata fede nella poesia non è abbastanza?

sabato 12 dicembre 2020

nelle fiabe

La morte è giusta e lamentevole.
Topi e ranocchi parlano di sogni e di denaro.
La fortuna asseconda i giovani e favorisce
il matrimonio. Il sangue scorre libero,
i lupi ti divorano, ma è l’acqua che ti uccide.
La luna è rapita, legata, spartita
ma torna in cielo fioca e rinsavita
a comando di San Pietro. Anche i morti
hanno una seconda occasione.

lunedì 7 dicembre 2020

capolavori

Oggi in un post di Giulio Mozzi ho letto una frase talmente semplice e vera che mi ha colpito e la riporto qui: “Se si pubblicassero solo i capolavori, non esisterebbe l’editoria”. Noi tendiamo al sublime, ma, nella maggior parte dei casi, ci muoviamo, come editori, in quella zona d’ombra o sottobosco dove qualcosa sta accadendo, ma ciò che emergerà non è detto che ci riguardi. Potrebbe darsi che domani, anche attraverso me, si darà vita a un capolavoro; oppure all’opposto che, nonostante ogni mio sforzo intellettuale ed etico, i capolavori li produrranno gli altri, magari volendo magari per caso, e tutta la mia vita sarà stata perfettamente inutile, non solo alla storia degli uomini, come già è, ma anche alla storia della letteratura e dell’arte. 

(Ovviamente, il fatto che non sia un capolavoro non significa che un’opera non possa essere immensamente bella e non si meriti di essere letta, né che nel dubbio non si debba fare sempre al meglio il proprio lavoro).

domenica 6 dicembre 2020

un poeta mi chiede...

Un poeta mi chiede Cosa farai
delle mie poesie? Io guardo
le poesie e mi chiedo Cosa farò
di voi? Ma le poesie guardano fuori
e sognano di fuggire illese da noi.

venerdì 4 dicembre 2020

calzamaglia

 Stamattina pensavo che la maggior parte dei poeti che leggo o che conosco di mestiere fa l'insegnante in qualche scuola o all'Università. Insomma, sono come i supereroi, come Batman o Spiderman, hanno la doppia identità. La mattina in classe insegnano ai bambini che tutto è circoscrivibile a un libro, alle nozioni che definiscono il mondo, a delle regole e un linguaggio preciso, a una cultura che ne stabilisca i limiti. Poi di sera, a casa, si tolgono il vestito, infilano la calzamaglia e scrivono questi versi spesso ambigui, spesso bui, in cui rinnegano tutte o quasi le verità della mattinata e sposano invece il dubbio: e solo questo ora possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo, e nulla è sicuro ma scrivi. Almeno fino a domani, domani è un altro giorno.

giovedì 3 dicembre 2020

censura

Oggi mi pare che le due notizie principali dal mondo riguardino i territori sotto l'influenza della Cina. A Hong Kong, proprio oggi è stato arrestato Jimmy Lai, editore del quotidiano Apple Daily ed attivista, attraverso il suo giornale, per la democrazia in Cina. In Algeria, invece, la cui economia è ormai da tempo soggetta alla politica economica cinese, il governo ha sospeso ieri due siti d’informazione, Twala e Casbah Tribune, nell’ambito di un'operazione contro la libertà di stampa. Sempre in Algeria, nel corso dell’anno sono stati fermati altri giornali online e molti giornalisti e blogger sono stati condannati o sono attualmente sotto processo. Se questo è il modello che a breve detterà legge nel mondo (visto che la Cina si prepara a prendere il posto degli USA, e visti anche gli esempi di Russia, Turchia, Brasile e i tentativi di Trump di mettere il bavaglio ai giornalisti americani) c'è da stare molto molto attenti.

mercoledì 2 dicembre 2020

proverbio

Quella volta che la persona a cui stai impaginando il libro, dopo averti rifiutato ben tre proposte strafighe per la copertina, ti rilancia un'immagine rubata a una cartolina di auguri, coi gattini volanti, i cuoricini e gli angioletti, la cosa più kitsch che hai mai visto. E mentre te la mostra le scappa di dire "Ammooooreeeeeee!" con una vocina che a te scatta dentro, brutale, l'istinto di menarle uno schiaffo perché ritorni in sé. Poi ti calmi, fai un gran respiro, e con tutta la padronanza ritrovata richiami alla mente il proverbio: Attacca il ciuccio dove vuole il padrone. Il più grande insegnamento che ho mai ricevuto da mio padre.

martedì 1 dicembre 2020

posta

Anche se mi sento sempre in colpa il tempo è denaro e ho cominciato a prenotare in posta sfidando gli sguardi malevoli dei vecchietti in fila per la pensione. Stamattina ho superato agilmente una trentina didi persone. “Onne arrevète i poteri forti!” mi sento dire alle spalle da un tipo inviperito. “Peppe, lasse stè” gli dice un altro che mi ha riconosciuto, “ca cure può u scrive!”. “Ah scuse sà, non sapevo!” si scusa Peppe che saluto.